Agenzia Xinhua
TROPPO SMOG: CCTV ATTACCA GOVERNO DI PECHINO
Pechino, 17 feb. - Continua l'emergenza smog a Pechino e aumentano le critiche al governo della municipalita' della capitale per la mancata risposta all'emergenza. Lo riferisce l'agenzia di stampa Xinhua. Le critiche sono apparse sabato sul sito web ufficiale della CCTV che denuncia l'inazione del governo locale. La capitale negli ultimi quattro giorni e' avvolta in una densa cappa di smog. Alle ore 20:00 di sabato l'indice della qualita' dell'aria (IQA) ha raggiunto i livelli massimi tali da costituire un rischio per la salute, secondo i dati del Centro di Monitoraggio Ambientale della capitale cinese. L'emittente televisiva nazionale CCTV ha quindi chiesto al governo di "non fingere di esser accecato dalla nebbia". Il governo municipale di Pechino lo scorso ottobre ha approvato un piano di emergenza anti-smog che prevede la circolazione di veicoli a targhe alterne e la chiusura delle scuole in caso di allarme rosso, mentre in caso di allarme arancione, ovvero con un livello di smog grave, prescrive la chiusura temporanea degli stabilimenti industriali o la riduzione della produzione industriale e il divieto di utilizzare fuochi d'artificio. Il piano, tuttavia, non e' stato mai attuato, sebbene vi siano state richieste di un intervento del governo in piu' di una occasione. Ma Jun, fondatore di un istituto no profit per i problemi ambientali ha, invece, dichiarato che il governo in caso di allerta smog "dovrebbe fermare subito gli stabilimenti industriali le cui emissioni sono di gran lunga piu' serie di quelle dei veicoli". Questo fine settimana, Pechino non e' stata l'unica citta' ad avere un'aria irrespirabile, il problema si e' presentato infatti anche nella vicina municipalita' di Tianjin, nonche' nelle province di Hebei, Shandong, Henan, Shanxi e Shaanxi, dove il Centro Meteorologico Nazionale ha dichiarato un livello di inquinamento moderato. Il problema dell'inquinamento in Cina ha ormai raggiunto proporzioni tali da richiedere uno sforzo congiunto di risoluzione a livello globale.
martedì 18 febbraio 2014
Agenzia Xinhua
PRESTITI BANCHE A GENNAIO SALGONO AL TOP DA 4 ANNI
Pechino, 15 feb. - A gennaio i prestiti bancari in Cina sono saliti al massimo da quattro anni, un dato che mostra come la seconda economia mondiale si sia tutt'altro che raffreddata. Le banche cinesi hanno erogato prestiti per 1.320 miliardi di yuan a gennaio (217,6 miliardi di dollari), quasi tre volte piu' che a dicembre, anche in concomitanza con le festivita' del nuovo anno lunare, che in Cina rappresenta il periodo di massimo shopping.
PRESTITI BANCHE A GENNAIO SALGONO AL TOP DA 4 ANNI
Pechino, 15 feb. - A gennaio i prestiti bancari in Cina sono saliti al massimo da quattro anni, un dato che mostra come la seconda economia mondiale si sia tutt'altro che raffreddata. Le banche cinesi hanno erogato prestiti per 1.320 miliardi di yuan a gennaio (217,6 miliardi di dollari), quasi tre volte piu' che a dicembre, anche in concomitanza con le festivita' del nuovo anno lunare, che in Cina rappresenta il periodo di massimo shopping.
domenica 16 febbraio 2014
I Turisti Cinesi valgono ORO
Il mercato turistico nei periodi di bassa stagione potrebbe essere per la Sardegna l'uovo di Colombo
solo se riuscissimo a comunicarlo per farci conoscere dai turisti cinesi sui quali oramai i numeri parlano chiaro. Abbiamo tutto ciò che loro desiderano, un vero sistema unico nel suo genere : aeroporto, hotel a 5 stelle,B&B, ristoranti, pizzerie, agriturismi, Golfo e Parco di Porto Conte, laguna del Calich, borgo di Fertilia, Monte Doglia, situato in una posizione strategica e naturalistica, l'Azienda agrituristica Sa Mandra,il centro storico commerciale naturale, bastioni Magellano, porto, mercato del primo pescato, passeggiata Barcellona, pista ciclabile, lo splendido complesso nuragico di Palmavera, la storica cantina di Sella & Mosca, il Museo del Corallo, la facoltà di Architettura, la spiaggia di Maria Pia e Porto Ferro, infine il Teatro Civico per piccoli spettacoli. Cos'altro vogliamo di più ? Basta lamentarsi è ora del fare.
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solo se riuscissimo a comunicarlo per farci conoscere dai turisti cinesi sui quali oramai i numeri parlano chiaro. Abbiamo tutto ciò che loro desiderano, un vero sistema unico nel suo genere : aeroporto, hotel a 5 stelle,B&B, ristoranti, pizzerie, agriturismi, Golfo e Parco di Porto Conte, laguna del Calich, borgo di Fertilia, Monte Doglia, situato in una posizione strategica e naturalistica, l'Azienda agrituristica Sa Mandra,il centro storico commerciale naturale, bastioni Magellano, porto, mercato del primo pescato, passeggiata Barcellona, pista ciclabile, lo splendido complesso nuragico di Palmavera, la storica cantina di Sella & Mosca, il Museo del Corallo, la facoltà di Architettura, la spiaggia di Maria Pia e Porto Ferro, infine il Teatro Civico per piccoli spettacoli. Cos'altro vogliamo di più ? Basta lamentarsi è ora del fare.
ORSI & TORI
di Paolo Panerai
Matteo Charles De Gaulle? Riuscirà il sindaco Renzi a far nascere la nuova Repubblica italiana come fece il generale francese con la quinta Republique? Il punto di partenza è diverso perché De Gaulle dovette ritirarsi a Colombey-les-deux-églises, nel 1953, scontento di come andavano le vicende politiche e certo in quel periodo non aiutato da Jacques Chaban-Delmas, Michel Debré e gli altri cosiddetti colonnelli del gollismo. Ma i fallimenti della guerra in Indocina e Algeria travolsero la quarta Republique con la crisi costituzionale del 13 maggio 1958. Così De Gaulle venne richiamato dal suo buen retiro e il 1º giugno 1958 venne nominato primo ministro con poteri enormi, corrispondenti a quelli della prima Costituente. Il generale utilizzò questi poteri per riformare la Costituzione nel senso di eliminare la dittatura parlamentare, vale a dire quell'assetto istituzionale che offriva potere di veto alle minoranze in un Parlamento molto
frazionato fino appunto a bloccare l'attività di governo. Dal 1959 al 1969, cioè per dieci anni, De Gaulle fu presidente della Republique, affrontando come prima cosa la crisi economica anche con l'introduzione del nuovo franco.
Renzi diventa primo ministro senza ancora avere provato la delusione dell'esilio volontario a Rignano sull'Arno, ma con analoghe attese da parte degli italiani rispetto a quelle dei francesi dal ritorno di De Gaulle. I tempi sono diversi, le storie sono diverse, ma nella sostanza anche l'Italia ha un sostanziale problema di ingovernabilità del Paese non tanto per il Parlamento, che pure con i due rami, Camera e Senato, che fanno esattamente le stesse cose è assolutamente di intralcio alla speditezza dell'azione di governo e quindi va riformato, quanto soprattutto da una burocrazia che è a tutti gli effetti casta di potere assoluto nel Paese.
Il prossimo primo ministro Renzi sa bene che anche per una scarsa conoscenza della macchina burocratica rischia molto; sa che la minoranza del Pd lo ha spinto a buttare fuori da Palazzo Chigi l'amico (o ex amico) Enrico Letta nella speranza di poter riagguantare le leve del potere del partito; sa benissimo che tutti lo aspettano alla prova con il fucile puntato e che dovrà percorrere una strada piena di trappole, compresa la possibilità che essere oggi senza macchia diventi un ricordo del passato (basterebbe che per qualche atto venisse deferito alla Corte dei Conti o peggio che qualche magistrato politicizzato dalla parte delle minoranze del Pd lo avvisi di un qualsiasi banale reato). Sa bene tutto questo, ma lui e i suoi più vicini collaboratori, come il bravissimo ex vicesindaco di Firenze e ora autorevole deputato, Dario Nardella, hanno fatto questo elementare ragionamento: se fosse continuata la vita stentata del governo Letta a loro giudizio nel giro di cinque o sei mesi sarebbe stato inevitabile andare alle elezioni e in quel caso il Pd, dominus comunque del governo, sarebbe andato diritto verso la sconfitta. Quindi, tanto vale metterci la faccia e tutte le energie anche a costo di condurre un'operazione un po' brutale e generare ancora una volta
nella storia della Repubblica una crisi fuori dal Parlamento come in effetti è avvenuto con la decisione di tutto nella direzione del Pd e le dimissioni di Letta direttamente al presidente Giorgio Napolitano senza neppure un ritorno alle Camere.
L'Italia ha estremamente bisogno di quanto Renzi si propone di fare con una serie di riforme e con un forte, fortissimo, rilancio dell'economia: i presidenti degli Stati Uniti riescono a fare il secondo mandato solo se quando ci sono le elezioni l'andamento dell'economia è positivo. Ma quante probabilità ha Renzi con i suoi giovani collaboratori di riuscire nell'obiettivo di rivoltare l'Italia come un calzino?
Secondo alcuni sono più i rischi di insuccesso che le probabilità di successo. Questo giornale non la pensa così, conoscendo quanto coriaceo e rapido è Renzi. A trasformare la sua avventura in un insuccesso possono essere solo trappoloni molto bene organizzati o errori nella scelta dei ministri chiave, in primo luogo quello dell'Economia, che accorpando Tesoro, Finanze e Bilancio vale quasi più della presidenza del Consiglio. Lo ha dimostrato Giulio Tremonti che di fatto ha dato a lungo scacco matto a un presidente del Consiglio pur molto attrezzato e di per sé potente come Silvio Berlusconi. Se per caso Renzi decidesse di scegliere per questo ministero un uomo capace ma debole commetterebbe l'errore di Letta con la scelta del bravo ma non duro Fabrizio Saccomanni. Quindi la scelta è fra due fuochi: un uomo forte che possa imporsi alla direzione generale del Tesoro e alla Ragioneria dello Stato o un uomo meno forte, con il rischio che sia travolto appunto dalla burocrazia. La scelta deve avvenire al centro di questi due estremi con un uomo o una donna sufficientemente forte ma che sia in perfetta sintonia con il presidente del Consiglio e che abbia nei suoi confronti piena lealtà. Una scelta non facile. Quando Renzi proporrà il nome del ministro dell'Economia al presidente Napolitano si capirà se la scelta almeno di partenza è stata giusta, non dovendo fra l'altro il presidente del Consiglio tralasciare che il più potente ministro del suo governo sia anche gradito e in sintonia con il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi. A questo giornale risulta che Renzi abbia già avuto un lungo colloquio con Draghi, ma se anche viene soddisfatta la necessità di sintonia con il capo della Bce (come in effetti c'era da parte di Saccomanni) dovranno comunque coesistere le altre qualità di forza (che è mancata all'ex direttore generale di Bankitalia) e lealtà.
Già da pochi minuti dopo la conclusione della direzione del Pd, nel pomeriggio di giovedì 13, Renzi si è preoccupato di capire come organizzarsi a Palazzo Chigi e ha fatto chiedere consiglio a chi aveva a lungo, da dirigente, vissuto in quel palazzo. Il consiglio spassionato è stato ad avviso di questo giornale corretto: presso la presidenza del Consiglio deve essere trasferita la parte più importante della Ragioneria generale dello Stato. Non è dato sapere se Renzi vorrà o potrà seguire questo suggerimento, ma certo con i bottoni della Ragioneria presso Palazzo Chigi, Renzi farebbe un grande passo avanti nel progetto di disinnescare il potere autonomo della burocrazia e in particolare di chi detiene la cassa.
Con una mossa come questa potrebbe attuare il progetto di Franco Bassanini e Marcello Messori che avevano preparato per Letta e Saccomanni, come sanno bene i lettori di questo giornale, una procedura perché in poche settimane fosse possibile immettere nel sistema ben 77 miliardi cash attraverso il pagamento, con lo sconto fatto dalle banche, dei crediti correnti delle aziende italiane. Bastava, e basta, un decreto del governo che riconosce e garantisce quei crediti che sono già iscritti fra i debiti dello Stato e che con la formula Bassanini-Messori non costringerebbero il governo, per pagarli, a indebitarsi ulteriormente. Semplicemente perché i soldi ce li metterebbero le banche, ben contente di scontare quei crediti alle aziende riconosciuti e garantiti dalla Stato, quindi senza assorbimento di capitale nel rapporto che le regole bancarie impongono fra il capitale proprio e la quantità di credito erogabile in base a esso. Infatti la garanzia dello Stato, almeno tuttora, fa considerare il pagamento di quel debito sicuro, quindi senza assorbimento di capitale.
La possibilità di immettere ben 77 miliardi nel sistema economico italiano (si tratta di un po' più di quattro punti di pil) è al primo posto nel progetto che gli economisti di L'Italia c'è (Andrea Monorchio, ex ragioniere generale dello stato, Guido Salerno, ex dirigente della commissione bilancio del Senato, e Paolo Savona, ex braccio destro di Guido Carli ed ex ministro) hanno preparato per offrire a Renzi un punto di riferimento sulle cose da fare subito per superare stabilmente la crisi. Sulle stesse tematiche di taglio drastico del debito (un obiettivo sicuro di Renzi), di taglio della pressione fiscale (grazie ai minori tassi di interessi da pagare sul debito) e sulla ricapitalizzazione delle piccole e medie aziende si sono da tempo, anche su sollecitazione di questo giornale, esercitati altri economisti, come Roberto Poli, ex presidente dell'Eni, Alberto Quadrio Curzio, professore alla Cattolica, Pellegrino Capaldo, professore di ragioneria e consulente raffinato di grandi gruppi. Loro e anche altri sono pronti a entrare nel comitato de L'Italia c'è per fungere da libero pensatoio e consulenti interpellabili in qualsiasi momento dal governo, così come è il ruolo dei Saggi dell'economia in Germania.
I pessimisti pensano che comunque Renzi non ne avrà bisogno perché non durerà a lungo. Il ragionamento di questi sconta la considerazione che il prossimo presidente del Consiglio è uomo molto intelligente e veloce e che quindi, in realtà, avrebbe deciso di salire a Palazzo Chigi con il proposito di andare presto alle elezioni. In che modo? Preparando un programma di riforme e di intereventi che tutti coloro che hanno esperienza e buon senso predicano invano da anni. Insomma un programma che ha il suo nucleo negli obiettivi e nelle metodologie per raggiungerli, indicati dal comitato di L'Italia c'è. Un programma di largo consenso tra gli elettori.
Ma appunto Renzi è ben consapevole delle difficoltà che potrà avere ad attuarlo e che quindi, in realtà, la sua carta di riserva sarebbe quella stessa che giocò De Gaulle ritirandosi a Colombey-les-deux-églises. Al primo scherzo del Parlamento o della burocrazia, Renzi non metterebbe tempo in mezzo e dichiarerebbe coram populi che con questa struttura del Paese non si può governare. Chiederebbe quindi elezioni immediate con la quasi certezza di vincerle sulla base del progetto che non avrebbe potuto attuare anche per l'esistenza di due rami identici del Parlamento, una burocrazia che è potere autonomo, la mancanza di potere effettivo dell'esecutivo. Esattamente le problematiche di allora della Francia di De Gaulle, anche se in forma diversa. Per tornare trionfante al potere, De Gaulle dovette aspettare quasi cinque anni che si compisse la tragedia della Francia, mentre Renzi nel caso potrà appunto chiedere elezioni immediate, al primo intoppo, senza lasciarsi logorare. E se effettivamente ottenesse un consenso popolare ampio, cioè fatte le debite proporzioni simile a quello delle primarie, in primo luogo rispetterebbe la sua stessa indicazione che per poter governare ci vuole l'investitura del popolo, ma soprattutto tornerebbe a governare con una forza politica ben maggiore, tale comunque, in caso di maggioranza assoluta, da poter varare le riforme che non fosse riuscito a varare in questo suo primo mandato da capo del governo.
C'è chi chiama questa manovra la vera carta di riserva che Renzi ha deciso di tenersi in tasca di fronte al grosso rischio che corre, avendo peraltro la possibilità di fare una prima esperienza governativa che gli potrà tornare molto utile al secondo giro.
Sia come sia, speculazioni o meno sulla furbizia di Renzi, certamente se anche lui, nono presidente del Consiglio dal 1994, anno indicato come inizio della Seconda repubblica, non riuscisse a cambiare il Paese con i poteri attuali, la maggioranza degli italiani molto probabilmente lo voterebbe in larga maggioranza. All'orizzonte c'è forse un'alternativa? (riproduzione riservata)
Paolo Panerai
di Paolo Panerai
Matteo Charles De Gaulle? Riuscirà il sindaco Renzi a far nascere la nuova Repubblica italiana come fece il generale francese con la quinta Republique? Il punto di partenza è diverso perché De Gaulle dovette ritirarsi a Colombey-les-deux-églises, nel 1953, scontento di come andavano le vicende politiche e certo in quel periodo non aiutato da Jacques Chaban-Delmas, Michel Debré e gli altri cosiddetti colonnelli del gollismo. Ma i fallimenti della guerra in Indocina e Algeria travolsero la quarta Republique con la crisi costituzionale del 13 maggio 1958. Così De Gaulle venne richiamato dal suo buen retiro e il 1º giugno 1958 venne nominato primo ministro con poteri enormi, corrispondenti a quelli della prima Costituente. Il generale utilizzò questi poteri per riformare la Costituzione nel senso di eliminare la dittatura parlamentare, vale a dire quell'assetto istituzionale che offriva potere di veto alle minoranze in un Parlamento molto
frazionato fino appunto a bloccare l'attività di governo. Dal 1959 al 1969, cioè per dieci anni, De Gaulle fu presidente della Republique, affrontando come prima cosa la crisi economica anche con l'introduzione del nuovo franco.
Renzi diventa primo ministro senza ancora avere provato la delusione dell'esilio volontario a Rignano sull'Arno, ma con analoghe attese da parte degli italiani rispetto a quelle dei francesi dal ritorno di De Gaulle. I tempi sono diversi, le storie sono diverse, ma nella sostanza anche l'Italia ha un sostanziale problema di ingovernabilità del Paese non tanto per il Parlamento, che pure con i due rami, Camera e Senato, che fanno esattamente le stesse cose è assolutamente di intralcio alla speditezza dell'azione di governo e quindi va riformato, quanto soprattutto da una burocrazia che è a tutti gli effetti casta di potere assoluto nel Paese.
Il prossimo primo ministro Renzi sa bene che anche per una scarsa conoscenza della macchina burocratica rischia molto; sa che la minoranza del Pd lo ha spinto a buttare fuori da Palazzo Chigi l'amico (o ex amico) Enrico Letta nella speranza di poter riagguantare le leve del potere del partito; sa benissimo che tutti lo aspettano alla prova con il fucile puntato e che dovrà percorrere una strada piena di trappole, compresa la possibilità che essere oggi senza macchia diventi un ricordo del passato (basterebbe che per qualche atto venisse deferito alla Corte dei Conti o peggio che qualche magistrato politicizzato dalla parte delle minoranze del Pd lo avvisi di un qualsiasi banale reato). Sa bene tutto questo, ma lui e i suoi più vicini collaboratori, come il bravissimo ex vicesindaco di Firenze e ora autorevole deputato, Dario Nardella, hanno fatto questo elementare ragionamento: se fosse continuata la vita stentata del governo Letta a loro giudizio nel giro di cinque o sei mesi sarebbe stato inevitabile andare alle elezioni e in quel caso il Pd, dominus comunque del governo, sarebbe andato diritto verso la sconfitta. Quindi, tanto vale metterci la faccia e tutte le energie anche a costo di condurre un'operazione un po' brutale e generare ancora una volta
nella storia della Repubblica una crisi fuori dal Parlamento come in effetti è avvenuto con la decisione di tutto nella direzione del Pd e le dimissioni di Letta direttamente al presidente Giorgio Napolitano senza neppure un ritorno alle Camere.
L'Italia ha estremamente bisogno di quanto Renzi si propone di fare con una serie di riforme e con un forte, fortissimo, rilancio dell'economia: i presidenti degli Stati Uniti riescono a fare il secondo mandato solo se quando ci sono le elezioni l'andamento dell'economia è positivo. Ma quante probabilità ha Renzi con i suoi giovani collaboratori di riuscire nell'obiettivo di rivoltare l'Italia come un calzino?
Secondo alcuni sono più i rischi di insuccesso che le probabilità di successo. Questo giornale non la pensa così, conoscendo quanto coriaceo e rapido è Renzi. A trasformare la sua avventura in un insuccesso possono essere solo trappoloni molto bene organizzati o errori nella scelta dei ministri chiave, in primo luogo quello dell'Economia, che accorpando Tesoro, Finanze e Bilancio vale quasi più della presidenza del Consiglio. Lo ha dimostrato Giulio Tremonti che di fatto ha dato a lungo scacco matto a un presidente del Consiglio pur molto attrezzato e di per sé potente come Silvio Berlusconi. Se per caso Renzi decidesse di scegliere per questo ministero un uomo capace ma debole commetterebbe l'errore di Letta con la scelta del bravo ma non duro Fabrizio Saccomanni. Quindi la scelta è fra due fuochi: un uomo forte che possa imporsi alla direzione generale del Tesoro e alla Ragioneria dello Stato o un uomo meno forte, con il rischio che sia travolto appunto dalla burocrazia. La scelta deve avvenire al centro di questi due estremi con un uomo o una donna sufficientemente forte ma che sia in perfetta sintonia con il presidente del Consiglio e che abbia nei suoi confronti piena lealtà. Una scelta non facile. Quando Renzi proporrà il nome del ministro dell'Economia al presidente Napolitano si capirà se la scelta almeno di partenza è stata giusta, non dovendo fra l'altro il presidente del Consiglio tralasciare che il più potente ministro del suo governo sia anche gradito e in sintonia con il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi. A questo giornale risulta che Renzi abbia già avuto un lungo colloquio con Draghi, ma se anche viene soddisfatta la necessità di sintonia con il capo della Bce (come in effetti c'era da parte di Saccomanni) dovranno comunque coesistere le altre qualità di forza (che è mancata all'ex direttore generale di Bankitalia) e lealtà.
Già da pochi minuti dopo la conclusione della direzione del Pd, nel pomeriggio di giovedì 13, Renzi si è preoccupato di capire come organizzarsi a Palazzo Chigi e ha fatto chiedere consiglio a chi aveva a lungo, da dirigente, vissuto in quel palazzo. Il consiglio spassionato è stato ad avviso di questo giornale corretto: presso la presidenza del Consiglio deve essere trasferita la parte più importante della Ragioneria generale dello Stato. Non è dato sapere se Renzi vorrà o potrà seguire questo suggerimento, ma certo con i bottoni della Ragioneria presso Palazzo Chigi, Renzi farebbe un grande passo avanti nel progetto di disinnescare il potere autonomo della burocrazia e in particolare di chi detiene la cassa.
Con una mossa come questa potrebbe attuare il progetto di Franco Bassanini e Marcello Messori che avevano preparato per Letta e Saccomanni, come sanno bene i lettori di questo giornale, una procedura perché in poche settimane fosse possibile immettere nel sistema ben 77 miliardi cash attraverso il pagamento, con lo sconto fatto dalle banche, dei crediti correnti delle aziende italiane. Bastava, e basta, un decreto del governo che riconosce e garantisce quei crediti che sono già iscritti fra i debiti dello Stato e che con la formula Bassanini-Messori non costringerebbero il governo, per pagarli, a indebitarsi ulteriormente. Semplicemente perché i soldi ce li metterebbero le banche, ben contente di scontare quei crediti alle aziende riconosciuti e garantiti dalla Stato, quindi senza assorbimento di capitale nel rapporto che le regole bancarie impongono fra il capitale proprio e la quantità di credito erogabile in base a esso. Infatti la garanzia dello Stato, almeno tuttora, fa considerare il pagamento di quel debito sicuro, quindi senza assorbimento di capitale.
La possibilità di immettere ben 77 miliardi nel sistema economico italiano (si tratta di un po' più di quattro punti di pil) è al primo posto nel progetto che gli economisti di L'Italia c'è (Andrea Monorchio, ex ragioniere generale dello stato, Guido Salerno, ex dirigente della commissione bilancio del Senato, e Paolo Savona, ex braccio destro di Guido Carli ed ex ministro) hanno preparato per offrire a Renzi un punto di riferimento sulle cose da fare subito per superare stabilmente la crisi. Sulle stesse tematiche di taglio drastico del debito (un obiettivo sicuro di Renzi), di taglio della pressione fiscale (grazie ai minori tassi di interessi da pagare sul debito) e sulla ricapitalizzazione delle piccole e medie aziende si sono da tempo, anche su sollecitazione di questo giornale, esercitati altri economisti, come Roberto Poli, ex presidente dell'Eni, Alberto Quadrio Curzio, professore alla Cattolica, Pellegrino Capaldo, professore di ragioneria e consulente raffinato di grandi gruppi. Loro e anche altri sono pronti a entrare nel comitato de L'Italia c'è per fungere da libero pensatoio e consulenti interpellabili in qualsiasi momento dal governo, così come è il ruolo dei Saggi dell'economia in Germania.
I pessimisti pensano che comunque Renzi non ne avrà bisogno perché non durerà a lungo. Il ragionamento di questi sconta la considerazione che il prossimo presidente del Consiglio è uomo molto intelligente e veloce e che quindi, in realtà, avrebbe deciso di salire a Palazzo Chigi con il proposito di andare presto alle elezioni. In che modo? Preparando un programma di riforme e di intereventi che tutti coloro che hanno esperienza e buon senso predicano invano da anni. Insomma un programma che ha il suo nucleo negli obiettivi e nelle metodologie per raggiungerli, indicati dal comitato di L'Italia c'è. Un programma di largo consenso tra gli elettori.
Ma appunto Renzi è ben consapevole delle difficoltà che potrà avere ad attuarlo e che quindi, in realtà, la sua carta di riserva sarebbe quella stessa che giocò De Gaulle ritirandosi a Colombey-les-deux-églises. Al primo scherzo del Parlamento o della burocrazia, Renzi non metterebbe tempo in mezzo e dichiarerebbe coram populi che con questa struttura del Paese non si può governare. Chiederebbe quindi elezioni immediate con la quasi certezza di vincerle sulla base del progetto che non avrebbe potuto attuare anche per l'esistenza di due rami identici del Parlamento, una burocrazia che è potere autonomo, la mancanza di potere effettivo dell'esecutivo. Esattamente le problematiche di allora della Francia di De Gaulle, anche se in forma diversa. Per tornare trionfante al potere, De Gaulle dovette aspettare quasi cinque anni che si compisse la tragedia della Francia, mentre Renzi nel caso potrà appunto chiedere elezioni immediate, al primo intoppo, senza lasciarsi logorare. E se effettivamente ottenesse un consenso popolare ampio, cioè fatte le debite proporzioni simile a quello delle primarie, in primo luogo rispetterebbe la sua stessa indicazione che per poter governare ci vuole l'investitura del popolo, ma soprattutto tornerebbe a governare con una forza politica ben maggiore, tale comunque, in caso di maggioranza assoluta, da poter varare le riforme che non fosse riuscito a varare in questo suo primo mandato da capo del governo.
C'è chi chiama questa manovra la vera carta di riserva che Renzi ha deciso di tenersi in tasca di fronte al grosso rischio che corre, avendo peraltro la possibilità di fare una prima esperienza governativa che gli potrà tornare molto utile al secondo giro.
Sia come sia, speculazioni o meno sulla furbizia di Renzi, certamente se anche lui, nono presidente del Consiglio dal 1994, anno indicato come inizio della Seconda repubblica, non riuscisse a cambiare il Paese con i poteri attuali, la maggioranza degli italiani molto probabilmente lo voterebbe in larga maggioranza. All'orizzonte c'è forse un'alternativa? (riproduzione riservata)
Paolo Panerai
Il futuro dell'Italia è deciso fuori Italia
di Pierluigi Magnaschi
Il 70% dell'attività legislativa italiana si riduce al recepimento di direttive comunitarie, la politica monetaria è stata integralmente deferita alla Bce, così come è europea la dimensione minima per poter fare politica estera (cioè per cercare di contenere gli uragani politico-economici che stano squassando il mondo). Anche la politica di bilancio (il famoso vincolo del 3%) e, attraverso di esso, pure la politica tributaria, viene, in sostanza, decisa a livello europeo.
E dal prossimo anno, con l'applicazione del Fiscal compact, approvato entusiasticamente da un parlamento italiano che non lo aveva letto e che, se lo aveva letto, non lo aveva capito, dovremmo vedere i sorci verdi, come si dice dalle parti del Tevere. Ovviamente, la dimensione europea per poter fronteggiare le sfide internazionali è quella minima. Ma la dimensione realistica, per poter tutelare i nostri interessi nel mondo, è quella globale. Basti pensare, ad esempio, che la lunga crisi economica nella quale siamo precipitati è nata negli Usa. Anche la sopravvalutazione dell'euro (che rende più costose le nostre esportazioni) nasce dalla politica espansiva della Fed. E si potrebbe continuare.
Ebbene, quanto è stato detto, analizzato, discusso, di questi problemi, nel dibattito politico che sta portando a Palazzo Chigi, Matteo Renzi? Niente, come se l'Italia fosse un'isola felice, gestibile dalla tolda di comando dei due chilometri quadrati che si trovano nel centro di Roma dove infatti si discute accanitamente e in modo bizantino di Imu da mettere, sospendere, allargare o denominare in vario modo e, da un quarto di secolo, anche dell'art. 18 che peraltro è rimasto intonso perché intoccabile. Tanto vale allora accantonarlo e non parlarne più. Costi quel che costi.
Da noi nessuno si è accorto (mentre le infinite dirette tv strologavano per ore fra Cuperlo e Civati) che il presidente francese Hollande è stato ricevuto con grandi onori da Obama in un viaggio in Usa che è durato ben cinque giorni. Come mai tutti questi tappeti rossi al rappresentante di un paese che ha solo il 18% di pil in più dell'Italia e a un presidente che ha un gradimento del 19% da parte dei francesi? Perché Hollande può essere il cuneo europeo della strategia Usa contro la Merkel. A proposito di politica estera.
di Pierluigi Magnaschi
Il 70% dell'attività legislativa italiana si riduce al recepimento di direttive comunitarie, la politica monetaria è stata integralmente deferita alla Bce, così come è europea la dimensione minima per poter fare politica estera (cioè per cercare di contenere gli uragani politico-economici che stano squassando il mondo). Anche la politica di bilancio (il famoso vincolo del 3%) e, attraverso di esso, pure la politica tributaria, viene, in sostanza, decisa a livello europeo.
E dal prossimo anno, con l'applicazione del Fiscal compact, approvato entusiasticamente da un parlamento italiano che non lo aveva letto e che, se lo aveva letto, non lo aveva capito, dovremmo vedere i sorci verdi, come si dice dalle parti del Tevere. Ovviamente, la dimensione europea per poter fronteggiare le sfide internazionali è quella minima. Ma la dimensione realistica, per poter tutelare i nostri interessi nel mondo, è quella globale. Basti pensare, ad esempio, che la lunga crisi economica nella quale siamo precipitati è nata negli Usa. Anche la sopravvalutazione dell'euro (che rende più costose le nostre esportazioni) nasce dalla politica espansiva della Fed. E si potrebbe continuare.
Ebbene, quanto è stato detto, analizzato, discusso, di questi problemi, nel dibattito politico che sta portando a Palazzo Chigi, Matteo Renzi? Niente, come se l'Italia fosse un'isola felice, gestibile dalla tolda di comando dei due chilometri quadrati che si trovano nel centro di Roma dove infatti si discute accanitamente e in modo bizantino di Imu da mettere, sospendere, allargare o denominare in vario modo e, da un quarto di secolo, anche dell'art. 18 che peraltro è rimasto intonso perché intoccabile. Tanto vale allora accantonarlo e non parlarne più. Costi quel che costi.
Da noi nessuno si è accorto (mentre le infinite dirette tv strologavano per ore fra Cuperlo e Civati) che il presidente francese Hollande è stato ricevuto con grandi onori da Obama in un viaggio in Usa che è durato ben cinque giorni. Come mai tutti questi tappeti rossi al rappresentante di un paese che ha solo il 18% di pil in più dell'Italia e a un presidente che ha un gradimento del 19% da parte dei francesi? Perché Hollande può essere il cuneo europeo della strategia Usa contro la Merkel. A proposito di politica estera.
Per Antonio Polito, il cambio della guardia a Palazzo Chigi è molto facile da decifrare
Il Pd è cambiato e Letta è caduto
Renzi ha voluto prendere in mano la barra del governo
di Fabio Franchini Ilsussidiario.net
Matteo Renzi ha indicato la rotta: «Usciamo dalla palude» in cui si è impantanato il governo Letta. Il segretario del Pd ha sfiduciato di fatto il compagno di partito Enrico Letta. e il suo insediamento a Palazzo Chigi è questione di ore. Il progetto di Renzi (che propone un patto fino al 2018) è certamente coraggioso, ma in quanti lo seguiranno? E cosa succederà adesso nel panorama politico italiano? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Polito, direttore del Corriere del Mezzogiorno ed editorialista del Corsera.
Domanda.
Finisce il governo Letta, arriva Renzi. Tutto normale?
Risposta. Nei paesi normali si vincono le elezioni per andare al governo; questo non è accaduto e bisogna sottolineare che è molto tempo che non succede. E, soprattutto, non è normale che un unico partito produca tre premier in un anno: Bersani, presidente del Consiglio incaricato con un modello che prevedeva un'alleanza con il M5s; Letta, obbligato a fare le larghe intese con Berlusconi; e infine Renzi, che dovrebbe fare le larghe intese con Berlusconi fuori dal governo, ma in una maggioranza esterna che fa le riforme. D. Letta aveva detto: chi vuol venire al mio posto deve dire cosa vuol fare. Renzi lo ha fatto?
R: Beh, Renzi ha detto l'essenziale. ha chiesto la sua testa. Ecco, sui contenuti non ha detto molto, ma ha parlato della durata dell'incarico (fino al 2018) e dell'accelerata che vorrebbe imprimere, premendo sul pedale con più vigore rispetto a Letta. Certo, siamo ben lontani da un programma di governo. E a proposito...
D. Prego.
R.Il Pd non ha la maggioranza e dovrà contrattare il programma con le altre forze parlamentari. Cosa che Alfano ha subito ricordato,.
D. Ma Letta è caduto effettivamente perché serviva una svolta o per rivalità politiche interne?
R. Letta ha fatto poco, ma prima l'esecutivo è stato bloccato per due-tre mesi dai ricatti di Berlusconi e poi, perché ha dovuto aspettare la risoluzione del giallo interno al partito, con la vittoria di Renzi e la sua proposta politica.
D. Quindi paga colpe (anche) non sue?
R. Le forze politiche, compreso il Pd, hanno molte responsabilità nel poco che ha fatto il governo Letta. È caduto perché il suo partito, rispetto al momento della sua nomina a primo ministro, è cambiato completamente e Renzi vuole assumere il comando delle operazioni.
D. Il Pd è più forte o più debole di prima?
R. Ha dato uno spettacolo brutto che non lo avvantaggia, soprattutto perché si era tanto detto che il prossimo governo sarebbe nato dalle urne e che Renzi non sarebbe diventato premier senza la benedizione popolare. È anche vero però che se i risultati di governo sono visibili e convincenti, queste cose si dimenticano in fretta. C'è poi il nodo delle elezioni europee.
D. Si spieghi.
R. Renzi teme il fatto che un brutto esito delle europe possa mandare per aria la sua segreteria. Ha pensato dunque di premunirsi facendo campagna elettorale da Palazzo Chigi, dimostrando che il Pd è cambiato in meglio. Se gli riesce questo giochetto il Pd ne esce più forte.
D. Il fatto che Renzi diventi premier senza passare dalle urne è un elemento che lo indebolisce?
R. Certo, il Paese è sorpreso e anche un po' sconcertato per quello che è successo. E parallelamente si rafforza la propaganda di Grillo e Berlusconi contro il Pd, ma tutto questo può essere pareggiato da un effetto «del fare», se il governo funzionasse.
D: Ncd non assicura l'appoggio. Gioco delle parti o c'è dell'altro?
R. Ncd entrerà nel governo, Il partito di Alfano, decisivo al senato) ha però il problema di spiegare il proprio ruolo in un governo di centro-sinistra.
D. Renzi punta al 2018. Ce la farà?
R. La condizione della maggioranza è abborracciata. E nel programma di Renzi, ci sono temi urticanti proprio per Ncd. Assisteremo a qualche mal di pancia di sicuro. Sta a vedere quanti saranno...
D. Basteranno Renzi e la sua squadra a dare discontinuità?
R. Godrebbe del pieno sostegno del proprio partito, cosa che Letta non aveva. Ma la questione cruciale sono i margini di manovra che il governo italiano ha sul tema della finanza pubblica insieme alle politiche europee adottate in materia. Se il resto d'Europa e i mercati decidessero di scommettere sulla proposta politica di Renzi ne trarremmo sicuro vantaggio, ma non credo che Renzi godrà di un trattamento speciale. Spero di sbagliarmi.
D. Come cambieranno i rapporti con Forza Italia? Può Renzi fare le riforme con chi gli farà l'opposizione?
R. Questa è la vera incognita. Renzi e Berlusconi si erano accordati per fare le riforme e tornare al voto. Ora Renzi vuole di governare fino al 2018, ma Berlusconi non ha certo voglia di aspettare 4 anni. Il tutto potrebbe avere conseguenze sul tavolo delle riforme con Fi che potrebbe far saltare tutto.
D. Siamo alla vigilia di una nuova elezione del capo dello Stato?
R. Il presidente della Repubblica ha detto che non avrebbe fatto tutto il mandato e che avrebbe retto la carica finché il processo di riforme si fosse avviato e le sue forze lo avessero sostenuto. Ora la legge elettorale è alla cfamera e dovrebbe arrivare quella relativa al titolo V. Credo che Napolitano si dimetterà non appena la situazione si incanalerà sui binari della stabilità e non appena si possa tornare alle urne senza che succeda la fine del mondo.
D. Letta? Avrà un posto nel governo Renzi?
R. Per come si è comportato e per l'orgoglio che ha dimostrato, escludo quest'ipotesi. Facendo il parallelo con Prodi e D'Alema, quest'ultimo si preoccupò di sistemare il Professore in Europa; poiché in Europa ci sono numerose cariche prossime a rinnovarsi penso che il suo futuro possa essere lì.
Il Pd è cambiato e Letta è caduto
Renzi ha voluto prendere in mano la barra del governo
di Fabio Franchini Ilsussidiario.net
Matteo Renzi ha indicato la rotta: «Usciamo dalla palude» in cui si è impantanato il governo Letta. Il segretario del Pd ha sfiduciato di fatto il compagno di partito Enrico Letta. e il suo insediamento a Palazzo Chigi è questione di ore. Il progetto di Renzi (che propone un patto fino al 2018) è certamente coraggioso, ma in quanti lo seguiranno? E cosa succederà adesso nel panorama politico italiano? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Polito, direttore del Corriere del Mezzogiorno ed editorialista del Corsera.
Domanda.
Finisce il governo Letta, arriva Renzi. Tutto normale?
Risposta. Nei paesi normali si vincono le elezioni per andare al governo; questo non è accaduto e bisogna sottolineare che è molto tempo che non succede. E, soprattutto, non è normale che un unico partito produca tre premier in un anno: Bersani, presidente del Consiglio incaricato con un modello che prevedeva un'alleanza con il M5s; Letta, obbligato a fare le larghe intese con Berlusconi; e infine Renzi, che dovrebbe fare le larghe intese con Berlusconi fuori dal governo, ma in una maggioranza esterna che fa le riforme. D. Letta aveva detto: chi vuol venire al mio posto deve dire cosa vuol fare. Renzi lo ha fatto?
R: Beh, Renzi ha detto l'essenziale. ha chiesto la sua testa. Ecco, sui contenuti non ha detto molto, ma ha parlato della durata dell'incarico (fino al 2018) e dell'accelerata che vorrebbe imprimere, premendo sul pedale con più vigore rispetto a Letta. Certo, siamo ben lontani da un programma di governo. E a proposito...
D. Prego.
R.Il Pd non ha la maggioranza e dovrà contrattare il programma con le altre forze parlamentari. Cosa che Alfano ha subito ricordato,.
D. Ma Letta è caduto effettivamente perché serviva una svolta o per rivalità politiche interne?
R. Letta ha fatto poco, ma prima l'esecutivo è stato bloccato per due-tre mesi dai ricatti di Berlusconi e poi, perché ha dovuto aspettare la risoluzione del giallo interno al partito, con la vittoria di Renzi e la sua proposta politica.
D. Quindi paga colpe (anche) non sue?
R. Le forze politiche, compreso il Pd, hanno molte responsabilità nel poco che ha fatto il governo Letta. È caduto perché il suo partito, rispetto al momento della sua nomina a primo ministro, è cambiato completamente e Renzi vuole assumere il comando delle operazioni.
D. Il Pd è più forte o più debole di prima?
R. Ha dato uno spettacolo brutto che non lo avvantaggia, soprattutto perché si era tanto detto che il prossimo governo sarebbe nato dalle urne e che Renzi non sarebbe diventato premier senza la benedizione popolare. È anche vero però che se i risultati di governo sono visibili e convincenti, queste cose si dimenticano in fretta. C'è poi il nodo delle elezioni europee.
D. Si spieghi.
R. Renzi teme il fatto che un brutto esito delle europe possa mandare per aria la sua segreteria. Ha pensato dunque di premunirsi facendo campagna elettorale da Palazzo Chigi, dimostrando che il Pd è cambiato in meglio. Se gli riesce questo giochetto il Pd ne esce più forte.
D. Il fatto che Renzi diventi premier senza passare dalle urne è un elemento che lo indebolisce?
R. Certo, il Paese è sorpreso e anche un po' sconcertato per quello che è successo. E parallelamente si rafforza la propaganda di Grillo e Berlusconi contro il Pd, ma tutto questo può essere pareggiato da un effetto «del fare», se il governo funzionasse.
D: Ncd non assicura l'appoggio. Gioco delle parti o c'è dell'altro?
R. Ncd entrerà nel governo, Il partito di Alfano, decisivo al senato) ha però il problema di spiegare il proprio ruolo in un governo di centro-sinistra.
D. Renzi punta al 2018. Ce la farà?
R. La condizione della maggioranza è abborracciata. E nel programma di Renzi, ci sono temi urticanti proprio per Ncd. Assisteremo a qualche mal di pancia di sicuro. Sta a vedere quanti saranno...
D. Basteranno Renzi e la sua squadra a dare discontinuità?
R. Godrebbe del pieno sostegno del proprio partito, cosa che Letta non aveva. Ma la questione cruciale sono i margini di manovra che il governo italiano ha sul tema della finanza pubblica insieme alle politiche europee adottate in materia. Se il resto d'Europa e i mercati decidessero di scommettere sulla proposta politica di Renzi ne trarremmo sicuro vantaggio, ma non credo che Renzi godrà di un trattamento speciale. Spero di sbagliarmi.
D. Come cambieranno i rapporti con Forza Italia? Può Renzi fare le riforme con chi gli farà l'opposizione?
R. Questa è la vera incognita. Renzi e Berlusconi si erano accordati per fare le riforme e tornare al voto. Ora Renzi vuole di governare fino al 2018, ma Berlusconi non ha certo voglia di aspettare 4 anni. Il tutto potrebbe avere conseguenze sul tavolo delle riforme con Fi che potrebbe far saltare tutto.
D. Siamo alla vigilia di una nuova elezione del capo dello Stato?
R. Il presidente della Repubblica ha detto che non avrebbe fatto tutto il mandato e che avrebbe retto la carica finché il processo di riforme si fosse avviato e le sue forze lo avessero sostenuto. Ora la legge elettorale è alla cfamera e dovrebbe arrivare quella relativa al titolo V. Credo che Napolitano si dimetterà non appena la situazione si incanalerà sui binari della stabilità e non appena si possa tornare alle urne senza che succeda la fine del mondo.
D. Letta? Avrà un posto nel governo Renzi?
R. Per come si è comportato e per l'orgoglio che ha dimostrato, escludo quest'ipotesi. Facendo il parallelo con Prodi e D'Alema, quest'ultimo si preoccupò di sistemare il Professore in Europa; poiché in Europa ci sono numerose cariche prossime a rinnovarsi penso che il suo futuro possa essere lì.
sabato 15 febbraio 2014
POLITICA INTERNAZIONALE
KERRY A PECHINO INCONTRA XI E WANG
Tra i temi, disputa Cina-Giappone e nucleare nordcoreano
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 14 feb. - Il segretario di Stato americano John Kerry è arrivato oggi a Pechino, per la seconda tappa asiatica della sua missione, che lo ha portato ieri in Corea del Sud e proseguirà per l'Indonesia e gli Emirati Arabi Uniti. La visita di oggi servirà anche per preparare il terreno a Obama, che si recherà Pechino ad aprile prossimo. Kerry ha incontrato Xi Jinping alla Grande Sala del Popolo e successivamente il Ministro degli Esteri Wang Yi. All'ordine del giorno, l'acuirsi dei toni nella disputa con il Giappone per le rivendicazioni territoriali nel Mare Cinese Orientale, e la questione del nucleare nord-coreano, affrontata da Kerry nella tappa in Corea del Sud con la presidente Park Geun-hye.
L'incontro con Xi Jinping è stato "molto costruttivo" ha detto Kerry. Il segretario di Stato Usa si è detto anche "molto lieto di avere potuto approfondire in dettaglio alcune delle questioni riguardanti la Corea del Nord". Xi Jinping ha rinnovato l'impegno cinese nel costruire "un nuovo modello di relazioni sino-americane", come già dichiarato in precedenza durante la visita del vice presidente Usa, Joe Biden, nei giorni caldi delle polemiche sull'ADIZ, la zona di identificazione aerea di Difesa sul Mare Cinese Orientale.
Le forti polemiche con il Giappone proseguono da settimane, da quando cioè, il primo ministro di Tokyo, Shinzo Abe, si era recato in visita, il 26 dicembre scorso, al tempio Yasukuni, il santuario dove sono sepolti i soldati morti durante il secondo conflitto mondiale, ma anche alcuni generali che Pechino annovera tra i criminali di guerra. Negli ultimi giorni, i toni si sono molto alzati con editoriali di fuoco contro il Giappone pubblicati dai maggiori media cinesi: questa settimana, un lungo articolo del Quotidiano del Popolo, il giornale ufficiale del PCC, ha definito il primo ministro Shinzo Abe un gangster politico. Kerry ha ribadito la posizione di Washigton sull'ADIZ cinese esistente, e su un'altra possibile nel Mare Cinese Meridionale, dove Pechino ha altre questioni di sovranità irrisolte con i Paesi della regione. "Abbiamo detto molto chiaramente che una unilaterale e non annunciata iniziativa come quella, costituirebbe una sfida per alcuni popoli della regione e una minaccia alla stabilità". Le difficili relazioni diplomatiche cinesi con alcuni Stati del sud-est asiatico hanno avuto, nella settimana del capodanno, anche un altro scambio di battute roventi con il presidente delle Filippine, Benigno Aquino, che in un'intervista al New York Times aveva definito la dirigenza cinese nazista nella gestione delle sue rivendicazioni territoriali. Pechino ha replicato a brevissima distanza definendo Aquino un ignorante e un turista della politica.
Sulle dispute di sovranità, Wang ha chiesto agli Stati Uniti di rispettare la posizione cinese e di mantenere un atteggiamento "oggettivo e imparziale" per promuovere la comprensione reciproca nella regione e salvaguardare la pace e la stabilità. Kerry ha sottolineato l'importanza del codice di condotta nel Mare Cinese Meridionale come strumento utile a evitare l'escalation della tensione al largo delle coste meridionali cinesi, e ha chiesto da parte di tutte le parti coinvolte la creazione di unità anti-crisi per gestire i momenti di maggiore frizione. Ma sulle isole contese con Tokyo, le Senkaku/Diaoyu, che rappresentano per Pechino il maggiore punto di frizione con il Giappone, le posizioni sono ancora distanti. Prima di partire per Pechino, ieri, Kerry aveva rinnovato il sostegno a Tokyo, in caso di escalation con Pechino, che rivendica l'arcipelago come parte integrante del proprio territorio nazionale, con il nome di Diaoyu.
Un punto di accordo, invece, Washington e Pechino, lo hanno sulle gestione dei rapporti con Pyonyang. La questione nord-coreana è stata affrontata da Kerry anche durante l'incontro con il ministro degli Esteri, Wang Yi, che ha rassicurato il segretario di Stato Usa sull'impegno cinese a mantenere la stabilità nella penisola. La Cina, ha dichiarato Wang, non permetterà il caos tra le due Coree. "Non solo lo diciamo - ha detto il ministro degli Esteri cinese - lo facciamo". La decisa presa di posizione cinese nei confronti di Pyongyang riscontra anche il favore di Washington. La Cina, ha detto Kerry ai giornalisti presenti, "non avrebbe potuto esprimere con più forza il proprio impegno" nei confronti della questione nord-coreana. Kerry ha poi anche detto che se la Corea del Nord non si dimostrerà seria nell'intenzione di fermare il suo programma nucleare, la Cina prenderà in considerazione l'ipotesi di "ulteriori mosse" per convincere Pyongyang a desistere dallo sviluppo di armi atomiche.
14 febbraio 2014
KERRY A PECHINO INCONTRA XI E WANG
Tra i temi, disputa Cina-Giappone e nucleare nordcoreano
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 14 feb. - Il segretario di Stato americano John Kerry è arrivato oggi a Pechino, per la seconda tappa asiatica della sua missione, che lo ha portato ieri in Corea del Sud e proseguirà per l'Indonesia e gli Emirati Arabi Uniti. La visita di oggi servirà anche per preparare il terreno a Obama, che si recherà Pechino ad aprile prossimo. Kerry ha incontrato Xi Jinping alla Grande Sala del Popolo e successivamente il Ministro degli Esteri Wang Yi. All'ordine del giorno, l'acuirsi dei toni nella disputa con il Giappone per le rivendicazioni territoriali nel Mare Cinese Orientale, e la questione del nucleare nord-coreano, affrontata da Kerry nella tappa in Corea del Sud con la presidente Park Geun-hye.
L'incontro con Xi Jinping è stato "molto costruttivo" ha detto Kerry. Il segretario di Stato Usa si è detto anche "molto lieto di avere potuto approfondire in dettaglio alcune delle questioni riguardanti la Corea del Nord". Xi Jinping ha rinnovato l'impegno cinese nel costruire "un nuovo modello di relazioni sino-americane", come già dichiarato in precedenza durante la visita del vice presidente Usa, Joe Biden, nei giorni caldi delle polemiche sull'ADIZ, la zona di identificazione aerea di Difesa sul Mare Cinese Orientale.
Le forti polemiche con il Giappone proseguono da settimane, da quando cioè, il primo ministro di Tokyo, Shinzo Abe, si era recato in visita, il 26 dicembre scorso, al tempio Yasukuni, il santuario dove sono sepolti i soldati morti durante il secondo conflitto mondiale, ma anche alcuni generali che Pechino annovera tra i criminali di guerra. Negli ultimi giorni, i toni si sono molto alzati con editoriali di fuoco contro il Giappone pubblicati dai maggiori media cinesi: questa settimana, un lungo articolo del Quotidiano del Popolo, il giornale ufficiale del PCC, ha definito il primo ministro Shinzo Abe un gangster politico. Kerry ha ribadito la posizione di Washigton sull'ADIZ cinese esistente, e su un'altra possibile nel Mare Cinese Meridionale, dove Pechino ha altre questioni di sovranità irrisolte con i Paesi della regione. "Abbiamo detto molto chiaramente che una unilaterale e non annunciata iniziativa come quella, costituirebbe una sfida per alcuni popoli della regione e una minaccia alla stabilità". Le difficili relazioni diplomatiche cinesi con alcuni Stati del sud-est asiatico hanno avuto, nella settimana del capodanno, anche un altro scambio di battute roventi con il presidente delle Filippine, Benigno Aquino, che in un'intervista al New York Times aveva definito la dirigenza cinese nazista nella gestione delle sue rivendicazioni territoriali. Pechino ha replicato a brevissima distanza definendo Aquino un ignorante e un turista della politica.
Sulle dispute di sovranità, Wang ha chiesto agli Stati Uniti di rispettare la posizione cinese e di mantenere un atteggiamento "oggettivo e imparziale" per promuovere la comprensione reciproca nella regione e salvaguardare la pace e la stabilità. Kerry ha sottolineato l'importanza del codice di condotta nel Mare Cinese Meridionale come strumento utile a evitare l'escalation della tensione al largo delle coste meridionali cinesi, e ha chiesto da parte di tutte le parti coinvolte la creazione di unità anti-crisi per gestire i momenti di maggiore frizione. Ma sulle isole contese con Tokyo, le Senkaku/Diaoyu, che rappresentano per Pechino il maggiore punto di frizione con il Giappone, le posizioni sono ancora distanti. Prima di partire per Pechino, ieri, Kerry aveva rinnovato il sostegno a Tokyo, in caso di escalation con Pechino, che rivendica l'arcipelago come parte integrante del proprio territorio nazionale, con il nome di Diaoyu.
Un punto di accordo, invece, Washington e Pechino, lo hanno sulle gestione dei rapporti con Pyonyang. La questione nord-coreana è stata affrontata da Kerry anche durante l'incontro con il ministro degli Esteri, Wang Yi, che ha rassicurato il segretario di Stato Usa sull'impegno cinese a mantenere la stabilità nella penisola. La Cina, ha dichiarato Wang, non permetterà il caos tra le due Coree. "Non solo lo diciamo - ha detto il ministro degli Esteri cinese - lo facciamo". La decisa presa di posizione cinese nei confronti di Pyongyang riscontra anche il favore di Washington. La Cina, ha detto Kerry ai giornalisti presenti, "non avrebbe potuto esprimere con più forza il proprio impegno" nei confronti della questione nord-coreana. Kerry ha poi anche detto che se la Corea del Nord non si dimostrerà seria nell'intenzione di fermare il suo programma nucleare, la Cina prenderà in considerazione l'ipotesi di "ulteriori mosse" per convincere Pyongyang a desistere dallo sviluppo di armi atomiche.
14 febbraio 2014
CULTURA
Il Balletto della Scala
torna a Hong Kong
Roma, 14 feb.- A sei anni dall'ultima trasferta in Cina il Balletto della Scala torna a Hong Kong dove porterà in scena Giselle, opera in due atti di Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges da Théophile Gautier. La tournée, che prevede sei recite tra il 18 e il 22 febbraio, è parte della 42esima edizione dell' Hong Kong Arts Festival.
Musicata dalla Hong Kong Sinfonietta, diretta da David Garforth, Giselle vedrà la étoile Svetlana Zakharova e l'ospite David Hallberg per due recite calcare le scene del Gran Teatro dell' Hong Kong Cultural Centre. Ma saranno impegnati anche primi ballerini, solisti e giovani artisti della compagnia: Giselle sarà interpretata da Lusymay Di Stefano e Virna Toppi, nel ruolo di Albrecht danzeranno Claudio Coviello e Antonino Sutera.
Accanto a loro Nicoletta Manni e Luana Saullo (Myrtha), Mick Zeni, Alessandro Grillo e Marco Agostino (Hilarion) mentre il passo a due dei contadini verrà affidato a Vittoria Valerio, Antonino Sutera poi a Denise Gazzo e Vittoria Valerio con Federico Fresi.
"Per coloro che hanno familiarità con il mondo della danza – si legge sulla stampa dell'ex colonia britannica - il nome "la Scala" non ha bisogno di introduzioni. Con oltre 230 anni di storia il Balletto di Milano rappresenta una delle compagnie più famose in Italia e, in un certo senso, nel mondo per aver reso noti al pubblico internazionale ballerini quali Mara Galeazzi, Roberto Bolle e Carla Fracci. Non sorprende dunque che gli hongkonghesi abbiano preso d'assalto le biglietterie per accaparrarsi le prevendite di Giselle, un capolavoro malinconico considerato uno dei balletti più romantici di sempre. Un viaggio nelle emozioni per quei fortunati che sono riusciti ad aggiudicarsi una poltrona".
Inaugurato nel 1973, l' Hong Kong Arts Festival patrocinato dal dipartimento culturale del governo è uno principali eventi culturali dell'Asia che ogni anno propone ricco repertorio di spettacoli e manifestazioni.
14 febbraio 2014
@Riproduzione riservata
Il Balletto della Scala
torna a Hong Kong
Roma, 14 feb.- A sei anni dall'ultima trasferta in Cina il Balletto della Scala torna a Hong Kong dove porterà in scena Giselle, opera in due atti di Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges da Théophile Gautier. La tournée, che prevede sei recite tra il 18 e il 22 febbraio, è parte della 42esima edizione dell' Hong Kong Arts Festival.
Musicata dalla Hong Kong Sinfonietta, diretta da David Garforth, Giselle vedrà la étoile Svetlana Zakharova e l'ospite David Hallberg per due recite calcare le scene del Gran Teatro dell' Hong Kong Cultural Centre. Ma saranno impegnati anche primi ballerini, solisti e giovani artisti della compagnia: Giselle sarà interpretata da Lusymay Di Stefano e Virna Toppi, nel ruolo di Albrecht danzeranno Claudio Coviello e Antonino Sutera.
Accanto a loro Nicoletta Manni e Luana Saullo (Myrtha), Mick Zeni, Alessandro Grillo e Marco Agostino (Hilarion) mentre il passo a due dei contadini verrà affidato a Vittoria Valerio, Antonino Sutera poi a Denise Gazzo e Vittoria Valerio con Federico Fresi.
"Per coloro che hanno familiarità con il mondo della danza – si legge sulla stampa dell'ex colonia britannica - il nome "la Scala" non ha bisogno di introduzioni. Con oltre 230 anni di storia il Balletto di Milano rappresenta una delle compagnie più famose in Italia e, in un certo senso, nel mondo per aver reso noti al pubblico internazionale ballerini quali Mara Galeazzi, Roberto Bolle e Carla Fracci. Non sorprende dunque che gli hongkonghesi abbiano preso d'assalto le biglietterie per accaparrarsi le prevendite di Giselle, un capolavoro malinconico considerato uno dei balletti più romantici di sempre. Un viaggio nelle emozioni per quei fortunati che sono riusciti ad aggiudicarsi una poltrona".
Inaugurato nel 1973, l' Hong Kong Arts Festival patrocinato dal dipartimento culturale del governo è uno principali eventi culturali dell'Asia che ogni anno propone ricco repertorio di spettacoli e manifestazioni.
14 febbraio 2014
@Riproduzione riservata
TURISMO, RIMINI SCOMMETTE SULLA CINA
GIANCARLO DALL'ARA, CHINESE FRIENDLY ITALY
di Sonia Montrella
Twitter@SoniaMontrella
Roma, 14 feb.-E' Rimini la città più amica della Cina d'Italia. Almeno in fatto di turismo. Lo assicura ad AgiChina24 Giancarlo Dall'Ara, professore di marketing turistico e direttore di Chinese Friendly Italy: progetto ItalyChina Friendly pensato da un team di ricercatori accademici, interpreti, traduttori e consulenti marketing, specializzati nel mercato turistico del Paese di Mezzo
"Rimini sta diventando un caso di grande interesse per coloro che si occupano di promozione turistica verso il mercato perché è una delle pochissime località italiane che ha un sito web concepito in cinese e non, dunque, una semplice traduzione. La città ha anche aperto un account su Sina Weibo, il Twitter cinese, e non credo siano molte le località italiane che lo hanno fatto. E come altre realtà ha ospitato truppe televisive, il sindaco stesso è stato intervistato per circa mezzora dalla tv di stato CCTV sulla città".
E poi c'è la mappa della città completamente in cinese
Esattamente. Rimini ha due progetti in cantiere a completamento di questo percorso: il primo è appunto rappresentato dalla piantina, la prima in Italia per quanto mi risulti; il secondo è quello di dotarsi di uffici di informazione turistica chinese-friendly, con materiale tradotto e personale formato ad hoc. In parallelo, la città ha aperto uno spazio web dedicato agli alberghi riminesi – ad oggi nove – che stanno adottando gli standard di qualità per diventare chinese-friendly.
Quali sono i requisiti?
Si va dalla segnaletica in cinese all'interno dell'hotel, al personale che dopo un corso di formazione sa come accogliere i turisti del Gigante asiatico, incontrare i loro desideri e le necessità. E poi ancora, il wi-fi libero, i servizi di cortesia in bagno, sito internet e materiale sulla città in cinese e una particolare attenzione al menu.
Rimini non è esattamente tra le principali mete italiane del Drago
Ad oggi non è molto conosciuta. Quella del comune è una vera e propria scommessa. D'altronde le premesse sono buone: è molto vicina a San Marino, ad esempio, molto nota in Cina, e può puntare sullo shopping, campo in cui è abbastanza forte. Io ritengo che noi non dobbiamo subire il turismo cinese ma se possibile anticipare le tendenze, incubarle. Sappiamo che la maggior parte dei cinesi non ama le proposte tradizionali della riviera romagnola, ma non è detto che se qualcuno fa conoscere un certo modo di far vacanza degli italiani, questo non piaccia ai cinesi. Anzi. Il cinese che verrà quest'anno e nei prossimi anni è un turista molto diverso da quello del passato e sia aspetta un turismo personalizzato. A questo proposito segnalo che l'ultimo numero della rivista National Geographic Traveller versione cinese ha messo in copertina proprio i viaggi personalizzati.
I francesi vogliono proporre in Cina le vacanze in campeggio, perché non possiamo proporre anche noi una vacanza in stile italiano?
La città romagnola non è l'unica città ad aver scommesso sulla Cina...
Alessandria sta facendo cose molto interessanti da questo punto di vista. Ad iniziare da un itinerario chinese friendly, quindi non luogo, un ufficio, ma un percorso mobile. Sono sempre stato molto critico sull'offerta turistica italiane verso la Cina, ma registro delle importanti novità.
In cosa siamo ancora carenti?
Siamo troppo statici. Offrire una proposta concepita venti anni fa, magari per il mercato tedesco, ai cinesi del 2014 è una cosa che non da frutti, non da risultato. Pensare che il marketing sia solo legato alle fiere è inconcepibile. Soprattutto se questa mentalità viene dall'Italia, da sempre pioniera nel turismo. E' necessario osare ed esportare il nostro modello turistico. Perché diamo per scontato che ai cinesi non interessi? Alessandria e Rimini ci stanno provando, e con numeri molto modesti rispetto alle grandi città d'arte.
Restando in tema di numeri, quanti sono i potenziali turisti cinesi in Italia?
L'Italia ha un mercato realistico di 2 milioni di cinesi in arrivo, ad oggi siamo ancora a quota 8000mila. Con l'Expo di Milano – sostengono gli specialisti del settore - possiamo arrivare a circa un milione. Me lo auguro, ma non possiamo incontrare strozzature come quella legata alle difficoltà nel rilascio di visti individuali. Se così fosse rischieremmo di ritrovarci nella situazione in cui i cinesi faranno base a Parigi, molto più elastica in fatto di visti, e verranno a Milano solo per un'escursione.
Quali sono i prossimi appuntamenti nell'agenda di Chinese Friendly Italy?
Il più importante è il Matching China che si terrà il prossimo 20 marzo a Rimini. Un workshop in cui facciamo incontrare una ventina di tour operator italiani - di buyers - specializzati sul mercato cinese con il sistema Chinese Friendly, e con altri operatori ( dai musei, ai golf club, di cantine, outlet…)
Prima dell'appuntamento di Rimini, il 20 febbraio ad Alessandria terremo una giornata interamente dedicata al turismo cinese. E poi, come Chinese Friendly Italy prenderemo parte alla Fiera turistica di Canton dal 27 febbraio 1 marzo.
14 febbraio 2014
GIANCARLO DALL'ARA, CHINESE FRIENDLY ITALY
di Sonia Montrella
Twitter@SoniaMontrella
Roma, 14 feb.-E' Rimini la città più amica della Cina d'Italia. Almeno in fatto di turismo. Lo assicura ad AgiChina24 Giancarlo Dall'Ara, professore di marketing turistico e direttore di Chinese Friendly Italy: progetto ItalyChina Friendly pensato da un team di ricercatori accademici, interpreti, traduttori e consulenti marketing, specializzati nel mercato turistico del Paese di Mezzo
"Rimini sta diventando un caso di grande interesse per coloro che si occupano di promozione turistica verso il mercato perché è una delle pochissime località italiane che ha un sito web concepito in cinese e non, dunque, una semplice traduzione. La città ha anche aperto un account su Sina Weibo, il Twitter cinese, e non credo siano molte le località italiane che lo hanno fatto. E come altre realtà ha ospitato truppe televisive, il sindaco stesso è stato intervistato per circa mezzora dalla tv di stato CCTV sulla città".
E poi c'è la mappa della città completamente in cinese
Esattamente. Rimini ha due progetti in cantiere a completamento di questo percorso: il primo è appunto rappresentato dalla piantina, la prima in Italia per quanto mi risulti; il secondo è quello di dotarsi di uffici di informazione turistica chinese-friendly, con materiale tradotto e personale formato ad hoc. In parallelo, la città ha aperto uno spazio web dedicato agli alberghi riminesi – ad oggi nove – che stanno adottando gli standard di qualità per diventare chinese-friendly.
Quali sono i requisiti?
Si va dalla segnaletica in cinese all'interno dell'hotel, al personale che dopo un corso di formazione sa come accogliere i turisti del Gigante asiatico, incontrare i loro desideri e le necessità. E poi ancora, il wi-fi libero, i servizi di cortesia in bagno, sito internet e materiale sulla città in cinese e una particolare attenzione al menu.
Rimini non è esattamente tra le principali mete italiane del Drago
Ad oggi non è molto conosciuta. Quella del comune è una vera e propria scommessa. D'altronde le premesse sono buone: è molto vicina a San Marino, ad esempio, molto nota in Cina, e può puntare sullo shopping, campo in cui è abbastanza forte. Io ritengo che noi non dobbiamo subire il turismo cinese ma se possibile anticipare le tendenze, incubarle. Sappiamo che la maggior parte dei cinesi non ama le proposte tradizionali della riviera romagnola, ma non è detto che se qualcuno fa conoscere un certo modo di far vacanza degli italiani, questo non piaccia ai cinesi. Anzi. Il cinese che verrà quest'anno e nei prossimi anni è un turista molto diverso da quello del passato e sia aspetta un turismo personalizzato. A questo proposito segnalo che l'ultimo numero della rivista National Geographic Traveller versione cinese ha messo in copertina proprio i viaggi personalizzati.
I francesi vogliono proporre in Cina le vacanze in campeggio, perché non possiamo proporre anche noi una vacanza in stile italiano?
La città romagnola non è l'unica città ad aver scommesso sulla Cina...
Alessandria sta facendo cose molto interessanti da questo punto di vista. Ad iniziare da un itinerario chinese friendly, quindi non luogo, un ufficio, ma un percorso mobile. Sono sempre stato molto critico sull'offerta turistica italiane verso la Cina, ma registro delle importanti novità.
In cosa siamo ancora carenti?
Siamo troppo statici. Offrire una proposta concepita venti anni fa, magari per il mercato tedesco, ai cinesi del 2014 è una cosa che non da frutti, non da risultato. Pensare che il marketing sia solo legato alle fiere è inconcepibile. Soprattutto se questa mentalità viene dall'Italia, da sempre pioniera nel turismo. E' necessario osare ed esportare il nostro modello turistico. Perché diamo per scontato che ai cinesi non interessi? Alessandria e Rimini ci stanno provando, e con numeri molto modesti rispetto alle grandi città d'arte.
Restando in tema di numeri, quanti sono i potenziali turisti cinesi in Italia?
L'Italia ha un mercato realistico di 2 milioni di cinesi in arrivo, ad oggi siamo ancora a quota 8000mila. Con l'Expo di Milano – sostengono gli specialisti del settore - possiamo arrivare a circa un milione. Me lo auguro, ma non possiamo incontrare strozzature come quella legata alle difficoltà nel rilascio di visti individuali. Se così fosse rischieremmo di ritrovarci nella situazione in cui i cinesi faranno base a Parigi, molto più elastica in fatto di visti, e verranno a Milano solo per un'escursione.
Quali sono i prossimi appuntamenti nell'agenda di Chinese Friendly Italy?
Il più importante è il Matching China che si terrà il prossimo 20 marzo a Rimini. Un workshop in cui facciamo incontrare una ventina di tour operator italiani - di buyers - specializzati sul mercato cinese con il sistema Chinese Friendly, e con altri operatori ( dai musei, ai golf club, di cantine, outlet…)
Prima dell'appuntamento di Rimini, il 20 febbraio ad Alessandria terremo una giornata interamente dedicata al turismo cinese. E poi, come Chinese Friendly Italy prenderemo parte alla Fiera turistica di Canton dal 27 febbraio 1 marzo.
14 febbraio 2014
DI PAOLO BORZATTA
IL FUTURO DELL'ITALIA IN CINA
di Paolo Borzatta
Twitter@BorzattaP
Dal blog Specchio Cinese
Milano, 12 feb. - Da quando è iniziato l’affare Bo Xilai – tutti noi osservatori della Cina - siamo rimasti focalizzati sulla dirigenza cinese. Sono stati mesi estremamente densi: da un probabile colpo di stato alla transizione morbida alla nuova “forte” leadership di Xi Jinping. L’insediamento della nuova leadership ci ha inoltre spinto a dedicare le nostre energie a tentare di indovinare dai primi segnali forti e deboli quale potrebbe essere l’evoluzione della leadership stessa e soprattutto del Paese.
L’editoriale di The Economist del 25 di gennaio, “China loses its allure”, ci ha però richiamato prepotentemente a interrogarci sulle nostre relazioni con un Paese che sta cambiando rapidissimamente e in cui – soprattutto – sta cambiando il modello economico che l’ha portato ai grandi attuali successi. Il modello cinese sta infatti rapidamente passando da una forte apertura ai capitali stranieri, che hanno giocato – con la loro enorme quantità – il ruolo di “primo stadio” del vettore cinese facendolo definitivamente decollare, a una maggiore attenzione allo sviluppo del mercato interno (che sarà il “secondo stadio”) insieme al rafforzamento competitivo delle aziende cinesi oltre a una maggiore attenzione ai rischi di tensioni sociali. Il rafforzamento competitivo delle aziende cinesi comporterà una progressiva riduzione delle protezioni delle aziende statali cinesi e un maggior livellamento delle regole competitive per facilitare lo sviluppo delle aziende private cinesi di piccole e medie dimensioni.
Oltre ad aumentare la competitività delle aziende locali, altri fenomeni concorrono a rendere la vita delle aziende straniere (ma anche cinesi) più difficile. I costi in generale sono aumentati e non sono più quelli degli anni d’oro, i costi e la difficoltà a trovare manager di valore (perché la domanda è elevatissima) sono pure amentati. Inoltre i consumatori, grazie anche all’effetto livellatore di internet (che ha ridotto l’asimmetria informativa del grande pubblico), alla molto migliorata qualità dei prodotti locali e all’emergere di un “orgoglio per le marche cinesi”, non sono più disponibili a pagare enormi premium price pur di comperare marche straniere.
Un altro importante fenomeno che ha reso più difficile operare in Cina è la progressiva crescita dei mercati interni.
All’inizio della “corsa all’oro” in Cina, il mercato che contava era addensato attorno ai tre grandi poli (Pechino, Shanghai e Canton) in rapida modernizzazione e crescita. Oggi vi sono centinaia di città sparse nel grande territorio cinese, anche all’interno, che stanno crescendo e che rappresentano dei mercati locali fondamentali. Per operare su tutto questo mercato occorre “combattere palmo a palmo” costruendo strutture – ovviamente costose - che possano coprire tutto il territorio; si noti che non è quasi mai possibile limitarsi a zone circoscritte perché essendo la competizione fortissima si rischia di lasciare spazio per rafforzarsi a concorrenti locali che poi utilizzeranno quel rafforzamento per rendere la vita quasi impossibile a chi non ha voluto espandersi.
Va anche aggiunto che se in passato le autorità cinesi, centrali o locali, chiudevano più di un occhio sulle infrazioni delle aziende straniere pur di garantirsi i loro investimenti, oggi sono forse passate all’estremo opposto proprio probabilmente per facilitare le aziende locali.
Da ultimo va detto che anche la situazione finanziaria ed economica è peggiorata. La Cina continua sì ad essere un mercato che cresce, ma a tassi non più così alti come in passato. Inoltre la situazione debitoria delle aziende locali (12,1 trilioni di USD da confrontare con 12,9 trilioni di USD delle aziende statunitensi che sono le più indebitate al mondo – fonte Wall Street Journal del 11 febbraio 2014), drogate dal credito facile concesso in passato anche per aiutarle a superare la crisi finanziaria dell’Occidente, è divenuta molto pesante e quindi il costo del danaro per le aziende cinesi è molto aumentato spingendole quindi a una maggiore aggressività su tutti i fronti.
Questo che cosa significa per le aziende del nostro Paese?
Quando la Cina si è aperta, l’Italia godeva di alcuni vantaggi di tutto rispetto. Era stato il secondo Paese occidentale a riconoscere la Repubblica Popolare Cinese (un anno dopo la Francia e molti anni prima degli Stati Uniti), aveva tenuto aperto importanti canali commerciali (tramite la Montedison) anche durante il maoismo, la Banca Commerciale Italiana non aveva mai formalmente chiuso, all’Italia non erano addebitati comportamenti colonialisti così nefandi come quelli di altre potenze coloniali (inglesi in testa) e infine – nell’immaginario collettivo cinese – l’Italia con il suo Impero Romano era ed è accreditata come l’unica altra grande civiltà oltre a quella cinese apparsa nella storia dell’uomo.
Come sappiamo siamo stati bravissimi a disperdere, in questi tre decenni dall’apertura della Cina, quasi tutto questo nostro capitale. Ha giocato negativamente un Governo che – indipendentemente dal colore politico della maggioranza di turno – non ha mai capito la Cina e non ha mai messo a punto una strategia di lungo termine verso quel Paese; se a volte ha provato ad abborracciare una parvenza di strategia (spesso pure sbagliata), l’ha poi immediatamente disattesa al primo frequente cambio di Governo. Molto altro si potrebbe aggiungere sulle mancanze e gli errori del Governo e della maggioranza delle Istituzioni italiane in relazione alla Cina, ma per carità di patria ci fermiamo qui.
Purtroppo però anche le aziende, private e pubbliche, non hanno saputo cogliere (eccezioni a parte), nei tre decenni della Grande Corsa all’Oro Cinese, le enormi opportunità che si stavano aprendo. La causa di questa povera performance vanno ricercate prima di tutto nella dimensione mediamente molto piccola della aziende italiane e quindi nella loro oggettiva maggiore difficoltà ad investire in questo mercato così diverso e così complesso. Ha inoltre giocato negativamente un atteggiamento abbastanza peculiare della maggioranza delle aziende italiane: l’abitudine culturale a progettare strategie “cost based” ovvero cercando di minimizzare i costi a differenza della progettazione strategica “revenue based” tipica delle aziende, grandi e piccole, delle grandi economie occidentali. Le strategie “revenue based” guardano a quanto mercato si potrebbe acquisire sulla base delle proprie competenze e investono sulla fiducia in se stessi a raggiungere quei risultati. E’ un po’ come se dovendo andare alle Olimpiadi un atleta, invece di fare tutti gli sforzi per conquistare un oro olimpico perché convinto delle proprie capacità, si limitasse a competere tanto per “partecipare” cercando di fare meno sforzi possibili e possibilmente di non farsi male.
Un’altra causa negativa della performance delle aziende italiane va infine ricercata nella mentalità provinciale di molti nostri imprenditori e manager. La Cina è molto diversa, ha una cultura molto differente e richiede un atto di umiltà per capirla e affrontarla. Spesso invece i nostri vertici aziendali hanno preferito classificare i comportamenti cinesi come quelli di un popolo arretrato che avrebbe dovuto “imparare” da noi. In altri casi è invece intervenuta la “sindrome della volpe e dell’uva”: viste le difficoltà (e a volte gli insuccessi) si è preferito dire che non valeva la pena tentare di entrare nel mercato cinese perché non ancora maturo!
Oggi, come abbiamo detto, le porte cominciano “a chiudersi”: vuoi perché il sistema renderà difficile la vita alle aziende straniere, vuoi perché i concorrenti – cinesi e stranieri - hanno oramai occupato posizioni importanti e difficili da scalzare.
Noi, con le nostre aziende, come siamo messi?
In alcuni settori abbiamo raggiunto interessanti risultati. Per quanto riguarda le esportazioni siamo in ottima posizione nella moda e accessori, dove siamo in seconda posizione mondiale, siamo decimi nella meccanica e componenti, abbiamo buona presenza, tredicesimi, nei veicoli e mezzi di trasporto. Più deboli negli altri settori.
Spesso davanti a noi ci sono la Germania (33% dell’export europeo verso la Cina contro il 5% dell’Italia) e la Francia e ovviamente Stati Uniti e Giappone.
A questo quadro va però aggiunto la situazione degli investimenti diretti delle nostre aziende che sono decisamente inferiori a quelli dei nostri concorrenti. Tra gli europei la Germania la fa da padrone in moltissimi importanti settori (si pensi solo all’automobile), ma gli Stati Uniti e il Giappone hanno pure investito massicciamente.
Anche sul fronte delle istituzioni, della ricerca, dell’università, della salute, pur in assenza di dati complessivi certi, la sensazione degli osservatori professionali è che le collaborazioni e le partnership sino-italiane, in questi importanti settori per la nostra competitività Paese, siano più deboli di quelle dei nostri diretti concorrenti.
In sintesi. Se misuriamo la nostra posizione oggi otteniamo un risultato positivo, ma più debole e in qualche caso molto più debole di quello dei concorrenti. Se però misurassimo il “costo di opportunità”, ovvero il mancato “margine” di quello che abbiamo perso perché non siamo stati capaci – come Paese e come singole aziende e istituzioni – di sfruttare il potenziale che avevamo, temo che otterremmo una cifra estremamente negativa. Personalmente seguo direttamente le relazioni Italia-Cina dal lontano 1985, ho seguito professionalmente centinaia di aziende italiane (ma anche francesi e statunitensi) che intendevano entrare o svilupparsi in quel mercato, ho vissuto in quel paese e ho partecipato a innumerevoli “missioni Paese” e posso testimoniare che le opportunità – proprio in settori per noi importanti come i veicoli, la meccanica, l’alimentare, la cultura e l’istruzione, ecc. - che abbiamo avuto sono state enormi. Purtroppo abbondantemente sprecate.
Quale è quindi il futuro dell’Italia in Cina?
Il contesto, come abbiamo visto, chiederà sempre di più alle aziende straniere di essere sempre più competitive. The Economist riassume benissimo dicendo: “China is still a rich prize. Firms that can boost productivity, improve governance and respond to local tastes can still prosper. But the golden years are over.”
In questo contesto, se non cambia qualcosa a livello Paese e soprattutto nella mentalità dei vertici delle aziende (e delle istituzioni) italiane, temo che il nostro futuro in Cina sarà – nelle migliori delle ipotesi – decoroso.
La Cina sarà però sempre di più il mercato più grande del pianeta e sempre di più le innovazioni e le idee nuove arriveranno da là.
Ci basta, come Italiani, avere – nella migliore delle ipotesi – una presenza decorosa?
POST SCRIPTUM. Queste cose le ripeto da quasi tre decenni, la mia frustrazione per non essere stato capace di diffonderle più efficacemente è alta.
SECONDO POST SCRIPTUM. Il mio prossimo editoriale su queste colonne sarà (presuntuosamente) su che cosa potrebbe ancora fare l’Italia ovvero “Una strategia per l’Italia in Cina”.
12 febbraio 2014
© Riproduzione riservata
IL FUTURO DELL'ITALIA IN CINA
di Paolo Borzatta
Twitter@BorzattaP
Dal blog Specchio Cinese
Milano, 12 feb. - Da quando è iniziato l’affare Bo Xilai – tutti noi osservatori della Cina - siamo rimasti focalizzati sulla dirigenza cinese. Sono stati mesi estremamente densi: da un probabile colpo di stato alla transizione morbida alla nuova “forte” leadership di Xi Jinping. L’insediamento della nuova leadership ci ha inoltre spinto a dedicare le nostre energie a tentare di indovinare dai primi segnali forti e deboli quale potrebbe essere l’evoluzione della leadership stessa e soprattutto del Paese.
L’editoriale di The Economist del 25 di gennaio, “China loses its allure”, ci ha però richiamato prepotentemente a interrogarci sulle nostre relazioni con un Paese che sta cambiando rapidissimamente e in cui – soprattutto – sta cambiando il modello economico che l’ha portato ai grandi attuali successi. Il modello cinese sta infatti rapidamente passando da una forte apertura ai capitali stranieri, che hanno giocato – con la loro enorme quantità – il ruolo di “primo stadio” del vettore cinese facendolo definitivamente decollare, a una maggiore attenzione allo sviluppo del mercato interno (che sarà il “secondo stadio”) insieme al rafforzamento competitivo delle aziende cinesi oltre a una maggiore attenzione ai rischi di tensioni sociali. Il rafforzamento competitivo delle aziende cinesi comporterà una progressiva riduzione delle protezioni delle aziende statali cinesi e un maggior livellamento delle regole competitive per facilitare lo sviluppo delle aziende private cinesi di piccole e medie dimensioni.
Oltre ad aumentare la competitività delle aziende locali, altri fenomeni concorrono a rendere la vita delle aziende straniere (ma anche cinesi) più difficile. I costi in generale sono aumentati e non sono più quelli degli anni d’oro, i costi e la difficoltà a trovare manager di valore (perché la domanda è elevatissima) sono pure amentati. Inoltre i consumatori, grazie anche all’effetto livellatore di internet (che ha ridotto l’asimmetria informativa del grande pubblico), alla molto migliorata qualità dei prodotti locali e all’emergere di un “orgoglio per le marche cinesi”, non sono più disponibili a pagare enormi premium price pur di comperare marche straniere.
Un altro importante fenomeno che ha reso più difficile operare in Cina è la progressiva crescita dei mercati interni.
All’inizio della “corsa all’oro” in Cina, il mercato che contava era addensato attorno ai tre grandi poli (Pechino, Shanghai e Canton) in rapida modernizzazione e crescita. Oggi vi sono centinaia di città sparse nel grande territorio cinese, anche all’interno, che stanno crescendo e che rappresentano dei mercati locali fondamentali. Per operare su tutto questo mercato occorre “combattere palmo a palmo” costruendo strutture – ovviamente costose - che possano coprire tutto il territorio; si noti che non è quasi mai possibile limitarsi a zone circoscritte perché essendo la competizione fortissima si rischia di lasciare spazio per rafforzarsi a concorrenti locali che poi utilizzeranno quel rafforzamento per rendere la vita quasi impossibile a chi non ha voluto espandersi.
Va anche aggiunto che se in passato le autorità cinesi, centrali o locali, chiudevano più di un occhio sulle infrazioni delle aziende straniere pur di garantirsi i loro investimenti, oggi sono forse passate all’estremo opposto proprio probabilmente per facilitare le aziende locali.
Da ultimo va detto che anche la situazione finanziaria ed economica è peggiorata. La Cina continua sì ad essere un mercato che cresce, ma a tassi non più così alti come in passato. Inoltre la situazione debitoria delle aziende locali (12,1 trilioni di USD da confrontare con 12,9 trilioni di USD delle aziende statunitensi che sono le più indebitate al mondo – fonte Wall Street Journal del 11 febbraio 2014), drogate dal credito facile concesso in passato anche per aiutarle a superare la crisi finanziaria dell’Occidente, è divenuta molto pesante e quindi il costo del danaro per le aziende cinesi è molto aumentato spingendole quindi a una maggiore aggressività su tutti i fronti.
Questo che cosa significa per le aziende del nostro Paese?
Quando la Cina si è aperta, l’Italia godeva di alcuni vantaggi di tutto rispetto. Era stato il secondo Paese occidentale a riconoscere la Repubblica Popolare Cinese (un anno dopo la Francia e molti anni prima degli Stati Uniti), aveva tenuto aperto importanti canali commerciali (tramite la Montedison) anche durante il maoismo, la Banca Commerciale Italiana non aveva mai formalmente chiuso, all’Italia non erano addebitati comportamenti colonialisti così nefandi come quelli di altre potenze coloniali (inglesi in testa) e infine – nell’immaginario collettivo cinese – l’Italia con il suo Impero Romano era ed è accreditata come l’unica altra grande civiltà oltre a quella cinese apparsa nella storia dell’uomo.
Come sappiamo siamo stati bravissimi a disperdere, in questi tre decenni dall’apertura della Cina, quasi tutto questo nostro capitale. Ha giocato negativamente un Governo che – indipendentemente dal colore politico della maggioranza di turno – non ha mai capito la Cina e non ha mai messo a punto una strategia di lungo termine verso quel Paese; se a volte ha provato ad abborracciare una parvenza di strategia (spesso pure sbagliata), l’ha poi immediatamente disattesa al primo frequente cambio di Governo. Molto altro si potrebbe aggiungere sulle mancanze e gli errori del Governo e della maggioranza delle Istituzioni italiane in relazione alla Cina, ma per carità di patria ci fermiamo qui.
Purtroppo però anche le aziende, private e pubbliche, non hanno saputo cogliere (eccezioni a parte), nei tre decenni della Grande Corsa all’Oro Cinese, le enormi opportunità che si stavano aprendo. La causa di questa povera performance vanno ricercate prima di tutto nella dimensione mediamente molto piccola della aziende italiane e quindi nella loro oggettiva maggiore difficoltà ad investire in questo mercato così diverso e così complesso. Ha inoltre giocato negativamente un atteggiamento abbastanza peculiare della maggioranza delle aziende italiane: l’abitudine culturale a progettare strategie “cost based” ovvero cercando di minimizzare i costi a differenza della progettazione strategica “revenue based” tipica delle aziende, grandi e piccole, delle grandi economie occidentali. Le strategie “revenue based” guardano a quanto mercato si potrebbe acquisire sulla base delle proprie competenze e investono sulla fiducia in se stessi a raggiungere quei risultati. E’ un po’ come se dovendo andare alle Olimpiadi un atleta, invece di fare tutti gli sforzi per conquistare un oro olimpico perché convinto delle proprie capacità, si limitasse a competere tanto per “partecipare” cercando di fare meno sforzi possibili e possibilmente di non farsi male.
Un’altra causa negativa della performance delle aziende italiane va infine ricercata nella mentalità provinciale di molti nostri imprenditori e manager. La Cina è molto diversa, ha una cultura molto differente e richiede un atto di umiltà per capirla e affrontarla. Spesso invece i nostri vertici aziendali hanno preferito classificare i comportamenti cinesi come quelli di un popolo arretrato che avrebbe dovuto “imparare” da noi. In altri casi è invece intervenuta la “sindrome della volpe e dell’uva”: viste le difficoltà (e a volte gli insuccessi) si è preferito dire che non valeva la pena tentare di entrare nel mercato cinese perché non ancora maturo!
Oggi, come abbiamo detto, le porte cominciano “a chiudersi”: vuoi perché il sistema renderà difficile la vita alle aziende straniere, vuoi perché i concorrenti – cinesi e stranieri - hanno oramai occupato posizioni importanti e difficili da scalzare.
Noi, con le nostre aziende, come siamo messi?
In alcuni settori abbiamo raggiunto interessanti risultati. Per quanto riguarda le esportazioni siamo in ottima posizione nella moda e accessori, dove siamo in seconda posizione mondiale, siamo decimi nella meccanica e componenti, abbiamo buona presenza, tredicesimi, nei veicoli e mezzi di trasporto. Più deboli negli altri settori.
Spesso davanti a noi ci sono la Germania (33% dell’export europeo verso la Cina contro il 5% dell’Italia) e la Francia e ovviamente Stati Uniti e Giappone.
A questo quadro va però aggiunto la situazione degli investimenti diretti delle nostre aziende che sono decisamente inferiori a quelli dei nostri concorrenti. Tra gli europei la Germania la fa da padrone in moltissimi importanti settori (si pensi solo all’automobile), ma gli Stati Uniti e il Giappone hanno pure investito massicciamente.
Anche sul fronte delle istituzioni, della ricerca, dell’università, della salute, pur in assenza di dati complessivi certi, la sensazione degli osservatori professionali è che le collaborazioni e le partnership sino-italiane, in questi importanti settori per la nostra competitività Paese, siano più deboli di quelle dei nostri diretti concorrenti.
In sintesi. Se misuriamo la nostra posizione oggi otteniamo un risultato positivo, ma più debole e in qualche caso molto più debole di quello dei concorrenti. Se però misurassimo il “costo di opportunità”, ovvero il mancato “margine” di quello che abbiamo perso perché non siamo stati capaci – come Paese e come singole aziende e istituzioni – di sfruttare il potenziale che avevamo, temo che otterremmo una cifra estremamente negativa. Personalmente seguo direttamente le relazioni Italia-Cina dal lontano 1985, ho seguito professionalmente centinaia di aziende italiane (ma anche francesi e statunitensi) che intendevano entrare o svilupparsi in quel mercato, ho vissuto in quel paese e ho partecipato a innumerevoli “missioni Paese” e posso testimoniare che le opportunità – proprio in settori per noi importanti come i veicoli, la meccanica, l’alimentare, la cultura e l’istruzione, ecc. - che abbiamo avuto sono state enormi. Purtroppo abbondantemente sprecate.
Quale è quindi il futuro dell’Italia in Cina?
Il contesto, come abbiamo visto, chiederà sempre di più alle aziende straniere di essere sempre più competitive. The Economist riassume benissimo dicendo: “China is still a rich prize. Firms that can boost productivity, improve governance and respond to local tastes can still prosper. But the golden years are over.”
In questo contesto, se non cambia qualcosa a livello Paese e soprattutto nella mentalità dei vertici delle aziende (e delle istituzioni) italiane, temo che il nostro futuro in Cina sarà – nelle migliori delle ipotesi – decoroso.
La Cina sarà però sempre di più il mercato più grande del pianeta e sempre di più le innovazioni e le idee nuove arriveranno da là.
Ci basta, come Italiani, avere – nella migliore delle ipotesi – una presenza decorosa?
POST SCRIPTUM. Queste cose le ripeto da quasi tre decenni, la mia frustrazione per non essere stato capace di diffonderle più efficacemente è alta.
SECONDO POST SCRIPTUM. Il mio prossimo editoriale su queste colonne sarà (presuntuosamente) su che cosa potrebbe ancora fare l’Italia ovvero “Una strategia per l’Italia in Cina”.
12 febbraio 2014
© Riproduzione riservata
mercoledì 12 febbraio 2014
MACAO: IN FILA PER LA VENERE DI BOTTICELLI
(AGI) - Macao, 10 feb. - Oltre 1.300 visitatori al giorno: e' il successo tributato alla Venere di Botticelli in mostra a Macao, che ha registrato punte record durante il fine settimana del Capodanno cinese con 9.000 visitatori in tre giorni.
Un'iniziativa che conferma l'interesse che suscitano l'arte e la cultura italiane, come dimostra anche l'attenzione della stampa locale che a quasi due mesi dalla chiusura dell'esposizione del quadro a Hong Kong, ancora gli dedica articoli, lodando l'iniziativa e indicandola come esempio per le rappresentanze consolari di altri Paesi.
Sempre il consolato generale di Hong Kong ospitera' un altro grande capolavoro italiano, la 'Cena in Emmaus' di Caravaggio che sara' inaugurata il prossimo 11 marzo. (AGI) .
(AGI) - Macao, 10 feb. - Oltre 1.300 visitatori al giorno: e' il successo tributato alla Venere di Botticelli in mostra a Macao, che ha registrato punte record durante il fine settimana del Capodanno cinese con 9.000 visitatori in tre giorni.
Un'iniziativa che conferma l'interesse che suscitano l'arte e la cultura italiane, come dimostra anche l'attenzione della stampa locale che a quasi due mesi dalla chiusura dell'esposizione del quadro a Hong Kong, ancora gli dedica articoli, lodando l'iniziativa e indicandola come esempio per le rappresentanze consolari di altri Paesi.
Sempre il consolato generale di Hong Kong ospitera' un altro grande capolavoro italiano, la 'Cena in Emmaus' di Caravaggio che sara' inaugurata il prossimo 11 marzo. (AGI) .
Borse asiatiche in rialzo favorite da dati cinesi
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 12 feb. - Titoli asiatici positivi nella giornata di oggi, dopo i dati incoraggianti della bilancia commerciale cinese e l'ottimismo della Federal Reserve sulle prospettive economiche degli Stati Uniti. La borsa di Hong Kong ha raggiunto per due giorni consecutivi il picco degli ultimi tre mesi, trainata dai titoli cinesi: il rialzo di oggi, dell'1,4%, a 9996,76 punti, si aggiunge al +2,5% di ieri. Per lo Shanghai Stock Exchange si tratta, invece, della quarta seduta positiva consecutiva, e il migliore risultato da ottobre scorso: l'indice Composite è cresciuto dello 0,3%, a 2109,96 punti.
Tra i maggiori rialzi, da segnalare quello di PetroChina. Il gigante degli idrocarburi del Drago ha chiuso a +2,1% dopo la notizia della scoperta di un enorme giacimento di gas nel Sichuan da parte della casa madre, CNPC. Ancora più consistente l'aumento di China Mengniu Dairy, le cui quotazioni sono salite del 3% dopo la decisione di Danone di più che raddoppiare la quota di partecipazione nel gruppo caseario cinese, passando dal 4% attuale al 9,9%. Buon risultato anche per il gruppo di Pechino Wangfujing Department Store, quotato a Shanghai, che ha corso in Borsa dopo avere annunciato l'intenzione di collaborare con il gruppo di e-commerce Tencent per un progetto di negozi on line dedicati agli smartphone.
Secondo gli ultimi dati, il surplus commerciale cinese è pari a 31,9 miliardi di dollari, ben al disopra delle aspettative che davano la crescita a 23,7 miliardi. A gennaio le importazioni hanno registrato un aumento del 10%, a 175 miliardi di dollari, mentre l'export del Drago è cresciuto del 10,6%, a 207 miliardi. Su base annuale, l'aumento nella bilancia commerciale è del 14%. Le prospettive sono di un sorpasso, entro la fine dell'anno, sugli Stati Uniti, come punto di riferimento nel commercio mondiale.
I risultati positivi delle Borse asiatiche hanno risentito anche degli effetti del primo discorso del nuovo governatore della Federal Reserve, Janet Yellen, alla prima uscita pubblica, ieri, che ha confermato che non ci sarebbero stati cambiamenti inattesi nella politica monetaria di Washington anche se ha ricordato che il mercato interno, e soprattutto quello del lavoro, non è ancora tornato alla normalità. Un'altra buona notizia per gli investitori è arrivata dalla Camera dei Rappresentanti che ha votato per alzare la soglia del debito Usa, dai 17200 miliardi di dollari attuali. Per l'anno fiscale 2014, gli Usa prevedono un deficit nel budget di 514 miliardi di dollari.
12 febbraio 2014
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 12 feb. - Titoli asiatici positivi nella giornata di oggi, dopo i dati incoraggianti della bilancia commerciale cinese e l'ottimismo della Federal Reserve sulle prospettive economiche degli Stati Uniti. La borsa di Hong Kong ha raggiunto per due giorni consecutivi il picco degli ultimi tre mesi, trainata dai titoli cinesi: il rialzo di oggi, dell'1,4%, a 9996,76 punti, si aggiunge al +2,5% di ieri. Per lo Shanghai Stock Exchange si tratta, invece, della quarta seduta positiva consecutiva, e il migliore risultato da ottobre scorso: l'indice Composite è cresciuto dello 0,3%, a 2109,96 punti.
Tra i maggiori rialzi, da segnalare quello di PetroChina. Il gigante degli idrocarburi del Drago ha chiuso a +2,1% dopo la notizia della scoperta di un enorme giacimento di gas nel Sichuan da parte della casa madre, CNPC. Ancora più consistente l'aumento di China Mengniu Dairy, le cui quotazioni sono salite del 3% dopo la decisione di Danone di più che raddoppiare la quota di partecipazione nel gruppo caseario cinese, passando dal 4% attuale al 9,9%. Buon risultato anche per il gruppo di Pechino Wangfujing Department Store, quotato a Shanghai, che ha corso in Borsa dopo avere annunciato l'intenzione di collaborare con il gruppo di e-commerce Tencent per un progetto di negozi on line dedicati agli smartphone.
Secondo gli ultimi dati, il surplus commerciale cinese è pari a 31,9 miliardi di dollari, ben al disopra delle aspettative che davano la crescita a 23,7 miliardi. A gennaio le importazioni hanno registrato un aumento del 10%, a 175 miliardi di dollari, mentre l'export del Drago è cresciuto del 10,6%, a 207 miliardi. Su base annuale, l'aumento nella bilancia commerciale è del 14%. Le prospettive sono di un sorpasso, entro la fine dell'anno, sugli Stati Uniti, come punto di riferimento nel commercio mondiale.
I risultati positivi delle Borse asiatiche hanno risentito anche degli effetti del primo discorso del nuovo governatore della Federal Reserve, Janet Yellen, alla prima uscita pubblica, ieri, che ha confermato che non ci sarebbero stati cambiamenti inattesi nella politica monetaria di Washington anche se ha ricordato che il mercato interno, e soprattutto quello del lavoro, non è ancora tornato alla normalità. Un'altra buona notizia per gli investitori è arrivata dalla Camera dei Rappresentanti che ha votato per alzare la soglia del debito Usa, dai 17200 miliardi di dollari attuali. Per l'anno fiscale 2014, gli Usa prevedono un deficit nel budget di 514 miliardi di dollari.
12 febbraio 2014
VIETATE RELAZIONI EXTRA-CONIUGALI A FUNZIONARI LOCALI
Pechino, 11 feb. - Ai funzionari pubblici sara' vietato avere relazioni extraconiugali; e' quanto stabilisce un nuova norma che regola il comportamento dei funzionari pubblici approvato dal distretto di Dadong della citta' di Shenyang, provincia settentrionale del Liaoning. Lo riferisce il China Daily. In linea con il regolamento nazionale emesso nel 2002, il regolamento di Datong fornisce indicazioni piu' concrete e precise. Tra le nuove norme che i funzionari, circa 5mila in tutto il distretto, dovranno rispettare anche il divieto di praticare il gioco d'azzardo, di fare uso di droghe, di diffondere pettegolezzi su Internet e di guardare film a luci rosse. Le punizioni vanno dai provvedimenti disciplinari o sessioni di auto-critica a pene piu' severe. L'aspetto innovativo della legge consiste nel disciplinare il comportamento dei funzionari di governo sia nella sfera lavorativa che in quella privata, spesso condannati dall'opinione pubblica e che influenzano negativamente l'immagine dei funzionari. Il governo locale ha dichiarato che la legge dara' i suoi effetti nel lungo termine e che verranno fatti sforzi per rendere maggiormente consapevoli i funzionari dei propri doveri morali. .
Pechino, 11 feb. - Ai funzionari pubblici sara' vietato avere relazioni extraconiugali; e' quanto stabilisce un nuova norma che regola il comportamento dei funzionari pubblici approvato dal distretto di Dadong della citta' di Shenyang, provincia settentrionale del Liaoning. Lo riferisce il China Daily. In linea con il regolamento nazionale emesso nel 2002, il regolamento di Datong fornisce indicazioni piu' concrete e precise. Tra le nuove norme che i funzionari, circa 5mila in tutto il distretto, dovranno rispettare anche il divieto di praticare il gioco d'azzardo, di fare uso di droghe, di diffondere pettegolezzi su Internet e di guardare film a luci rosse. Le punizioni vanno dai provvedimenti disciplinari o sessioni di auto-critica a pene piu' severe. L'aspetto innovativo della legge consiste nel disciplinare il comportamento dei funzionari di governo sia nella sfera lavorativa che in quella privata, spesso condannati dall'opinione pubblica e che influenzano negativamente l'immagine dei funzionari. Il governo locale ha dichiarato che la legge dara' i suoi effetti nel lungo termine e che verranno fatti sforzi per rendere maggiormente consapevoli i funzionari dei propri doveri morali. .
CINA: LA SFIDA DEL SISTEMA PENSIONISTICO UNIFICATO
Pechino, 12 feb. - La recente dichiarazione della Cina sull'intenzione di voler unificare il piano pensionistico per la popolazione rurale e per i disoccupati delle aree urbane ha ottenuto numerosi consensi. La misura e' volta a ridurre il divario tra citta' e campagna, ma restano molte le sfide da affrontare. Il Consiglio di Stato venerdi' ha annunciato l'unificazione dei due sistemi pensionistici rurale e urbano, precedentemente separati, al fine di migliorare l'accesso ai servizi previdenziali. I fondi pensionistici individuali, di impiegati e funzionari governativi a vari livelli verranno raggruppati. Il governo centrale, inoltre, stanziera' maggiori fondi per gli abitanti delle aree centro-occidentali meno sviluppate. "La riforma portera' a una riduzione del divario di reddito tra aree rurali e urbane e favorira' l'urbanizzazione", ha dichiarato Lin Yi, direttore del Centro di Ricerca di Previdenza Sociale e Assicurativa della Southwestern University of Finance and Economics. La popolazione rurale costituisce circa la meta' dell'intera popolazione cinese e il governo sta cercando di favorire l'urbanizzazione per aumentare i consumi interni e assicurare una crescita economica sostenibile.
Sebbene sia un simbolo dell'integrazione tra citta' e campagne e di uguaglianza sociale, tuttavia questa trasformazione e' ben lontana dall'essere una panacea. Feng Jin, professore del Centro Ricerche per l'Occupazione e la Previdenza Sociale della Fudan University, ha dichiarato che "per varie ragioni, il sistema di previdenza sociale cinese varia molto da persona a persona e da regione a regione, e cio' genera disuguaglianze". Esistono infatti differenti piani pensionistici per impiegati aziendali, abitanti delle zone rurali, disoccupati residenti in aree urbane, e impiegati governativi o di istituzioni finanziate dal governo. Tutto cio' ha ovviamente generato un divario nei redditi pensionistici. L'opinione pubblica e' ben consapevole che i funzionari governativi nonostante non contribuiscano ai fondi pensionistici, usufruiscano, al momento del pensionamento, di rendite piu' alte rispetto ai lavoratori del settore privato e di quello agricolo. Per fare un esempio, Liu Weixiu, 60 anni, e'in pensione da 5 anni dopo esser stata impiegata presso l'Ufficio per l'Agricoltura della Municipalita' di Chongqing, nel sudovest della Cina. Oggi percepisce una pensione mensile di 4700 yuan (circa 563 euro).
Suo marito, Zhang Heping, 63 anni, ex impiegato presso un'impresa statale, riceve mensilmente 2000 yuan (circa 239 euro), nonostante abbia versato per il fondo pensionistico 300 yuan al mese (circa 35 euro) durante tutta la sua carriera; a differenza di sua moglie Liu, che non ha mai dovuto versare nulla. Il piano annunciato venerdi' e' semplicemente un'integrazione dei sistemi pensionistici per la popolazione rurale e i disoccupati delle aree urbane, introdotti rispettivamente nel 2009 e nel 2011. Grazie al contributo governativo, tutte le persone di eta' oltre 60 anni percepiranno una sovvenzione mensile proporzionata al reddito locale. La quota assicurativa comprende l'assicurazione di base, completamente fornita dal governo, e il conto pensionistico individuale, versato dagli stessi lavoratori. La quota pensionistica varia di regione in regione. Pechino, ad esempio, ha incrementato la quota dell'assicurazione di base per la quinta volta in quattro anni, portandola a 430 yuan al mese (circa 51 euro), mentre a Chongqing, sia i residenti delle aree urbane che quelli delle aree rurali, percepiscono solamente 80 yuan (circa 9 euro) mensili di assicurazione di base. "Che cosa sono 80 yuan al giorno d'oggi?", si chiede Ye Zhaochun, 46 anni, medico nel villaggio di Yangyan, a Chongqing che ancora non e' parte del piano pensionistico. Sebbene possa scegliere tra versare 100 yuan (circa 12 euro) o 900 yuan (circa 108 euro) sul suo conto personale fino al compimento dei 60 anni di eta', non e' comunque convinta che questo possa essere un buon investimento. Ye percepisce oggi un reddito mensile di 1000 yuan (circa 120 euro), mentre suo marito guadagna piu' di 2000 yuan (240 euro) come lavoratore migrante in citta'. In base ai dati del Ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, alla fine del 2013 il programma di assicurazione pensionistica cinese per le aree rurali e urbane copriva 498 milioni di persone e 15 regioni amministrative di livello provinciale avevano gia' messo in atto sistemi pensionistici unificati per i residenti delle aree rurali e i disoccupati delle aree urbane. Li Guoxiang, ricercatore presso l'Accademia Cinese di Scienze Sociali, ha dichiarato che "la ricerca di fondi per la creazione di un sistema pensionistico realmente unificato e' il maggior grattacapo per il governo".
Li ha inoltre sottolineato che "il raggiungimento di un'unificazione tra grandi e piccole citta' e tra regioni orientali e occidentali e' la sfida piu' ardua" e che "i governi locali non saranno propensi a incrementare le proprie uscite, ma se il tutto dovesse dipendere solo dal governo centrale, il progetto sarebbe difficilmente sostenibile".
"L'unificazione del piano pensionistico e' solamente un passo avanti", cosi' si e' espresso invece Wang Xujin, direttore del Dipartimento di Scienze Assicurative della Beijing Technology and Business University, aggiungendo che "la tendenza futura e' di integrare tutti i piani pensionistici, compresi quelli degli impiegati governativi e delle istituzioni finanziate dal governo". .
Pechino, 12 feb. - La recente dichiarazione della Cina sull'intenzione di voler unificare il piano pensionistico per la popolazione rurale e per i disoccupati delle aree urbane ha ottenuto numerosi consensi. La misura e' volta a ridurre il divario tra citta' e campagna, ma restano molte le sfide da affrontare. Il Consiglio di Stato venerdi' ha annunciato l'unificazione dei due sistemi pensionistici rurale e urbano, precedentemente separati, al fine di migliorare l'accesso ai servizi previdenziali. I fondi pensionistici individuali, di impiegati e funzionari governativi a vari livelli verranno raggruppati. Il governo centrale, inoltre, stanziera' maggiori fondi per gli abitanti delle aree centro-occidentali meno sviluppate. "La riforma portera' a una riduzione del divario di reddito tra aree rurali e urbane e favorira' l'urbanizzazione", ha dichiarato Lin Yi, direttore del Centro di Ricerca di Previdenza Sociale e Assicurativa della Southwestern University of Finance and Economics. La popolazione rurale costituisce circa la meta' dell'intera popolazione cinese e il governo sta cercando di favorire l'urbanizzazione per aumentare i consumi interni e assicurare una crescita economica sostenibile.
Sebbene sia un simbolo dell'integrazione tra citta' e campagne e di uguaglianza sociale, tuttavia questa trasformazione e' ben lontana dall'essere una panacea. Feng Jin, professore del Centro Ricerche per l'Occupazione e la Previdenza Sociale della Fudan University, ha dichiarato che "per varie ragioni, il sistema di previdenza sociale cinese varia molto da persona a persona e da regione a regione, e cio' genera disuguaglianze". Esistono infatti differenti piani pensionistici per impiegati aziendali, abitanti delle zone rurali, disoccupati residenti in aree urbane, e impiegati governativi o di istituzioni finanziate dal governo. Tutto cio' ha ovviamente generato un divario nei redditi pensionistici. L'opinione pubblica e' ben consapevole che i funzionari governativi nonostante non contribuiscano ai fondi pensionistici, usufruiscano, al momento del pensionamento, di rendite piu' alte rispetto ai lavoratori del settore privato e di quello agricolo. Per fare un esempio, Liu Weixiu, 60 anni, e'in pensione da 5 anni dopo esser stata impiegata presso l'Ufficio per l'Agricoltura della Municipalita' di Chongqing, nel sudovest della Cina. Oggi percepisce una pensione mensile di 4700 yuan (circa 563 euro).
Suo marito, Zhang Heping, 63 anni, ex impiegato presso un'impresa statale, riceve mensilmente 2000 yuan (circa 239 euro), nonostante abbia versato per il fondo pensionistico 300 yuan al mese (circa 35 euro) durante tutta la sua carriera; a differenza di sua moglie Liu, che non ha mai dovuto versare nulla. Il piano annunciato venerdi' e' semplicemente un'integrazione dei sistemi pensionistici per la popolazione rurale e i disoccupati delle aree urbane, introdotti rispettivamente nel 2009 e nel 2011. Grazie al contributo governativo, tutte le persone di eta' oltre 60 anni percepiranno una sovvenzione mensile proporzionata al reddito locale. La quota assicurativa comprende l'assicurazione di base, completamente fornita dal governo, e il conto pensionistico individuale, versato dagli stessi lavoratori. La quota pensionistica varia di regione in regione. Pechino, ad esempio, ha incrementato la quota dell'assicurazione di base per la quinta volta in quattro anni, portandola a 430 yuan al mese (circa 51 euro), mentre a Chongqing, sia i residenti delle aree urbane che quelli delle aree rurali, percepiscono solamente 80 yuan (circa 9 euro) mensili di assicurazione di base. "Che cosa sono 80 yuan al giorno d'oggi?", si chiede Ye Zhaochun, 46 anni, medico nel villaggio di Yangyan, a Chongqing che ancora non e' parte del piano pensionistico. Sebbene possa scegliere tra versare 100 yuan (circa 12 euro) o 900 yuan (circa 108 euro) sul suo conto personale fino al compimento dei 60 anni di eta', non e' comunque convinta che questo possa essere un buon investimento. Ye percepisce oggi un reddito mensile di 1000 yuan (circa 120 euro), mentre suo marito guadagna piu' di 2000 yuan (240 euro) come lavoratore migrante in citta'. In base ai dati del Ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, alla fine del 2013 il programma di assicurazione pensionistica cinese per le aree rurali e urbane copriva 498 milioni di persone e 15 regioni amministrative di livello provinciale avevano gia' messo in atto sistemi pensionistici unificati per i residenti delle aree rurali e i disoccupati delle aree urbane. Li Guoxiang, ricercatore presso l'Accademia Cinese di Scienze Sociali, ha dichiarato che "la ricerca di fondi per la creazione di un sistema pensionistico realmente unificato e' il maggior grattacapo per il governo".
Li ha inoltre sottolineato che "il raggiungimento di un'unificazione tra grandi e piccole citta' e tra regioni orientali e occidentali e' la sfida piu' ardua" e che "i governi locali non saranno propensi a incrementare le proprie uscite, ma se il tutto dovesse dipendere solo dal governo centrale, il progetto sarebbe difficilmente sostenibile".
"L'unificazione del piano pensionistico e' solamente un passo avanti", cosi' si e' espresso invece Wang Xujin, direttore del Dipartimento di Scienze Assicurative della Beijing Technology and Business University, aggiungendo che "la tendenza futura e' di integrare tutti i piani pensionistici, compresi quelli degli impiegati governativi e delle istituzioni finanziate dal governo". .
CINA ABBANDONA AUTO-SUFFICIENZA PRODUZIONE GRANO
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 12 feb. - La Cina rinuncia all'autosufficienza nella produzione di grano e cereali. Entro il 2020, scrive il Financial Times, le nuove linee guida emesse dal Consiglio di Stato prevedono che la produzione cinese dei prodotti alimentari di base si terrà molto al di sotto della domanda interna: il volume scenderà a 550 milioni di tonnellate, contro i poco più che 600 milioni del 2013 "ponendo enfasi sulla quantità di cibo - spiega il documento del governo - e maggiore attenzione alla qualità e alla sicurezza alimentare". La diminuzione della produzione di cereali tradizionalmente considerati alla base della dieta cinese certifica un cambiamento delle abitudini alimentari del Drago, e le linee guida del governo danno più spazio alla produzione di frutta, verdura e carne, che richiedono superfici meno estese per la coltivazione, il cui consumo è molto cresciuto sulle tavole delle famiglie cinesi. Il cambiamento era atteso da tempo, secondo gli esperti, ma il sigillo del Consiglio di Stato certifica l'abbandono, almeno sulla carta, della politica autosufficienza nella produzione di grano e cereali, in vigore dai tempi di Mao.
"Finora la Cina aveva una politica di autosufficienza nei cereali - spiega Eckart Woertz, senior researcher presso il Barcelona Centre for International Affairs, e autore del saggio "Oil for Food" - le strategie agricole di outsourcing si erano focalizzate solo sull'input al settore industriale, come nei casi della gomma, e del cotone e di altri prodotti, come i semi di soia, dal Brasile". Woertz, esperto di food security a livello globale, definisce la decisione del governo di importare volumi maggiori di cereali di base per il consumo umano come "un importante cambio di linea", che potrebbe avere tra le sue conseguenze anche quella di "sostenere i prezzi delle commodities alimentari a livello globale". Mantenere gli attuali ritmi di produzione è riconosciuto come un problema anche dagli esperti cinesi, come Wang Jimin, che al quotidiano della city spiega che lo slittamento nelle quote potrebbe tradursi in un minore apporto di mais e soia, a favore di altri cereali, come il riso.
Le conseguenze di questa scelta per la Cina potrebbero essere positive sul lungo periodo, anche se da soli non serviranno a cancellare i maggiori fattori di rischio per la produzione agricola. "L'agricoltura cinese - continua Woertz - ha già vissuto significativi incrementi della produttività negli scorsi due decenni, il cambiamento di linea potrebbe estendere questo processo, che è comunque minacciata dal degrado ambientale e dalla carenza d'acqua in alcune aree del Paese". Proprio la carenza d'acqua è uno dei temi più dibattuti in Cina negli ultimi mesi, anche a livello energetico: il 97% dell'elettricità prodotta in Cina si serve dell'oro blu, e le grandi miniere di carbone del Paese ne fanno un uso intensivo, senza contare che una gran parte delle risorse energetiche del Dragone si trovano in area che già soffrono di carenza d'acqua.
I due fattori che hanno maggiormente dettato il cambio di rotta del governo sono stati la scarsità delle risorse e le abitudini alimentari relativamente nuove che si sono diffuse negli ultimi decenni. La dieta più ricca, ma non sempre più variegata, dei cinesi rimane un problema sia a livello di produzione che di consumo, con un aumento della popolazione in sovrappeso e un progressivo aumento della carne nella dieta dei cinesi sempre più difficile da sostenere al ritmo attuale di consumo delle risorse. Proprio le variazioni di prezzo della carne di maiale rappresentano una delle voci principali nel calcolo dell'inflazione. "D'altra parte - conclude Woertz - un alto livello di autosufficienza rimarrà un obiettivo strategico. Nutrire un Paese grazie alle importazioni di generi alimentari può essere un'opzione per gli Stati più piccoli del Golfo, persino per l'Arabia Saudita, ma non per la Cina, che ha 1,3 miliardi di abitanti".
12 febbraio 2014
@ Riproduzione riservata
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 12 feb. - La Cina rinuncia all'autosufficienza nella produzione di grano e cereali. Entro il 2020, scrive il Financial Times, le nuove linee guida emesse dal Consiglio di Stato prevedono che la produzione cinese dei prodotti alimentari di base si terrà molto al di sotto della domanda interna: il volume scenderà a 550 milioni di tonnellate, contro i poco più che 600 milioni del 2013 "ponendo enfasi sulla quantità di cibo - spiega il documento del governo - e maggiore attenzione alla qualità e alla sicurezza alimentare". La diminuzione della produzione di cereali tradizionalmente considerati alla base della dieta cinese certifica un cambiamento delle abitudini alimentari del Drago, e le linee guida del governo danno più spazio alla produzione di frutta, verdura e carne, che richiedono superfici meno estese per la coltivazione, il cui consumo è molto cresciuto sulle tavole delle famiglie cinesi. Il cambiamento era atteso da tempo, secondo gli esperti, ma il sigillo del Consiglio di Stato certifica l'abbandono, almeno sulla carta, della politica autosufficienza nella produzione di grano e cereali, in vigore dai tempi di Mao.
"Finora la Cina aveva una politica di autosufficienza nei cereali - spiega Eckart Woertz, senior researcher presso il Barcelona Centre for International Affairs, e autore del saggio "Oil for Food" - le strategie agricole di outsourcing si erano focalizzate solo sull'input al settore industriale, come nei casi della gomma, e del cotone e di altri prodotti, come i semi di soia, dal Brasile". Woertz, esperto di food security a livello globale, definisce la decisione del governo di importare volumi maggiori di cereali di base per il consumo umano come "un importante cambio di linea", che potrebbe avere tra le sue conseguenze anche quella di "sostenere i prezzi delle commodities alimentari a livello globale". Mantenere gli attuali ritmi di produzione è riconosciuto come un problema anche dagli esperti cinesi, come Wang Jimin, che al quotidiano della city spiega che lo slittamento nelle quote potrebbe tradursi in un minore apporto di mais e soia, a favore di altri cereali, come il riso.
Le conseguenze di questa scelta per la Cina potrebbero essere positive sul lungo periodo, anche se da soli non serviranno a cancellare i maggiori fattori di rischio per la produzione agricola. "L'agricoltura cinese - continua Woertz - ha già vissuto significativi incrementi della produttività negli scorsi due decenni, il cambiamento di linea potrebbe estendere questo processo, che è comunque minacciata dal degrado ambientale e dalla carenza d'acqua in alcune aree del Paese". Proprio la carenza d'acqua è uno dei temi più dibattuti in Cina negli ultimi mesi, anche a livello energetico: il 97% dell'elettricità prodotta in Cina si serve dell'oro blu, e le grandi miniere di carbone del Paese ne fanno un uso intensivo, senza contare che una gran parte delle risorse energetiche del Dragone si trovano in area che già soffrono di carenza d'acqua.
I due fattori che hanno maggiormente dettato il cambio di rotta del governo sono stati la scarsità delle risorse e le abitudini alimentari relativamente nuove che si sono diffuse negli ultimi decenni. La dieta più ricca, ma non sempre più variegata, dei cinesi rimane un problema sia a livello di produzione che di consumo, con un aumento della popolazione in sovrappeso e un progressivo aumento della carne nella dieta dei cinesi sempre più difficile da sostenere al ritmo attuale di consumo delle risorse. Proprio le variazioni di prezzo della carne di maiale rappresentano una delle voci principali nel calcolo dell'inflazione. "D'altra parte - conclude Woertz - un alto livello di autosufficienza rimarrà un obiettivo strategico. Nutrire un Paese grazie alle importazioni di generi alimentari può essere un'opzione per gli Stati più piccoli del Golfo, persino per l'Arabia Saudita, ma non per la Cina, che ha 1,3 miliardi di abitanti".
12 febbraio 2014
@ Riproduzione riservata
LETTA PRESENTA IMPEGNO ITALIA: CHI VUOLE VENIRE AL MIO POSTO DEVE DIRE COSA VUOLE FARE IO UOMO DELLE ISTITUZIONI, NON MOSSO DA PROSPETTIVE PERSONALI. CHIEDO CHIAREZZA E UN GIOCO A CARTE SCOPERTE
Pubblicato il 12/02/2014 18:19
“Mi considero uomo delle istituzioni, mi ci considero anche adesso. La mia vicenda qui è legata a una situazione drammatica al termine della quale solo il sacrificio del presidente Napolitano di accettare una nuova investitura ha consentito lo sblocco della situazione e al governo “di servizio”. E non fa parte del mio Dna rompere una continuità di un governo non legato alle mie prospettive personali ma per attaccamento alle istituzioni”. Così il premier Enrico Letta in conferenza stampa a Plaazzo Chigi nel rpesetnare l’impegno Italia, il programma di coalizione del governo. “Quando dico uomo delle istituzioni significa che mi devo prendere le mie responsabilità e credo che sia utile che tutti i cittadini del nostro paese verifichino gli atteggiamenti perché questa legisltatura non è nata dalla volontà del popolo, ma è un governo nato in Parlamento. E come tale il lavoro che deve essere fatto è un lavoro in cui ognuno esprime nelle sedi appropriate ipropri pareri”. Poi Letta affonda: “Io in primis e il Pd e il suo segretario devono prendersi le proprie responsabilità. Chedo solo chiarezza. Ieri sera mi hanno chiamato molti giornalisti. Ma le dimisisoni non si danno per manovre di palazzo e a causa di retroscena. Il rispetto delle istituzioni significa che ognuno si debba esprimere autonomamente e echi vuole venire al posto mio deve dire cosa vuole fare. Ognuno deve giocare a carte scoperte”. E poi ancora Letta precisa di essere “soddisfatto” per il lavoro fatto e ricorda cjhe “l’Italia è il paese migliore degli ultimi otto anni e lo spread è al minimo”. Anche se “ha dovuto fare pratiche zen”, ironizza.
“Un grande piano per il paese perché la scuola cominci a 5 anni e finisca a 18 anni per risparmiare un anno e rendere l’Italia competitiva rispetto agli altri Paesi. Un paese che scommette sui bambini scommette sul futuro”, prosegue il Premier. Ma non solo: anche occupazione femminile e mondo del lavoro. Poi politica estera e difesa. E riavvicinare il mondo del quotidiano di tutti i giorni. “Tutti temi che diamo in continuità con l’impegno ch stiamo prendendo. C’è tutto quello che serve per il rilancio del paese. Lo stato di diritto è debole e non riesce cè ad attrarre né a garantire certezze. Quindi un grande pacchetto contro le mafie a a favore della trasparenza”. “Impegno Italia è una grande opportunità, i governi partono dai progetti e dalle cose da fare, non dalle liste di ministri”. “E’ chiaro che andrà verificata quale sarà l’accoglienza”, prosegue ancora.
E poi sull’incontro con Renzi: “come è stato? franco”, spiega. “Ognuno di noi ha fatto le proprie valutazioni e ha espresso i suoi punti di vista. E questa è una cosa sempre positiva”. E sul governo: “Un aggiustamento non sarà sufficiente, per tutto quello che è successo e i cambiamenti avvenuti della natura stessa del governo”. “Ho vissuto questo governo come se ogni giorno fosse stato l’ultimo”.
“Voglio vedere come sarà la discussione domani. Ma non presiedo io la direzione del Partito democratico. Domani è un altro giorno. Io sto cercando di proporre un metodo con cui possiamo risolvere questa crisi. Dobbiamo sapere di stare dentro una cristalleria”,...............
Pubblicato il 12/02/2014 18:19
“Mi considero uomo delle istituzioni, mi ci considero anche adesso. La mia vicenda qui è legata a una situazione drammatica al termine della quale solo il sacrificio del presidente Napolitano di accettare una nuova investitura ha consentito lo sblocco della situazione e al governo “di servizio”. E non fa parte del mio Dna rompere una continuità di un governo non legato alle mie prospettive personali ma per attaccamento alle istituzioni”. Così il premier Enrico Letta in conferenza stampa a Plaazzo Chigi nel rpesetnare l’impegno Italia, il programma di coalizione del governo. “Quando dico uomo delle istituzioni significa che mi devo prendere le mie responsabilità e credo che sia utile che tutti i cittadini del nostro paese verifichino gli atteggiamenti perché questa legisltatura non è nata dalla volontà del popolo, ma è un governo nato in Parlamento. E come tale il lavoro che deve essere fatto è un lavoro in cui ognuno esprime nelle sedi appropriate ipropri pareri”. Poi Letta affonda: “Io in primis e il Pd e il suo segretario devono prendersi le proprie responsabilità. Chedo solo chiarezza. Ieri sera mi hanno chiamato molti giornalisti. Ma le dimisisoni non si danno per manovre di palazzo e a causa di retroscena. Il rispetto delle istituzioni significa che ognuno si debba esprimere autonomamente e echi vuole venire al posto mio deve dire cosa vuole fare. Ognuno deve giocare a carte scoperte”. E poi ancora Letta precisa di essere “soddisfatto” per il lavoro fatto e ricorda cjhe “l’Italia è il paese migliore degli ultimi otto anni e lo spread è al minimo”. Anche se “ha dovuto fare pratiche zen”, ironizza.
“Un grande piano per il paese perché la scuola cominci a 5 anni e finisca a 18 anni per risparmiare un anno e rendere l’Italia competitiva rispetto agli altri Paesi. Un paese che scommette sui bambini scommette sul futuro”, prosegue il Premier. Ma non solo: anche occupazione femminile e mondo del lavoro. Poi politica estera e difesa. E riavvicinare il mondo del quotidiano di tutti i giorni. “Tutti temi che diamo in continuità con l’impegno ch stiamo prendendo. C’è tutto quello che serve per il rilancio del paese. Lo stato di diritto è debole e non riesce cè ad attrarre né a garantire certezze. Quindi un grande pacchetto contro le mafie a a favore della trasparenza”. “Impegno Italia è una grande opportunità, i governi partono dai progetti e dalle cose da fare, non dalle liste di ministri”. “E’ chiaro che andrà verificata quale sarà l’accoglienza”, prosegue ancora.
E poi sull’incontro con Renzi: “come è stato? franco”, spiega. “Ognuno di noi ha fatto le proprie valutazioni e ha espresso i suoi punti di vista. E questa è una cosa sempre positiva”. E sul governo: “Un aggiustamento non sarà sufficiente, per tutto quello che è successo e i cambiamenti avvenuti della natura stessa del governo”. “Ho vissuto questo governo come se ogni giorno fosse stato l’ultimo”.
“Voglio vedere come sarà la discussione domani. Ma non presiedo io la direzione del Partito democratico. Domani è un altro giorno. Io sto cercando di proporre un metodo con cui possiamo risolvere questa crisi. Dobbiamo sapere di stare dentro una cristalleria”,...............
Letta-Renzi, ore decisive per il governo. Premier,ecco il mio patto
Gelo con Renzi.: 'Domani a viso aperto in direzione'. Alfano non chiude - TOTOMINISTRI
12 febbraio, 17:25
Letta e Renzi cercano di aggirare l'impasse di governo seguito al loro incontri di stamani: alle 18 il presidente del Consiglio presenterà "Impegno Italia", proposta di patto di coalizione tra i partiti che sostengono il governo. E su Twitter Palazzo Chigi pubblica il logo di 'Impegno Italia'
Dopo il faccia a faccia, Matteo Renzi ha riunito nella sede del Pd i fedelissimi dopodichè ha annunciato che domani nel corso della direzione PD esporrà charamente la propria posizione
Leggo tante ricostruzioni sul Governo. Quello che devo dire, lo dirò domani alle 15 in direzione. In streaming, a viso aperto
— Matteo Renzi (@matteorenzi) February 12, 2014
Sul sostegno a un eventuale esecutivo a guida Renzi, prende tempo Alfano: "Se il "se" eventualmente sarà tolto nelle prossime ore rifletteremo. Noi non diamo nulla per scontato".
Nessun no a priori neppure dal segretario della Lega Matteo Salvini che dice di voler "chiedere a Renzi cosa vuole fare. Non diciamo no a priori. Ma se saranno solo chiacchiere - aggiunge - faremo la guerra parlamentare. Renzi - prosegue - ci dica se vuole esentare dalle tasse gli alluvionati, cancellare la riforma Fornero e ridiscutere dell'euro e dell'Europa. Se ci stupisce con risposte concrete noi non siamo pagati per dire no a priori. Non credo - dice ancora il segretario della Lega - che le elezioni politiche siano a breve ma a livello nazionale noi siamo soli, liberi e forti"Salvini ribadisce poi che alle Europee la Lega "andrà da sola dato che si tratta - ricorda - di un sistema proporzionale" mentre in futuro "valuteremo se vale la pena fare un percorso insieme con il resto del centrodestra".
Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, è disponibile a restare in un eventuale nuovo esecutivo. "Vediamo cosa succede, mi pare di aver già dato in passato la mia disponibilità, ma qualcuno me lo deve chiedere", ha risposto a una domanda sul suo futuro nella squadra di Governo.
Si smarca, invece, Vendola: "Se lo schema resta quello del governo Letta, non esiste alcuna possibilità per Sel di sostenere Renzi a Palazzo Chigi. Io mi siedo a ragionare solo se si discute di sofferenza sociale e di avanzamento nei diritti civili. Ed è impossibile farlo insieme a Giovanardi e pezzi del centrodestra. Il resto è fantapolitica".
Il presidente Napolitano bolla come 'sciocchezze' l'eventualità di elezioni. citando le parole del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha detto poi che "La fiducia faticosamente riguadagnata non deve essere indebolita dal riaccendersi da timori sulla risolutezza dell'Italia, e di tutti i paesi Euro, a proseguire sulla strada delle riforme e della responsabilità".
Anticipata a domani alle ore 15, la Direzione nazionale del PD. I lavori saranno trasmessi in diretta su www.youdem.tv e sul sito del PD www.partitodemocratico.it.
Gelo con Renzi.: 'Domani a viso aperto in direzione'. Alfano non chiude - TOTOMINISTRI
12 febbraio, 17:25
Letta e Renzi cercano di aggirare l'impasse di governo seguito al loro incontri di stamani: alle 18 il presidente del Consiglio presenterà "Impegno Italia", proposta di patto di coalizione tra i partiti che sostengono il governo. E su Twitter Palazzo Chigi pubblica il logo di 'Impegno Italia'
Dopo il faccia a faccia, Matteo Renzi ha riunito nella sede del Pd i fedelissimi dopodichè ha annunciato che domani nel corso della direzione PD esporrà charamente la propria posizione
Leggo tante ricostruzioni sul Governo. Quello che devo dire, lo dirò domani alle 15 in direzione. In streaming, a viso aperto
— Matteo Renzi (@matteorenzi) February 12, 2014
Sul sostegno a un eventuale esecutivo a guida Renzi, prende tempo Alfano: "Se il "se" eventualmente sarà tolto nelle prossime ore rifletteremo. Noi non diamo nulla per scontato".
Nessun no a priori neppure dal segretario della Lega Matteo Salvini che dice di voler "chiedere a Renzi cosa vuole fare. Non diciamo no a priori. Ma se saranno solo chiacchiere - aggiunge - faremo la guerra parlamentare. Renzi - prosegue - ci dica se vuole esentare dalle tasse gli alluvionati, cancellare la riforma Fornero e ridiscutere dell'euro e dell'Europa. Se ci stupisce con risposte concrete noi non siamo pagati per dire no a priori. Non credo - dice ancora il segretario della Lega - che le elezioni politiche siano a breve ma a livello nazionale noi siamo soli, liberi e forti"Salvini ribadisce poi che alle Europee la Lega "andrà da sola dato che si tratta - ricorda - di un sistema proporzionale" mentre in futuro "valuteremo se vale la pena fare un percorso insieme con il resto del centrodestra".
Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, è disponibile a restare in un eventuale nuovo esecutivo. "Vediamo cosa succede, mi pare di aver già dato in passato la mia disponibilità, ma qualcuno me lo deve chiedere", ha risposto a una domanda sul suo futuro nella squadra di Governo.
Si smarca, invece, Vendola: "Se lo schema resta quello del governo Letta, non esiste alcuna possibilità per Sel di sostenere Renzi a Palazzo Chigi. Io mi siedo a ragionare solo se si discute di sofferenza sociale e di avanzamento nei diritti civili. Ed è impossibile farlo insieme a Giovanardi e pezzi del centrodestra. Il resto è fantapolitica".
Il presidente Napolitano bolla come 'sciocchezze' l'eventualità di elezioni. citando le parole del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha detto poi che "La fiducia faticosamente riguadagnata non deve essere indebolita dal riaccendersi da timori sulla risolutezza dell'Italia, e di tutti i paesi Euro, a proseguire sulla strada delle riforme e della responsabilità".
Anticipata a domani alle ore 15, la Direzione nazionale del PD. I lavori saranno trasmessi in diretta su www.youdem.tv e sul sito del PD www.partitodemocratico.it.
La finanza cambia faccia
Shadow bankig è un'espressione che fa paura. Del resto, è ben vero che può nasconde operazioni finanziare tutt'altro che trasparenti e legali, come le cronache recenti sulla Cina hanno raccontato, ma è anche vero che questa denominazione, data dalla Banca Mondiale e dal "Financial Times", indica un insieme di fenomeni che potremmo definire sistemi di finanziamento alle imprese diversi dai canali bancari tradizionali e dalla sollecitazione al pubblico.
Il punto è che i dati presentati all'Iffi lo scorso novembre rivelavano che nel 2012, per la prima volta, l'ammontare complessivo dello shadow banking ha superato, a livello mondiale, i finanziamenti bancari. Si aprono quindi nuovi scenari, sia per i vecchi operatori bancari, sia per potenziali nuovi interlocutori, in primis le compagnie assicurative, sia per i destinatari del credito, naturalmente, le imprese.
In questo numero, "L'Impresa" pubblica un'inchiesta approfondita e articolata per fare chiarezza e documentare un cambiamento alle porte.
Shadow bankig è un'espressione che fa paura. Del resto, è ben vero che può nasconde operazioni finanziare tutt'altro che trasparenti e legali, come le cronache recenti sulla Cina hanno raccontato, ma è anche vero che questa denominazione, data dalla Banca Mondiale e dal "Financial Times", indica un insieme di fenomeni che potremmo definire sistemi di finanziamento alle imprese diversi dai canali bancari tradizionali e dalla sollecitazione al pubblico.
Il punto è che i dati presentati all'Iffi lo scorso novembre rivelavano che nel 2012, per la prima volta, l'ammontare complessivo dello shadow banking ha superato, a livello mondiale, i finanziamenti bancari. Si aprono quindi nuovi scenari, sia per i vecchi operatori bancari, sia per potenziali nuovi interlocutori, in primis le compagnie assicurative, sia per i destinatari del credito, naturalmente, le imprese.
In questo numero, "L'Impresa" pubblica un'inchiesta approfondita e articolata per fare chiarezza e documentare un cambiamento alle porte.
I nuovi lavori del Cyberspazio: dai social media ai Big Data
Sono molti a credere che il Cyberspazio possa offrire, nel prossimo futuro, grandi opportunità professionali e lavorative. Ciò, in parte, è vero, poiché nella Rete sono nate grandi fortune, ma non bisogna dimenticare che in essa si sono consumati anche terrificanti disastri economici. Tuttavia Internet può offrire ancora molte opportunità lavorative e nuove professionalità che potranno rivelarsi fondamentali in un panorama socio-economico in continua evoluzione.
A cura della Redazione | 22 gennaio 2014
di ANTONIO TETI. Il Cyberspazio è sempre più un punto di riferimento per le nuove professioni. Questo è quello che sembra trasparire dai "rumors" della Rete. Il 2014 sarà l'anno di svolta in tal senso, questo è quello che si evince da un articolo su AOL Jobs che indica in alcune figure professionali quelle che saranno più richieste e maggiormente retribuite in un futuro imminente. Considerando le dovute differenze tra i diversi continenti del pianeta, così come anche i diversi livelli di diffusione e l'utilizzo delle applicazioni fruibili nel Cyberspazio, è possibile stilare una sorta di elenco di riferimento delle figure che saranno maggiormente ricercate:
- Search Engine Optimization Specialist. Siamo sempre nella categoria degli "specialisti", anche se si tratta di una professionalità non certo innovativa. In sostanza si parla di una figura specializzata nell'ottimizzazione dell'utilizzo dei motori di ricerca, quindi già nota, ma che tuttavia potrebbe essere "rinfrescata" dalla crescente esigenza degli utenti della Rete, che non sanno come ricercare, in maniera corretta e rapida, i dati di specifico interesse.
- Social Media Strategist. È lo stratega del social. O per meglio dire, chi dovrebbe sapere quali metodologie, strategie e tattiche, vanno implementate dall'organizzazione in cui opera, per migliorare la presenza della stessa all'interno del social web. La scelta delle piattaforme, l'immagine di presentazione dell'azienda, le tecniche di interazione con i clienti dell'azienda, le gestione delle relazioni virtuali, sono solo alcune delle attività di cui dovrebbe occuparsi questa figura.
- Online Community Manager. È colui che si occupa della gestione del rapporto community-brand o coomunity-product. In altri termini, rappresenta il terminale di collegamento tra i seguaci di un'azienda o dei simpatizzanti di un particolare prodotto dell'azienda. Il suo lavoro consiste nell'incrementare il livello di fiducia/fidelizzazione tra i clienti e l'organizzazione. Con l'inarrestabile incremento dei cybernauti, una figura come questa può effettivamente consentire di migliorare il rapporto dell'organizzazione con le comunità ad essa collegate, ma anche di aumentare il numero degli stessi, mediante azioni di contatto/adesione che stimolino la crescita di nuovi legami con altre comunità/utenti.
- Social Media Marketing Manager. È colui che definisce le strategie di marketing da condurre sui social media. Potrebbe risultare simile al profilo precedente, ma in realtà si tratta di una figura fortemente orientata alla valorizzazione, a qualsiasi livello, delle attività di marketing. L'andamento dei mercati, l'analisi dei prodotti/servizi dei competitor, l'andamento delle vendite in determinati ambienti geografici, il livello di soddisfazione dei clienti nel post-vendita, sono solo alcune delle capacità che questo profilo professionale deve possedere.
- Blogger o Social Media Copywriter. Quella del blogger è una figura già conosciuta. Un blogger è la persona che cura un blog, cioè un particolare sito web in cui sono inseriti contenuti multimediali, pubblicati in forma testuale o come post, da uno o più blogger. Il copywriter, profilo anch'esso noto, ha ormai assunto nell'immaginario collettivo, la medesima connotazione del blogger. La mission del blogger è di costruire repository informativi, in grado di coinvolgere gli utenti in funzione delle tematiche trattate. La sua figura può assumere un valore rilevante in termini di capacità di persuasione e/o condizionamento psicologico, a livello economico, politico, culturale e istituzionale.
Al di là delle peculiarità dei singoli profili professionali, è opportuno considerare che i lavori riconducibili all'ecosistema digitale, sono quasi sempre sottoposti a condizionamenti derivanti dalle mode del momento, o dalle possibili bolle speculative nel mondo del lavoro, oppure da esigenze professionali del particolare momento. Per dirla tutta, risentono fortemente delle fenomenologie, particolarmente complesse e non sempre legate ad esigenze verificabili e quantizzabili, che investono il mondo del Web. Pertanto, come ormai ben sappiamo, tutto ciò che orbita intorno al Cyberspazio va analizzato con grande attenzione e sufficiente freddezza, due requisiti indispensabili per garantire dei ridotti margini di errore sulle decisioni/soluzioni che saranno adottate.
Nondimeno, tra le diverse cyber-specializzazioni richieste dal mercato, una tra tutte offre ampi margini di garanzia in termini di richiesta ed effettiva utilità. Stiamo parlando del Data Scientist o "scienziato dei dati", la figura professionale preposta alla trasformazione dei dati in una conoscenza utile per specifiche esigenze conoscitive. Le capacità di un Data Scientist, sono riassumibili in:
- capacità di individuare gli algoritmi migliori per le operazioni di data mining;
- capacità di individuare i criteri di analisi di maggiore rilevanza;
- capacità di sviluppare nuove metodologie di gestione e ottimizzazione dei dati (data conditioning);
- capacità di gestire, estrapolare, presentare e distribuire i dati e di trasformarli in conoscenza;
- capacità di identificare nuove tipologie di database analitici in funzione del tipo di data mining utilizzato;
- capacità di identificare strumenti di analisi di tipo "high-end", che sono più predittivi e fruibili dalle organizzazioni (ad esempio, per la prevenzione delle frodi o per effettuare previsioni sull'andamento dei mercati e della concorrenza);
- capacità di individuare le problematiche legali, in funzione della trattazione di dati riservati o informazioni protetti dalla privacy;
- il possesso di competenze statistiche, matematiche, metodologie di calcolo, calcolo delle probabilità, e digital processing;
Lo scienziato dei dati deve essere altresì in grado di vagliare attentamente le informazioni che giungono da fonti informative diverse, prima di decidere quali possano essere giudicate "utili" per le sue ricerche. Così come dovrà essere in grado di incrociare preliminarmente i dati giunti in suo possesso (provenienti da molteplici fonti), con particolare attenzione a quelli che provengono dalla Rete, come i social network, blog, web server, o dalle registrazioni online. Inoltre deve essere in grado di gestire dati di maggiore complessità (come quelli geospaziali) e dovrà utilizzare algoritmi di ricerca più raffinati, capaci di scansionare (data mining) immensi database di terabyte di dati in tempi relativamente brevi e dovrà anche essere in grado di selezionare lo strumento di business intelligence più adeguato, per eseguire le analisi richieste dall'organizzazione per la quale lavora. Egli deve possedere anche una mentalità orientata alle arti e alla creatività, per far si che possa elaborare visioni sulle metodologie di gestione intelligente delle informazioni e perfino sul loro possibile utilizzo per finalità diverse da quelle originarie. Se consideriamo come la necessità di consulenti di social media sia cresciuta con la nascita dell'era dei social network, non c'è da stupirsi se nel giro di pochi anni, in funzione della imminente esplosione dei dati, il data scientist assumerà il ruolo del professionista più ricercato al mondo. Thornton May, antropologo culturale e futurista, descrive questa particolare figura addirittura come "l'eroe dei tempi futuri".
Secondo uno studio condotto nel 2011, realizzato da IDC e commissionato da EMC , nel giro di pochi anni saranno creati, a livello planetario, circa 1,8 zettabyte di dati (uno zettabyte equivale a 1000 miliardi di gigabyte), che tradotto in altri termini, si potrebbe tradurre come la creazione di un vero e proprio "universo di informazioni". Questo sovraccarico informativo (problema del Big Data) imporrà, entro il 2020, a tutte le aziende a livello mondiale, l'ampliamento delle rispettive dotazioni di computer utilizzati per la memorizzazione dei dati, per un valore complessivo di circa dieci volte quello attuale.
Il Data Scientist, secondo il parere di autorevoli esperti del settore, facilmente riscontrabili in Rete, assumerà un ruolo fondamentale all'interno di qualsiasi azienda o organizzazione istituzionale. A lui sarà affidato il compito di raccogliere, analizzare e trasformare in saggezza tutte le informazioni fruibili dal Cyberspazio e da altre fonti informative. Sarà lui a fornire le preziose indicazioni ai vertici decisionali, per raggiungere le decisioni migliori per l'ottimizzazione del business aziendale. La sua vera mission sarà quella di trasformare dati in valore. E sarà certamente la figura professionale più richiesta dalle aziende.
Sono molti a credere che il Cyberspazio possa offrire, nel prossimo futuro, grandi opportunità professionali e lavorative. Ciò, in parte, è vero, poiché nella Rete sono nate grandi fortune, ma non bisogna dimenticare che in essa si sono consumati anche terrificanti disastri economici. Tuttavia Internet può offrire ancora molte opportunità lavorative e nuove professionalità che potranno rivelarsi fondamentali in un panorama socio-economico in continua evoluzione.
A cura della Redazione | 22 gennaio 2014
di ANTONIO TETI. Il Cyberspazio è sempre più un punto di riferimento per le nuove professioni. Questo è quello che sembra trasparire dai "rumors" della Rete. Il 2014 sarà l'anno di svolta in tal senso, questo è quello che si evince da un articolo su AOL Jobs che indica in alcune figure professionali quelle che saranno più richieste e maggiormente retribuite in un futuro imminente. Considerando le dovute differenze tra i diversi continenti del pianeta, così come anche i diversi livelli di diffusione e l'utilizzo delle applicazioni fruibili nel Cyberspazio, è possibile stilare una sorta di elenco di riferimento delle figure che saranno maggiormente ricercate:
- Search Engine Optimization Specialist. Siamo sempre nella categoria degli "specialisti", anche se si tratta di una professionalità non certo innovativa. In sostanza si parla di una figura specializzata nell'ottimizzazione dell'utilizzo dei motori di ricerca, quindi già nota, ma che tuttavia potrebbe essere "rinfrescata" dalla crescente esigenza degli utenti della Rete, che non sanno come ricercare, in maniera corretta e rapida, i dati di specifico interesse.
- Social Media Strategist. È lo stratega del social. O per meglio dire, chi dovrebbe sapere quali metodologie, strategie e tattiche, vanno implementate dall'organizzazione in cui opera, per migliorare la presenza della stessa all'interno del social web. La scelta delle piattaforme, l'immagine di presentazione dell'azienda, le tecniche di interazione con i clienti dell'azienda, le gestione delle relazioni virtuali, sono solo alcune delle attività di cui dovrebbe occuparsi questa figura.
- Online Community Manager. È colui che si occupa della gestione del rapporto community-brand o coomunity-product. In altri termini, rappresenta il terminale di collegamento tra i seguaci di un'azienda o dei simpatizzanti di un particolare prodotto dell'azienda. Il suo lavoro consiste nell'incrementare il livello di fiducia/fidelizzazione tra i clienti e l'organizzazione. Con l'inarrestabile incremento dei cybernauti, una figura come questa può effettivamente consentire di migliorare il rapporto dell'organizzazione con le comunità ad essa collegate, ma anche di aumentare il numero degli stessi, mediante azioni di contatto/adesione che stimolino la crescita di nuovi legami con altre comunità/utenti.
- Social Media Marketing Manager. È colui che definisce le strategie di marketing da condurre sui social media. Potrebbe risultare simile al profilo precedente, ma in realtà si tratta di una figura fortemente orientata alla valorizzazione, a qualsiasi livello, delle attività di marketing. L'andamento dei mercati, l'analisi dei prodotti/servizi dei competitor, l'andamento delle vendite in determinati ambienti geografici, il livello di soddisfazione dei clienti nel post-vendita, sono solo alcune delle capacità che questo profilo professionale deve possedere.
- Blogger o Social Media Copywriter. Quella del blogger è una figura già conosciuta. Un blogger è la persona che cura un blog, cioè un particolare sito web in cui sono inseriti contenuti multimediali, pubblicati in forma testuale o come post, da uno o più blogger. Il copywriter, profilo anch'esso noto, ha ormai assunto nell'immaginario collettivo, la medesima connotazione del blogger. La mission del blogger è di costruire repository informativi, in grado di coinvolgere gli utenti in funzione delle tematiche trattate. La sua figura può assumere un valore rilevante in termini di capacità di persuasione e/o condizionamento psicologico, a livello economico, politico, culturale e istituzionale.
Al di là delle peculiarità dei singoli profili professionali, è opportuno considerare che i lavori riconducibili all'ecosistema digitale, sono quasi sempre sottoposti a condizionamenti derivanti dalle mode del momento, o dalle possibili bolle speculative nel mondo del lavoro, oppure da esigenze professionali del particolare momento. Per dirla tutta, risentono fortemente delle fenomenologie, particolarmente complesse e non sempre legate ad esigenze verificabili e quantizzabili, che investono il mondo del Web. Pertanto, come ormai ben sappiamo, tutto ciò che orbita intorno al Cyberspazio va analizzato con grande attenzione e sufficiente freddezza, due requisiti indispensabili per garantire dei ridotti margini di errore sulle decisioni/soluzioni che saranno adottate.
Nondimeno, tra le diverse cyber-specializzazioni richieste dal mercato, una tra tutte offre ampi margini di garanzia in termini di richiesta ed effettiva utilità. Stiamo parlando del Data Scientist o "scienziato dei dati", la figura professionale preposta alla trasformazione dei dati in una conoscenza utile per specifiche esigenze conoscitive. Le capacità di un Data Scientist, sono riassumibili in:
- capacità di individuare gli algoritmi migliori per le operazioni di data mining;
- capacità di individuare i criteri di analisi di maggiore rilevanza;
- capacità di sviluppare nuove metodologie di gestione e ottimizzazione dei dati (data conditioning);
- capacità di gestire, estrapolare, presentare e distribuire i dati e di trasformarli in conoscenza;
- capacità di identificare nuove tipologie di database analitici in funzione del tipo di data mining utilizzato;
- capacità di identificare strumenti di analisi di tipo "high-end", che sono più predittivi e fruibili dalle organizzazioni (ad esempio, per la prevenzione delle frodi o per effettuare previsioni sull'andamento dei mercati e della concorrenza);
- capacità di individuare le problematiche legali, in funzione della trattazione di dati riservati o informazioni protetti dalla privacy;
- il possesso di competenze statistiche, matematiche, metodologie di calcolo, calcolo delle probabilità, e digital processing;
Lo scienziato dei dati deve essere altresì in grado di vagliare attentamente le informazioni che giungono da fonti informative diverse, prima di decidere quali possano essere giudicate "utili" per le sue ricerche. Così come dovrà essere in grado di incrociare preliminarmente i dati giunti in suo possesso (provenienti da molteplici fonti), con particolare attenzione a quelli che provengono dalla Rete, come i social network, blog, web server, o dalle registrazioni online. Inoltre deve essere in grado di gestire dati di maggiore complessità (come quelli geospaziali) e dovrà utilizzare algoritmi di ricerca più raffinati, capaci di scansionare (data mining) immensi database di terabyte di dati in tempi relativamente brevi e dovrà anche essere in grado di selezionare lo strumento di business intelligence più adeguato, per eseguire le analisi richieste dall'organizzazione per la quale lavora. Egli deve possedere anche una mentalità orientata alle arti e alla creatività, per far si che possa elaborare visioni sulle metodologie di gestione intelligente delle informazioni e perfino sul loro possibile utilizzo per finalità diverse da quelle originarie. Se consideriamo come la necessità di consulenti di social media sia cresciuta con la nascita dell'era dei social network, non c'è da stupirsi se nel giro di pochi anni, in funzione della imminente esplosione dei dati, il data scientist assumerà il ruolo del professionista più ricercato al mondo. Thornton May, antropologo culturale e futurista, descrive questa particolare figura addirittura come "l'eroe dei tempi futuri".
Secondo uno studio condotto nel 2011, realizzato da IDC e commissionato da EMC , nel giro di pochi anni saranno creati, a livello planetario, circa 1,8 zettabyte di dati (uno zettabyte equivale a 1000 miliardi di gigabyte), che tradotto in altri termini, si potrebbe tradurre come la creazione di un vero e proprio "universo di informazioni". Questo sovraccarico informativo (problema del Big Data) imporrà, entro il 2020, a tutte le aziende a livello mondiale, l'ampliamento delle rispettive dotazioni di computer utilizzati per la memorizzazione dei dati, per un valore complessivo di circa dieci volte quello attuale.
Il Data Scientist, secondo il parere di autorevoli esperti del settore, facilmente riscontrabili in Rete, assumerà un ruolo fondamentale all'interno di qualsiasi azienda o organizzazione istituzionale. A lui sarà affidato il compito di raccogliere, analizzare e trasformare in saggezza tutte le informazioni fruibili dal Cyberspazio e da altre fonti informative. Sarà lui a fornire le preziose indicazioni ai vertici decisionali, per raggiungere le decisioni migliori per l'ottimizzazione del business aziendale. La sua vera mission sarà quella di trasformare dati in valore. E sarà certamente la figura professionale più richiesta dalle aziende.
Il riciclo della plastica e lo smaltimento dei rifiuti può diventare un lavoro!
9 GENNAIO 2014 21:10
Quanta plastica gettiamo ogni giorno nei rifiuti? Contenitori di detersivi, bottiglie di acqua, le vaschette dove vengono confezionate frutta, verdura, carne e pesce. Fino a pochi anni fa nessuno sembrava essersi mai soffermato a chiedersi se dal riciclo di questo materiale fosse possibile creare un’attività che producesse reddito. Eppure è proprio così. La plastica, se riciclata nel modo giusto, può diventare un vero e proprio lavoro contribuendo alla creazione di un’economia verde. Quella plastica che, se lasciata nell’ambiente, può impiegare anche mille anni a decomporsi e, se bruciata, può produrre sostanze estremamente dannose per l’ambiente come la diossina, può essere riciclata per “tornare a nuova vita” o per produrre calore e elettricità.
Perché non utilizzare anche nuovi tipi di plastica, come quella prodotta con l’utilizzo di materie prime naturali? La gomma realizzata con il tarassaco, meglio conosciuto come dente di leone o soffione, è nata da una ricerca che ha consentito di realizzare da questa pianta la prima gomma naturale da utilizzare per la costruzione di pneumatici eco-sostenibili a impatto zero. Questa nuova soluzione, affiancata agli pneumatici ricostruiti, ha consentito di segnare un punto importante nella salvaguardia dell’ambiente. In breve tempo infatti si è iniziato ad assistere al costante incremento nel web di appositi siti dove poter acquistare questo tipo di pneumatici: ad esempio consultando il portale www.offerte-pneumatici.it sarà possibile acquistare facilmente online ed in pochi click i migliori pneumatici sul mercato. Gli pneumatici ricostruiti, o rigenerati, presentano le stesse performances delle gomme tradizionali e al tempo stesso si prestano ai più svariati utilizzi nel momento in cui non saranno più adatte alla percorrenza su strada. Sono infatti perfetti per realizzare piccoli e grandi oggetti di uso quotidiano: simpatici astucci o eleganti cinture, pratici portafogli o originali borse, valigette porta computer o copertine per i taccuini, ma anche bellissimi oggetti da arredo esterni come fioriere.
Sono veramente tanti gli usi che possono offrire, come tante sono le opportunità di lavoro offerte a chi vuole iniziare ad investire in un’attività in costante crescita. Anche il settore della plastica tradizionale offre molte opportunità per produrre reddito anche se il suo percorso è più lungo e articolato. Il sacco blu infatti, una volta prelevato dal cassonetto apposito, viene avviato ad una prima selezione. Esistono svariati tipi di plastica e prima di procedere al suo riutilizzo è indispensabile suddividerla per tipologia. Una volta smistata sarà rivenduta ai riciclatori che inizieranno la fase di recupero per creare nuovi oggetti. Provvederanno a tritarla in granuli o in scaglie finissime per trasformarla in tessuto o pile, in reti da pesca, cavi, tubazioni per le fognature o materiali isolanti destinati all’edilizia. Una buona differenziazione permette di recuperare tutto il materiale. Di quella minima parte che non può essere riciclata verrà comunque utilizzato l’alto potere energetico e verrà prodotto un combustibile alternativo destinato ai cementifici o agli impianti di produzione dell’energia.
di Francesco Valente
9 GENNAIO 2014 21:10
Quanta plastica gettiamo ogni giorno nei rifiuti? Contenitori di detersivi, bottiglie di acqua, le vaschette dove vengono confezionate frutta, verdura, carne e pesce. Fino a pochi anni fa nessuno sembrava essersi mai soffermato a chiedersi se dal riciclo di questo materiale fosse possibile creare un’attività che producesse reddito. Eppure è proprio così. La plastica, se riciclata nel modo giusto, può diventare un vero e proprio lavoro contribuendo alla creazione di un’economia verde. Quella plastica che, se lasciata nell’ambiente, può impiegare anche mille anni a decomporsi e, se bruciata, può produrre sostanze estremamente dannose per l’ambiente come la diossina, può essere riciclata per “tornare a nuova vita” o per produrre calore e elettricità.
Perché non utilizzare anche nuovi tipi di plastica, come quella prodotta con l’utilizzo di materie prime naturali? La gomma realizzata con il tarassaco, meglio conosciuto come dente di leone o soffione, è nata da una ricerca che ha consentito di realizzare da questa pianta la prima gomma naturale da utilizzare per la costruzione di pneumatici eco-sostenibili a impatto zero. Questa nuova soluzione, affiancata agli pneumatici ricostruiti, ha consentito di segnare un punto importante nella salvaguardia dell’ambiente. In breve tempo infatti si è iniziato ad assistere al costante incremento nel web di appositi siti dove poter acquistare questo tipo di pneumatici: ad esempio consultando il portale www.offerte-pneumatici.it sarà possibile acquistare facilmente online ed in pochi click i migliori pneumatici sul mercato. Gli pneumatici ricostruiti, o rigenerati, presentano le stesse performances delle gomme tradizionali e al tempo stesso si prestano ai più svariati utilizzi nel momento in cui non saranno più adatte alla percorrenza su strada. Sono infatti perfetti per realizzare piccoli e grandi oggetti di uso quotidiano: simpatici astucci o eleganti cinture, pratici portafogli o originali borse, valigette porta computer o copertine per i taccuini, ma anche bellissimi oggetti da arredo esterni come fioriere.
Sono veramente tanti gli usi che possono offrire, come tante sono le opportunità di lavoro offerte a chi vuole iniziare ad investire in un’attività in costante crescita. Anche il settore della plastica tradizionale offre molte opportunità per produrre reddito anche se il suo percorso è più lungo e articolato. Il sacco blu infatti, una volta prelevato dal cassonetto apposito, viene avviato ad una prima selezione. Esistono svariati tipi di plastica e prima di procedere al suo riutilizzo è indispensabile suddividerla per tipologia. Una volta smistata sarà rivenduta ai riciclatori che inizieranno la fase di recupero per creare nuovi oggetti. Provvederanno a tritarla in granuli o in scaglie finissime per trasformarla in tessuto o pile, in reti da pesca, cavi, tubazioni per le fognature o materiali isolanti destinati all’edilizia. Una buona differenziazione permette di recuperare tutto il materiale. Di quella minima parte che non può essere riciclata verrà comunque utilizzato l’alto potere energetico e verrà prodotto un combustibile alternativo destinato ai cementifici o agli impianti di produzione dell’energia.
di Francesco Valente
La vergogna ha finalmente un nome: Parlamento
4 FEBBRAIO 2014 10:21
Scontri fisici davanti alla Presidentessa della Camera Boldrini, mi chiedo come si faccia ad andare davanti agli studenti a parlare di non violenza (pareri di donne comuni), con quale volto mi presento ad una scolaresca (la signora Boldrini in questi giorni ha parlato di non violenza agli alunni dello storico liceo Mamiani di Roma), come spiegare questi segnali di incapacità?
Pensiamo tutte che si debbono fermare; lo Stato ha bisogno dI recuperare dignità, rispetto e educazione. Tornare credibili per dovere verso i nostri figli, per non lasciare sempre l’ impressione che chi alza di più la voce ha sempre ragione. Altrimenti lasceremo i nostri ragazzi con problemi maggiori dei nostri.
Si legge in un articolo, scritto da un grande “giornalista”, che dobbiamo far finta che schiaffoni e insulti, volgarità e similari, sono ammissibili nel nostro ordinamento, perchè abbiamo problemi più grandi. Secondo il “giornalista” la scazzottata a Montecitorio non deve destare preoccupazione. Il caos secondo lui “è figlio della prima Repubblica”: “Suvvia, onorevole Lupo, una col suo cognome dovrebbe sapere che homo homini lupus. Il senso del nostro discorso è il seguente: datevele pure di santa ragione, poi però non atteggiatevi a vittime. Picchia tu che picchio anch’io, e che sia finita lì. Livido più, livido meno, che volete che sia?”.
Mi rifiuto, e come me moltissime donne, di pensare che tutto questo sia accettabile, in nome di molte cose più importanti. Da anni in Italia si ammazzano donne e persone indifese. Molti sono gli operatori che giorno e notte con nomi come: task force codice rosa, si battono per far si che tutto questo non avvenga. Prendere a schiaffi una deputata è un atto gravissimo, non giustificabile dal fatto che i componenti del M5S hanno sconfinato. Sono 49 anni che i nostri politici sconfinano e per poco tutto si tramuta in rissa.
Da una ricerca fatta su internet, indietro nel tempo:
26 ottobre 2011 - La seduta è stata sospesa dal Presidente di turno, On.Bindi, a seguito di scontri “fisici” tra parlamentari leghisti e parlamentari di Futuro e liberà, il tutto di fronte alle scolaresche in visita a Montecitorio che dalle balconate hanno assistito incredule all’accaduto.
29 aprile 1998 - Uno scontro verbale su Juventus-Inter tra il deputato di An Gramazio e l’ex calciatore e deputato Ds Massimo Mauro si trasforma in scontro fisico. Gramazio scatta verso i banchi della maggioranza, Mauro cerca di allontanare con un calcio l’avversario, che intanto lo strattona e cerca di colpirlo. Gran lavoro dei commessi per sedare la rissa.
2 agosto 1996 - Scambi di insulti e strattoni tra deputati di Polo e Lega nella discussione sul finanziamento dei partiti. Il leghista Cavaliere salta un banco e cerca di raggiungere il deputato Giovine e altri esponenti di Forza Italia. Rotti gli occhiali a Vittorio Sgarbi.
19 maggio 1993 - Durante la discussione della riforma Rai, il deputato missino Teodoro Buontempo cerca di parlare in aula con un megafono e, all’ordine di consegnarlo, scappa per le scale dell’emiciclo rincorso dai commessi. Il vicepresidente lo richiama e poi lo espelle insieme al collega di partito Marenco che ha urlato “ladri-ladri” e altro.
1 aprile 1952 - Il deputato Dc Albino Stella, coltivatore diretto, si getta contro il monarchico popolare Ettore Viola, agricoltore, colpendolo con un pugno.
Chi pensa che la rissa scatenata dai grillini in Parlamento sia un fatto nuovo, si sbaglia di grosso.
Parolacce ed insulti, calci e spintoni, bagarre tra i banchi della politica in 60 anni di repubblica ce ne sono stati molti . Una lunga serie di episodi dello stesso genere hanno contraddistinto la vita politica del nostro parlamento. Nel nostro paese, insomma, c’è una ricca bibliografia. Da anni il vento della bagarre soffia sullo Stivale: i nostri rappresentanti vantano un record di parapiglia senza eguali.
Cominciamo nel 1949 quando fu votata l’adesione alla Nato, presiedeva la Camera Giovanni Gronchi, futuro inquilino del Quirinale.Era Venerdì 18 marzo. Da tre giorni, ininterrottamente, si discute, a Montecitorio, il testo del trattato di adesione dell’Italia al Patto Atlantico. Sono tutti sfiniti. Per due giorni e due notti i rappresentanti al Parlamento di 46 milioni di italiani si sono nutriti di panini e bibite.
Ad un tratto I comunisti si gettarono in massa nell’emiciclo, mentre i democristiani tentavano di arginare l’attacco. Semeraro, nella furibonda rissa, trova i compagni al suo fianco, mentre Giancarlo Pajetta inveisce, ormai afono, contro il centro. Ad un tratto, l’altro Pajetta, Giuliano, con un salto acrobatico piomba disteso sulla massa. Pugni gli piovono addosso. Rimettendosi in piedi, Giuliano Pajetta attacca a sua volta. Ma non basta. Da sinistra, uno dei cassetti degli scanni lanciato da un comunista va a cadere sulla massa umana che si aggroviglia sempre. Più fra urla e grida altissime, invano trattenuta dagli atletici commessi e questori, travolti essi stessi dalla spinta che incalza da tutte le parti. pulcinella291.forumfree.it
Abbassare i toni iniziando dalla televisione, in famiglia, posti di lavoro, per la strada, altrimenti tutti, ma proprio tutti un giorno si sentiranno in dovere di prendere a schiaffi chi non è daccordo con loro, il lavoro di molti finirà nelle fogne e saremo sommersi da bombe di fango, moriremo soffocati dalle urla.
di Adelfia Franchi
4 FEBBRAIO 2014 10:21
Scontri fisici davanti alla Presidentessa della Camera Boldrini, mi chiedo come si faccia ad andare davanti agli studenti a parlare di non violenza (pareri di donne comuni), con quale volto mi presento ad una scolaresca (la signora Boldrini in questi giorni ha parlato di non violenza agli alunni dello storico liceo Mamiani di Roma), come spiegare questi segnali di incapacità?
Pensiamo tutte che si debbono fermare; lo Stato ha bisogno dI recuperare dignità, rispetto e educazione. Tornare credibili per dovere verso i nostri figli, per non lasciare sempre l’ impressione che chi alza di più la voce ha sempre ragione. Altrimenti lasceremo i nostri ragazzi con problemi maggiori dei nostri.
Si legge in un articolo, scritto da un grande “giornalista”, che dobbiamo far finta che schiaffoni e insulti, volgarità e similari, sono ammissibili nel nostro ordinamento, perchè abbiamo problemi più grandi. Secondo il “giornalista” la scazzottata a Montecitorio non deve destare preoccupazione. Il caos secondo lui “è figlio della prima Repubblica”: “Suvvia, onorevole Lupo, una col suo cognome dovrebbe sapere che homo homini lupus. Il senso del nostro discorso è il seguente: datevele pure di santa ragione, poi però non atteggiatevi a vittime. Picchia tu che picchio anch’io, e che sia finita lì. Livido più, livido meno, che volete che sia?”.
Mi rifiuto, e come me moltissime donne, di pensare che tutto questo sia accettabile, in nome di molte cose più importanti. Da anni in Italia si ammazzano donne e persone indifese. Molti sono gli operatori che giorno e notte con nomi come: task force codice rosa, si battono per far si che tutto questo non avvenga. Prendere a schiaffi una deputata è un atto gravissimo, non giustificabile dal fatto che i componenti del M5S hanno sconfinato. Sono 49 anni che i nostri politici sconfinano e per poco tutto si tramuta in rissa.
Da una ricerca fatta su internet, indietro nel tempo:
26 ottobre 2011 - La seduta è stata sospesa dal Presidente di turno, On.Bindi, a seguito di scontri “fisici” tra parlamentari leghisti e parlamentari di Futuro e liberà, il tutto di fronte alle scolaresche in visita a Montecitorio che dalle balconate hanno assistito incredule all’accaduto.
29 aprile 1998 - Uno scontro verbale su Juventus-Inter tra il deputato di An Gramazio e l’ex calciatore e deputato Ds Massimo Mauro si trasforma in scontro fisico. Gramazio scatta verso i banchi della maggioranza, Mauro cerca di allontanare con un calcio l’avversario, che intanto lo strattona e cerca di colpirlo. Gran lavoro dei commessi per sedare la rissa.
2 agosto 1996 - Scambi di insulti e strattoni tra deputati di Polo e Lega nella discussione sul finanziamento dei partiti. Il leghista Cavaliere salta un banco e cerca di raggiungere il deputato Giovine e altri esponenti di Forza Italia. Rotti gli occhiali a Vittorio Sgarbi.
19 maggio 1993 - Durante la discussione della riforma Rai, il deputato missino Teodoro Buontempo cerca di parlare in aula con un megafono e, all’ordine di consegnarlo, scappa per le scale dell’emiciclo rincorso dai commessi. Il vicepresidente lo richiama e poi lo espelle insieme al collega di partito Marenco che ha urlato “ladri-ladri” e altro.
1 aprile 1952 - Il deputato Dc Albino Stella, coltivatore diretto, si getta contro il monarchico popolare Ettore Viola, agricoltore, colpendolo con un pugno.
Chi pensa che la rissa scatenata dai grillini in Parlamento sia un fatto nuovo, si sbaglia di grosso.
Parolacce ed insulti, calci e spintoni, bagarre tra i banchi della politica in 60 anni di repubblica ce ne sono stati molti . Una lunga serie di episodi dello stesso genere hanno contraddistinto la vita politica del nostro parlamento. Nel nostro paese, insomma, c’è una ricca bibliografia. Da anni il vento della bagarre soffia sullo Stivale: i nostri rappresentanti vantano un record di parapiglia senza eguali.
Cominciamo nel 1949 quando fu votata l’adesione alla Nato, presiedeva la Camera Giovanni Gronchi, futuro inquilino del Quirinale.Era Venerdì 18 marzo. Da tre giorni, ininterrottamente, si discute, a Montecitorio, il testo del trattato di adesione dell’Italia al Patto Atlantico. Sono tutti sfiniti. Per due giorni e due notti i rappresentanti al Parlamento di 46 milioni di italiani si sono nutriti di panini e bibite.
Ad un tratto I comunisti si gettarono in massa nell’emiciclo, mentre i democristiani tentavano di arginare l’attacco. Semeraro, nella furibonda rissa, trova i compagni al suo fianco, mentre Giancarlo Pajetta inveisce, ormai afono, contro il centro. Ad un tratto, l’altro Pajetta, Giuliano, con un salto acrobatico piomba disteso sulla massa. Pugni gli piovono addosso. Rimettendosi in piedi, Giuliano Pajetta attacca a sua volta. Ma non basta. Da sinistra, uno dei cassetti degli scanni lanciato da un comunista va a cadere sulla massa umana che si aggroviglia sempre. Più fra urla e grida altissime, invano trattenuta dagli atletici commessi e questori, travolti essi stessi dalla spinta che incalza da tutte le parti. pulcinella291.forumfree.it
Abbassare i toni iniziando dalla televisione, in famiglia, posti di lavoro, per la strada, altrimenti tutti, ma proprio tutti un giorno si sentiranno in dovere di prendere a schiaffi chi non è daccordo con loro, il lavoro di molti finirà nelle fogne e saremo sommersi da bombe di fango, moriremo soffocati dalle urla.
di Adelfia Franchi
Una società aperta per l'Italia
Se la Sicilia avesse lo stesso livello di libertà della Lombardia, il reddito pro-capite e la felicità dei suoi abitanti sarebbe significativamente maggiore. Questo dipende dalla politica, ma anche dalle persone, che devono attivarsi per realizzare il loro sogno di vita. Da L'Impresa n. 2/2014 l'intervista a Sebastiano Bavetta, economista.
A cura della Redazione | 7 febbraio 2014
di MASSIMILIANO CANNATA. Il messaggio di fondo del saggio "Il vantaggio delle libertà (ed. Rubbettino) di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra (che insegnano rispettivamente Economia politica all'Università di Palermo ed Economia del settore pubblico presso l'Università di Messina, di cui lo stesso Navarra è rettore) si può riassumere in una battuta: bisogna riaffermare la centralità della persona per favorire la rinascita economica, morale e sociale dell'Italia. Lo strumento per raggiungere un obiettivo così ambizioso è la libertà. Un concetto difficile da maneggiare e sicuramente affascinante, su cui il pensiero filosofico ha speculato fin dal suo sorgere. Analizzarlo in chiave economico-politica è l'aspetto di maggiore interesse e attualità, che ci consente di entrare nell'ottica di un più ampio lavoro di ricerca a cui gli autori, entrambi visiting professor presso l'Università della Pennsylvania, lavorano da molti anni, alimentando il dibattito internazionale su questi temi. «L'idea di libertà che portiamo avanti insieme a Pietro Navarra – spiega Bavetta a "L'Impresa" nel suo studio palermitano – consiste nella possibilità di realizzare il proprio progetto di vita. Per farlo è necessario che le istituzioni siano poco invadenti, ma anche che le persone siano capaci e disponibili
a disegnare un percorso originale e a sopportarne i costi. È interessante osservare che la realizzazione di questa libertà permette il raggiungimento della felicità, poiché la realizzazione dei propri sogni è ciò che ci rende felici». Finalmente la felicità… da tempo non si sentiva pronunciare questa parola, soprattutto legata a un'idea di libertà che parte dall'autonomia, dalla responsabilità e dal valore dell'individuo nell'essere protagonista della propria vita professionale e personale.
Professore, il capovolgimento di logica e di visione che il saggio propone non è di poco conto. Sembra utopia pura se guardiamo alla realtà storica e politica non solo dell'Italia di oggi, schiacciata da interessi e pressioni. Quali sono le priorità, affinché la costruzione di "una società aperta" possa diventare realtà?
Posta in termini di priorità da affrontare la creazione di una società libera sembra sia un tema politico e istituzionale. In realtà lo è solo in parte, perché esiste un approccio diverso. La costruzione di una società libera passa anzitutto attraverso l'assunzione di responsabilità individuali nella nostra vita sociale e attraverso la realizzazione di quei comportamenti che, nelle riviste scientifiche, si chiamano "pro-sociali". Per capirci: uno studente che sostiene l'esame scritto senza copiare, un dipendente pubblico che ha il coraggio di dire no a direttive inopportune quando non illegittime, un cittadino che adempie ai propri doveri fiscali, creano libertà.
La proposta liberale che avanzate si differenzia sia dalle posizioni del liberalismo classico sia dalle analisi offerte in alcune recenti pubblicazioni dagli economisti Alberto Mingardi e Luigi Zingales. Ci può spiegare in che senso?
Il liberalismo classico ha sempre difeso l'idea che la libertà sia assenza di vincoli, che si traduce nella dimensione di uno Stato non invadente. Di certo, la libertà ha a che fare con la non intrusione dello Stato nella nostra vita. Ma attenzione: dobbiamo comprendere che la libertà, intesa in un'equilibrata ottica liberale, si identifica con la possibilità di esprimere la propria individualità in maniera originale. Il liberalismo classico sostiene che, qualora lo Stato non sia invasivo, è possibile manifestare la propria individualità. A noi sembra che storicamente non sia necessariamente così.
Ad esempio?
Prendiamo il caso della Rivoluzione Industriale in Inghilterra. Allora le istituzioni erano invadenti e inadeguate a tutelare le aspirazioni delle persone a costruire, con la loro imprenditorialità, un percorso di crescita personale e materiale. L'affermazione della libertà, la creazione di istituzioni non invadenti e rispettose dei cittadini, è avvenuta attraverso l'ostinata determinazione dei singoli individui a realizzare il proprio percorso di vita. In questa ostinazione c'è la manifestazione della libertà come possibilità di esprimere la propria individualità in maniera originale. Se le persone non fossero state motivate, le istituzioni non sarebbero mai cambiate da sole. A me pare che l'impegno personale al cambiamento istituzionale non sia tenuto nel dovuto conto dal liberalismo. Una mancanza che è stata pagata al prezzo di una limitata efficacia politica.
Se non basta contenere l'invadenza dello Stato per dare ossigeno a una società che si possa definire realmente aperta, che cosa altro occorre?
In termini più generali, va detto che le istituzioni non nascono già adattate al buon funzionamento dei mercati e della società e programmate per rispettare la libertà e l'espressione originale di ciascuna persona. Al contrario, le istituzioni si evolvono in senso favorevole alla libertà solo se la società dà adeguato spazio all'affermazione dell'individualità e se ciascun individuo, per proteggere questa affermazione, pretende istituzioni non invadenti e si impegna a costruirle con il proprio comportamento. I nostri mali sono in larga parte connessi all'asfissia dell'affermazione dell'individualità. Poiché in Italia in molti si avvantaggiano di uno Stato invadente e del relativo favore che incontrano tante regole non pro-sociali, l'affermazione dell'individualità è limitata con ripercussioni significative sulla prosperità materiale e immateriale, soprattutto oggi che la società offre incredibili possibilità alla manifestazione dell'originalità, impensabili sino a venti o trent'anni fa.
Molti sono i dati interessanti contenuti nel lavoro, a cominciare dal primo: l'impoverimento delle famiglie. Dal '91 si è registrata una flessione del 2,4% della ricchezza. Per comprendere questo declino, che al Sud è ancora più drammatico, non basta certo la scienza economica…
La scienza economica ha peccato di presunzione ritenendo che l'esuberanza e l'imprevedibilità dei comportamenti delle persone potessero essere compresse entro schemi formali, fondati sull'ipotesi che l'uomo sia un essere razionale. Ma c'è di più: secondo me, non siamo stati in grado di vedere l'arrivo della crisi soprattutto perché ci è mancata la prospettiva storica e abbiamo ritenuto che il miracolo della crescita degli ultimi due secoli fosse una nuova forma, ormai acquisita, della condizione umana sulla Terra. In realtà, esiste un problema di rendimenti della tecnologia e non è necessariamente detto che la crescita sarà sempre garantita.
I numeri forse più allarmanti sono però quelli che riguardano la fiducia nelle istituzioni e i livelli dell'istruzione, che dimostrano la totale assenza di mobilità sociale. Un paese "bloccato" come è l'Italia può avere futuro?
I dati sulla fiducia nelle istituzioni e sui livelli di istruzione sono allarmanti, è vero. Ma il campanello più drammatico lo suonano i dati sull'impatto della libertà. Se la Sicilia avesse lo stesso livello di libertà della Lombardia, il reddito pro-capite e la felicità dei suoi abitanti sarebbe significativamente maggiore. Non cambiando atteggiamenti, non introducendo comportamenti pro-sociali diffusi, non innovando istituzioni inadeguate per la libertà e per
la possibilità di affermare il proprio sogno, i siciliani stanno scegliendo loro malgrado, una vita meno prospera e meno felice dei lombardi e stanno anche condannando la Sicilia all'irrilevanza politica ed economica in Italia, in Europa e nel mondo.
Proviamo a rimanere sulla definizione della crisi cercando di non ripercorrere le tante ricette "sterili" già sentite. Qual è il nesso che lega la morale, l'economia e la giustizia sociale?
La convivenza in una società si fonda su un'idea di giustizia. Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale e sino agli anni '70, l'idea di giustizia prevalente in Occidente era la seguente: la ricchezza accumulata conta relativamente poco per il successo economico, il lavoro è la chiave per la prosperità materiale e immateriale. In quella società tutti avevano una chance di entrare a fare parte della classe media. Da trent'anni a questa parte il quadro è cambiato. La ricchezza accumulata conta molto, come nell'Ottocento, e il lavoro non assicura un'opportunità per diventare benestanti, per curare i propri genitori adeguatamente e mandare i propri figli in scuole decenti. L'idea di giustizia che ha prevalso nella seconda metà del Novecento e che è stata architrave della nostra società è sotto pressione e si sta pericolosamente piegando sotto il peso di forze storiche ineluttabili come la globalizzazione e l'evoluzione tecnologica.
Si può arrestare questa deriva?
L'Occidente, in generale, ha reagito male a questa pressione, perché ha utilizzato la politica per correggere le diseguaglianze che la storia recente ha contribuito a creare. Essendo un'attività redistributiva, la politica ha tagliato il legame tra merito e successo economico, aggravando – invece di ridurre – il senso di ingiustizia. Ecco perché la crisi attuale è anzitutto una crisi morale ed ecco spiegato perché la soluzione sia ridurre il ruolo dello Stato: per recuperare un legame tra merito e risultati e restaurare un'idea di giustizia realizzabile nella nostra società.
La tecnologia è un'altra parola chiave, su cui insistete molto. Il valore aggiunto dell'innovazione – a detta di molti osservatori – si sta smorzando, con quali conseguenze sul nostro sistema economico e sulla competitività?
Non direi che il valore aggiunto dell'innovazione si stia smorzando. Se osserviamo settori come le biotecnologie o le energie alternative, possiamo accorgerci che il valore aggiunto offerto dall'innovazione rimane molto forte. Il problema è che i costi per realizzare l'innovazione sono cresciuti esponenzialmente. Gli investimenti necessari per l'avanzamento tecnologico sono enormi e le ricadute sociali dell'innovazione minori. Le conseguenze sono numerose e importanti. La crescita dell'economia probabilmente non terrà più i ritmi degli anni '60 e i costi dello stato sociale cresceranno. Dal punto di vista della politica economica bisognerà riformare le scuole e le università per garantire un'adeguata offerta di capitale umano, accrescere la competitività per mantenere elevata la propensione a innovare e ridurre le rendite che la presenza dello Stato impone e che frenano la corsa tecnologica delle imprese. Poi, bisognerà immaginare politiche monetarie che controllino l'inflazione, cercando di mantenere bassi i tassi di interesse, altrimenti i costi dell'innovazione potrebbero diventare proibitivi.
Nel saggio viene richiamato un recente intervento del politologo Ernesto Galli Della Loggia che denuncia le ragioni di fondo che hanno impedito il diffondersi in Italia di una cultura autenticamente liberal democratica. Di chi è la colpa di tutto questo?
Non si tratta di assegnare meriti o colpe, semmai di capire cosa può servire a trasformare la nostra società in senso liberale. Il libro insiste su un punto: il liberalismo non si affermerà per effetto delle riforme dall'alto, ma sulla spinta di un'assunzione di responsabilità da parte di tutti a ridurre l'ingerenza dello Stato nelle nostre scelte. Ciò che viene auspicato è una forma di "leadership diffusa", che significa: tanti uomini e donne che, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e del proprio ruolo – grande o piccolo –, siano capaci di trasformare la realtà che li circonda rendendola il riflesso del disegno di vita, che hanno consapevolmente deciso di realizzare. Questa è la più grande rivoluzione liberale che l'Italia dovrebbe oggi consentire. Ancora una volta, sono costretto a ribadire che non dipende solo dalla politica, perché le persone devono dare un contributo.
È possibile misurare autonomia, spirito di iniziativa, visione del futuro? In altre parole, esistono degli indicatori utili a fornire indicazioni a chi governa per tentare di attuare i suggerimenti contenuti nella vostra proposta?
La ricerca che sto conducendo all'University of Pennsylvania, assieme a Pietro Navarra, dimostra che l'autonomia si può misurare e che ha un impatto sulla performance della società. Idee simili alle nostre sono già state portate avanti in Europa da leader illuminati, quali Tony Blair, che hanno messo l'idea della scelta al centro del disegno della società e delle riforme dei servizi pubblici. In Italia ci sono stati alcuni esempi, soprattutto in Lombardia, e una smorzante iniziativa in Sicilia. Purtroppo quanto di buono è stato fatto, molto spesso, è stato dissipato dall'animosità del dibattito politico e da una visione della cosa pubblica in cui l'interesse collettivo non sempre è rimasto al centro dell'attenzione.
Nella "società aperta" da voi disegnata, quale deve essere il perimetro dello Stato e che spazio di intervento deve avere il welfare state?
La leadership diffusa di cui parlavo è importante per l'affermazione della libertà. Tuttavia, senza strumenti di coordinamento dei comportamenti individuali, senza cioè sistemi che premino i comportamenti virtuosi e puniscano quelli viziosi, la leadership diffusa difficilmente avrà successo. Allo Stato spetta il compito di delineare le istituzioni che coordinano i comportamenti delle persone e garantire che il campo di gioco sia livellato, in modo che nessuno sia ingiustamente avvantaggiato.
Guardiamo all'Europa. Va di moda attaccare Bruxelles per le politiche di austerità. Michele Salvati, che non è certo un liberista, ha fatto notare che è inutile insistere sulla debolezza della domanda auspicando interventi del soggetto pubblico, faremmo meglio a concentrarci sul lato dell'offerta, le imprese competitive, la qualità, l'efficienza della Pa, la governancedel settore pubblico. È d'accordo con questa posizione?
Sono d'accordo con le affermazioni di Salvati. Aggiungerei che molta della retorica contro Bruxelles nasconde la difesa di interessi costituiti e non è basata su una convincente analisi della realtà economica che stiamo vivendo. Ma c'è di più. Larry Summers – economista ad Harvard e già ministro del tesoro americano con Clinton – ha recentemente sostenuto che una parte della crisi si spiega con una flessione della domanda. Non posso escludere che abbia ragione. Il problema è che fare. La proposta che Summers avanza – come tanti sostenitori delle tesi keynesiane, riapparsi come funghi all'indomani del 2008 – è quella di fare investimenti pubblici, approfittando dei bassi tassi di interesse. Indebitandosi al 4-5% a lungo termine si sviluppa la domanda e si compensa la maggiore spesa pubblica con la crescita dell'economia. La proposta sarebbe stata forse accettabile in un altro tempo, quando il problema della maturità tecnologica non mordeva. Oggi le economie tecnologicamente mature hanno difficoltà a crescere nel lungo periodo con tassi sufficienti a ripagare il maggiore debito contratto per le opere pubbliche. È anche per questo che, a mio parere, le politiche dal lato dell'offerta appaiono più convincenti oltre che più efficaci.
In molte fasi dell'anno, lei si trova a lavorare in America. Obama ha fatto ricorso a grosse iniezioni di capitale pubblico per far ripartire l'economia. Non siamo di fronte a una contraddizione per un paese che dovrebbe per cultura e tradizione osservare e praticare in maniera integrale i dettami dell'economia liberale?
Obama è il presidente più distante dai valori costitutivi della società americana che sia stato eletto nella storia. Il suo successo elettorale è figlio della diseguaglianza economica crescente e degli errori dei suoi avversari. In questo senso il successo di Obama riflette la difficoltà odierna del liberalismo a essere politicamente rilevante. Anche se la pubblicazione di questo libro va letta come un tentativo di restituire credibilità politica al liberalismo in Italia, sono convinto che argomenti simili si potrebbero sostenere anche in America.
Chiuderei questa conversazione, prendendo spunto dalla dedica del saggio. Perché i giovani dovrebbero scegliere di vivere in Italia?
L'Italia è uno dei paesi più belli del mondo con un patrimonio culturale unico e un'alta qualità della vita diffusa anche nella provincia meno benestante. Il problema è che tutto ciò non basta a garantire una vita pienamente realizzata. Per essere felici è importante il clima, è importante il paesaggio, contano le forme classiche e razionali dell'architettura rinascimentale e le armonie del "Va Pensiero". Ma serve soprattutto la possibilità di realizzare il proprio sogno di vita. Oggi l'Italia non offre questa opportunità. Il sogno si scontra tutti i giorni con rendite, interessi costituiti e ostacoli burocratici. Se il nostro paese non metterà questa pietanza nel suo menu, perché i giovani dovrebbero scegliere di vivere in Italia? In regioni come la Sicilia, dove insegno e risiedo, la possibilità di realizzare il proprio sogno di vita non è prevista, per questo i giovani più istruiti se ne vanno ormai da diversi anni. Ecco di fronte a questo fenomeno di vera e propria "desertificazione antropica", direi che alla mia generazione spetta ancora un compito, forse il più arduo: permettere a chi verrà dopo di scommettere che il proprio sogno possa realizzarsi anche in Italia. È una sfida importante che stiamo perdendo. Attenzione perché non ci resta molto tempo.
Se la Sicilia avesse lo stesso livello di libertà della Lombardia, il reddito pro-capite e la felicità dei suoi abitanti sarebbe significativamente maggiore. Questo dipende dalla politica, ma anche dalle persone, che devono attivarsi per realizzare il loro sogno di vita. Da L'Impresa n. 2/2014 l'intervista a Sebastiano Bavetta, economista.
A cura della Redazione | 7 febbraio 2014
di MASSIMILIANO CANNATA. Il messaggio di fondo del saggio "Il vantaggio delle libertà (ed. Rubbettino) di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra (che insegnano rispettivamente Economia politica all'Università di Palermo ed Economia del settore pubblico presso l'Università di Messina, di cui lo stesso Navarra è rettore) si può riassumere in una battuta: bisogna riaffermare la centralità della persona per favorire la rinascita economica, morale e sociale dell'Italia. Lo strumento per raggiungere un obiettivo così ambizioso è la libertà. Un concetto difficile da maneggiare e sicuramente affascinante, su cui il pensiero filosofico ha speculato fin dal suo sorgere. Analizzarlo in chiave economico-politica è l'aspetto di maggiore interesse e attualità, che ci consente di entrare nell'ottica di un più ampio lavoro di ricerca a cui gli autori, entrambi visiting professor presso l'Università della Pennsylvania, lavorano da molti anni, alimentando il dibattito internazionale su questi temi. «L'idea di libertà che portiamo avanti insieme a Pietro Navarra – spiega Bavetta a "L'Impresa" nel suo studio palermitano – consiste nella possibilità di realizzare il proprio progetto di vita. Per farlo è necessario che le istituzioni siano poco invadenti, ma anche che le persone siano capaci e disponibili
a disegnare un percorso originale e a sopportarne i costi. È interessante osservare che la realizzazione di questa libertà permette il raggiungimento della felicità, poiché la realizzazione dei propri sogni è ciò che ci rende felici». Finalmente la felicità… da tempo non si sentiva pronunciare questa parola, soprattutto legata a un'idea di libertà che parte dall'autonomia, dalla responsabilità e dal valore dell'individuo nell'essere protagonista della propria vita professionale e personale.
Professore, il capovolgimento di logica e di visione che il saggio propone non è di poco conto. Sembra utopia pura se guardiamo alla realtà storica e politica non solo dell'Italia di oggi, schiacciata da interessi e pressioni. Quali sono le priorità, affinché la costruzione di "una società aperta" possa diventare realtà?
Posta in termini di priorità da affrontare la creazione di una società libera sembra sia un tema politico e istituzionale. In realtà lo è solo in parte, perché esiste un approccio diverso. La costruzione di una società libera passa anzitutto attraverso l'assunzione di responsabilità individuali nella nostra vita sociale e attraverso la realizzazione di quei comportamenti che, nelle riviste scientifiche, si chiamano "pro-sociali". Per capirci: uno studente che sostiene l'esame scritto senza copiare, un dipendente pubblico che ha il coraggio di dire no a direttive inopportune quando non illegittime, un cittadino che adempie ai propri doveri fiscali, creano libertà.
La proposta liberale che avanzate si differenzia sia dalle posizioni del liberalismo classico sia dalle analisi offerte in alcune recenti pubblicazioni dagli economisti Alberto Mingardi e Luigi Zingales. Ci può spiegare in che senso?
Il liberalismo classico ha sempre difeso l'idea che la libertà sia assenza di vincoli, che si traduce nella dimensione di uno Stato non invadente. Di certo, la libertà ha a che fare con la non intrusione dello Stato nella nostra vita. Ma attenzione: dobbiamo comprendere che la libertà, intesa in un'equilibrata ottica liberale, si identifica con la possibilità di esprimere la propria individualità in maniera originale. Il liberalismo classico sostiene che, qualora lo Stato non sia invasivo, è possibile manifestare la propria individualità. A noi sembra che storicamente non sia necessariamente così.
Ad esempio?
Prendiamo il caso della Rivoluzione Industriale in Inghilterra. Allora le istituzioni erano invadenti e inadeguate a tutelare le aspirazioni delle persone a costruire, con la loro imprenditorialità, un percorso di crescita personale e materiale. L'affermazione della libertà, la creazione di istituzioni non invadenti e rispettose dei cittadini, è avvenuta attraverso l'ostinata determinazione dei singoli individui a realizzare il proprio percorso di vita. In questa ostinazione c'è la manifestazione della libertà come possibilità di esprimere la propria individualità in maniera originale. Se le persone non fossero state motivate, le istituzioni non sarebbero mai cambiate da sole. A me pare che l'impegno personale al cambiamento istituzionale non sia tenuto nel dovuto conto dal liberalismo. Una mancanza che è stata pagata al prezzo di una limitata efficacia politica.
Se non basta contenere l'invadenza dello Stato per dare ossigeno a una società che si possa definire realmente aperta, che cosa altro occorre?
In termini più generali, va detto che le istituzioni non nascono già adattate al buon funzionamento dei mercati e della società e programmate per rispettare la libertà e l'espressione originale di ciascuna persona. Al contrario, le istituzioni si evolvono in senso favorevole alla libertà solo se la società dà adeguato spazio all'affermazione dell'individualità e se ciascun individuo, per proteggere questa affermazione, pretende istituzioni non invadenti e si impegna a costruirle con il proprio comportamento. I nostri mali sono in larga parte connessi all'asfissia dell'affermazione dell'individualità. Poiché in Italia in molti si avvantaggiano di uno Stato invadente e del relativo favore che incontrano tante regole non pro-sociali, l'affermazione dell'individualità è limitata con ripercussioni significative sulla prosperità materiale e immateriale, soprattutto oggi che la società offre incredibili possibilità alla manifestazione dell'originalità, impensabili sino a venti o trent'anni fa.
Molti sono i dati interessanti contenuti nel lavoro, a cominciare dal primo: l'impoverimento delle famiglie. Dal '91 si è registrata una flessione del 2,4% della ricchezza. Per comprendere questo declino, che al Sud è ancora più drammatico, non basta certo la scienza economica…
La scienza economica ha peccato di presunzione ritenendo che l'esuberanza e l'imprevedibilità dei comportamenti delle persone potessero essere compresse entro schemi formali, fondati sull'ipotesi che l'uomo sia un essere razionale. Ma c'è di più: secondo me, non siamo stati in grado di vedere l'arrivo della crisi soprattutto perché ci è mancata la prospettiva storica e abbiamo ritenuto che il miracolo della crescita degli ultimi due secoli fosse una nuova forma, ormai acquisita, della condizione umana sulla Terra. In realtà, esiste un problema di rendimenti della tecnologia e non è necessariamente detto che la crescita sarà sempre garantita.
I numeri forse più allarmanti sono però quelli che riguardano la fiducia nelle istituzioni e i livelli dell'istruzione, che dimostrano la totale assenza di mobilità sociale. Un paese "bloccato" come è l'Italia può avere futuro?
I dati sulla fiducia nelle istituzioni e sui livelli di istruzione sono allarmanti, è vero. Ma il campanello più drammatico lo suonano i dati sull'impatto della libertà. Se la Sicilia avesse lo stesso livello di libertà della Lombardia, il reddito pro-capite e la felicità dei suoi abitanti sarebbe significativamente maggiore. Non cambiando atteggiamenti, non introducendo comportamenti pro-sociali diffusi, non innovando istituzioni inadeguate per la libertà e per
la possibilità di affermare il proprio sogno, i siciliani stanno scegliendo loro malgrado, una vita meno prospera e meno felice dei lombardi e stanno anche condannando la Sicilia all'irrilevanza politica ed economica in Italia, in Europa e nel mondo.
Proviamo a rimanere sulla definizione della crisi cercando di non ripercorrere le tante ricette "sterili" già sentite. Qual è il nesso che lega la morale, l'economia e la giustizia sociale?
La convivenza in una società si fonda su un'idea di giustizia. Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale e sino agli anni '70, l'idea di giustizia prevalente in Occidente era la seguente: la ricchezza accumulata conta relativamente poco per il successo economico, il lavoro è la chiave per la prosperità materiale e immateriale. In quella società tutti avevano una chance di entrare a fare parte della classe media. Da trent'anni a questa parte il quadro è cambiato. La ricchezza accumulata conta molto, come nell'Ottocento, e il lavoro non assicura un'opportunità per diventare benestanti, per curare i propri genitori adeguatamente e mandare i propri figli in scuole decenti. L'idea di giustizia che ha prevalso nella seconda metà del Novecento e che è stata architrave della nostra società è sotto pressione e si sta pericolosamente piegando sotto il peso di forze storiche ineluttabili come la globalizzazione e l'evoluzione tecnologica.
Si può arrestare questa deriva?
L'Occidente, in generale, ha reagito male a questa pressione, perché ha utilizzato la politica per correggere le diseguaglianze che la storia recente ha contribuito a creare. Essendo un'attività redistributiva, la politica ha tagliato il legame tra merito e successo economico, aggravando – invece di ridurre – il senso di ingiustizia. Ecco perché la crisi attuale è anzitutto una crisi morale ed ecco spiegato perché la soluzione sia ridurre il ruolo dello Stato: per recuperare un legame tra merito e risultati e restaurare un'idea di giustizia realizzabile nella nostra società.
La tecnologia è un'altra parola chiave, su cui insistete molto. Il valore aggiunto dell'innovazione – a detta di molti osservatori – si sta smorzando, con quali conseguenze sul nostro sistema economico e sulla competitività?
Non direi che il valore aggiunto dell'innovazione si stia smorzando. Se osserviamo settori come le biotecnologie o le energie alternative, possiamo accorgerci che il valore aggiunto offerto dall'innovazione rimane molto forte. Il problema è che i costi per realizzare l'innovazione sono cresciuti esponenzialmente. Gli investimenti necessari per l'avanzamento tecnologico sono enormi e le ricadute sociali dell'innovazione minori. Le conseguenze sono numerose e importanti. La crescita dell'economia probabilmente non terrà più i ritmi degli anni '60 e i costi dello stato sociale cresceranno. Dal punto di vista della politica economica bisognerà riformare le scuole e le università per garantire un'adeguata offerta di capitale umano, accrescere la competitività per mantenere elevata la propensione a innovare e ridurre le rendite che la presenza dello Stato impone e che frenano la corsa tecnologica delle imprese. Poi, bisognerà immaginare politiche monetarie che controllino l'inflazione, cercando di mantenere bassi i tassi di interesse, altrimenti i costi dell'innovazione potrebbero diventare proibitivi.
Nel saggio viene richiamato un recente intervento del politologo Ernesto Galli Della Loggia che denuncia le ragioni di fondo che hanno impedito il diffondersi in Italia di una cultura autenticamente liberal democratica. Di chi è la colpa di tutto questo?
Non si tratta di assegnare meriti o colpe, semmai di capire cosa può servire a trasformare la nostra società in senso liberale. Il libro insiste su un punto: il liberalismo non si affermerà per effetto delle riforme dall'alto, ma sulla spinta di un'assunzione di responsabilità da parte di tutti a ridurre l'ingerenza dello Stato nelle nostre scelte. Ciò che viene auspicato è una forma di "leadership diffusa", che significa: tanti uomini e donne che, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e del proprio ruolo – grande o piccolo –, siano capaci di trasformare la realtà che li circonda rendendola il riflesso del disegno di vita, che hanno consapevolmente deciso di realizzare. Questa è la più grande rivoluzione liberale che l'Italia dovrebbe oggi consentire. Ancora una volta, sono costretto a ribadire che non dipende solo dalla politica, perché le persone devono dare un contributo.
È possibile misurare autonomia, spirito di iniziativa, visione del futuro? In altre parole, esistono degli indicatori utili a fornire indicazioni a chi governa per tentare di attuare i suggerimenti contenuti nella vostra proposta?
La ricerca che sto conducendo all'University of Pennsylvania, assieme a Pietro Navarra, dimostra che l'autonomia si può misurare e che ha un impatto sulla performance della società. Idee simili alle nostre sono già state portate avanti in Europa da leader illuminati, quali Tony Blair, che hanno messo l'idea della scelta al centro del disegno della società e delle riforme dei servizi pubblici. In Italia ci sono stati alcuni esempi, soprattutto in Lombardia, e una smorzante iniziativa in Sicilia. Purtroppo quanto di buono è stato fatto, molto spesso, è stato dissipato dall'animosità del dibattito politico e da una visione della cosa pubblica in cui l'interesse collettivo non sempre è rimasto al centro dell'attenzione.
Nella "società aperta" da voi disegnata, quale deve essere il perimetro dello Stato e che spazio di intervento deve avere il welfare state?
La leadership diffusa di cui parlavo è importante per l'affermazione della libertà. Tuttavia, senza strumenti di coordinamento dei comportamenti individuali, senza cioè sistemi che premino i comportamenti virtuosi e puniscano quelli viziosi, la leadership diffusa difficilmente avrà successo. Allo Stato spetta il compito di delineare le istituzioni che coordinano i comportamenti delle persone e garantire che il campo di gioco sia livellato, in modo che nessuno sia ingiustamente avvantaggiato.
Guardiamo all'Europa. Va di moda attaccare Bruxelles per le politiche di austerità. Michele Salvati, che non è certo un liberista, ha fatto notare che è inutile insistere sulla debolezza della domanda auspicando interventi del soggetto pubblico, faremmo meglio a concentrarci sul lato dell'offerta, le imprese competitive, la qualità, l'efficienza della Pa, la governancedel settore pubblico. È d'accordo con questa posizione?
Sono d'accordo con le affermazioni di Salvati. Aggiungerei che molta della retorica contro Bruxelles nasconde la difesa di interessi costituiti e non è basata su una convincente analisi della realtà economica che stiamo vivendo. Ma c'è di più. Larry Summers – economista ad Harvard e già ministro del tesoro americano con Clinton – ha recentemente sostenuto che una parte della crisi si spiega con una flessione della domanda. Non posso escludere che abbia ragione. Il problema è che fare. La proposta che Summers avanza – come tanti sostenitori delle tesi keynesiane, riapparsi come funghi all'indomani del 2008 – è quella di fare investimenti pubblici, approfittando dei bassi tassi di interesse. Indebitandosi al 4-5% a lungo termine si sviluppa la domanda e si compensa la maggiore spesa pubblica con la crescita dell'economia. La proposta sarebbe stata forse accettabile in un altro tempo, quando il problema della maturità tecnologica non mordeva. Oggi le economie tecnologicamente mature hanno difficoltà a crescere nel lungo periodo con tassi sufficienti a ripagare il maggiore debito contratto per le opere pubbliche. È anche per questo che, a mio parere, le politiche dal lato dell'offerta appaiono più convincenti oltre che più efficaci.
In molte fasi dell'anno, lei si trova a lavorare in America. Obama ha fatto ricorso a grosse iniezioni di capitale pubblico per far ripartire l'economia. Non siamo di fronte a una contraddizione per un paese che dovrebbe per cultura e tradizione osservare e praticare in maniera integrale i dettami dell'economia liberale?
Obama è il presidente più distante dai valori costitutivi della società americana che sia stato eletto nella storia. Il suo successo elettorale è figlio della diseguaglianza economica crescente e degli errori dei suoi avversari. In questo senso il successo di Obama riflette la difficoltà odierna del liberalismo a essere politicamente rilevante. Anche se la pubblicazione di questo libro va letta come un tentativo di restituire credibilità politica al liberalismo in Italia, sono convinto che argomenti simili si potrebbero sostenere anche in America.
Chiuderei questa conversazione, prendendo spunto dalla dedica del saggio. Perché i giovani dovrebbero scegliere di vivere in Italia?
L'Italia è uno dei paesi più belli del mondo con un patrimonio culturale unico e un'alta qualità della vita diffusa anche nella provincia meno benestante. Il problema è che tutto ciò non basta a garantire una vita pienamente realizzata. Per essere felici è importante il clima, è importante il paesaggio, contano le forme classiche e razionali dell'architettura rinascimentale e le armonie del "Va Pensiero". Ma serve soprattutto la possibilità di realizzare il proprio sogno di vita. Oggi l'Italia non offre questa opportunità. Il sogno si scontra tutti i giorni con rendite, interessi costituiti e ostacoli burocratici. Se il nostro paese non metterà questa pietanza nel suo menu, perché i giovani dovrebbero scegliere di vivere in Italia? In regioni come la Sicilia, dove insegno e risiedo, la possibilità di realizzare il proprio sogno di vita non è prevista, per questo i giovani più istruiti se ne vanno ormai da diversi anni. Ecco di fronte a questo fenomeno di vera e propria "desertificazione antropica", direi che alla mia generazione spetta ancora un compito, forse il più arduo: permettere a chi verrà dopo di scommettere che il proprio sogno possa realizzarsi anche in Italia. È una sfida importante che stiamo perdendo. Attenzione perché non ci resta molto tempo.
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