martedì 12 febbraio 2013
Il Marketing di se stessi è un libro che consiglio di leggere
Impresa e Management
L'intelligenza emotiva
di Riccardo Varvelli e Maria Ludovica Varvelli
Fino ad alcuni lustri fa, l’intelligenza era un qualcosa legato alla razionalità (cioè al modo di ragionare). L’intelligenza razionale era mirata al sapere o al saper fare, all’astrazione concettuale o alla soluzione metodica dei problemi. Per misurare questo tipo di intelligenza, nel ‘900 sono stati messi a punto test basati su domande o problemi grazie ai quali si potevano dare punteggi correlati con le risposte. Si tratta del Q.I., cioè del Quoziente di Intelligenza, che nel tempo ha dimostrato la sua utilità, ma anche i suoi limiti. Il QI non misura l’intelligenza globale dell’individuo, ma solo una parte: quella logica, razionale, matematica, pragmatica.
Oggi è entrato nel lessico manageriale un altro tipo di intelligenza: quella emotiva, per comprendere la quale è necessario definire il termine emozione.
Per i medici, l’emozione è una reazione fisiologica a una certa situazione accompagnata da attività motorie e ghiandolari. Per gli psicologi, l’emozione è una reazione affettiva intensa, determinata da uno stimolo ambientale positivo o negativo. L’emozione, con la sua comparsa, provoca una modificazione dei comportamenti abituali delle persone. Con queste premesse si può definire l’intelligenza emotiva come la capacità di riconoscere i sentimenti propri e altrui, di motivarsi di darsi energia, di gestire positivamente i sentimenti tanto dentro di sé che nelle relazioni, e di usarli per guidare il pensiero e l’azione.
L’intelligenza emotiva non è l’alternativa all’intelligenza razionale, ma la completa e la traduce in atti. Un alto QI non è garanzia di successo futuro e può convivere con un’alta ottusità, perché il QI misura solo l’intelligenza razionale e non quella globale. L’intelligenza emotiva conta più del QI, che è fisso dall’adolescenza, più della competenza, più della cultura, per determinare la riuscita in qualsiasi lavoro. Questo perché l’intelligenza emotiva agisce e influisce sul saper essere e sul sapersi relazionare, mentre quella razionale agisce e influisce sul sapere e sul saper fare.
L’intelligenza emotiva determina, quindi, il potenziale di crescita di ogni individuo e, di conseguenza, delle organizzazioni di cui queste persone fanno parte, e permette di “vivere bene” anche nel caos, nella complessità e nell’ambiguità.
L’intelligenza emotiva conta più del QI per determinare la riuscita in qualsiasi lavoro.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento