giovedì 28 febbraio 2013

Non solo Cappellacci ma pure loro sono presi da un rimpasto :)


RIMPASTO AI VERTICI PER CONTENERE USA E GIAPPONE


di Sonia Montrella
Twitter@SoniaMontrella

Roma, 28 feb.- Un rimpasto ai vertici per gestire al meglio le controversie con Stati Uniti, Nord Corea e Giappone. E’ quanto suggerisce la scelta delle nomine per le più alte cariche dello Stato, secondo un indiscrezione della Reuters che cita tre diverse fonti. E allora, con ogni probabilità, l’attuale ministro degli Esteri Yang Jiechi sarà promosso a Consigliere di Stato con incarico alle relazioni con l’estero; merito di un curriculum in cui spiccano, tra le altre cose, i suoi anni – dal 2001 al 2005 - da ambasciatore negli Stati Uniti e il suo fluente inglese.

Sulla poltrona che Yang lascerà vacante siederà invece Wang Yi, ambasciatore in Giappone dal 2004 al 2007 e uomo di punta sul Nord Corea. Entrambi verranno nominati ufficialmente nel corso dell’Assemblea Nazionale del Popolo: una sorta di Parlamento che riunisce oltre 3000 delegati da ogni angolo della Cina e che aprirà i battenti il 5 marzo.

Misure che Pechino vede più che mai necessarie, dopo le aperte dichiarazioni di Washington di voler dirottare la politica estera verso l’area Asia Pacifico, una mossa che il Dragone sostiene sia volta a contenere l’ascesa cinese nell’area.  “Yang Jiechi sarà al posto di guida poiché ha una profonda conoscenza delle relazioni sino-statunitensi” sostiene Jean-Pierre Cabestan, esperto di Cina alla Hong Kong Baptist University. In cima alla lista delle priorità anche i rapporti con Tokyo, deteriorati in seguito al riaccendersi del conflitto per il controllo delle isole dell’arcipelago conteso delle Diaoyu/Senkaku nel Mar Cinese Orientale. “Bisogna che le due potenze asiatiche facciano qualcosa – sostiene Huang Dahui, esperto di Giappone della Renmin University -. E un ex ambasciatore può aiutare a riaprire un dialogo costruttivo tra Tokyo e Pechino”. Al momento infatti, come si legge nell’ultimo rapporto dello European Council of Foreign Relationship, dal titolo Shockwaves from the China/Japan island dispute, “le due potenze non si fidano abbastanza l’una dell’altra per costruire un’alleanza”. Priorità insomma alle interdipendenze economiche, al di là del braccio di ferro che prosegue dallo scorso agosto quando Tokyo annunciò l’acquisto di due isole dell’arcipelago, a colpi di dure dichiarazioni, escalation militari, incursioni di navi cinesi nelle acque contese e iniziative razziste che partono direttamente dai due popoli.

E non solo contro i vicini nipponici: l’ultima in ordine di tempo è quella di un  ristoratore di Pechino che ha vietato l’ingresso “ai giapponesi, ai vienamiti, ai filippini – con cui i cinesi si contendono altri arcipelaghi nel Mar Cinese Meridionale - e ai loro cani”. L’iniziativa dello snack bar, a due passi dalla Città Proibita, ha sollevato l’indignazione e le proteste del popolo del web e della stampa dei Paesi in questione. “Non è patriottismo, è stupido estremismo” commenta un lettore del quotidiano vietnamita Tuoi Tre secondo cui “certe iniziative dovrebbero essere condannate”. Il cartello ricorda i divieti dell’era coloniale quando diverse aree di Shanghai erano sotto il controllo degli inglesi e i parchi erano vietati “ai cinesi e ai cani”.
A basteranno i due esperti al top del governo a gestire le crisi? Intanto Pechino cerca appoggio al di là della Muraglia e sceglie la Russia, prima tappa ufficiale da presidente delle Repubblica Popolare cinese di Xi Jinping. Questione di energia, certo, ma anche di strategie geopolitiche. E se il Dragone guarda a Mosca, il premier cinese Shinzo Abe, venerdì scorso è volato a Washington per rafforzare l’intesa. Molti i punti toccati durante il colloquio con il presidente Barack Obama, che ha però glissato sulla questione delle Diaoyu/Senkaku.

Ora le banche se veramente vogliono rimanere sul mercato ( pena il loro fallimento ) vedi MPS si devono adoperare da oggi stesso per attivare quello che serve oggi al paese : " Finanza Sociale "


PA
La finanza sociale per gli enti locali 

di Veronica Vecchi, Niccolò Cusumano e Manuela Brusoni


Il finanziamento del Partenariato pubblico privato rischia di finire in un vicolo cieco.
Le pubbliche amministrazioni da un lato dispongono di fondi sempre più scarsi, non solo per finanziare le operazioni, ma anche per coinvolgere le professionalità necessarie a strutturare gli studi di fattibilità e impostare la gara; dall’altro, in caso di aggiudicazione, le ATI o SPV riscontrano difficoltà crescenti a ottenere il finanziamento necessario, oppure spesso devono far fronte a condizioni che compromettono l’economicità dell’operazione. Per la realizzazione di opere a rilevanza sociale, dove il ritorno sull’investimento è debole, queste criticità possono rivelarsi sostanziali.

Di fronte all’impossibilità da parte del settore bancario occorre quindi riflettere sulla possibilità di rivolgersi a intermediari non tradizionali.

Le strade percorse dal mondo anglosassone
Il mondo anglosassone in questo senso sembra percorrere diverse strade:
1.      Il crowdfunding;
2.      Fondi d’investimento infrastrutturali;
3.      Impact investing sotto forma di project bond sociali.
Grazie a piattaforme internet (in Italia è attiva SmartiKa, o il caso nel Regno Unito di MarketInvoice che ha erogato prestiti per 40 milioni di sterline) l’offerta e la domanda di credito vengono messe in relazione a livello individuale, si tratta del cosiddetto crowdfundig. Questo tipo di soluzione può essere adatta per piccoli prestiti e per piccole operazioni.
La seconda soluzione è la creazione di fondi infrastrutturali in grado di attrarre i capitali degli investitori istituzionali, quali fondi pensione e assicurazioni i quali al momento, soprattutto in Europa, investono solo l’1% in questa “asset class” (classe di investimento). Correlata alla costituzione di questi fondi è l’emissione di project bond. In tal senso si è mosso il legislatore che, con il decreto legge 24 gennaio modificato l’art. 157 del Codice dei contratti relativo all’emissione di obbligazioni da parte della società di progetto.
Tuttavia dati recenti mostrano come fondi pensione e assicurativi, per il loro profilo di rischio, siano orientati a investire in infrastrutture già esistenti, con profili di redditività elevata e con rischio ridotto. Condizioni queste che potrebbero richiedere l’intervento del Pubblico, attraverso forme di garanzia che rischiano di entrare in contrasto con i principi Eurostat, soprattutto con riferimento al bacino Europeo. Inoltre, i costi di emissione rendono eventualmente percorribile questa ipotesi solo per operazioni di taglia elevata e ad alta redditività come autostrade e aeroporti.
Spostando l’attenzione sugli investimenti di taglio medio piccolo, quelli che rischiano di sfuggire agli occhi del policy maker nazionale o internazionale, ma che rappresentano il canale attraverso cui gli enti locali possono erogare servizi di qualità ai cittadini, possono essere interessanti forme impact investing.
Si tratta di una particolare strategia di investimento che mira alla creazione di risultati non solo di carattere economico-finanziario, ma anche sociale ed ambientale. Questo connubio è noto come blended value e sta attraendo un numero sempre maggiore di investitori alla ricerca di investimenti sostenibili. Si tratta di investitori responsabili, che non accettano l’idea che sia necessario scegliere tra investire per massimizzare i rendimenti o effettuare erogazioni liberali per scopi puramente filantropici.
La finanza sociale potrebbe quindi apparire un’interessante soluzione per gli investimenti sanitari (sociali per definizione) considerando che il rendimento finanziario è stemperato (e quindi ridotto) dai benefici sociali per le comunità di riferimento (per questo si parla di blended value finance); oppure anche per il social housing o l’educazione.
Le forme tecniche che possono essere utilizzate variano in funzione delle caratteristiche dei target e dei settori di riferimento. Tuttavia l’obiettivo rimane comunque il medesimo: supportare l’attività di enti che realizzano un’attività di interesse collettivo, consentendo all’investitore di ottenere un ritorno, calmierato, sull’investimento. L’utilizzo di strumenti mutuati dal mondo finanziario rappresenta sicuramente un’idea interessante, ma è comunque necessario superare le criticità che spesso si presentano al filtro dell’applicazione pratica.

I Social impact bond
Nel Regno Unito, e ora anche negli Stati Uniti, una modalità di investimento “sociale” è rappresentata dai “Social impact bond” (SIB), nota anche come “pay for success”, in cui un soggetto pubblico o sociale raccoglie fondi per finanziare a un tasso agevolato un progetto a rilevanza sociale, collocando sul mercato un titolo che offre all’investitore una remunerazione variabile legata al raggiungimento di determinati obiettivi valutati in termini di risparmio conseguito. La logica di un social impact bond è raffigurata in figura: rispetto ai costi sostenuti per l’erogazione del servizio nello stato attuale (status quo) l’intervento è in grado di liberare delle risorse che andranno a finanziare l’investimento, remunerare gli investitori che sostengono i costi dell’intervento e possibilmente a generare un risparmio netto.
Il SIB può qualificarsi come una modalità di Ppp in quanto l’amministrazione esternalizza in parte il rischio finanziario (l’investitore è remunerato solo in caso di raggiungimento dei target di performance) e di gestione che viene affidata a un soggetto terzo responsabile del risultato.
Questo genere di strumento è attuabile a condizione che i risultati siano misurabili, producano un risparmio di spesa per , e sia possibile identificare una popolazione target, la presenza di soggetti specializzati – imprese sociali – dalla comprovata esperienza.
Ad oggi nel Regno Unito sono stati collocati 14 SIB. Lo scarso novembre è avvenuta la prima emissione da parte di un ente locale, il Council of Essex il quale ha collocato un Social Impact Bond per raccogliere fondi per finanziare un progetto nell’ambito dell’esclusione sociale. La popolazione target è costituita dai giovani a rischio, che dovrebbero essere presi in carico dai servizi sociali dell’ente locale. Attraverso il progetto, l’obiettivo è quindi di attivare una serie di azioni (cosiddetta “multi-systemic therapy”, MST) che consentano ai giovani di rimanere nelle famiglie e di essere reintegrati nella società. Si stima che ogni sterlina investita in questo programma possa portare a 4 sterline di risparmio rispetto alla gestione del disagio in modo tradizionale attraverso i servizi sociali. L’esecuzione del progetto è stata affidata a una charity, Action for Children, che ha sviluppato la terapia e che gestisce 600 centri per l’adolescenza in tutto il Regno Unito.
Il bond ha raccolto 3,1 milioni di sterline da parte di investitori specializzati che saranno remunerati sulla base dell’effettiva riduzione del numero di affidi ai servizi sociali.
Questo sistema di raccolta di fondi per progetti a impatto sociale potrebbe tradursi nel nostro sistema in project bond sociali, in cui l’investitore, anche retail (il piccolo risparmiatore), qualora si riuscisse a strutturare un’operazione con un adeguato profilo di rischio, presterebbe delle risorse a una società di progetto (per esempio una impresa sociale), a un tasso agevolato rispetto a quello di mercato, in cambio della consapevolezza di aver contribuito alla creazione di valore per il territorio di riferimento.
La buona riuscita di queste operazioni, così come quelle più tradizionali di Ppp (o in generale degli appalti) dipende infine dall’identificazione del fornitore/partner adatto e dalla definizione di un sistema adeguato di incentivi per guidarne la performance. È quindi necessario che sul “mercato” siano presenti dei soggetti di comprovata esperienza, la possibilità di implementare un sistema di monitoraggio dei risultati finanziari e di impatto sociale, la previsione di clausole di flessibilità che permettano di intervenire tempestivamente nel caso emergano problemi.
La garanzia di risultato è, infatti, una condizione per la raccolta di capitali e la diffusione dello strumento. In presenza di rischi troppo elevati e di incertezza la platea di soggetti disposti a prestare a condizioni vantaggiose è ristretta.

Il contesto italiano
Limitando il ragionamento al contesto italiano, è evidente come occorra avviare una riflessione riguardo alla possibilità di ideare modalità che permettano a investitori responsabili di investire nel capitale di veicoli sociali, deputati allo sviluppo di investimenti, quali quelli sanitari, in una logica di partnership pubblico – privato.
In Italia, tra l’altro, esistono già degli esempi: si pensi per esempio al fondo di venture philantropy Oltre Venture, che investe equity in start up sociali innovative. Oppure la fondazione Housing Sociale di Cariplo, per la realizzazione di interventi di housing sociale secondo logiche di limited profit che, oltre ad appoggiarsi a un veicolo finanziario per la raccolta di risorse, Polaris Investment SGR, gestisce la filiera realizzativa in modo efficiente, generando risparmi a parità di qualità.
Tra i veicoli societari presenti nel nostro panorama normativo funzionali allo sviluppo di iniziative e investimenti sociali (si pensi per esempio alla società veicolo di una operazione di Ppp) è possibile citare la società in accomandita per azioni. Si tratta di un veicolo che, grazie alle sue caratteristiche intrinseche, permette di separare l’attività di “gestione” da quella di “investimento”, assicurando in questo modo una governance stabile.
Spostando l’attenzione dal singolo progetto al finanziamento di una pipeline di operazioni di Ppp, si può ipotizzare la costituzione di una società di gestione del risparmio (SGR), ossia di una società che ha quale scopo esclusivo di costituire e gestire i fondi comuni di investimento.

Il Ppp “limited profit”
Tuttavia, oltre ai modelli societari “classici”, anche in Italia si assiste alla diffusione di modelli low profit, che traendo ispirazione da esperienze realizzate in altri paesi - si vedano ad esempio le Community Interest Company nel Regno Unito o le Low Profit Limited Liability Company in USA - prevedono un limite alla distribuzione dei dividendi e l’obbligo di reinvestire parte dei proventi della società per lo sviluppo di nuove iniziative.
Chiaramente, si tratta di modelli che dovrebbero essere legittimati principalmente da un punto di vista normativo, ma che ora stanno creando una “terza via” tra una visione tradizionale – che mira a estrarre valore dagli investimenti - e le iniziative di carattere benefico e caritatevole, caratterizzate da una finalità puramente filantropica.
Tra l’altro il sistema bancario mostra sempre maggiore attenzione nei confronti di questo settore. Negli ultimi tempi sono stati lanciati, infatti, alcuni prodotti finanziari (emissioni obbligazionarie, ad esempio), volti a raccogliere “sul territorio” risorse da destinare al finanziamento di progetti di interesse collettivo di tipo locale, avvicinando quindi la raccolta all’impiego. E’ il caso ad esempio dei bond sociali emessi da Banca UBI o da alcune Banche di Credito Cooperativo (BCC) Piemontesi, proprio per sostenere progetti di investimento di tipo sociale, anche in campo sanitario. Si tratta di prime sperimentazioni, ancora molto vicine alla logica della donazione: parte dello spread è devoluto in favore di un progetto o di più iniziative sociali.
Si tratta comunque di un segnale molto positivo che dimostra anche l’interesse suscitato da questi prodotti tra gli investitori e i cittadini.
In figura 2 si mostra una possibile struttura di Ppp “limited profit”. Essa presenta le caratteristiche di una tradizionale operazione di PPP: al centro la società di progetto rappresenta lo snodo dei contratti di concessione, subappalto, fornitura e finanziamento; e dei flussi di cassa. Le principali differenze sono relative alla natura sociale o meglio limited profit degli attori coinvolti (finanziatori e partner industriali) che consente all’azienda sanitaria di ridurre il canone di disponibilità, in quanto depurato di extra rendimenti.
Non essendo ancora attivi fondi di investimento e prodotti finanziari sociali di massa è necessario costruire tutta la filiera e quindi coinvolgere, per esempio, gli attori finanziari locali nel processo di raccolta delle risorse finanziarie sociali. È, inoltre, necessario strutturare la filiera del progetto di investimento in modo da incentivare innovazione, efficienza e qualità, stimolando un approccio low/limited profit.
Tutto ciò richiede nuove competenze, nel settore pubblico e in quello privato, profit e non profit. Si tratta, tuttavia, di una sfida che vale la pena accettare per rendere più sostenibili i progetti di investimento, che alle condizioni attuali rischiano di appesantire ancora di più i budget sanitari futuri solo per ripagare la componente immobiliare.

Conclusioni
Gli strumenti giuridici sono disponibili, le risorse finanziarie (sociali) anche. Le amministrazioni pubbliche hanno tutti gli spazi per ideare nuovi modelli di sviluppo degli investimenti. Ora abbiamo bisogno di “osare”, ovvero sperimentare.



Articolo tratto dal numero di febbraio della rivista "Diritto e pratica amministrativa"


mercoledì 27 febbraio 2013

Anche se di un anno fa leggetelo pure perchè l'argomento interessa anche la nostra democrazia offuscataci dalla Real politique del ventennio passato


A Wenzhou le "banche
ombra" diventano legali


di Antonio Talia
twitter@AntonioTalia

Pechino, 29 mar.- Wenzhou, la metropoli industriale della provincia dello Zhejiang famosa per le piccole e medie imprese, sarà al centro di una riforma finanziaria pilota che potrebbe essere estesa al resto della Cina. Il governo di Pechino ha dato il semaforo verde all’esperimento che consentirà ai cittadini di Wenzhou di investire privatamente all’estero e, soprattutto, di creare società per l’erogazione di prestiti. Si tratta, di fatto, di una legalizzazione del cosiddetto “sistema bancario ombra” che ha da sempre animato lo spirito imprenditoriale della città.

Come funzionano le “banche sotterranee”? Si tratta di un circuito creditizio parallelo affidato a società simili alle trust companies –sia registrate che clandestine-, che offrono prestiti istantanei con tassi d’interesse che possono anche superare il 100%annuo, più di quindici volte rispetto ai tassi applicati normalmente. Le trust companies ottengono il liquido tanto da individui che da aziende: per capire la diffusione del fenomeno basti pensare che una stima della sede locale della Banca centrale mostra che nel sistema- tanto come debitori che come creditori- è coinvolto il 90% delle famiglie e il 65% delle imprese di Wenzhou, una città che con l’hinterland raggiunge i 10 milioni di abitanti.

Questi prestiti servivano a coprire buchi di liquidità temporanei, ad esempio pagare fornitori, e venivano ripagati nell’arco di qualche settimana o di qualche mese a tassi ovviamente inferiori rispetto a quelli applicati annualmente.

Ma nell’autunno scorso Wenzhou aveva affrontato una crisi di liquidità culminata in una catena di suicidi e fughe di imprenditori. Tra i primi ad analizzare la vicenda c’è stata May Yan, a capo della struttura di analisi di Barclays Capital per la Cina. In un dossier pubblicato in autunno, May Yan e i suoi analisti sottolineavano l’enorme numero di piccole e medie imprese che si rivolgono al “credito informale” che non passa attraverso i canali bancari tradizionali“. “In pochi mesi  sono state 19 le aziende di medio livello che hanno dichiarato bancarotta- si legge nel dossier Barclays- , una cifra che rappresenta solo una minuscola porzione delle 3993 società attive a Wenzhou”. Ma i mercati avevano iniziato a temere che tali fallimenti potessero  segnare l’inizio di una crisi del credito tra le piccole e medie imprese, timori talmente diffusi da spingere il premier Wen Jiabao a visitare la città dello Zhejiang.  Il dossier Barclays era molto chiaro su un punto: “I fallimenti a Wenzhou sono inevitabilmente contagiosi, e si possono diffondere nel resto del Paese”.

Con l’avvio della riforma, il governo non ha tuttavia specificato le quote che gli investitori potranno impiegare all’estero. “Ci sono moltissime opportunità d’investimento –ha dichiarato alla BBC Zhu Jianfeng, general manager di Gold Emperor Group, un grande calzaturificio della zona- aspettiamo di vedere i dettagli della riforma e decidere le prossime mosse”.

Fantastico questo nuovo governo finalmente qualcuno che capisce la finanza parallela dove può portare un intero paese...vedi America ed ora Europa Italia compresa ovviamente.


GOVERNO VUOLE IMBRIGLIARE SISTEMA BANCARIO OMBRA


di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

Pechino, 27 feb. - Il governo cinese intende rendere più trasparente il settore bancario ombra. L'obiettivo è quello di limitare le attività fuori bilancio degli istituti bancari, secondo quanto affermano al Financial Times alcuni dei funzionari che stanno lavorando alle nuove normative. Il pericolo che il settore possa finire fuori controllo è reale: dal 2008, il giro di affari degli intermediari finanziari non bancari è quadruplicato in Cina toccando quota ventimila miliardi di yuan, una cifra pari al 40% della produzione economica. Il sistema bancario ombra, che opera su circuiti paralleli a quelli tradizionali e che influenza il mondo della finanza tout-court, gode di una scarsa viglianza ed è soggetto a minori controlli.

Alcune settimane fa un'inchiesta condotta da Caixin, una delle maggiori autorità nel settore della stampa finanziaria del Dragone, aveva rivelato come le società di intermediazione finanziaria cinesi lo scorso anno avessero visto schizzare il valore degli asset che gestiscono. A fine dicembre 2012 il loro valore era pari a 1200 miliardi di yuan: a gennaio ammontava, invece, solo a 280 miliardi. Uno spostamento di capitali velocissimo e ingente, reso possibile dai minori vincoli a cui sono soggetti i broker rispetto alle fiduciarie a cui tradizionalmente le banche cinesi si rivolgono per dare in gestione i loro fondi fuori bilancio, tra cui i wealth management products, cioè i servizi integrati di pianificazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, sotto osservazione proprio in queste ore da parte delle autorità regolatrici del Paese.

Sempre più analisti finanziari ritengono il sistema bancario ombra un rischio a livello mondiale, capace addirittura di provocare un crack finanziario di impatto superiore a quello della Lehman Brothers che ha dato il via alla crisi del 2008, ma l'obiettivo di Pechino è un altro: controllare il sistema bancario ombra per evitare che esploda come una bomba a orologeria, non certo eliminarlo. Più facile a dirsi che a farsi. Secondo quanto riportato dal Financial Times, le discussioni in atto per imbrigliare il settore non hanno ancora partorito regole precise né, soprattutto, tetti da non superare per i prodotti finanziari che le banche possono emettere creati dagli investimenti fuori bilancio. Quello su cui tutti sembrano d'accordo, al momento, è l'importanza di monitorare questi movimenti extra-bancari.

In fase di discussione c'è la possibilità che le banche siano tenute a registrare i wealth managements products, che offrono ritorni molti alti e vengono spesso gestiti fuori bilancio, presso le autorità regolatrici a livello locale. "La cosa più importante è regolare il rischio - afferma una fonte al corrente dei fatti - L'obbligo di dichiarazione dovrà coprire le dimensioni, la composizione, la scadenza e gli interessi di ogni prodotto". Un primo esperimento in tal senso potrebbe prendere piede già a marzo o ad aprile a Shanghai, il maggiore hub finanziario del Dragone. Il vero dibattito si concentra, però, sui limiti a cui sottoporre gli investimenti fuori bilancio. L'idea è quella di legare questi fondi a una percentuale degli asset bancari. Due banchieri che stanno prendendo parte ai lavori stimano questa percentuale nel 20% dei depositi che le banche usano per gli investimenti. L'ammontare dei Wealth Managements Products ammonta attualmente a circa il 10% del totale dei depositi bancari, ma la soglia già adesso è aumentata fino ad avvicinarsi al 20% per le banche minori, particolarmente aggressive. Ancora non è chiaro se questo tetto diventerà legge o si limiterà a rimanere a livello di linee-guida per gli istituti di credito del Dragone.

Il problema del sistema finanziario ombra è però più complesso. Nonostante il governatore della Banca Centrale cinese Zhou Xiaochuan abbia dichiarato che questo settore è tenuto maggiormente sotto controllo in Cina rispetto ai Paesi ad economia sviluppata, la China Banking Regulatory Commission, authority del settore bancario cinese, è preoccupata dal fatto che alcuni istituti abbiano creato delle "asset pool" al di fuori dei circuiti finanziari tradizionali per i loro wealth managements products. Le "asset pool" sono un sistema che permette di ripagare gli interessi dei vecchi investitori con il denaro proveniente dai nuovi e coprire le falle dovute agli investimenti sbagliati. Lo scopo delle regole attualmente in discussione sarà quello di limitare gli incroci tra le banche e le società finanziarie che operano investimenti ad alto rischio, ma non certo fermare il sistema bancario ombra, che ha contribuito in misura importante alla ripresa economica del Dragone a fine 2012.

Purtroppo è un problema culturale anche per noi sardi


Insieme si vince! Da soli si patisce
di Erika Leonardi
Vale anche nel lavoro, non solo nello sport. Quando manca lo spirito di squadra, le competenze di ogni persona sono penalizzate e ne risente il morale. Il passo alla demotivazione è breve.

PROGETTO O PROCESSO...UGUALI SONO!
Gli ingredienti comuni sono: la condivisione dell'obiettivo, l’attribuzione dei ruoli e delle responsabilità, la definizione delle attività. Cambia la durata: nel progetto si lavora insieme fino al raggiungimento dell'obiettivo e poi ci si lascia. Le persone coinvolte in un processo, sono invece costrette a collaborare; potremmo parafrasare: "azienda natural durante”.

ETEROGENEITA’ DI COMPETENZE = RICCHEZZA DEL GRUPPO
Pensiamo ad un'offerta. È bene che esprima il pensiero non solo del commerciale, che deve portare a casa l'ordine, ma anche di chi dovrà poi produrre o erogare o approvvigionare o fatturare.
Nasce così un gruppo di processo in cui persone che, pur parlando lingue diverse, devono riuscire a comunicare in quanto hanno un obiettivo comune.

CAPACITA’ DI DIALOGO = OBIETTIVO OBBLIGATO
Il dialogo nasce a condizione che ogni persona esca dalla sua individualità. Riesce a comprendere che il gruppo è la sua forza: ognuno può a dare il massimo delle sue capacità e competenze, grazie alle relazioni interne nel gruppo.
Nella giornata lavorativa una persona riceve qualcosa (dati, indicazioni, documenti, etc.): è un cliente interno. Svolge il suo compito e passa il suo lavoro ad altri: diventa un fornitore interno.
Dalla consapevolezza di questa dualità di ruolo, nasce lo spirito di squadra. Il pensiero guida è: “Posso fare al meglio a condizione che il collega prima di me abbia lavorato bene e che quello che viene dopo porti avanti il mio lavoro.” È come dire: io dipendo dagli altri, gli altri dipendono da me.


RICETTA: IL PIACERE DI DARE E RICEVERE
Un’ immagine rende bene la forza del gruppo. Le persone sono sedute intorno ad un cesto: serenamente e con entusiasmo, ogni persona depone qualcosa di suo e prende quanto messo lì da altri.
Lavorare in gruppo diventa uno scambio, un donare e prendere, che arricchisce tutti.

martedì 26 febbraio 2013

Fenomeno Grillo visto da Pechino sembra preoccupare meno il Dragone


ELEZIONI, PECHINO SCETTICA: "ITALIA CHIUSA IN SE STESSA"
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

hanno collaborato Alessandra Spalletta e Wang Jing

Pechino, 25 feb. - Il sole di questa mattina a Pechino invogliava a uscire, fare quattro passi e approfittare dell'aria non più intasata dall'inquinamento delle scorse settimane. La primavera sembra farsi timidamente strada anche nella capitale cinese, ma se il tema sono le elezioni italiane, il gelo scende di nuovo. Almeno nelle prime reazioni dei media cinesi, che, cauti, danno una vittoria del PD alla Camera e una situazione più incerta al Senato. E' ancora presto per parlare di stallo, manca ancora qualche seggio da scrutinare, ma dietro le crude percentuali che danno un distacco minimo tra PD e PDL, il significato è quello. L'ingresso del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, invece, sembra preoccupare meno il Dragone focalizzato sul futuro dell'economia del nostro Paese e sulle ripercussioni del voto sui mercati.

Seppure lontana, la situazione italiana è chiara ai media cinesi, soprattutto sotto il profilo economico. Settimana scorsa a pochi giorni dalle elezioni, il China Securities Journal, una pubblicazione della Xinhua, riportava gli ultimi dati Istat sulla recessione. L'emittente di Stato CCTV nel suo canale in lingua inglese ha dedicato diversi servizi ai giovani italiani che decidono di andare all'estero per sfuggire alla disoccupazione, raccontando le storie di studenti in cerca di master, stage, opportunità di lavoro o scuole di specializzazione al di fuori dei confini nazionali. La reazione delle Borse asiatiche, questa mattina, in calo proprio per l'incertezza politica delle elezioni italiane, manifesta più di mille dichiarazioni le paure di dei giganti economici asiatici rispetto allo stallo politico italiano. E' il Renmin Ribao a concentrarsi sugli aspetti più immediati dell'incertezza politica uscita dalle urne del nostro Paese. Il risultato sopra le attese del PDL di Silvio Berlusconi "una potenziale minaccia all'agenda di austerità del Paese" ha fatto calare il prezzo del greggio e ha visto il dollaro guadagnare sull'euro, mentre a Roma si profilava l'incertezza. Una crisi del sistema politico italiano viene visto come una minaccia per l'intera eurozona, perché l'Italia è "la terza economia dell'Unione Europea" e i risultati del voto potrebbero avere ripercussioni sul futuro dell'Ue.

Più netti, invece, i toni dei media non statali. La versione cinese di Forbes parla apertamente di "fase di stallo" della politica italiana. Secondo Sohu, invece, "l'Italia necessita urgentemente di un governo stabile e per potere affrontare la recessione economica e i problemi legati al crescente tasso di disoccupazione e al debito pubblico". Dietro i toni sobri delle cronache degli ultimi giorni, in fondo, la stampa cinese, tifava per una coalizione Monti-Bersani, capace di guidare il Paese fuori dalla deriva economica. Era questo il risultato che contava. Lo dice apertamente il Wenhui Po di Hong Kong, secondo cui il successo di Berlusconi e la promessa di restituzione dell'IMU "ha gettato fumo negli occhi" degli italiani. E il successo di Grillo, invece, "ha rubato una gran fetta di voti al PD". Anche dai pochi post dei microblogger dedicati alla sfida elettorale, gli utenti di Weibo, il Twitter cinese, sembrano confermare questa linea di tendenza. "A casa il vecchio Berlusca… Basta rovinare l'Italia" tuona il primo. "Ma quando mai si è potuto parlare di stabilità nella politica italiana?" Si interroga George Wang. Un terzo, forse non al corrente dei risultati definitivi, conclude: "Spero molto in una coalizione Monti-Bersani". La mancanza di stabilità nella politica italiana si riflette anche nel giudizio dei cinesi che lavorano a contatto con gli italiani, che hanno più familiarità con singoli episodi, come gli scandali sessuali che hanno visto protagonista Silvio Berlusconi nel 2011, piuttosto che con le mutabili alchimie dei palazzi del potere. "In molti prendevano come uno scherzo la possibilità che Berlusconi potesse vincere di nuovo" afferma una di loro, che preferisce rimanere anonima. Ma c'è anche chi crede che a incidere sul voto siano stati altri fattori. "Sulle imprese italiane -afferma un'interprete- gravano tasse sempre più grandi, e l'instabilità politica non può che peggiorare la situazione".

Cosa succederà adesso? Gli osservatori della scena politica italiana mirano al sodo. "I partiti italiani dovranno comunque trovare una coalizione per governare -osserva Dong Jinyi, vice presidente dell'Associazione degli ex diplomatici cinesi e ambasciatore in Italia fino al 2010- Si presenta una situazione non dissimile da quella del 2006, perchè il Partito Democratico non è abbastanza forte per governare da solo. C'è bisogno di un leader forte e di un nuovo governo di coalizione". Lo stallo di queste ore genera paragoni. "L'Italia è come una famiglia che litiga tra sé, ma non guarda a quello che succede fuori -afferma Luo Hongbo, direttrice del Centro per gli Studi italiani dell'Accademia Cinese di Scienze Sociali, intervistata da Agi China 24- La prima impressione di queste elezioni è quella di un Paese chiuso in se stesso che non riesce a entrare in contatto con il mondo esterno". Anche nel caso di Luo, la soluzione migliore sarebbe stata una coalizione Monti-Bersani, che "piaceva di più altre possibilità, ma da soli non fanno la maggioranza". Si fa strada l'idea di un governo instabile, che difficilmente potrà durare cinque anni. Ma non c'è tempo. "Il nuovo governo -riflette Dong Jinyi- dovrà trovare una soluzione al problema economico. E' la più grande sfida in questo momento". Cosa succederà ora? Come cambierà il modo in cui la Cina guarda all'Italia dopo il voto del 24 e 25 febbraio? Agi China 24 lo ha chiesto a Luo Hongbo.

La situazione italiana sembra ingovernabile dopo le elezioni con nessun partito in grado di formare una maggioranza. Che conseguenze avrà secondo lei il risultato delle urne?

Sono un po' disperata, ma è andata come si prevedeva che andasse. C'è la possibilità di un governo di coalizione, ma la base su cui poggia è molto debole. Bersani e Monti insieme non hanno la maggioranza.  Bisogna cercare altri alleati, ma la situazione è instabile. Mi sembra più difficile, invece, un governo di coalizione tra Bersani e Berlusconi. Adesso, per i partiti, è il momento di pensare di più agli interessi del Paese e meno ai propri. Il governo cinese continuerà la politica estera che ha sempre tenuto con l'Italia, ma sono gli imprenditori cinesi hanno più paura, perché l'instabilità politica non invoglia gli investimenti.


Il Movimento Cinque Stelle di Grillo sembra essere l'unico vincitore uscito dalle urne. Teme che il voto di protesta possa provocare squilibri alla situazione economica italiana?

Grillo ha il 25% dei voti, ma non ha raggiunto la maggioranza, quindi rappresenta una parte degli italiani, ma non tutti. Il Movimento Cinque Stelle non è ancora un partito così importante. E' nato come movimento di critica all'establishment ma guidare un Paese è più difficile che criticarlo. E non ho ancora letto un suo programma preciso. Chi lo ha votato è molto insoddisfatto della situazione attuale, ma ci vuole una soluzione per salvare il Paese. Al momento, i risultati delle urne non danno questa impressione. Ci sono due, tre, quattro partiti, ma nessun progetto di governo sembra condiviso da più di una forza politica.

Secondo un recente editoriale della Xinhua, la preoccupazione principale della Cina è chi salverà l'economia italiana. Chi avrebbe preferito: Monti, Bersani, o Berlusconi? Chi è il leader più idoneo per l'Italia, in un'ottica cinese?

Difficile dire chi possa essere il migliore dei tre. Forse la cosa migliore sarebbe stata un governo di coalizione Monti-Bersani. Bersani forse è più politico che economico. Monti, invece è più esperto in economia e quindi vedo meglio una collaborazione tra i due. Per salvare l'economia italiana è importante che il leader sia affidabile, ma anche il ruolo delle parti sociali è fondamentale. Dal momento che l'economia italiana non si sviluppa velocemente, occorre una migliore collaborazione tra governo, confindustria e sindacati. Non va dimenticato che questo è un momento chiave per l'Italia per dare di sé una buona immagine al mondo. Quello che servirebbe adesso è un governo di coalizione nazionale. Da studiosa, credo che Berlusconi non sia il leader più idoneo. La sua immagine a livello mondiale è cambiata molto negli ultimi anni.

Come viene valutato da Pechino l'outsider Grillo, che si è anche reso protagonista di alcune uscite che non sono piaciute molto alla comunità cinese in Italia e sembra chiamare a raccolta gli attivisti italiani contro la politica tradizionale?

Grillo e il suo Movimento Cinque Stelle non hanno ancora presentato un progetto per salvare l'economia italiana. E' una mia opinione, anche se ha il 15% dei voti secondo gli ultimi sondaggi, ma questo è un riflesso del fatto che una parte degli italiani in questo momento non sa come fare. Non ha ancora preparato un progetto adatto per il futuro italiano. Non è un politico, o un esperto di economia. Non ha l'esperienza per gestire bene l'economia italiana. Il voto per lui è un voto contro la politica tradizionale. E' un voto che esprime insoddisfazione per la situazione attuale.

Anche la Lega Nord, in passato, era vista come un partito che si rivolgeva agli elettori scontenti della politica tradizionale.
La Lega Nord riflette il pensiero di una parte del nord e degli imprenditori di quell'area geografica. Negli ultimi venti anni, questo si è manifestato come un fenomeno di rivolta rispetto alle politiche fiscali. Il nord produce tradizionalmente di più e una parte delle forze produttive si oppone alla pressione fiscale di Roma. Per il futuro, la lezione imparata dalla Lega Nord potrebbe essere quella di premiare le regioni dove si produce di più. Al sud occorre, invece, attirare investimenti dall'estero, e non tanto dallo Stato. Il meridione deve aprirsi di più alle regole del mercato. Se si vuole dividere l'Italia, allora non sono d'accordo, ma la linea politica non è del tutto sbagliata.


L'Unione Europea ha di recente trovato l'accordo sul bilancio per il periodo 2014-2020. Per la prima volta il budget (di 960 miliardi di euro, equivalente all'1% del Pil dell'Ue) è inferiore a quello del settennato precedente (15,5 miliardi in meno) e i tagli più consistenti colpiscono gli investimenti per la crescita. Cosa può fare Roma per una ripresa della propria economia, con i vincoli dell'Unione Europea?


L'Italia è stato uno dei primi Paesi ad entrare nell'Unione Europea. Roma ha sempre rispettato i principi dell'Unione Europea, ma in questo momento l'Unione Europea taglia il budget, e anche l'Italia è chiamata a fare sacrifici. Il nuovo governo italiano dovrà manovrare una situazione molto delicata. Con un deficit troppo alto diventa difficile fare il risanamento. L'Italia deve ottenere la fiducia dagli investitori stranieri. Direi che occorre rafforzare la collaborazione con i paesi anche extra-europei. L'Italia deve fare le riforme sia per l'economia, sia per il mercato del lavoro. Adesso la fiducia nell'Italia in Cina è appannata, anche se prima del governo Monti era a un punto ancora più basso. Il nuovo governo dovrà rafforzare la propria affidabilità verso la comunità internazionale. Governo, Confindustria e sindacati devono trovare un progetto per il Paese. Per questo credo che Bersani e Monti in un governo di coalizione siano meglio. Oltre a seguire le regole del mercato, l'Ue deve dare la possibilità di sviluppo soprattutto ai Paesi che soffrono per la crisi del debito sovrano. L'Italia è fatta di numerose piccole e medie imprese, che possono soffrire la concorrenza sui mercati e il governo le deve aiutare. Dobbiamo poi spingere sulla cooperazione tra imprese italiane e cinesi. Il fondo Mandarin è una buona iniziativa per aiutare gli imprenditori cinesi e le imprese italiane. Ma da solo non basta. Occorrono anche nuove iniziative.

Secondo lei queste elezioni hanno avuto un'importanza cruciale rispetto a quelle che si sono tenute negli ultimi venti anni?

Negli ultimi venti anni anche le altre elezioni sono state importanti. Dal punto di vista istituzionale sono elezioni come tutte le altre. Quello che rende queste elezioni importanti è la crisi del debito sovrano. E' un momento chiave: negli ultimi anni i giornali hanno parlato molto del debito sovrano e nella mente dei cittadini si è formata l'idea che la crisi del debito è molto grave. Forse i media ingigantiscono la situazione, ma questo è il momento di fare le riforme, e l'Italia deve approfittare di questa occasione. Sono sicura che alla fine gli italiani sapranno trovare la via giusta per uscire dalla crisi.

Al momento sono in tre


XI JINPING, SHINZO ABE E OBAMA
LAVORANO PER LA STORIA: 
MIGLIORE O PEGGIORE?


di Paolo Borzatta*
Twitter@BorzattaP

Milano, 25 feb.  - Questa volta partiamo dal Giappone. Il 2 dicembre dello scorso anno il soffitto in lamiera di acciaio della galleria autostradale di Sasago (Prefettura di Yamanashi – circa 70 kilometri da Tokyo) è crollato uccidendo nove persone. La galleria è stata riaperta alcuni giorni fa (9 febbraio) dopo la riparazione. L’inchiesta ha però dimostrato che erano decenni che i bulloni non venivano controllati e che 632 si erano allentati o corrosi nonostante che vi fossero periodiche ispezioni, però molto superficiali.

Una pronta analisi della situazione ha mostrato come in Giappone moltissime infrastrutture sono vecchie e mal mantenute. Questo in un Paese famoso per la qualità delle sue infrastrutture (e per l’enorme quantità di soldi che vi ha – malamente - speso nei decenni passati portando il debito pubblico giapponese a superare il 200% del PIL) e soprattutto per l’ossessiva attenzione dei giapponesi alla sicurezza.

Il Primo Ministro Abe ha colto la palla al balzo per ulteriormente giustificare la sua “forte” politica economica (oramai chiamata “Abenomics”) annunciata alla fine dell’anno scorso: nuovi grandi investimenti infrastrutturali (si parla di oltre un trilione di dollari nel prossimo decennio), aumento del tetto di inflazione (2%) e conseguente indebolimento dello yen. Conseguenze immediate: esuberanza della borsa di Tokyo sia per l’iniezione di liquidità, ma anche perché l’indebolimento dello yen sta già aumentando la competitività delle merci giapponesi. Conseguenze a lungo termine: debito pubblico che probabilmente raggiungerà il 220% del PIL e probabile riduzione (per cambio di statuto, così Abe ha annunciato) della indipendenza della Banca Centrale Giapponese per permettere al Governo di “stampare moneta”.

Perché parliamo di Giappone in un editoriale sulla Cina? Perché è un ulteriore e forte segnale dell’ “incattivimento” della situazione in Asia. Abbiamo infatti uno dei grandi attori strategici dell’area – il Giappone appunto - e del mondo che, stanco di non essere riuscito in oltre vent’anni a uscire dalla melma di una economia statica e poco competitiva, sceglie una politica economica probabilmente vantaggiosa sul breve periodo, ma potenzialmente foriera di grandi problemi economici e sociali sul medio lungo. Questo significa che avremo un attore sempre più disponibile ad azioni “esterne” forti e muscolari per distrarre il proprio popolo dai problemi interni.

Infatti proprio in questi giorni il Primo Ministro Abe, in visita ufficiale negli Stati Uniti, ha rilasciato un’intervista al Washington Post con dichiarazioni molto forti contro il Governo cinese che utilizzerebbe – a suo dire -  le tensioni territoriali con i propri vicini (Giappone incluso per le isole Senkaku/Diaoyu) e rinfocolerebbe il sentimento antinipponico per puntellare il proprio potere interno. Forse Abe non ha torto, ma queste affermazioni non sono diplomaticamente corrette e inutile dire che probabilmente Abe sta facendo la stessa cosa!

Gli altri due attori più importanti sono la Cina e gli Stati Uniti. Anch’essi saranno in una situazione delicata nei prossimi cinque anni.

La Cina dovrà affrontare in modo serio due temi gravi ed importanti. Il primo sarà la progressiva riforma politica per rispondere alle richieste di riduzione dei privilegi e della corruzione e poi (forse) di libertà politica da parte dell’emergente classe media del Paese. Il secondo sarà la progressiva riduzione dei vantaggi di fatto oggi assegnati alle aziende statali che stanno mantenendo ingessato il sistema economico e allo stesso tempo mantenere alto il tasso di crescita del Paese per riuscire a “tranquillizzare” i fermenti di ribellione con un continuo aumento della ricchezza individuale. I due fronti potrebbero richiedere azioni in conflitto tra loro e quindi rendere difficile vittorie contemporanee. Inoltre la lotta alla corruzione, se portata fino in fondo, potrebbe creare forti problemi interni all’attuale leadership con esiti non prevedibili, ma anche molto molto traumatici.

Xi Jinping, nei suoi primi cento giorni di governo, ha sicuramente dato segnali che intende muoversi in questa direzione. Ha fatto di più, in un discorso ai dirigenti del partito del Guangdong ha chiaramente detto che se il Partito non ritrova una forte spinta “ideale” (servire il popolo, sogno di rinascita nazionale, modestia e moderazione) rischia di fare la fine dell’URSS.

In questi discorsi ha mostrato un forte e inusuale (per la leadership comunista “ingessata” dalle dinamiche interne del partito) carisma che anche i cittadini cinesi hanno percepito e apprezzato. Appare come un leader diverso che potrebbe “fare la Storia” per la nazione cinese.

Va anche detto che oltre ai segnali positivi anche sul fronte della riduzione della censura, sono emersi – sembra – anche segnali contrari di aumento della pressione sui “dissidenti” sia quelli che vivono nella madrepatria, sia quelli che vivono all’estero.

Infine va osservato che il suo primo viaggio di stato è in Russia, dando così un forte segnale di indipendenza e assertività geopolitica

L’ultimo grande attore, gli Stati Uniti, vedrà al lavoro un Presidente che sicuramente vorrà lavorare per la Storia, ovvero lasciare un suo segno indelebile sul miglioramento del Paese. La sua agenda sembra però molto orientata ad epocali cambiamenti interni: il consolidamento della riforma sanitaria, la riduzione delle armi, il rilancio del sogno americano, il sistema educativo, i diritti civili soprattutto degli immigrati, l’attenzione all’ambiente e la conversione, il rilancio e la competitività dell’economia (con forte miglioramento delle infrastrutture). I temi di politica estera e soprattutto quelli verso l’Asia non sembrano essere – al di là delle dichiarazioni di principio – particolarmente ad alta priorità, anche perché con due guerre devastanti appena terminate (e non brillantemente) non ha certo il fiato economico e psicologico per politiche particolarmente assertive.

Anche lui, in due importanti discorsi (investitura e “Stato dell’Unione”), ha mostrato grande carisma e una volontà di “fare la Storia” per gli Stati Uniti.

C’è infine un quarto attore nel cast di questo spettacolo nel teatro del mondo, ma purtroppo non vuole entrare in scena. Questo attore è l’Europa che non riesce a capire quale enorme ruolo potrebbe giocare sia per il rilancio della civiltà occidentale/europea, sia per risolvere finalmente alcuni importanti nodi geopolitici (Israele e la Palestina, l’Iran e l’Iraq, l’Africa). E’ probabile che nei prossimi cinque anni l’Europa si mantenga marginale impegnando le proprie energie in beghe da pollaio per la politica economica comune senza riuscire a concentrare le proprie energie su una visione e su una strategia unitaria, magari “dimagrendo un po’ ” (espellendo il Regno Unito lasciandolo alla sua “relazione speciale” con gli Stati Uniti) e guadagnando però tonicità in politica estera, economica e militare.

Questi attori, viste le loro situazioni, potranno dare vita – nei prossimi anni – a tanti diversi spettacoli, ma crediamo riassumibili in due grandi scenari contrapposti.

Il primo, che al momento sembra il più probabile, vede l’Europa marginale (sperando anzi che non crei troppi disastri economici) e gli Stati Uniti molto impegnati in un grande cambiamento interno, ma meno disponibili a innovazioni importanti nella loro politica estera, se non una maggiore “attenzione” all’Asia. La loro relazione con la Cina resterà problematica tra alti e bassi, ma senza un accordo strategico di lungo termine (come anche Kissinger propone) per una coesistenza fruttuosa nella gestione coordinata degli affari del mondo.

La Cina, anch’essa impegnata nel fronte interno, guarda al resto del mondo per continuare ad approvvigionarsi delle materie prime e della energia di cui ha bisogno e probabilmente continua a mostrare i muscoli sia per affermare il suo nuovo ruolo, sia per ridurre le pressioni interne.

Probabilmente i consumi interni sono in aumento con una minore ricerca di investimenti stranieri (che potrebbero essere di fatto scoraggiati per dare fiato ai produttori interni). Difficile dire a quale livello di tensione politica interna si può arrivare, anche se – in un orizzonte di cinque anni – è probabile che si riesca a non superare il punto di rottura.

Il Giappone invece alimenta la propria economia con una forte svalutazione drogata dello yen che fa imbufalire i concorrenti stranieri che si trovano un concorrente molto più competitivo in giro per il mondo e un mercato giapponese interno ancora più difficile e ostico. A fine periodo la situazione finanziaria del Paese potrebbe essere pesantissima se non riesce a aumentare di molto la produttività negli anni precedenti.

Risultati principali di questo scenario: perdita o rallentamento dei vantaggi della globalizzazione e rischi di conflitti locali in Asia, anche molto forti. Probabile ulteriore peggioramento dei problemi medio orientali.

Il secondo scenario – che al momento temo sia solo un sogno - invece vede gli Stati Uniti e la Cina impegnati in una vera partnership strategica (che non vuol dire identità di vedute) per accompagnare con mano la transizione del mondo dal XX al XXI secolo che – grazie alla tecnologia e alla affluenza di Europa, Stati Uniti, Giappone, Cina e Sud America – renderà gli abitanti del pianeta molto più sensibili a bisogni nuovi e “alti” dell’uomo (cognitivi, estetici e di auto-realizzazione) e meno ai problemi di classe del passato.

In questo scenario il Giappone sa giocare un ruolo di co-partnership e sfrutta il suo status di pioniere asiatico dello sviluppo. L’Europa può essere la fucina delle idee culturali, scientifiche e filosofiche che caratterizzeranno il XXI secolo e probabilmente oltre.

Risultati principali di questo scenario: forte ristrutturazione dei modelli economici e politici di tutti gli attori in gioco, maggiore armonia planetaria sociale ed economica, maggiore “felicità” delle popolazioni.

Le leadership di questi Paesi potrebbero veramente giocare questo gioco. E’ un’occasione unica che hanno per una rara coincidenza (“risonanza”) temporale dei cicli storici ed economici delle più importanti aree del mondo. In parte questi leader (Cina e Stati Uniti, a modo suo il Giappone; l’Europa invece tace) dicono che ne sono coscienti, ma non so se avranno la competenza e la forza per agire a favore della Storia.

Speriamo.

*The European House Ambrosetti

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E pensare che la Sardegna è quasi un continente...diceva Marcello Serra


Brics: 5 Paesi diversi con un obiettivo comune, crescere - TACCUINO DA SHANGHAI‏
Il Sole 24 ORE - Radiocor 26/02/2013 - 15:25
Breaking News 24
NOTIZIARIO ASIA

### Brics: 5 Paesi diversi con un obiettivo comune, crescere - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*

Radiocor - Shanghai, 26 feb - Raramente un acronimo come Brics e' stato cosi' fortunato. Ne esistono altri - come Civets o N.11 - ma nessuno ha conosciuto una diffusione cosi' massiccia. Merito dell'intuizione e della 'I' di India che ha reso tutto piu' pronunciabile e intellegibile. Anche la S del Sudafrica da' rotondita' all'ensemble. Una sintesi di Goldman Sachs ha catturato l'interesse degli studiosi, l'attenzione dei media, il cervello dei cinque leader. Oggi Brics e' anche un summit di capi di stato e di governo, l'ipotesi di una Banca internazionale alternativa alla World Bank, un asse ufficioso nei summit globali. Ottimi risultati per un acronimo costruito a tavolino, frutto di una geniale creativita'. In realta' i paesi Brics hanno molto poco in comune. Sono dunque scarse le possibilita' di accomunarli. La piu' importante e' questa: sono diversi da noi, dal modello di sviluppo dei paesi industrializzati. Cio' non li rende assimilabili se non in negativo: sono quello che non siamo noi, un tipico esempio di 'west and the rest'. La Cina e' la fabbrica del mondo e l'India ne e' il suo ufficio. La Russia soffre la crisi e si affida alle sue infinite materie prime, mentre solo il lavoro e le scelte politiche aiutano Brasile e Sudafrica. Alcuni paesi sono sovrappopolati, altri hanno una densita' ridotta. Soprattutto, alcuni paesi hanno abbracciato la democrazia politica, alcuni ne hanno un concetto limitato, altri infine non la conoscono e non sembra desiderino di farlo. Tuttavia sono diversi e crescono, mentre il resto del mondo ristagna. Questo e' il fatto che inquieta: che un modello nuovo - e forse alternativo - e' possibile. Non c'e' bisogno dunque di analisi piu' capillari: nell'ossessione per la crescita, ogni esperimento per conseguirla e' giustificato. Il timore piu' grande arriva dalla Cina, che non a caso rappresenta da sola il 50% del Pil dei Brics. Inoltre il gigante asiatico rappresenta per gli altri quattro paesi il maggiore partner commerciale. Molto spesso questa posizione e' stata sottratta agli Stati Uniti. Esiste il rischio di confondere la parte per il tutto, ma sarebbe un errore. Intimorite dai muscoli di Pechino, le cancellerie occidentali la accomunano ad altre capitali, rendendo i Brics piu' forti di quello che sono. Nessuna paura: Pechino ha gia' tanti problemi al suo interno che non vede il bisogno di assumerne altri. Coinvolgerla nei Brics non e' ne' saggio, ne' lungimirante.

* presidente di Osservatorio Asia

Però potremo almeno partecipare ...anche questa è promozione turistica



Olio Capitale: gli obiettivi della settima edizione
Confermare risultati di qualità e partecipazione
25 febbraio, 07:25

Confermare gli ottimi risultati conseguiti l’anno scorso in termini di qualità e partecipazione: è l'obiettivo di Olio Capitale 2013.

 Nel 2012 a Trieste la fiera ha riunito per la prima volta tutta l’Italia dell’olio con record di espositori e tutte le regioni produttrici italiane presenti. Record di visitatori, con un più 15% rispetto al 2011 e quasi 7 mila presenze, record storico di giurati popolari nel Concorso Olio Capitale, ben 124, a riprova che la partecipazione del grande pubblico è in crescita. E ancora ottimi risultati anche per l’altra anima di Olio Capitale, quella riservata agli incontri d’affari con operatori professionali giunti da tutto il mondo.

 Nella scorsa edizione si era registrato un forte incremento di presenze dall’Estremo Oriente tra il pubblico specializzato: operatori preparati ed estremamente competenti, giunti appositamente a Trieste per l’evento, divenuto a tutti gli effetti a livello internazionale l’appuntamento per chi vuole una visuale completa sugli extra vergini di qualità italiani. Corea, Taiwan, Giappone, Cina, ma anche tutta Europa e Australia, Usa, Canada, Israele: sono stati 950 gli incontri bilaterali tra espositori e buyer internazionali.

Del nostro neppure se ne parla



Olio Capitale: lo stato di salute del mercato extra vergine
Produzione e quotazioni del comparto
25 febbraio, 07:24

Produzione in calo ma quotazioni in rialzo. È questa, in sintesi, la fotografia dell'attuale situazione del settore olivicolo nazionale e internazionale, con cui si apre la settima edizione di Olio Capitale, il salone degli extra vergini tipici e di qualità, organizzato da Aries dall'1 al 4 marzo 2013 a Trieste.

 La produzione italiana di oli d'oliva, secondo le più recenti stime di Ismea, dovrebbe attestarsi sui 4,8 milioni di quintali, in calo del 12% rispetto all'anno precedente. A registrare le flessioni più sensibili sono l'Umbria (-35%) ma anche Campania, Basilicata e Molise. Anche nelle regioni olivicole più importanti si è assistito a una frenata della produzione, con la Puglia al -12% e la Calabria al -15%. A sorridere invece soprattutto le Marche, +15%, ma anche la Toscana con un +3%.

Caldo, siccità e condizioni meteo in genere avverse hanno condizionato la campagna olearia italiana ma ancor più in Spagna dove il calo produttivo dovrebbe essere superiore al 50%. In particolare nella regione olivicola dell'Andalusia, che ha una capacità produttiva almeno pari a quella italiana, il raccolto dovrebbe essere ridotto del 60%.

Le somme si potranno definitivamente tirare solo a maggio, quando si chiude ufficialmente la campagna olearia, ma le previsioni hanno fatto schizzare in alto le quotazioni fin dall'estate 2012, con prezzi che sono quasi raddoppiati in Spagna rispetto a un anno fa. Oggi in chilogrammo d'olio iberico è infatti quotato, all'ingrosso, a 3 euro/kg quando fino al marzo dello scorso anno era di 1,70. Stessa dinamica anche per l'olio italiano, con una quotazione salita, sulla piazza di Andria, a 3,30-3,40 euro/kg. Era di solo 2,20 euro/kg fino al febbraio scorso. Un incremento delle quotazioni all'ingrosso che non si è ancora completamente trasferita sugli scaffali dei supermercati ma che fa già presagire cali delle vendite.

Secondo dati Assitol, infatti, tra novembre e dicembre dello scorso anno, l’extravergine, da sempre prodotto di punta del comparto, ha registrato in Italia una riduzione delle vendite a due cifre. Sul dato, pesa soprattutto la perdita di quote da parte della Grande Distribuzione, sbocco privilegiato delle vendite. Resistono sole le eccellenze olearie, ovvero la produzione biologica e le DOP/IGP, ma su consuete quotazioni di nicchia.

 Anche sul fronte dell’export, nell’ultimo bimestre del 2012, sono giunti segnali negativi per il settore: l’extra vergine, vale a dire il “top” del comparto dell’oliva, perde circa il 21% delle esportazioni.

Qualche dato incoraggiante, però, viene dal Consiglio oleicolo internazionale che fa capire le potenzialità dei nuovi paesi consumatori d'olio extra vergine d'oliva, come il Brasile dove il consumo è cresciuto del 9% nell'ultimo anno. Ottime prospettiva anche in Cina e in generale nei paesi dell'est europeo. In Russia, per esempio, le importazioni di olio extra vergine d'oliva sono cresciute del 15% negli ultimi 12 mesi. Naturalmente sarebbe un errore trascurare mercati dinamici, come gli Usa che, sempre secondo i dati Coi, avrebbero incrementato i consumi del 24%. Si conferma anche l'interesse del Giappone per l'olio extra vergine d'oliva, dopo la temporanea flessione a causa dello tsumani, tornando ai livelli pre-crisi.

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Sinceramente pensavo fosse quello sardo ed invece...


Prima la Puglia, poi la Toscana, al terzo posto Liguria e Sicilia: la graduatoria dell'olio extravergine piu' desiderato dalle famiglie italiane e' stata tracciata da un'indagine della Swg di Trieste realizzata per Olio Capitale.

Per la prima la fiera ha analizzato con Swg le tendenze d’acquisto e le tipologie di consumo del mercato italiano dell’extra vergine d’oliva. Tutti i risultati dell’indagine condotta per il salone organizzato da Aries, che si svolgerà a Trieste dall’1 al 4 marzo 2013, saranno presentati sabato 2 marzo alle ore 15.00 nell’ambito del convegno “L’analisi di mercato Swg per Olio Capitale. Consumi e tendenze d’acquisto dell’olio extra vergine. Occhio alle contraffazioni”.

Lo studio, condotto con metodo CAWI, ovvero tramite questionario on-line, nella settimana dal 4 all’11 febbraio 2013, ha coinvolto 1.500 famiglie con l’obiettivo di comprendere le dinamiche di evoluzione del mercato, gli orientamenti dei consumatori, le strategie necessarie ad arrivare prima e meglio sulle tavole e nelle cucine degli Italiani

 Si scopre così che è la regionalità la caratteristica maggiormente ricercata dagli italiani in un olio, seguita dalle certificazioni di qualità e dalla garanzia di produzione biologica. Nel 50% dei casi gli intervistati hanno infatti indicato di cercare un olio prodotto in una particolare regione italiana, nel 40% un olio certificato dop-igp e  nel 35% un olio biologico.

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Politica interna


PRINCIPI ROSSI ACCLAMANO XI JINPING 
E a Pechino si discute il rimpasto di governo


di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

Pechino, 25 feb. - E' un momento critico per la vita del Partito Comunista Cinese. Di più: è questione di vita o di morte, secondo i principi rossi, i figli dell'aristocrazia del partito, che sabato scorso si sono riuniti in uno studio cinematografico gestito dall'Esercito Popolare di Liberazione, nel versante ovest della capitale cinese, per acclamare il loro leader Xi Jinping, che si appresta a guidare il Paese. Sono la "seconda generazione rossa", come si sono auto-definiti, secondo quanto riportato da John Garnaut sul quotidiano The Age. Sono loro che renderanno realtà il "sogno cinese" di rinascita nazionale caro al segretario generale del partito Xi Jinping, che gli eredi dei rivoluzionari della prima ora ritengono a buon diritto uno di loro.

Saranno stati i primi provvedimenti contro gli sprechi o la corruzione, oppure le normative anti-sprechi e anti-stravaganze per limitare lo sperpero di denaro pubblico, ma i toni usati dal nuovo segretario generale hanno ricevuto il plauso dei principi rossi. E l'ultimo proclama di Xi Jinping, sabato scorso, è stato quello sulla necessità di un sistema giudiziario indipendente che deve "rimanere in contatto con il popolo, essere più trasparente e soddisfare le aspettative di giustizia dei cittadini". intanto, dopo molti proclami ancora da riempire di sostanza, pare certo che il futuro governo cinese andrà incontro a cambiamenti significativi.


A Pechino si discute il rimpasto di governo

Mentre l'aristocrazia rossa celebra il proprio leader -figlio di Xi Zhongxun anch'egli rivoluzionario della prima ora che avrebbe inseguito ricoperto anche la carica di vice primo ministro- a Pechino si fanno i conti per i prossimi posti da ministro. Da domani a giovedì prossimo il Comitato Centrale discuterà le bozze di riforma presentate dai membri del Politburo del partito che dovranno essere approvate a marzo quando si apriranno i lavori dell'Assemblea Nazionale del Popolo. Ma soprattuto ci sarà da delineare il nuovo Consiglio di Stato, il massimo organo di governo del Paese, composto da un presidente, quattro vice-presidenti, cinque consiglieri di Stato e ventisette membri a capo di ministeri e commissioni. Il cambiamento passerà anche attraverso gli scandali che negli scorsi anni hanno segnato la vita politica cinese.

Il primo a scomparire dovrebbe essere il Ministero delle Ferrovie, che nel febbraio del 2011 venne segnato da uno dei più grandi casi tangenti della Cina contemporanea. Liu Zhijun, l'ex potentissimo ministro era finito sotto inchiesta per gravi violazioni disciplinari che avevano lievitato i costi delle linee ferroviarie, tra cui la tratta ad alta velocità Pechino-Shanghai, che secondo l'Ufficio Nazionale di Revisione del Conti, a maggio 2011 aveva debiti per oltre ottomila miliardi di di yuan. Il ministero delle Ferrovie, secondo il settimanale Caijing, dovrebbe essere il primo a scomparire e finire sotto il ministero dei Trasporti, uno dei cinque super-minsiteri del Consiglio di Stato, assieme a quelli dell'Industria, della Sicurezza Sociale della Protezione Ambientale e delle politiche per la Casa e le Infrastrutture.

Al centro dell'attenzione c'è poi il ministero per gli Affari Civili che potrebbe lanciare una riforma delle normative sulla sicruezza alimentare, da anni uno dei problemi che tormenta la Cina, e che nel 2008 avevano vissuto lo scandalo peggiore in tempi recenti, quello del latte alla melanina che aveva portato alla morte sei bambini e all'intossicazione di trecentomila altre persone in tutta la Cina. Dopo il latte alla melanina era stato il turno della sala di soia prodotta con i capelli, l'inchiostro e la paraffina usati per migliorare l'aspetto dei noodles a basso prezzo e l'olio di scolo impiegato nelle cucine dei ristoranti. IL più recente in ordine di tempo aveva visto di nuovo l'industria casearia del Dragone nell'occhio del ciclone con l'eccessiva presenza di aflatossina, una sostanza che può provocare il cancro al fegato, in alcuni prodotti per i bambini.


Niente sembra essere certo all'orizzonte, se non forse la posizione di Zhou Xiaochuan, l'unico che avrebbe dovuto per certo lasciare la poltrona che occupa, quella di governatore della Banca Centrale e che secondo indiscrezioni raccolte dalla Retuers nei giorni scorsi, invece, rimarrà al suo posto. La Banca Centrale avrà un ruolo fondamentale nelle riforme economiche dei prossimi anni e l'attuale governatore viene visto come l'uomo giusto al posto giusto. Secodn un funzionario dell'istituto Zhou Xiaochuan "è stato coraggioso nell'affrontare le riforme di mercato senza tenere conto, in alcuni casi delle possibili conseguenze". Tra tante incertezze, Zhou Xiaochuan sembra essere un pilastro per la politica di Pechino anche dopo che il processo di transizione, il mese prossimo sarà completato.

sabato 23 febbraio 2013

Chissà che intenzioni hanno ora che stanno raggiungendo nuovi accordi sui rapporti di cambio con la Cina


Scure Moody's su Londra, persa tripla a
'Crescita troppo debole'. Osborne, continueremo a ridurre debito

(ANSA) - NEW YORK, 22 FEB - In un'Eurozona ancora falcidiata dalla crisi, dopo la Francia anche il Regno Unito perde la 'tripla A'. E nel club dei 'virtuosi' nel Vecchio Continente restano solo Germania, Olanda, Finlandia e Lussemburgo. Ad abbattersi su Londra e' stata la scure di Moody's, che ha abbassato la valutazione sui titoli di Stato di uno scalino, portandola da Aaa ad Aa1. 'E' un forte richiamo a proseguire sulla strada della riduzione del debito', ha detto il ministro delle finanze, George Osborne.

Anche in Nuova Zelanda il turismo cinese spende.

Viaggiatori cinesi boa spesa all'estero visitatore in Nuova Zelanda
Un salto della spesa da parte dei turisti cinesi ha contribuito frenare un calo della spesa totale da parte dei visitatori stranieri in Nuova Zelanda per solo il 6 per cento l'anno scorso, il Ministero del Business Innovation e l'occupazione (MBIE) ha annunciato Martedì. turismo ricerca e la valutazione manager Peter Ellis ha detto la spesa da visitatori internazionali l'anno scorso è stato il più basso dal 2001 e ha indicato un ritorno a un declino che iniziò prima la Nuova Zelanda ha ospitato la Coppa del Mondo di Rugby nel 2011. "Il calo della spesa lo scorso anno può essere in parte attribuito a un 2 per cento in calo il numero di visitatori rispetto allo stesso periodo. La caduta riflette anche condizioni economiche globali e la forte Nuova Zelanda dollaro ", Ellis ha detto in un comunicato. "Gli aspetti più significativi del calo della spesa sono una diminuzione delle spese dei visitatori del Regno Unito, e nel importo totale che i visitatori turistici stanno spendendo, "ha detto. "D'altra parte, la spesa di visitatori cinesi è aumentato del 42 per cento, superando le nostre previsioni." del governo Turismo Nuova Zelanda agenzia ha detto che continuerà a concentrarsi sulla spesa in aumento, in particolare nel mercato cinese. "L'attuale situazione economica in Europa, e il tasso di cambio alto della Nuova Zelanda, ha comprensibilmente avuto un impatto sul lungo raggio arrivi e il livello di spesa, le spese dal Regno Unito in calo del 21 per cento e gli Stati Uniti un calo del 7 per cento," amministratore delegato Bowler Kevin ha detto in un comunicato. spesa complessiva di arrivi internazionali scorso anno è stato 5,42 miliardi di dollari neozelandesi (4,57 miliardi di dollari).

E' normale che ciascun elettore anche cinese abbia i suoi ideali....cosa che al contrario molti nostri ex politici non hanno mai avuto.


GLI ELETTORI CINESI STRIZZANO 
L'OCCHIO AL CENTRO-DESTRA


di Sonia Montrella e Alessandra Spalletta


Twitter@SoniaMontrella
Twitter@Aspalletta

Hanno collaborato Lara Bruno, Nataly Ada Rivera e Caterina Pintus

Roma, 21 feb.- Quello dell’Esquilino, la Chinatown romana, è tradizionalmente un quartiere ‘rosso’, che pressione fiscale, promesse di restituzione dell’IMU e incontri con i candidati stanno man mano ‘sbiadendo’. Lo sostengono alcune delle voci più interne e autorevoli della comunità cinese contattate da AgiChina24 che hanno provato a fare una stima degli elettori cinesi della capitale e dei loro orientamenti politici.

“Tra Roma e il Lazio, compresa la seconda generazione, gli elettori cinesi dovrebbero essere intorno ai 5000, ma credo che non più della metà di loro andrà a votare” spiega Lucia Hui King, portavoce  del comitato di rappresentanza della comunità cinese in Italia e delegato del sindaco della capitale Gianni Alemanno. “Dovrebbero essere sui 500 a Roma” sostiene invece Hu Lanbo fondatrice della rivista bilingue cinese-italiano Cina in Italia e autrice di due romanzi.

A risolvere il ‘mistero’ del numero degli aventi diritto al voto ha pensato Associna, associazione di italo-cinesi di seconda generazione presieduta da Marco Wong. “Non si conoscono con precisione i numeri, ma stiamo cercando di fare una stima grazie ad un’indagine statistica – spiega ad AgiChina24 Wong -. Ad ogni modo abbiamo avuto modo di constatare che la percentuale di votanti non è altissima, è intorno all’1-2% dei cinesi residenti in Italia (che nel 2010 si attestavano attorno ai 300mila, ndr). Questo si spiega anche col fatto che la Cina non riconosce la doppia cittadinanza: molte persone, pur avendo i requisiti, esitano a chiedere il passaporto italiano perché potrebbero perdere il legame con le proprie origini. La maggior parte degli aventi diritto è formata da giovani nati in Italia, e quindi  più interessati ad esprimere il proprio voto”.

Ma qual è l’orientamento politico dei cinesi in Italia?

“Per tradizione, per stampo ideologico o anche solo per abitudine, i cinesi votano a sinistra, ma molte persone sono persuase dalla proposta del rimborso dell’IMU di Berlusconi e quindi potrebbero votare a destra” spiega Lucia Hui King. “Tuttavia, in generale, c’è molta indecisione. Credo che l’orientamento politico dei cinesi sia molto influenzato dagli incontri che i candidati svolgono ed hanno svolto con la comunità cinese”. A questi candidati vengono poste delle domande dalla comunità e vengono valutate le risposte più convincenti, ha continuato la King sottolineando che proprio questi incontri hanno fatto salire il tasso di simpatia della comunità nei confronti di Alemanno. “Sono in contatto diretto con il Sindaco e gli ho posto diverse problematiche della nostra comunità. Posso dire che si è sempre interessato, anche spontaneamente, di verificare che dopo il suo intervento le cose fossero migliorate, e questo rende piacevole la collaborazione. Possiamo quindi ritenerci soddisfatti dell’interessamento del comune di Roma verso di noi, anche a detta dell’Ambasciata cinese”.

Per Marco Wong è difficile tracciare un profilo dell’elettore cinese: “da un certo punto di vista parliamo di persone che, in percentuale maggiore rispetto ad altre comunità, svolgono il lavoro di imprenditori e commercianti, e che proprio per il background professionale forse potrebbero tendere un po’ di più verso il centrodestra. Però per altri temi sensibili, storicamente, il centrodestra si colloca su posizioni che puntano l’accento sul controllo repressivo dell’immigrazione, associandolo spesso a fenomeni negativi. Questa è la tendenza, specie a livello nazionale, del centrodestra che tra l’altro ha un’alleanza con la Lega che è solitamente portatrice di certe istanze, ovviamente invise ai cinesi. La propensione a destra o a sinistra deriva molto dalla maggiore o minore sensibilità verso certe tematiche, perciò è molto difficile riuscire a dare una caratterizzazione”.

Ma cosa pensano allora i cinesi in Italia di Berlusconi, di Bersani, di Monti e di Grillo?

"Sicuramente – spiega Wong - per Berlusconi c’è una certa ammirazione per quello che ha saputo costruire come imprenditore, mentre non c’è lo stesso tipo di ammirazione nei confronti dell’uomo politico, soprattutto per il suo modo di fare che non è giudicato serio se paragonato a quello dei politici cinesi. Per quanto riguarda gli altri uomini politici, Beppe Grillo è un personaggio nuovo quindi magari c’è un interesse, ma quello che pesa nei suoi confronti sono alcune battute sui cinesi non molto simpatiche e che erano state ripetute in vari casi. Monti, non è molto conosciuto perché è da poco al potere, mentre Bersani è forse più identificabile come appartenente a un partito solido.  Sicuramente tra i vari personaggi politici Berlusconi è quello più conosciuto, perché è stato al potere per così tanto tempo, mentre gli altri lo sono un po’di meno”.

Hu Lanbo invece non ha dubbi: è il Pd di Bersani a convincere di più la comunità cinese.

A far da ago della bilancia in cabina elettorale sembra essere la pressione fiscale: “hanno gravato moltissimo sulle attività commerciali cinese – sostiene Lucia Hui King - . Almeno il 30% dei cinesi dell’Esquilino ha venduto o si sta dedicando ad altre attività. Non sto dicendo che lasciano l’Italia ma sicuramente stanno pensando di fare qualcos’altro. Per esempio c’è una rimonta dei ristoratori, che sembrano aver risentito di meno della crisi”. “Se paragonato al regime di tassazione cinese, uno che viene dalla Cina è spaventato dal livello di pressione fiscale che c’è in Italia – dichiara Wong -. Ma oltre alla pressione fiscale un’altra cosa che spaventa: il diritto italiano.

Cosa si aspettano, a questo punto, dal prossimo governo gli elettori cinesi?

“Per la comunità cinese in Italia questo è un periodo molto duro” dice Hu Lanbo. “Anche noi abbiamo risentito fortemente della crisi. Quindi speriamo in una nuova politica che sia in grado di farci superare questo fase negativa e che si apra di più anche nei confronti della Cina, considerato che molti commercianti italiani sono in affari con il nostro Paese. In secondo luogo,  i commercianti cinesi che operano in Italia dovrebbero essere aiutati dal governo. E infine andrebbero rivisti i forti controlli della polizia sulla comunità cinese, perché anche i residenti cinesi chiedono uguaglianza: il controllo deve essere per tutti, non solo per noi”.

Lucia Hui King chiede al prossimo governo “quello che penso chiedano tutti gli immigrati: la cittadinanza, dato che noi viviamo qui e diamo anche un grandissimo contributo economico al paese: potrei dire al mio paese, perché per me l’Italia è come se fosse la Cina”. “Desideriamo un governo stabile che ci consenta di vivere e lavorare bene in Italia” le fa eco Sara Fang, direttrice della rivista Tempo Europa Cina (Ou Hua Shi Bao). Per Marco Wong in cima alla lista delle richieste ci sarebbe il rilancio dell’economia, “perché la crisi attuale sta colpendo non solamente gli italiani, ma anche le comunità straniere in Italia”.

A proposito di elezioni


IL NUOVO GOVERNO ITALIANO? 
PURCHE' PIACCIA ALL'EUROPA
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

Pechino, 22 feb. - Le elezioni italiane di domenica e lunedì viste da Pechino non sono un pacchetto all inclusive. Chi governerà l'Italia è un problema che Pechino analizza alla luce di come reagirà l'Unione Europea alla nuova classe dirigente italiana. Meglio un'alleanza Bersani-Monti? Oppure un ritorno di Berlusconi? O, ancora, un'affermazione del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo che spariglierebbe i giochi? Domande che avranno una parziale risposta solo lunedì in serata, quando a Pechino sarà ormai notte fonda. Nel frattempo la stampa cinese, alle prese con i problemi di sovranità nazionale sulle isole del Mare Cinese Orientale, i rapporti con la Corea del Nord dopo il terzo test nucleare di settimana scorsa, e il bilancio dei primi cento giorni da segretario generale del Partito Comunista Cinese di Xi Jinping, si interroga su come l'Europa possa valutare la nuova classe dirigente che uscirà dalle urne il 24 e 25 febbraio prossimi.

"L'Unione Europea - spiegava alcune settimane fa l'autorevole settimanale economico Caixin in un articolo sul futuro dell'Euro - è l'unica speranza per le vecchie nazioni del continente di rimanere attori significativi a livello globale". L'incertezza sul futuro politico dell'Italia non fa bene ai mercati, come spiega un articolo di CNN Money ripreso dal China Securities Journal, una pubblicazione della Xinhua, che ha fatto perdere il 10% alla Borsa di Milano nel gennaio scorso. E i problemi dell'economia del nostro Paese ritorna in un altro articolo del China Securities Journal che riprende gli ultimi dati dell'Istat sull'economia italiana. Per il sesto trimestre consecutivo, il nostro Paese ha registrato una crescita negativa. "L'ultima volta che l'Italia ha avuto sei trimestri di crescita negativa - ricorda il quotidiano economico-finanziario on line della Xinhua - è stato tra il 1992 e il 1993".

La tenuta dell'Europa e dei mercati sono le preoccupazioni principali dei media cinesi all'avvicinarsi della tornata elettorale e proprio in quest'ottica la stampa del Dragone analizza i protagonisti della scena politica italiana. Gli ultimi sondaggi hanno visto il vantaggio di Bersani su Berlusconi ridursi e quest'ultimo guadagnare punti nei confronti della coalizione di centro-sinistra. Cosa farà il PD, dato come possibile vincitore dalla stampa cinese, dopo le elezioni? Bersani dovrà scegliere se allearsi con la sinistra di Vendola o con l'ex premier Mario Monti: insomma, non otterrebbe una maggioranza significativa per potere governare da solo. Ma la grande preoccupazione è quella sulla possibilità che un'affermazione elettorale significativa di Grillo o di Berlusconi possa avere come effetto un raffreddamento dei rapporti con l'Unione Europea. Di tono prevalentemente sobrio, i servizi sul nostro Paese mirano a un'analisi veloce, con un sommario riepilogo del profilo dei protagonisti. Ecco allora che in un servizio di soli 44 secondi del canale in lingua inglese della CCTV, l'emittente televisiva di Stato, Pierluigi Bersani è presentato come "il leader del Partito democratico", Silvio Berlusconi come "il magnate dei media che tenta il ritorno dopo che ha dovuto ritirarsi a causa della crisi del debito europeo", mentre Mario Monti è "l'economista diventato premier che ha salvato l'Italia dalla crisi finanziaria".

Un'analisi della scena politica e sociale proposta dalla Xinhua nella giornata di ieri cerca di analizzare il momento storico di questa tornata elettorale che rende le prossime consultazioni molto diverse da quelle degli ultimi venti anni. Le prossime elezioni potrebbero rivelare sorprese, secondo la Xinhua. "Per prima cosa -spiega l'editoriale- l'Italia si trova in una profonda crisi economica, e come in molti altri Paesi europei, questo si ripercuote sugli orientamenti dei cittadini". Monta lo scontento verso i politici tradizionali che non avrebbero la fiducia se non di un modesto 5% della popolazione, e la valvola di sfogo sarebbe il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo "che attrae migliaia di persone ai suoi raduni" e che potrebbe scompigliare i giochi. Bersani, con Vendola senza Monti, oppure Bersani con Monti, o, meno probabile, Bersani e Berlusconi contro Monti. Tutti scenari su cui si interrogano gli analisti politici. Ma che poco sembrano interessare alla principale agenzia di stampa del Dragone, che nell'editoriale cita un altro sondaggio, secondo cui "quasi tutti in Italia credono che la composizione del prossimo governo sarà influenzata dall'Europa, che considera l'Italia un Paese "sotto sorveglianza" per i problemi legati al deficit e alla mancanza di crescita, così come per l'instabilità del suo sistema politico". Al di là dei calcoli e delle alchimie più o meno probabili tra i leader dei vari schieramenti, il vero punto di domanda per la Cina resta sempre uno solo: "chi salverà l'economia italiana".

Certo che.............


Pechino ammette esistenza 
"villaggi del cancro"


di Martina Ferrone

Pechino, 22 feb. - Anni dopo le prime denunce, il governo di Pechino ha riconosciuto l'esistenza in Cina dei cosiddetti 'villaggi del cancro', aree così inquinate da registrare una maggiore incidenza di tumori.  L'utilizzo del termine in un documento ufficiale, probabilmente una 'prima volta' assoluta, arriva mentre aumenta il malcontento popolare per lo smog crescente, il precario smaltimento dei rifiuti industriali e le conseguenze spesso devastanti del rapido sviluppo industriale del gigante asiatico.

Materiali chimici tossici e nocivi hanno creato una seria di emergenze nell'acqua e nell'atmosfera e certi luoghi sono considerati 'villaggi del cancro'", si legge in una relazione del governo che delinea il piano quinquennale di sviluppo. Nel documento, il ministero dell'Ambiente non spiega né dà una definizione tecnica del termine, ma riconosce che la Cina utilizza "prodotti chimici tossici e nocivi" vietati nei Paesi sviluppati e che "costituiscono un danno potenziale e di lungo termine per la salute umana e l'ambiente".

Nel 2009 un giornalista cinese diffuse su Internet una mappa che indicava decine di 'villaggi del cancro'. Venerdì, Wang Canfa, avvocato ambientalista, che gestisce un centro di assistenza a Pechino per le vittime dell’inquinamento, ha affermato che questa è la prima volta che l’espressione “villaggi del cancro” appare in un documento ministeriale. “ Questo testimonia che il ministero dell’ambiente ha riconosciuto che l’inquinamento ha causato il cancro”, ha dichiarato, “inoltre, dimostra che il problema dell’inquinamento ambientale che causa danni alla salute, ha ricevuta la giusta attenzione”.

Pare voglia combattere per primo la corruzione


I CENTO GIORNI (E I DUE VOLTI) DI XI JINPING


di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

Pechino, 22 feb. - Il "sogno cinese", la lotta alla corruzione, lo sviluppo pacifico della Cina. Sono i temi su cui si è concentrato Xi Jinping da quando è stato eletto segretario generale del Partito Comunista Cinese fino ad oggi, il suo centesimo giorno di mandato. L'agenzia di stampa statale cinese Xinhua ha dedicato un lungo editoriale all'evento dal titolo "I primi cento giorni della leadership cinese che rinnovano le aspettative del mondo sulla Cina".

Xi Jinping è prima di tutto, secondo la Xinhua, il presidente del sogno cinese di rinascita nazionale, tema che è stato al centro di un suo discorso durante una delle sue prime uscite pubbliche, il 30 novembre scorso, al Museo Nazionale. "Realizzare il rinnovamento della nazione -aveva dichiarato Xi- è il più grande sogno della Cina nei tempi moderni". Xi Jinping, accompagnato dai membri della cerchia ristretta del Comitato Permanente del Politburo aveva fatto visita al museo dove era in corso la mostra "La strada verso il rinnovamento" che raccoglieva immagini e documenti della storia contemporanea cinese dai tempi della prima guerra dell'oppio, scoppiata nel 1840. In quell'occasione aveva ripercorso la storia cinese degli ultimi 170 anni per celebrare lo spirito cinese che ha saputo rialzarsi dopo grandi difficoltà e umiliazioni. Aveva citato poeti dell'antichità e Mao Zedong (che sarebbe tornato più volte in seguito nei suoi discorsi futuri) e si era presentato come un leader carismatico agli occhi dei cittadini.

Ad aumentare ancora il suo carisma era stato il suo primo viaggio da leader, una settimana dopo, nel ricco Guangdong che aveva trainato le riforme economiche trenta anni fa, anche grazie all'apporto di suo Padre, Xi Zhongxun, all'epoca governatore della provincia costiera. Il viaggio in Guangdong aveva subito innescato il paragone con quello compiuto da Deng Xiaoping venti anni prima, quando l'anziano architetto delle riforme economiche aveva ribadito l'importanza dell'apertura al mondo della Cina per continuare sulla via del progresso e della prosperità. E l'immagine di Xi Jinping al termine del tour sembrava essere quella di un leader aperto alle riforme.

I primi cento giorni del nuovo segretario generale sono stati contrassegnati, però soprattutto dai ripetuti appelli anti-corruzione, vero cruccio di Xi Jinping, che non ha perso tempo a manifestare di fronte agli alti funzionari del PCC il suo ribrezzo verso la pratiche scorrette dei membri del partito. E in uno dei suoi primi appelli aveva citato l'importanza che la percezione di un'élite corrotta al potere avesse avuto negli anni passati a fare cadere i sistemi politici attraverso le sollevazioni di piazza. Non solo parole, questa volta: le prime settimane della sua leadership sono state segnate da provvedimenti ad hoc per evitare l'impressione di una classe dirigente chiusa in un mondo di privilegi, come la norma anti-sprechi (nei confronti dei top manager delle aziende di Stato) e la norma anti-stravaganze (contro le spese inutili dei politici in visita nel Paese). E a pochi giorni dall'inizio del suo mandato c'era stato il primo alto funzionario cinese indagato per corruzione, Li Chuncheng, membro supplente del Politburo, per una storia di tangenti con un costruttore del Sichuan in cerca di concessioni edilizie.

Ma le parole più significative, Xi Jinping le ha pronunciate a porte chiuse e in presenza di un pubblico selezionato, quello degli alti funzionari. Secondo quanto riportato dal New York Times, il 15 febbraio scorso, durante la visita in Guangdong, Xi Jinping avrebbe nuovamente ribadito il concetto già espresso sulla necessità di combattere la corruzione per evitare il collasso politico. Con qualche nota di colore in più, questa volta. "Perché -aveva chiesto al suo pubblico- l'Unione Sovietica si è disintegrata? Perché il partito comunista sovietico è crollato? Una ragione importante è stata che le convinzioni e gli ideali vacillavano". I toni di Xi Jinping si fanno ancora più forti quando dichiara che una sola parola è bastata per dissolvere "un grande partito" e che "nessuno" in quella circostanza "si è dimostrato un vero uomo decidendo di resistere" alla fine del PCUS.

Frasi che mettono una pietra tombale sulle aspettative di chi, anche solo per un attimo, ha pensato a Xi Jinping come il "Gorbacev cinese". Le speranze nate a settembre scorso -quando in un colloquio riservato con un esponente dell'ala riformista del partito Xi aveva espresso la possibilità di varare riforme politiche- sembrano infrangersi nelle parole del segretario generale. Non fare la fine dell'Unione Sovietica è l'imperativo categorico del segretario generale del PCC, forse la motivazione stessa per cui bisogna combattere la corruzione. In una parola: stabilità.

Proprio nel segno della stabilità e della continuità con il passato Xi Jinping ha deciso di intraprendere il suo primo viaggio da presidente cinese in Russia (e subito dopo in Sudafrica) come fece il suo predecessore Hu Jintao. Xi, come riporta la Xinhua nel suo editoriale, "ha dichiarato che in politica estera la Cina manterrà la via dello sviluppo pacifico senza sacrificare i suoi diritti ed interessi". Una linea inaugurata dalla quarta generazione di leader, ma che da qualche tempo sembra mostrare alcune crepe con le dispute di sovranità territoriale nel Mare Cinese Meridionale e Orientale per arcipelaghi e atolli disabitati ma di importanza strategica fondamentale per Pechino.

A cento giorni dall'inizio del suo mandato, Xi Jinping rimane un leader difficile da decifrare. Sarà in grado di fare le riforme di cui il Paese ha bisogno? L'editoriale della Xinhua non lo dice. In ogni caso, nessuna riforma dovrà essere percepita così forte da aprire la strada a possibili sollevazioni. La leadership del partito prima di tutto il resto, è uno dei suoi mantra. Forse proprio per questo, quando ha parlato della necessità da parte del partito di aprirsi alle critiche e di correggere i propri  errori, a molti su Weibo, il Twitter cinese, era gelato il sangue. Quello stesso appello pronunciato nel 1956 da Mao Zedong aveva dato il via a una grande epurazione di intellettuali che avevano creduto nelle sue parole. Meglio per tutti, allora, andarci cauti.

Peccato che la nostra economia sia già emersa


MOSCA, PRIMA TAPPA DA NEO PRESIDENTE PER XI JINPING


di Sonia Montrella
Twitter@SoniaMontrella

Roma, 21 feb.- Sarà Mosca la prima tappa internazionale di Xi Jinping in veste di capo di stato. Subito dopo, il futuro presidente i volerà in Sudafrica dove prenderà parte a un vertice delle economie emergenti.  Lo riferisce il New York Times. Il principe rosso, come viene definito per la sua appartenenza alla schiera dei figli dei padri della Rivoluzione, segue così le orme del predecessore Hu Jintao; tuttavia – sostengono gli analisti - il viaggio in Russia assume questa volta un significato particolare.

Xi vuole assicurarsi buone relazioni con Mosca nell’intento di fronteggiare e contenere l’avanzata statunitense nel Pacifico e nell’area Asia-Pacifico, tra i punti fondamentali dell’agenda estera di Washington. E l’intesa con la Russia – sostengono ancora gli analisti – deve essere rinsaldata in fretta, prima dell’incontro tra Xi e Obama, previsto non prima di settembre, quando i due presidenti prenderanno parte al G20.

La Cina cercherà inoltre il sostegno della Russia in quelle dispute territoriali nel Mar Cinese meridionale e sopratutto in quello orientale, dove è in corso un duro braccio di ferro tra Pechino e Tokyo per il controllo dell’arcipelago delle Diaoyu/Senkaku.
A ciò si somma il bisogno d soddisfare la fame di energia del Dragone attraverso la stipula di contratti per l’approvvigionamento di risorse energetiche russe. Magari sciogliendo qualche nodo al pettine: i due Paesi sono entrati in disaccordo per la questione del prezzo del gas, con la Russia che si è rifiutata di adattare il costo alle richieste della Cina e ha minacciato di vendere il gas all’Europa. Un cambio di rotta da cui avrebbe ricavato maggiori profitti.

A confermare la visita in Russia sono arrivate le dichiarazioni del presidente Putin, del ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi – in questi giorni a Mosca – e i media di stato. Quanto alla data, non è ancora stata fissata, ma di certo Xi Jinping non salirà sull’aereo prima del 5 marzo, giorno in cui si aprirà l’Assemblea Nazionale del Popolo – una sorta di Parlamento cinese – che proclamerà ufficialmente presidente della Repubblica Popolare l’attuale segretario del Partito comunista cinese. E con lui, i suoi 6 potentissimi uomini, nominati dal XVIII Congresso del PCC dello scorso novembre.

venerdì 22 febbraio 2013

Si cambia



Il Sole 24 ORE - Radiocor 22/02/2013 - 13:01
Breaking News 24
NOTIZIARIO ASIA

*** Cina: accordo fra banche centrali di Pechino e Londra sulle valute
Radiocor - Milano, 22 feb - La Banca centrale d'Inghilterra e quella cinese stanno lavorando a un accordo per gestire i rapporti di cambio delle valute dei due Paesi. L'annuncio e' stato dato al termine di un incontro a Pechino fra il governatore della Boe, Mervyn King, e il suo omologo della Banca popolare cinese, Zhou Xiaochuan. 'Questo accordo - spiega un comunicato - sara' utilizzato per transazioni finanziarie e investimenti diretti fra i due Paesi'. L'intesa consente l'assegnazione di linee di credito nelle due divise per facilitare gli investimenti fra i due Paesi. Il ministro delle finanze, George Osborne, ha salutato positivamente l'annuncio che rappresenta 'un passo importante per rafforzare la posizione Londra come piattaforma occidentale per il mercato in rapida crescita dello yuan'.

Red-Mau

giovedì 21 febbraio 2013

Lao Xi. Tre scenari per il dopo voto‏



Politica
DALLA CINA/ Lao Xi: tre destini (pericolosi) per l'Italia del dopo elezioni

Lao Xi

giovedì 21 febbraio 2013
http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2013/2/21/DALLA-CINA-Lao-Xi-tre-destini-pericolosi-per-l-Italia-del-dopo-elezioni/365454/

Come forse non lo erano mai state in passato, stavolta le elezioni del prossimo fine settimana in Italia avranno una valenza globale. Il parlamento che emergerà dal voto dovrà scegliere il prossimo presidente della Repubblica, il governo guidare il paese fuori dalle secche economiche attuali e quindi aiutare a rilanciare l’euro e l’idea di un’unione economica e politica nel vecchio continente. Viceversa, un fallimento parziale o totale in questo senso potrebbe fare crollare l’euro, accendendo una crisi economica globale, o semplicemente mettere la moneta unica continentale su una specie di corsia rallentata e l’unione politica su un binario morto.

Fatto sta che il dibattito politico su questi temi in Italia appare inesistente. Ci sono in genere due pareri che sono discussi con maggiore o minore veemenza. 1) Bisogna seguire le direttive di Bruxelles concordate e decise in sostanza tra Parigi e Berlino, il nuovo asse di dirigenza europea che ha ripreso a funzionare. 2) Bisogna uscire dall’euro.

Dato che l’opzione 2 è di fatto impossibile, rimane l’opzione 1, affidata poi alla maggiore o minore capacità di ottenere sconti o agevolazioni per l’Italia da Parigi e Berlino. Qui naturalmente Monti è nella posizione migliore per ottenere tali sconti, e dovrebbe essere favorito dal pubblico, ma non lo è, per tanti motivi, che vedremo. Ma prima di fermarci su questo punto, ciò che è ancora più importante è che l’Italia non partecipa attivamente al dibattito politico sui contenuti di cosa dovrebbe essere la politica europea complessiva, non solo riguardo all’Italia; non si discute su quale potrebbe essere il contenuto particolare dell’Italia alla costruzione europea.

Ciò è bizzarro perché in realtà molti rischi e opportunità per l’Europa vengono dall’Italia. Se l’Egitto esploderà, come è possibile, nei prossimi mesi un flusso di milioni di profughi potrebbe inondare l’Europa a partire dall’Italia; se il Mediterraneo riprenderà il suo ruolo centrale di centro di scambi tra Europa del nord e Asia lo farà a partire dall’Italia. Roma dovrebbe attrezzarsi per queste evenienze, a partire dal suo sud, cosa che riporta su basi diverse e nuove la questione meridionale che ha tormentato la storia d’Italia, tanto che la forza attuale della Lega Nord nasce proprio da una scelta di rifiuto di tale questione.

L’assenza di questi grandi temi svuota nei fatti le scelte politiche dei prossimi governi, qualunque essi siano, a meno di un miracolo nella testa del prossimo presidente o primo ministro che rilanci i contenuti veri. Ma non lo è stato finora, è improbabile che lo sia in futuro. Da lontano, il perché dell’assenza di tali contenuti pare un mistero, ascrivibile solo alla stupidità; da vicino forse è diverso.

L’ultra tatticismo della politica italiana distrae da ogni scelta strategica, la mancanza di esperienza vera internazionale di molti politici fa il resto. Il sistema elettorale è anche colpevole, e colpevoli poi sono i partiti che non lo hanno voluto riformare. Inoltre, c’è una caccia minore all’ultimo voto, che si raccoglie su minime questioni di bottega, non su grandi temi, e un controllo ferreo della dirigenza dei partiti sui candidati, fra cui si preferiscono i fedeli ai capaci.

Infine c’è un pregiudizio geopolitico. La politica in Italia si è divisa per anni sul pregiudizio ideologico di destra o sinistra, anche giusto, ma che spesso è diventato una questione di appartenenza come in un derby Inter contro Milan. Le questioni di geopolitiche invece è come se non riguardassero il paese, che le vive come se fossero un’eredità scomoda del passato fascista e imperialista. Quindi la geopolitica non si tratta o si tratta in modo accademico, come se non dovesse riguardare l’Italia, come se qualunque posizione fosse indifferente. Ciò non è così in alcun paese, dove destra e sinistra si dividono sulla politica interna e sull’estero.

Il tutto ci porta alla cronaca del “chi vincerà?”. Inutile a questo punto lanciarsi in pronostici: le urne parleranno tra poche ore e da lì si comincerà a ragionare. Di fatto però tre elementi appaiono chiari a partire dai sondaggi.

Il grande vincitore politico sarà Grillo, che in pochi mesi, dal nulla, ha creato un partito che si aggirerà intorno al 20%. Lui conterà se non per i voti di sostegno al governo di certo nelle trattative per la scelta del presidente.

Altro elemento sarà la forte presenza di Berlusconi. Dato per morto pochi mesi fa, oggi è risorto e addirittura rischia di essere vicinissimo al vincitore. Ciò dimostra come in Italia non si possa fare politica senza di lui.

Terzo elemento è la tiepida esibizione elettorale di Monti. Potrebbe arrivare quarto nella competizione elettorale, e avere un posto di ministro del Tesoro: poco per l’uomo che ha salvato l’Italia dal baratro e fino a due mesi fa sembrava destinato al Quirinale. Monti non è riuscito a comunicare alla gente comune. Questione di stile, personalità, non ha il fascino spettacolare di Berlusconi o Grillo, ma anche di politica. La politica non è applicare una formula scelta a Bruxelles, deve essere uno slancio strategico per la gente. Davanti a una battaglia non si può dire ai soldati: il 10% di voi statisticamente deve morire per vincere la guerra. Si deve dare alla gente il motivo per cui magari anche tutti possono morire: salvare mogli e figli a casa, allargare i destini del proprio mondo, avere un posto in paradiso. La gente fa sacrifici, li vuole fare, ma gli deve essere dato un motivo convincente e forte, più grande della sua quotidianità. Monti non l’ha dato, e per la verità non l’ha dato alcun altro. Questo riporta al centro il vincitore in pectore della contesa, Bersani. Lui sceglierà il prossimo governo e forse anche il prossimo presidente. Le percentuali che otterrà diranno se lo farà da solo o, come oggi sembra probabile, dovrà accordarsi a destra e a manca.

Per fare questo si entra nel pantano degli scambi da sottobosco italiano. La politica è un’arte di mediazione, trovare soluzioni che accontentano i più evitando scontri violenti. Meglio quindi una politica sporca che una guerra pulita. Il punto è: è probabile che le elezioni non saranno risolutive. Che Bersani vinca, sì, ma di misura, e che quindi le tante divisioni del suo partito a sinistra lacerino la sua coalizione come è successo tante volte. Tanti pensano che per evitare questo ci vorranno nuove elezioni, dove sarà questione di numeri: una maggioranza più solida per il partito di governo.

Dalla Cina pare sia una questione di numeri, non di idee. Ma è questo, ancora una volta, il problema. Per mettere i conti in ordine, per imporre le grandi ristrutturazioni di cui ha bisogno il paese, non si può presentare alla gente che deve andare a soffrire il conto del ragioniere: occorre dare un’ispirazione, un senso profondo del proprio sacrificio. Altrimenti è solo un fuggi fuggi: chiunque cerca di evitare di essere schiacciato e tutti si lamentano per il nuovo clima. Cioè si deve pensare a che strategia avere verso l’Europa e il mondo, dove si vuole fare andare il paese.

Ora, Berlusconi promette una specie di Bengodi, e Grillo un redde rationem. Possono essere entrambe promesse eccessive e irragionevoli. Come si fa a credere a Berlusconi dopo il disastro che ha prodotto? Come si fa a credere a un comico che fa politica con battute di spirito? Ma il loro successo davanti alla tiepida performance in campagna elettorale di Bersani e Monti, ragionevoli ragionieri, dimostra che Berlusconi e Grillo danno almeno alla gente qualcosa di cui si sente il bisogno: un progetto. Se qualcuno allora avesse un progetto ragionevole, questi sbancherebbe.

La politica non è né può essere semplicemente più o meno flessibilità del lavoro, più o meno potere dello stato nel mercato; dovrebbe essere il progetto che ha l’Italia per il suo futuro in Europa e nel mondo. Questo al fondo è il progetto politico che gli elettori leggono in Berlusconi o Grillo: maggiore indipendenza dai dettami di Bruxelles. Può essere demagogico, ma meglio che la tacita accettazione della volontà, ragionevole quanto si voglia, degli altri.

La vera politica che farebbe vincere qualunque partito e costruirebbe uno spazio di dignità per l’Italia in Europa e nel mondo, sarebbe di presentare un’idea sul tipo di Europa che l’Italia vuole, visto che è il suo orizzonte politico primario. L’Europa non è un pacchetto preconfezionato semplicemente da prendere o lasciare, ma è un progetto in via di costruzione o di distruzione. In questo, l’eventualità prospettata da politici inglesi di lasciare la UE naturalmente può essere di quelle che scatenano poi la crisi dell’Unione e dell’euro. Questa politica non c’è stata ed è probabile che continuerà a non esserci. In assenza di questo, e assediata da politiche demagogiche o da ragionevoli soluzioni ragionieristiche, l'Italia ha davanti tre scenari, che saranno in gran parte determinati dai numeri che usciranno lunedì.

1) L’Italia traccheggia. Ragionevoli ragionieri impongono le misure più o meno necessarie. L’Italia esce dal guado ma non c’è politica, delegata a Parigi e Berlino. La protesta sociale aumenta, ma viene tenuta sotto controllo, perché la maggioranza dei partiti capisce di avere tutto da guadagnare ad andare avanti a sbarcare il lunario. Ma l’Italia perde l’anima, si asciuga, si secca, perché un paese, come una persona, ha bisogno di uno scopo per vivere.

2) L’Italia va bene. Uno o più partiti hanno un’alzata di ingegno e propongono davvero una politica nuova per l’Italia e per l’Europa, che è insieme ragionevole ma anche di slancio per il futuro. L’Italia è fuori dalla crisi e contribuisce positivamente al progetto europeo e a tutto quello che tale progetto significa per l’Europa.

3) L’Italia scoppia. I ragionieri provano a governare ma sono travolti dalle “irragionevoli” proteste della gente che non capisce perché dovrebbe sacrificarsi mentre altri (come in ogni crisi o guerra) fuggono o ingrassano. Grillo guida la protesta in parlamento, e aizza la folla nelle piazze. Il parlamento pavido si spacca, e poi cede: si va a nuove elezioni con il paese nel caos, gli interessi dei buoni del tesoro vanno alle stelle e il rischio di non riuscire a pagare gli interessi diviene concreto. L'Italia va così ad esercitare pressioni enormi sull’unità dell’euro, avvitando Europa e mondo in una nuova crisi finanziaria.

A occhio lo scenario 1 dovrebbe essere il più probabile, triste per l’Italia, indifferente in sostanza per il mondo. Ma le probabilità si conteranno davvero dopo il voto. Se Bersani vincesse di misura, se Berlusconi perdesse per un’incollatura, se Grillo sfondasse il 20% allora le possibilità della ipotesi 1 si assottiglierebbero e ci sarebbe bisogno dell’ipotesi 2, mentre si allargherebbe, drammaticamente, l'eventualità dell’ipotesi 3.

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