lunedì 4 febbraio 2013

Magari gli hacker sono di Molafà fra Sassari e Olmedo


QUOTIDIANO DEL POPOLO CONTRO I MEDIA USA 
Rigettate le accuse di pirateria informatica


di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

Pechino, 4 feb. - Il Quotidiano del Popolo rigetta le accuse di New York Times, Wall Street Journal e ora anche Washington Post di pirateria informatica ai loro danni che sarebbero state compiute da hacker cinesi. I giorni scorsi avevano visto una veemente polemica tra i quotidiani Usa e il governo di Pechino dopo che il New York Times per primo aveva dichiarato di essere sotto attacco da parte dei pirati informatici del Dragone. La celebre testata statunitense aveva lamentato di essere da quattro mesi oggetto delle attenzioni degli hackers che erano riusciti a sottrarre password e codici di accesso riservati di 53 tra giornalisti e impiegati. L'inizio degli attacchi, per il New York Times, risale all'indomani della pubblicazione, il 30 ottobre scorso, di una lunga inchiesta sulle fortune accumulate dalla famiglia del primo ministro uscente Wen Jiabao dal 1998, quando Wen ha assunto la carica di vice primo ministro. Subito dopo la pubblicazione dell'inchiesta, il sito web del celebre quotidiano Usa è stato immediatamente oscurato dalla censura di Pechino, e a tutt'oggi non è visibile senza l'aiuto di un virtual private network (VPN). Con l'editoriale di oggi, il Quotidiano del Popolo, nella sua versione in cinese, ha voluto prendere posizione riguardo alle accuse mosse alla Cina nei giorni scorsi dai maggiori quotidiani Usa.

"Anche quelli con scarsa conoscenza di internet -scrive il quotidiano organo del Partito Comunista Cinese- sanno che gli attacchi degli hacker sono transnazionali e facilmente occultabili. La presenza di indirizzi IP non costituisce da sola una prova sufficiente a determinare la provenienza degli hacker". La polemica statunitense degli ultimi giorni servirebbe solo a creare un clima di "paura della Cina", secondo il Quotidiano del Popolo. "Gli Stati Uniti continuano a etichettare la Cina per la pirateria informatica -prosegue l'editoriale- portando avanti la retorica della "minaccia cinese" nello spazio informatico, per fornire nuove giustificazioni alla strategia di contenimento della Cina". L'editoriale si conclude con la presa di posizione a favore del governo di Pechino: nel solo mese di dicembre, a detta del quotidiano, ci sarebbero stati più attacchi informatici provenienti da indirizzi IP basati negli Usa che da qualsiasi altra parte del mondo.

Oltre al New York Times, nei giorni scorsi, anche il Wall Street journal aveva lamentato attacchi informatici, e nella giornata di sabato scorso, all'elenco delle testate prese di mira dagli hacker si è aggiunto anche il Washington Post. L'attacco, in questo caso, risalirebbe al 2011. Il portavoce del quotidiano Chris Coratti ha spiegato che il Washington Post aveva assunto, ai tempi, un gruppo di security per indagare, identificare i colpevoli e risolvere la situazione. Anche il social network Twitter, oscurato in Cina dalla censura, venerdì scorso è uscito allo scoperto dichiarando di essere stato recentemente vittima di attacchi informatici, anche se non ne ha specificato la provenienza. Le password di circa 250mila utenti, secondo il popolare sito di microblogging, erano state sottratte illegalmente: Twitter ha dovuto invalidare gli account violati e mandare una mail agli utenti chiedendo loro di rientrare nel social network usando una nuova password. Una cosa sembra certa: "l'attacco non è stato opera di dilettanti -afferma in un post Bob Lord, direttore del dipartimento di Information Security di Twitter- e non crediamo che si tratti di un incidente isolato". A finire nel mirino dei pirati del web, infine, sarebbe stata anche l'agenzia Bloomberg per un episodio analogo a quello del New York Times: nel giugno scorso, aveva pubblicato una lunga inchiesta sulle fortune accumulate dalla famiglia del vice presidente cinese Xi Jinping durante la sua carriera politica. Il giorno stesso anche la Bloomberg è rimasta vittima della censura di Pechino.

In una delle sue ultime dichiarazioni da segretario di Stato statunitense, Hillary Clinton si è espressa con toni forti nei confronti degli attacchi informatici cinesi alle istituzioni e ai gruppi americani. "Dobbiamo mettere in chiaro con i cinesi -aveva dichiarato la Clinton- che non sono gli unici a produrre azioni di pirateria informatica, che gli Stati Uniti prenderanno provvedimenti per proteggere non solo il governo, ma anche il settore privato, da questo tipo di intrusioni illegali". Due funzionari della sicurezza statunitense hanno poi dichiarato che il governo Usa avrebbe ha in preparazione un sistema di valutazione degli attacchi informatici, il National Intelligence Estimate (NIE) che rivelerà l'entità economica delle minacce ai sistemi informatici statunitensi, in particolare quelle provenienti dalla Cina. Secondo uno dei due funzionari interpellati, verrà rivelato anche il ruolo del governo cinese negli attacchi.

In quelle stesse ore, a colloquio con un inviato di Washington, il vice primo ministro cinese Li Keqiang aveva cercato di gettare acqua sul fuoco delle nascenti polemiche, dichiarando che Cina e Stati Uniti "dovrebbero lavorare insieme sulle materie di interesse comune". Senza fare un riferimento preciso alle accuse di pirateria informatica mosse dai due quotidiani statunitensi, il vice premier cinese ha poi sottolineato durante l'incontro con Ed Royce, presidente del Comitato per gli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti, che Cina e Stati Uniti devono "aumentare la fiducia reciproca e gestire insieme differenze e attriti". Pechino ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nelle azioni che hanno avuto come bersaglio i software americani. Nelle ore immediatamente successive alle accuse del New York Times, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Hong Lei aveva dichiarato che "è del tutto irresponsabile affermare senza alcun motivo e prove certe che la Cina è artefice di un attacco hacker".

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