sabato 23 febbraio 2013
Pare voglia combattere per primo la corruzione
I CENTO GIORNI (E I DUE VOLTI) DI XI JINPING
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 22 feb. - Il "sogno cinese", la lotta alla corruzione, lo sviluppo pacifico della Cina. Sono i temi su cui si è concentrato Xi Jinping da quando è stato eletto segretario generale del Partito Comunista Cinese fino ad oggi, il suo centesimo giorno di mandato. L'agenzia di stampa statale cinese Xinhua ha dedicato un lungo editoriale all'evento dal titolo "I primi cento giorni della leadership cinese che rinnovano le aspettative del mondo sulla Cina".
Xi Jinping è prima di tutto, secondo la Xinhua, il presidente del sogno cinese di rinascita nazionale, tema che è stato al centro di un suo discorso durante una delle sue prime uscite pubbliche, il 30 novembre scorso, al Museo Nazionale. "Realizzare il rinnovamento della nazione -aveva dichiarato Xi- è il più grande sogno della Cina nei tempi moderni". Xi Jinping, accompagnato dai membri della cerchia ristretta del Comitato Permanente del Politburo aveva fatto visita al museo dove era in corso la mostra "La strada verso il rinnovamento" che raccoglieva immagini e documenti della storia contemporanea cinese dai tempi della prima guerra dell'oppio, scoppiata nel 1840. In quell'occasione aveva ripercorso la storia cinese degli ultimi 170 anni per celebrare lo spirito cinese che ha saputo rialzarsi dopo grandi difficoltà e umiliazioni. Aveva citato poeti dell'antichità e Mao Zedong (che sarebbe tornato più volte in seguito nei suoi discorsi futuri) e si era presentato come un leader carismatico agli occhi dei cittadini.
Ad aumentare ancora il suo carisma era stato il suo primo viaggio da leader, una settimana dopo, nel ricco Guangdong che aveva trainato le riforme economiche trenta anni fa, anche grazie all'apporto di suo Padre, Xi Zhongxun, all'epoca governatore della provincia costiera. Il viaggio in Guangdong aveva subito innescato il paragone con quello compiuto da Deng Xiaoping venti anni prima, quando l'anziano architetto delle riforme economiche aveva ribadito l'importanza dell'apertura al mondo della Cina per continuare sulla via del progresso e della prosperità. E l'immagine di Xi Jinping al termine del tour sembrava essere quella di un leader aperto alle riforme.
I primi cento giorni del nuovo segretario generale sono stati contrassegnati, però soprattutto dai ripetuti appelli anti-corruzione, vero cruccio di Xi Jinping, che non ha perso tempo a manifestare di fronte agli alti funzionari del PCC il suo ribrezzo verso la pratiche scorrette dei membri del partito. E in uno dei suoi primi appelli aveva citato l'importanza che la percezione di un'élite corrotta al potere avesse avuto negli anni passati a fare cadere i sistemi politici attraverso le sollevazioni di piazza. Non solo parole, questa volta: le prime settimane della sua leadership sono state segnate da provvedimenti ad hoc per evitare l'impressione di una classe dirigente chiusa in un mondo di privilegi, come la norma anti-sprechi (nei confronti dei top manager delle aziende di Stato) e la norma anti-stravaganze (contro le spese inutili dei politici in visita nel Paese). E a pochi giorni dall'inizio del suo mandato c'era stato il primo alto funzionario cinese indagato per corruzione, Li Chuncheng, membro supplente del Politburo, per una storia di tangenti con un costruttore del Sichuan in cerca di concessioni edilizie.
Ma le parole più significative, Xi Jinping le ha pronunciate a porte chiuse e in presenza di un pubblico selezionato, quello degli alti funzionari. Secondo quanto riportato dal New York Times, il 15 febbraio scorso, durante la visita in Guangdong, Xi Jinping avrebbe nuovamente ribadito il concetto già espresso sulla necessità di combattere la corruzione per evitare il collasso politico. Con qualche nota di colore in più, questa volta. "Perché -aveva chiesto al suo pubblico- l'Unione Sovietica si è disintegrata? Perché il partito comunista sovietico è crollato? Una ragione importante è stata che le convinzioni e gli ideali vacillavano". I toni di Xi Jinping si fanno ancora più forti quando dichiara che una sola parola è bastata per dissolvere "un grande partito" e che "nessuno" in quella circostanza "si è dimostrato un vero uomo decidendo di resistere" alla fine del PCUS.
Frasi che mettono una pietra tombale sulle aspettative di chi, anche solo per un attimo, ha pensato a Xi Jinping come il "Gorbacev cinese". Le speranze nate a settembre scorso -quando in un colloquio riservato con un esponente dell'ala riformista del partito Xi aveva espresso la possibilità di varare riforme politiche- sembrano infrangersi nelle parole del segretario generale. Non fare la fine dell'Unione Sovietica è l'imperativo categorico del segretario generale del PCC, forse la motivazione stessa per cui bisogna combattere la corruzione. In una parola: stabilità.
Proprio nel segno della stabilità e della continuità con il passato Xi Jinping ha deciso di intraprendere il suo primo viaggio da presidente cinese in Russia (e subito dopo in Sudafrica) come fece il suo predecessore Hu Jintao. Xi, come riporta la Xinhua nel suo editoriale, "ha dichiarato che in politica estera la Cina manterrà la via dello sviluppo pacifico senza sacrificare i suoi diritti ed interessi". Una linea inaugurata dalla quarta generazione di leader, ma che da qualche tempo sembra mostrare alcune crepe con le dispute di sovranità territoriale nel Mare Cinese Meridionale e Orientale per arcipelaghi e atolli disabitati ma di importanza strategica fondamentale per Pechino.
A cento giorni dall'inizio del suo mandato, Xi Jinping rimane un leader difficile da decifrare. Sarà in grado di fare le riforme di cui il Paese ha bisogno? L'editoriale della Xinhua non lo dice. In ogni caso, nessuna riforma dovrà essere percepita così forte da aprire la strada a possibili sollevazioni. La leadership del partito prima di tutto il resto, è uno dei suoi mantra. Forse proprio per questo, quando ha parlato della necessità da parte del partito di aprirsi alle critiche e di correggere i propri errori, a molti su Weibo, il Twitter cinese, era gelato il sangue. Quello stesso appello pronunciato nel 1956 da Mao Zedong aveva dato il via a una grande epurazione di intellettuali che avevano creduto nelle sue parole. Meglio per tutti, allora, andarci cauti.
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