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La finanza sociale per gli enti locali
di Veronica Vecchi, Niccolò Cusumano e Manuela Brusoni
Il finanziamento del Partenariato pubblico privato rischia di finire in un vicolo cieco.
Le pubbliche amministrazioni da un lato dispongono di fondi sempre più scarsi, non solo per finanziare le operazioni, ma anche per coinvolgere le professionalità necessarie a strutturare gli studi di fattibilità e impostare la gara; dall’altro, in caso di aggiudicazione, le ATI o SPV riscontrano difficoltà crescenti a ottenere il finanziamento necessario, oppure spesso devono far fronte a condizioni che compromettono l’economicità dell’operazione. Per la realizzazione di opere a rilevanza sociale, dove il ritorno sull’investimento è debole, queste criticità possono rivelarsi sostanziali.
Di fronte all’impossibilità da parte del settore bancario occorre quindi riflettere sulla possibilità di rivolgersi a intermediari non tradizionali.
Le strade percorse dal mondo anglosassone
Il mondo anglosassone in questo senso sembra percorrere diverse strade:
1. Il crowdfunding;
2. Fondi d’investimento infrastrutturali;
3. Impact investing sotto forma di project bond sociali.
Grazie a piattaforme internet (in Italia è attiva SmartiKa, o il caso nel Regno Unito di MarketInvoice che ha erogato prestiti per 40 milioni di sterline) l’offerta e la domanda di credito vengono messe in relazione a livello individuale, si tratta del cosiddetto crowdfundig. Questo tipo di soluzione può essere adatta per piccoli prestiti e per piccole operazioni.
La seconda soluzione è la creazione di fondi infrastrutturali in grado di attrarre i capitali degli investitori istituzionali, quali fondi pensione e assicurazioni i quali al momento, soprattutto in Europa, investono solo l’1% in questa “asset class” (classe di investimento). Correlata alla costituzione di questi fondi è l’emissione di project bond. In tal senso si è mosso il legislatore che, con il decreto legge 24 gennaio modificato l’art. 157 del Codice dei contratti relativo all’emissione di obbligazioni da parte della società di progetto.
Tuttavia dati recenti mostrano come fondi pensione e assicurativi, per il loro profilo di rischio, siano orientati a investire in infrastrutture già esistenti, con profili di redditività elevata e con rischio ridotto. Condizioni queste che potrebbero richiedere l’intervento del Pubblico, attraverso forme di garanzia che rischiano di entrare in contrasto con i principi Eurostat, soprattutto con riferimento al bacino Europeo. Inoltre, i costi di emissione rendono eventualmente percorribile questa ipotesi solo per operazioni di taglia elevata e ad alta redditività come autostrade e aeroporti.
Spostando l’attenzione sugli investimenti di taglio medio piccolo, quelli che rischiano di sfuggire agli occhi del policy maker nazionale o internazionale, ma che rappresentano il canale attraverso cui gli enti locali possono erogare servizi di qualità ai cittadini, possono essere interessanti forme impact investing.
Si tratta di una particolare strategia di investimento che mira alla creazione di risultati non solo di carattere economico-finanziario, ma anche sociale ed ambientale. Questo connubio è noto come blended value e sta attraendo un numero sempre maggiore di investitori alla ricerca di investimenti sostenibili. Si tratta di investitori responsabili, che non accettano l’idea che sia necessario scegliere tra investire per massimizzare i rendimenti o effettuare erogazioni liberali per scopi puramente filantropici.
La finanza sociale potrebbe quindi apparire un’interessante soluzione per gli investimenti sanitari (sociali per definizione) considerando che il rendimento finanziario è stemperato (e quindi ridotto) dai benefici sociali per le comunità di riferimento (per questo si parla di blended value finance); oppure anche per il social housing o l’educazione.
Le forme tecniche che possono essere utilizzate variano in funzione delle caratteristiche dei target e dei settori di riferimento. Tuttavia l’obiettivo rimane comunque il medesimo: supportare l’attività di enti che realizzano un’attività di interesse collettivo, consentendo all’investitore di ottenere un ritorno, calmierato, sull’investimento. L’utilizzo di strumenti mutuati dal mondo finanziario rappresenta sicuramente un’idea interessante, ma è comunque necessario superare le criticità che spesso si presentano al filtro dell’applicazione pratica.
I Social impact bond
Nel Regno Unito, e ora anche negli Stati Uniti, una modalità di investimento “sociale” è rappresentata dai “Social impact bond” (SIB), nota anche come “pay for success”, in cui un soggetto pubblico o sociale raccoglie fondi per finanziare a un tasso agevolato un progetto a rilevanza sociale, collocando sul mercato un titolo che offre all’investitore una remunerazione variabile legata al raggiungimento di determinati obiettivi valutati in termini di risparmio conseguito. La logica di un social impact bond è raffigurata in figura: rispetto ai costi sostenuti per l’erogazione del servizio nello stato attuale (status quo) l’intervento è in grado di liberare delle risorse che andranno a finanziare l’investimento, remunerare gli investitori che sostengono i costi dell’intervento e possibilmente a generare un risparmio netto.
Il SIB può qualificarsi come una modalità di Ppp in quanto l’amministrazione esternalizza in parte il rischio finanziario (l’investitore è remunerato solo in caso di raggiungimento dei target di performance) e di gestione che viene affidata a un soggetto terzo responsabile del risultato.
Questo genere di strumento è attuabile a condizione che i risultati siano misurabili, producano un risparmio di spesa per , e sia possibile identificare una popolazione target, la presenza di soggetti specializzati – imprese sociali – dalla comprovata esperienza.
Ad oggi nel Regno Unito sono stati collocati 14 SIB. Lo scarso novembre è avvenuta la prima emissione da parte di un ente locale, il Council of Essex il quale ha collocato un Social Impact Bond per raccogliere fondi per finanziare un progetto nell’ambito dell’esclusione sociale. La popolazione target è costituita dai giovani a rischio, che dovrebbero essere presi in carico dai servizi sociali dell’ente locale. Attraverso il progetto, l’obiettivo è quindi di attivare una serie di azioni (cosiddetta “multi-systemic therapy”, MST) che consentano ai giovani di rimanere nelle famiglie e di essere reintegrati nella società. Si stima che ogni sterlina investita in questo programma possa portare a 4 sterline di risparmio rispetto alla gestione del disagio in modo tradizionale attraverso i servizi sociali. L’esecuzione del progetto è stata affidata a una charity, Action for Children, che ha sviluppato la terapia e che gestisce 600 centri per l’adolescenza in tutto il Regno Unito.
Il bond ha raccolto 3,1 milioni di sterline da parte di investitori specializzati che saranno remunerati sulla base dell’effettiva riduzione del numero di affidi ai servizi sociali.
Questo sistema di raccolta di fondi per progetti a impatto sociale potrebbe tradursi nel nostro sistema in project bond sociali, in cui l’investitore, anche retail (il piccolo risparmiatore), qualora si riuscisse a strutturare un’operazione con un adeguato profilo di rischio, presterebbe delle risorse a una società di progetto (per esempio una impresa sociale), a un tasso agevolato rispetto a quello di mercato, in cambio della consapevolezza di aver contribuito alla creazione di valore per il territorio di riferimento.
La buona riuscita di queste operazioni, così come quelle più tradizionali di Ppp (o in generale degli appalti) dipende infine dall’identificazione del fornitore/partner adatto e dalla definizione di un sistema adeguato di incentivi per guidarne la performance. È quindi necessario che sul “mercato” siano presenti dei soggetti di comprovata esperienza, la possibilità di implementare un sistema di monitoraggio dei risultati finanziari e di impatto sociale, la previsione di clausole di flessibilità che permettano di intervenire tempestivamente nel caso emergano problemi.
La garanzia di risultato è, infatti, una condizione per la raccolta di capitali e la diffusione dello strumento. In presenza di rischi troppo elevati e di incertezza la platea di soggetti disposti a prestare a condizioni vantaggiose è ristretta.
Il contesto italiano
Limitando il ragionamento al contesto italiano, è evidente come occorra avviare una riflessione riguardo alla possibilità di ideare modalità che permettano a investitori responsabili di investire nel capitale di veicoli sociali, deputati allo sviluppo di investimenti, quali quelli sanitari, in una logica di partnership pubblico – privato.
In Italia, tra l’altro, esistono già degli esempi: si pensi per esempio al fondo di venture philantropy Oltre Venture, che investe equity in start up sociali innovative. Oppure la fondazione Housing Sociale di Cariplo, per la realizzazione di interventi di housing sociale secondo logiche di limited profit che, oltre ad appoggiarsi a un veicolo finanziario per la raccolta di risorse, Polaris Investment SGR, gestisce la filiera realizzativa in modo efficiente, generando risparmi a parità di qualità.
Tra i veicoli societari presenti nel nostro panorama normativo funzionali allo sviluppo di iniziative e investimenti sociali (si pensi per esempio alla società veicolo di una operazione di Ppp) è possibile citare la società in accomandita per azioni. Si tratta di un veicolo che, grazie alle sue caratteristiche intrinseche, permette di separare l’attività di “gestione” da quella di “investimento”, assicurando in questo modo una governance stabile.
Spostando l’attenzione dal singolo progetto al finanziamento di una pipeline di operazioni di Ppp, si può ipotizzare la costituzione di una società di gestione del risparmio (SGR), ossia di una società che ha quale scopo esclusivo di costituire e gestire i fondi comuni di investimento.
Il Ppp “limited profit”
Tuttavia, oltre ai modelli societari “classici”, anche in Italia si assiste alla diffusione di modelli low profit, che traendo ispirazione da esperienze realizzate in altri paesi - si vedano ad esempio le Community Interest Company nel Regno Unito o le Low Profit Limited Liability Company in USA - prevedono un limite alla distribuzione dei dividendi e l’obbligo di reinvestire parte dei proventi della società per lo sviluppo di nuove iniziative.
Chiaramente, si tratta di modelli che dovrebbero essere legittimati principalmente da un punto di vista normativo, ma che ora stanno creando una “terza via” tra una visione tradizionale – che mira a estrarre valore dagli investimenti - e le iniziative di carattere benefico e caritatevole, caratterizzate da una finalità puramente filantropica.
Tra l’altro il sistema bancario mostra sempre maggiore attenzione nei confronti di questo settore. Negli ultimi tempi sono stati lanciati, infatti, alcuni prodotti finanziari (emissioni obbligazionarie, ad esempio), volti a raccogliere “sul territorio” risorse da destinare al finanziamento di progetti di interesse collettivo di tipo locale, avvicinando quindi la raccolta all’impiego. E’ il caso ad esempio dei bond sociali emessi da Banca UBI o da alcune Banche di Credito Cooperativo (BCC) Piemontesi, proprio per sostenere progetti di investimento di tipo sociale, anche in campo sanitario. Si tratta di prime sperimentazioni, ancora molto vicine alla logica della donazione: parte dello spread è devoluto in favore di un progetto o di più iniziative sociali.
Si tratta comunque di un segnale molto positivo che dimostra anche l’interesse suscitato da questi prodotti tra gli investitori e i cittadini.
In figura 2 si mostra una possibile struttura di Ppp “limited profit”. Essa presenta le caratteristiche di una tradizionale operazione di PPP: al centro la società di progetto rappresenta lo snodo dei contratti di concessione, subappalto, fornitura e finanziamento; e dei flussi di cassa. Le principali differenze sono relative alla natura sociale o meglio limited profit degli attori coinvolti (finanziatori e partner industriali) che consente all’azienda sanitaria di ridurre il canone di disponibilità, in quanto depurato di extra rendimenti.
Non essendo ancora attivi fondi di investimento e prodotti finanziari sociali di massa è necessario costruire tutta la filiera e quindi coinvolgere, per esempio, gli attori finanziari locali nel processo di raccolta delle risorse finanziarie sociali. È, inoltre, necessario strutturare la filiera del progetto di investimento in modo da incentivare innovazione, efficienza e qualità, stimolando un approccio low/limited profit.
Tutto ciò richiede nuove competenze, nel settore pubblico e in quello privato, profit e non profit. Si tratta, tuttavia, di una sfida che vale la pena accettare per rendere più sostenibili i progetti di investimento, che alle condizioni attuali rischiano di appesantire ancora di più i budget sanitari futuri solo per ripagare la componente immobiliare.
Conclusioni
Gli strumenti giuridici sono disponibili, le risorse finanziarie (sociali) anche. Le amministrazioni pubbliche hanno tutti gli spazi per ideare nuovi modelli di sviluppo degli investimenti. Ora abbiamo bisogno di “osare”, ovvero sperimentare.
Articolo tratto dal numero di febbraio della rivista "Diritto e pratica amministrativa"
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