martedì 26 febbraio 2013
Al momento sono in tre
XI JINPING, SHINZO ABE E OBAMA
LAVORANO PER LA STORIA:
MIGLIORE O PEGGIORE?
di Paolo Borzatta*
Twitter@BorzattaP
Milano, 25 feb. - Questa volta partiamo dal Giappone. Il 2 dicembre dello scorso anno il soffitto in lamiera di acciaio della galleria autostradale di Sasago (Prefettura di Yamanashi – circa 70 kilometri da Tokyo) è crollato uccidendo nove persone. La galleria è stata riaperta alcuni giorni fa (9 febbraio) dopo la riparazione. L’inchiesta ha però dimostrato che erano decenni che i bulloni non venivano controllati e che 632 si erano allentati o corrosi nonostante che vi fossero periodiche ispezioni, però molto superficiali.
Una pronta analisi della situazione ha mostrato come in Giappone moltissime infrastrutture sono vecchie e mal mantenute. Questo in un Paese famoso per la qualità delle sue infrastrutture (e per l’enorme quantità di soldi che vi ha – malamente - speso nei decenni passati portando il debito pubblico giapponese a superare il 200% del PIL) e soprattutto per l’ossessiva attenzione dei giapponesi alla sicurezza.
Il Primo Ministro Abe ha colto la palla al balzo per ulteriormente giustificare la sua “forte” politica economica (oramai chiamata “Abenomics”) annunciata alla fine dell’anno scorso: nuovi grandi investimenti infrastrutturali (si parla di oltre un trilione di dollari nel prossimo decennio), aumento del tetto di inflazione (2%) e conseguente indebolimento dello yen. Conseguenze immediate: esuberanza della borsa di Tokyo sia per l’iniezione di liquidità, ma anche perché l’indebolimento dello yen sta già aumentando la competitività delle merci giapponesi. Conseguenze a lungo termine: debito pubblico che probabilmente raggiungerà il 220% del PIL e probabile riduzione (per cambio di statuto, così Abe ha annunciato) della indipendenza della Banca Centrale Giapponese per permettere al Governo di “stampare moneta”.
Perché parliamo di Giappone in un editoriale sulla Cina? Perché è un ulteriore e forte segnale dell’ “incattivimento” della situazione in Asia. Abbiamo infatti uno dei grandi attori strategici dell’area – il Giappone appunto - e del mondo che, stanco di non essere riuscito in oltre vent’anni a uscire dalla melma di una economia statica e poco competitiva, sceglie una politica economica probabilmente vantaggiosa sul breve periodo, ma potenzialmente foriera di grandi problemi economici e sociali sul medio lungo. Questo significa che avremo un attore sempre più disponibile ad azioni “esterne” forti e muscolari per distrarre il proprio popolo dai problemi interni.
Infatti proprio in questi giorni il Primo Ministro Abe, in visita ufficiale negli Stati Uniti, ha rilasciato un’intervista al Washington Post con dichiarazioni molto forti contro il Governo cinese che utilizzerebbe – a suo dire - le tensioni territoriali con i propri vicini (Giappone incluso per le isole Senkaku/Diaoyu) e rinfocolerebbe il sentimento antinipponico per puntellare il proprio potere interno. Forse Abe non ha torto, ma queste affermazioni non sono diplomaticamente corrette e inutile dire che probabilmente Abe sta facendo la stessa cosa!
Gli altri due attori più importanti sono la Cina e gli Stati Uniti. Anch’essi saranno in una situazione delicata nei prossimi cinque anni.
La Cina dovrà affrontare in modo serio due temi gravi ed importanti. Il primo sarà la progressiva riforma politica per rispondere alle richieste di riduzione dei privilegi e della corruzione e poi (forse) di libertà politica da parte dell’emergente classe media del Paese. Il secondo sarà la progressiva riduzione dei vantaggi di fatto oggi assegnati alle aziende statali che stanno mantenendo ingessato il sistema economico e allo stesso tempo mantenere alto il tasso di crescita del Paese per riuscire a “tranquillizzare” i fermenti di ribellione con un continuo aumento della ricchezza individuale. I due fronti potrebbero richiedere azioni in conflitto tra loro e quindi rendere difficile vittorie contemporanee. Inoltre la lotta alla corruzione, se portata fino in fondo, potrebbe creare forti problemi interni all’attuale leadership con esiti non prevedibili, ma anche molto molto traumatici.
Xi Jinping, nei suoi primi cento giorni di governo, ha sicuramente dato segnali che intende muoversi in questa direzione. Ha fatto di più, in un discorso ai dirigenti del partito del Guangdong ha chiaramente detto che se il Partito non ritrova una forte spinta “ideale” (servire il popolo, sogno di rinascita nazionale, modestia e moderazione) rischia di fare la fine dell’URSS.
In questi discorsi ha mostrato un forte e inusuale (per la leadership comunista “ingessata” dalle dinamiche interne del partito) carisma che anche i cittadini cinesi hanno percepito e apprezzato. Appare come un leader diverso che potrebbe “fare la Storia” per la nazione cinese.
Va anche detto che oltre ai segnali positivi anche sul fronte della riduzione della censura, sono emersi – sembra – anche segnali contrari di aumento della pressione sui “dissidenti” sia quelli che vivono nella madrepatria, sia quelli che vivono all’estero.
Infine va osservato che il suo primo viaggio di stato è in Russia, dando così un forte segnale di indipendenza e assertività geopolitica
L’ultimo grande attore, gli Stati Uniti, vedrà al lavoro un Presidente che sicuramente vorrà lavorare per la Storia, ovvero lasciare un suo segno indelebile sul miglioramento del Paese. La sua agenda sembra però molto orientata ad epocali cambiamenti interni: il consolidamento della riforma sanitaria, la riduzione delle armi, il rilancio del sogno americano, il sistema educativo, i diritti civili soprattutto degli immigrati, l’attenzione all’ambiente e la conversione, il rilancio e la competitività dell’economia (con forte miglioramento delle infrastrutture). I temi di politica estera e soprattutto quelli verso l’Asia non sembrano essere – al di là delle dichiarazioni di principio – particolarmente ad alta priorità, anche perché con due guerre devastanti appena terminate (e non brillantemente) non ha certo il fiato economico e psicologico per politiche particolarmente assertive.
Anche lui, in due importanti discorsi (investitura e “Stato dell’Unione”), ha mostrato grande carisma e una volontà di “fare la Storia” per gli Stati Uniti.
C’è infine un quarto attore nel cast di questo spettacolo nel teatro del mondo, ma purtroppo non vuole entrare in scena. Questo attore è l’Europa che non riesce a capire quale enorme ruolo potrebbe giocare sia per il rilancio della civiltà occidentale/europea, sia per risolvere finalmente alcuni importanti nodi geopolitici (Israele e la Palestina, l’Iran e l’Iraq, l’Africa). E’ probabile che nei prossimi cinque anni l’Europa si mantenga marginale impegnando le proprie energie in beghe da pollaio per la politica economica comune senza riuscire a concentrare le proprie energie su una visione e su una strategia unitaria, magari “dimagrendo un po’ ” (espellendo il Regno Unito lasciandolo alla sua “relazione speciale” con gli Stati Uniti) e guadagnando però tonicità in politica estera, economica e militare.
Questi attori, viste le loro situazioni, potranno dare vita – nei prossimi anni – a tanti diversi spettacoli, ma crediamo riassumibili in due grandi scenari contrapposti.
Il primo, che al momento sembra il più probabile, vede l’Europa marginale (sperando anzi che non crei troppi disastri economici) e gli Stati Uniti molto impegnati in un grande cambiamento interno, ma meno disponibili a innovazioni importanti nella loro politica estera, se non una maggiore “attenzione” all’Asia. La loro relazione con la Cina resterà problematica tra alti e bassi, ma senza un accordo strategico di lungo termine (come anche Kissinger propone) per una coesistenza fruttuosa nella gestione coordinata degli affari del mondo.
La Cina, anch’essa impegnata nel fronte interno, guarda al resto del mondo per continuare ad approvvigionarsi delle materie prime e della energia di cui ha bisogno e probabilmente continua a mostrare i muscoli sia per affermare il suo nuovo ruolo, sia per ridurre le pressioni interne.
Probabilmente i consumi interni sono in aumento con una minore ricerca di investimenti stranieri (che potrebbero essere di fatto scoraggiati per dare fiato ai produttori interni). Difficile dire a quale livello di tensione politica interna si può arrivare, anche se – in un orizzonte di cinque anni – è probabile che si riesca a non superare il punto di rottura.
Il Giappone invece alimenta la propria economia con una forte svalutazione drogata dello yen che fa imbufalire i concorrenti stranieri che si trovano un concorrente molto più competitivo in giro per il mondo e un mercato giapponese interno ancora più difficile e ostico. A fine periodo la situazione finanziaria del Paese potrebbe essere pesantissima se non riesce a aumentare di molto la produttività negli anni precedenti.
Risultati principali di questo scenario: perdita o rallentamento dei vantaggi della globalizzazione e rischi di conflitti locali in Asia, anche molto forti. Probabile ulteriore peggioramento dei problemi medio orientali.
Il secondo scenario – che al momento temo sia solo un sogno - invece vede gli Stati Uniti e la Cina impegnati in una vera partnership strategica (che non vuol dire identità di vedute) per accompagnare con mano la transizione del mondo dal XX al XXI secolo che – grazie alla tecnologia e alla affluenza di Europa, Stati Uniti, Giappone, Cina e Sud America – renderà gli abitanti del pianeta molto più sensibili a bisogni nuovi e “alti” dell’uomo (cognitivi, estetici e di auto-realizzazione) e meno ai problemi di classe del passato.
In questo scenario il Giappone sa giocare un ruolo di co-partnership e sfrutta il suo status di pioniere asiatico dello sviluppo. L’Europa può essere la fucina delle idee culturali, scientifiche e filosofiche che caratterizzeranno il XXI secolo e probabilmente oltre.
Risultati principali di questo scenario: forte ristrutturazione dei modelli economici e politici di tutti gli attori in gioco, maggiore armonia planetaria sociale ed economica, maggiore “felicità” delle popolazioni.
Le leadership di questi Paesi potrebbero veramente giocare questo gioco. E’ un’occasione unica che hanno per una rara coincidenza (“risonanza”) temporale dei cicli storici ed economici delle più importanti aree del mondo. In parte questi leader (Cina e Stati Uniti, a modo suo il Giappone; l’Europa invece tace) dicono che ne sono coscienti, ma non so se avranno la competenza e la forza per agire a favore della Storia.
Speriamo.
*The European House Ambrosetti
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