giovedì 21 febbraio 2013

Analisi reale


IL PUNTO SULL'ECONOMIA
CINA AL BIVIO
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

Pechino, 20 feb. - La Cina è a un bivio. Può continuare a fare massicci investimenti statali per sostenere la propria crescita economica, oppure fare le riforme per limitare l'intervento dello Stato in economia. Il pericolo è quello di una crisi finanziaria e della svalutazione della propria valuta. E in tempi anche piuttosto rapidi. E' l'analisi che Andy Xie fa per Caixin in cui traccia un profilo della politica economica del governo cinese (e dei suoi limiti) e il modo per uscire dall'impasse. Il punto di partenza dell'analisi di Xie è che i fixed-asset investment (FAI) -cioè gli investimenti statali in infrastrutture, macchinari e altri asset- non possono essere conteggiati come parte della crescita economia cinese. Soprattutto, non in questo momento, in cui la Cina non ha abbondanza di manodopera o di risorse sotto-utilizzate come negli scorsi venti anni, situazione ideale per i FAI che "anche se non fruttiferi possono creare un circolo virtuoso per l'economia intera".

All'epoca, e soprattutto dopo l'entrata della Cina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) nel 2001, gli investimenti diretti esteri hanno potuto avvantaggiarsi del surplus di manodopera e hanno contribuito alla crescita dell'export cinese ai valori che conosciamo oggi (nel 2012, secondo le ultime stime, il totale delle esportazioni ha toccato quota duemila miliardi di dollari). La mole delle esportazioni ha sostenuto il settore bancario, incline a concedere prestiti, con l'aumento dei depositi e sostenendo il tasso di cambio. Ma questo, spiega Xie, è "un circolo virtuoso che si è arrestato negli scorsi anni".

Poi è arrivata la crisi finanziaria globale con il conseguente declino delle esportazioni del Dragone. E sul fronte interno, cinque anni fa, si sono avuti i primi segnali di calo della manodopera non qualificata, che aveva retto il boom economico nei decenni passati. La politica del figlio unico che ha contribuito (e contribuisce) a sbilanciare la proporzione tra la forza-lavoro attiva e chi è pensione a favore di questi ultimi, assieme al maggiore numero di iscrizioni alle università hanno progressivamente assottigliato la fascia di lavoratori senza qualifiche. Fatto, questo, che ha trovato riscontro per la prima volta quest'anno anche nei dati dell'Ufficio Nazionale di Statistica che ha ammesso che la popolazione attiva ha subito un brusco calo, e che uno dei motivi principali è che i salari dei colletti blu non crescono al ritmo della produttività. E la conseguenza è stata un aumento dell'inflazione che a dicembre ha toccato il 2,5%, poi rientrata il mese scorso al 2%, "e probabilmente continuerà così anche nel 2013". E il circolo virtuoso alimentato anche dai FAI, che ha retto fino a qualche anno fa, ora si sta trasformando nel suo opposto.

Tra gli effetti negativi del FAI c'è la bolla immobiliare, fenomeno tipico di una fase economica che attraversa un boom di investimenti e di esportazioni, ma che in Cina ha un problema in più: "la differenza -scrive Caixin- è che il governo controlla la terra e conta i profitti dalle vendite come normali entrate, e questo ha spinto il governo a protrarre la bolla immobiliare il più a lungo possibile". E il risultato è che la Cina ora si trova ora con una doppia bolla, dei prezzi e immobiliare.

Neppure i dati degli ultimi mesi e le diverse voci che ritengono stabile la ripresa del Dragone e sostenibile nel tempo servono a convincere lo scettico Xie. I dati sulla ripresa nel settore del real estate nelle città di prima fascia negli scorsi tre mesi non sarebbe un segnale di inversione di tendenza, quanto piuttosto "un rimbalzo durante una scivolata pluriennale". Il fatto che molti dei maggiori casi di corruzione degli ultimi mesi vedessero implicati funzionari locali e costruttori in cerca di concessioni edilizie spiegherebbe quanto diffusa e profonda sia la natura stessa della bolla immobiliare. E' esattamente lo schema alla base dello scandalo di corruzione legato all'ex numero due del Sichuan Li Chuncheng, indagato per tangenti assieme a un costruttore locale tra novembre e dicembre scorso, che ha fatto del dirigente locale -che era anche membro supplente del Comitato Centrale del PCC- il primo alto funzionario dell'era Xi Jinping a finire indagato per corruzione.

Ma la preoccupazione principale di Andy Xie è legata ai vincoli alla crescita delle riserve monetarie. "La bolla potrebbe assumere dimensioni così grandi -spiega Xie- per la tendenza delle riserve monetarie di diventare reddito di corruzione e quest'ultimo trasformarsi in domanda di real estate. I redditi della corruzione sono una tassa su tutta la popolazione. La sua concentrazione nel settore immobiliare la ricicla a livello governativo e continua a sostenere il boom dei FAI ben oltre quello che è successo in altre economia dell'Asia Orientale". La campagna anti-corruzione voluta da Xi Jinping potrebbe allora ripercuotersi proprio sui proprietari di molti appartamenti che potrebbero decidere di vendere, come in alcuni casi sta già succedendo. Anche qualora il settore immobiliare si raffreddasse, però, questo non significherà una diminuita pressione fiscale a livello locale. "La pressione fiscale su consumatori e imprese è già molto alta. Per questo molti preferiscono andare a fare shopping all'estero anche per beni di prima necessità. Quest'ondata è collegata alla pressione fiscale in Cina".

Messi tutti insieme, i fattori che compongono la politica economica attuale del governo cinese rendono la situazione insostenibile. E creano un circuito illusorio che confonde la soluzione con il problema, i FAI, che non possono continuare al ritmo attuale come se la Cina si trovasse nella situazione economica degli anni Novanta. "La crescita è diventato il problema piuttosto che la soluzione negli ultimi cinque anni" scrive Xie. La necessità di ripensare il modello economico è stata al centro di un discorso pronunciato da Li Keqiang, il primo ministro in pectore, nel dicembre scorso, quando avvisava gli alti funzionari seduti al suo tavolo che la Cina in futuro continuerà a crescere attorno all'8% e non più a due cifre come in passato. E che bisogna costruire un modello economico che permettesse quella "moderata prosperità" che è stata uno dei tormentoni dello scorso Congresso del partito.

Cosa fare, allora? Occorre passare da un modello di sviluppo basato sugli investimenti a uno guidato dalla produttività diversificando la produzione. Da fabbrica del mondo, la Cina deve puntare sulla produzione a valore aggiunto, approfittando del fatto che "il costo del lavoro in Cina, nonostante si sia sostanzialmente alzato, è ancora un sesto o un settimo del livello OCSE. Mentre la Cina perde industrie fondate su un basso livello di manodopera nei confronti di altre economie emergenti, allo stesso tempo può spostarsi verso una produzione a manodopera qualificata". Per farlo occorre però affrontare le riforme, che molti temono per la paura che possano provocare squilibri sociali capaci di trasformarsi in rivolte, o semplicemente perché vengono ritenute troppo difficili. Da dove cominciare allora?

La soluzione di Andy Xie per dare il via a una stagione di riforme che possa trasformare l'encomia cinese sul lungo periodo è semplice: "mettere un tetto alle spese del governo". E fa anche qualche numero per cominciare. La spesa del governo cinese è già alta rispetto agli standard internazionali: il governo centrale, scrive Xie, "dovrebbe fermare la spesa totale al livello attuale di 16200 miliardi di yuan". E i FAI, infine, dovrebbero essere portati al di sotto del 30% del Pil, a un valore in ogni caso non superiore ai 12400 miliardi di yuan. L'alternativa? Andare incontro alla crisi finanziaria e valutaria.

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