mercoledì 5 febbraio 2014

La cancelliera, coi compiti a casa, ha distrutto la Ue. Barack invece ha rilanciato gli States
Merkel vada a lezione da Obama
Il pil Usa cresce del 2,8% quest'anno. Quello Ue dell'1%
 di Tino Oldani

Sono i paradossi della politica: mentre nei sondaggi è al minimo, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, può vestire i panni del vincitore e dare una lezione di ottimismo al mondo intero, soprattutto all'Europa. È questo, in buona sostanza, il messaggio che scaturisce dal suo discorso di ieri sullo Stato dell'Unione. Un messaggio che si basa sui risultati concreti di una politica che ha riportato gli Stati Uniti al ruolo di motore dell'economia mondiale. Ovvero, l'esatto contrario di ciò che, in questi anni, ha fatto l'Europa, dove continuano a prevalere il pessimismo di fondo dei capi di governo e le politiche di austerità, con risultati fallimentari. Bastano due slogan per comprendere quanto siano diverse, oggi, la politica Usa e quella europea: «lotta alle diseguaglianze» contro «austerità. Da una parte, Obama ha lanciato una lotta alle diseguaglianze che vuole investire la società e l'economia americana a 360 gradi, dai salari minimi ai redditi dei super-ricchi, in testa banchieri e grandi speculatori. Dall'altra, l'Unione europea (su pressione della cancelliera Angela Merkel) è ferma ai «compiti a casa», alla politica di austerità che ha prodotto una recessione senza fine e un generale impoverimento, ma non osa toccare le banche, soprattutto le più grandi, quelle che con le speculazioni folli sui derivati hanno generato la crisi finanziaria che si è poi estesa all'economia reale.

I punti di contrasto sono fin troppo eloquenti. Il pil degli Stati Uniti è in ripresa e salirà del 2,8 per cento quest'anno e del 3 per cento nel 2015; quello europeo ristagna: più 1,0 quest'anno e più 1,4 l'anno prossimo. Per lottare contro le diseguaglianze, Obama ha alzato per decreto a 10 dollari l'ora il salario minimo dei dipendenti federali, mentre il governo di larghe intese della signora Merkel, su pressione della Spd, ha messo in programma un salario minimo di 8,5 euro l'ora, ma riservandosi di vararlo entro quattro anni. Il resto d'Europa è ancora più indietro, tanto è vero che in Italia l'Electrolux, per non delocalizzare gli impianti all'Est, pretende di diminuire i salari. Ancora: Obama ha riportato gli Stati Uniti ad essere la prima destinazione degli investimenti internazionali, strappando il primato alla Cina. Ha ridotto della metà il deficit federale, e nello stesso tempo - grazie alla politica espansiva della Federal reserve - ha creato otto milioni di nuovi posti di lavoro in quattro anni e portato la disoccupazione al livello più basso degli ultimi cinque anni. Altri successi: la più alta percentuale di laureati da tre decenni, l'indipendenza energetica sempre più vicina, infine un massiccio ritorno di capitali negli Usa.

Certo, questo ritorno è quello che sta destabilizzando le Borse mondiali, poiché i grandi investitori - appena hanno fiutato il rilancio Usa - hanno cominciato a disinvestire nei Paesi che erano considerati emergenti, dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) fino a Turchia e Argentina, indebolendone le monete. E sull'inversione di tendenza ha certamente influito il tapering della Fed, ovvero la riduzione di 10 miliardi al mese nelle iniezioni di dollari all'economia Usa: soldi che finora hanno alimentato la ripresa, ma anche gli investimenti delle banche americane nei Brics, almeno fino a pochi giorni fa.

L'economista Nobel, Paul Krugman, consigliere di Obama e teorico della lotta alla diseguaglianza, sottolinea un altro punto: i grandi speculatori ed i super-ricchi Usa «oggi stanno peggio di quanto starebbero se nel 2012 avesse vinto Mitt Romney». Hanno meno sgravi fiscali e devono pagare più tasse per sostenere la riforma sanitaria voluta da Obama. Tuttavia siamo ancora al punto che «l'uno per cento», i super-ricchi, possiede la metà dell'intera ricchezza della popolazione mondiale. E nei loro confronti, sostiene Krugman, Obama non ha fatto ancora nulla di paragonabile a ciò che fece Franklin D. Roosevelt nel 1936 per mettere in riga «il capitale organizzato», attirandosi l'odio dei pescicani di Wall Street . Sarà pur vero, sarà magari un invito a Obama a fare di più. Ma è un fatto che i banchieri Usa hanno dovuto subire controvoglia la «Volcker rule», appoggiata da Obama, e separare il credito ordinario dalle attività speculative, colpevoli della crisi finanziaria iniziata 2008 e dilagata nel mondo intero.

A Bruxelles, invece, i tentativi per separare il credito ordinario dalle attività speculative sono ben lontani dall'imitare la «Volcker rule». Anzi, a firma del commissario Michel Barnier, hanno prodotto l'ennesimo documento interlocutorio e pasticciato, una giungla di cavilli talmente complessi che aggirarli sarebbe uno scherzo per le banche speculative. Usare il condizionale è d'obbligo, poiché il documento Barnier è soltanto propositivo, in quanto la materia dovrà essere affrontata dalla prossima Commissione Ue, che uscirà dalle elezioni europee del 24-25 maggio. A questo si deve aggiungere che, nell'ultima riunione, la Germania e la Francia, a tutela delle loro grandi banche piene di derivati, hanno chiesto e ottenuto che alla separazione del credito ordinario dalle attività speculative dovranno provvedere le Banche centrali dei singoli Paesi. Traduzione: a Berlino l'Europa va bene solo quando serve a legnare i concorrenti con l'austerità, ma guai a darle poteri veri sulle sue banche. E questo spiega come mai perfino Obama, dato per bollito da molti analisti fino a poco fa, dal confronto con l'Europa esca ora come un gigante.er un saluto ai parenti italiani.

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