sabato 8 febbraio 2014

Dibattito
Per ridurre davvero la spesa pubblica, con un taglio di 40 miliardi, Renzi lasci perdere Taddei e segua i consigli del professor Brambilla
 di Tino Oldani

Mai buttare via le buone idee. E quelle di Alberto Brambilla, uno dei maggiori esperti europei di questioni previdenziali, sono addirittura ottime. Il Corriere della sera le ha pubblicate ieri a pagina 34, quella delle Idee& Opinioni, ma sotto forma di lettera al direttore, forse per non irritare la casta degli economisti che di solito pontificano con gli editoriali in prima pagina. Presentato con un occhiello riduttivo («Ricette») e un titolo piatto («Come tagliare quaranta miliardi per garantire una vera ripresa»), l'articolo di Brambilla è diviso in tre parti.

Con la prima smentisce gli esponenti del governo che parlano di «inversione del ciclo economico» e di ripresa, a cominciare dal premier Enrico Letta.

Con la seconda spiega con esempi pratici perché le piccole e medie imprese italiane sono condannate al fallimento a causa della voracità del fisco, che si mangia il 60% degli utili di quelle che vanno ancora bene e manda regolarmente in fallimento quelle che non riescono più a farne.

Con la terza parte, infine, offre al governo e al mondo politico alcuni suggerimenti non richiesti per tagliare davvero la spesa pubblica, riducendola di 40 miliardi di euro, vale a dire del 5% visto che ogni anno lo Stato spende 800 miliardi di euro. È appena il caso di ricordare che il Manifesto sull'euro di Paolo Savona, finora il più coraggioso in materia, propone un taglio della spesa pubblica del 3% del pil, pari a 45 miliardi, per mettere i conti dello Stato in sicurezza. Dunque, una convergenza di dati interessante.

Ma dove tagliare? Con esempi concreti, Brambilla spiega anzitutto che è possibile tagliare molto di più di quanto ha indicato finora Matteo Renzi, il quale continua a ripetere che l'Italia diventerebbe più credibile in Europa riducendo di un miliardo (uno solo!) i costi della politica. Un intervento, quello del segretario Pd, limitato di fatto all'abolizione del Senato elettivo e delle Province, alla riduzione del numero dei parlamentari e a minori compensi per i consiglieri regionali.

Il piano di Brambilla è più ambizioso. Degli 800 miliardi di spesa pubblica annuale dello Stato, spiega, il 49% viene assorbito dal welfare (pensioni, sanità, cassa integrazione, spese sociali), mentre il 40% se ne va per il funzionamento della macchina amministrativa. Il primo bubbone da incidere senza pietà, sostiene Brambilla, è proprio questo: la macchina burocratica.

Ecco come: «Accorpando per decreto tutti i Comuni sotto i 2 mila abitanti, passeremmo da 8.101 a poco più di 4 mila Comuni, mentre le partecipate municipali da 20 mila scenderebbero a meno della metà, con accorpamenti vitali nei settori dei trasporti (la vera bomba dei prossimi anni) e servizi (acqua, nettezza urbana, energia, ecc.). Per inciso: i primi mille Comuni hanno meno di 300 abitanti in media, i secondi mille meno di 700, i terzi mille meno di 1.300». Brambilla non quantifica il risparmio di spesa pubblica che si otterrebbe cancellando dai libri paga dello Stato circa 4 mila sindaci e le relative amministrazioni. Ma di certo siamo ben oltre un miliardo di euro.

Oltre a cancellare (accorpandoli) i Comuni troppo piccoli, Brambilla suggerisce di fare la stessa cosa con le Regioni che non superano i 2 milioni di abitanti compresa la città capoluogo, ma dispongono delle stesse strutture amministrative delle Regioni più grandi e popolose: Consiglio Regionale, Giunta, Commissioni, migliaia di burocrati, auto blu e rimborsi spese. Qualche esempio? «Il Molise fa 300 mila abitanti (meno di un quartiere di Roma)», scrive Brambilla, «ma ha tutte le strutture pubbliche regionali, capoluogo, provinciali e un sacco di Comuni micro; Valle d'Aosta con 124 mila abitanti, ma anche la Basilicata, l'Umbria, ecc.». Altri tagli: «Via le Province elettive, e dò per scontato la riduzione della politica centrale con una Camera, metà dei deputati, e Senato non elettivo». Scontato? Finora il taglio di metà dei deputati non è stato ancora proposto da nessuno, e non è detto che passi.

Insieme ai tagli, per Brambilla, servono alcune misure per alleggerire i costi delle imprese, ridurre le pratiche burocratiche, e aumentare i salari. Sul Corsera li indica per punti: «1) Semplificare il mercato del lavoro, dove oggi 1.500 pagine di leggi e norme non consentono occupazione. 2) Migliorare l'uso del welfare integrativo per aumentare le buste paga. 3) Introdurre il contrasto di interessi per evitare che oltre 7 milioni di italiani lavorino in nero, facendo concorrenza sleale. 4) Consentire ammortamenti annuali per spese e investimenti (oggi chi investe paga subito e scarica dalle tasse i costi in 10 anni)». Dunque, non soltanto tagli, ma anche misure fiscali più severe contro gli evasori (il contrasto di interessi), accompagnate da agevolazioni per chi investe. «Tra tagli alla macchina burocratica, razionalizzazioni sul welfare e contrasto di interessi si possono risparmiare oltre 40 miliardi l'anno», conclude Brambilla.

Può darsi che la sua sia una stima un po' gonfiata. Ma se davvero Renzi vuole tagliare la spesa pubblica, dimentichi le baggianate che gli ha suggerito finora Filippo Taddei, l'aspirante economista promosso a responsabile dell'Economia nella segretaria Pd, faccia propri i suggerimenti di Brambilla, li sommi a quelli del Manifesto di Paolo Savona, e li imponga nell'agenda del governo Letta. Questo sì che sarebbe un vero cambio di passo.

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