ORSI & TORI
di Paolo Panerai
«Che aspettiamo a rifare l'Aeroporto JF Kennedy? Chi dice che non ci devono essere investimenti pubblici per rilanciare l'economia non capisce che questo è il momento magico con il denaro che costa il 3% e non capisce che sono le grandi opere pubbliche che determinano lo sviluppo economico e l'avanzamento di un Paese». Il professor Lawrence Summers di Harvard non ha dubbi nell'approfondito dibattito su dove va il mondo organizzato a Davos da Class Cnbc fra i governatori delle banche centrali (replicato alle 9,10 di oggi sabato 25 e alle 21 di domenica 26) insieme a tutto lo straordinario materiale di analisi e di conoscenza sull'economia mondiale prodotto dal network Cnbc durante il World Economic Forum nel Cantone dei Grigioni. Il mondo, è la conclusione di Davos, va. Gli Stati Uniti nel 2014 faranno assai meglio delle previsioni finora diffuse. In Europa, l'Irlanda è diventata un caso esemplare e la crescita sarà significativa grazie a una riduzione delle imposte e del contenimento del costo del lavoro; la Spagna, a giudizio quasi unanime, è già in ripresa significativa. A Madrid non si trova una camera d'Albergo libera, racconta Mattia Nocera, della svizzera Banca del Ceresio (una delle più accreditate nella gestione, molto vicina a George Soros), fresco di colloqui con un gruppo di gestori con un portafoglio complessivo di 50 miliardi di euro: la pubblicità sulla televisione spagnola è tornata a crescere del 10%; il prezzo delle case è tornato a salire per consistenti investimenti di gruppi statunitensi; il costo del lavoro è ormai allineato a quello tedesco.
In questi anni è stato fatto un gran lavoro in tutti i Paesi colpiti dalla crisi, ha spiegato il professor Summers; gli anni di crisi sono stati assai più duri del '29, '30, '32 e '33. Ma la ricerca economica più avanzata, strumenti di rilevazione più sofisticati hanno consentito di compiere interventi più appropriati ed efficaci. Le lodi verso l'amministrazione di Barack Obama sono senza lesina. Ma appunto non è il caso di mollare se si vuole che la crescita diventi stabile e appunto gli interventi nelle infrastrutture pubbliche siano essenziali non solo per la crescita che generano ma anche per il miglioramento qualitativo della vita dei cittadini e la crescita della produttività.
Quindi, da Davos arriva sul mondo, nonostante il calo (contenuto) del settore manifatturiero in Cina, una luce di sostanziale ottimismo, anche se la riforma del sistema finanziario e bancario non è ancora compiuta. Stimolante è stato il dibattito fra il professor Summers e il Cancelliere dello Scacchiere, l'inglese George Osborne. Anche la Gran Bretagna è in forte rilancio, ma il professore di Harvard ha fatto più di una contestazione alle scelte di politica economica, lamentando che non sia stata seguita fino in fondo la ricetta americana, preferendo scegliere la via ormai consueta della Gran Bretagna di agevolare il trasferimento nel Paese di grandi capitali, quindi di offrire più servizi che attività industriali. La conferma l'ha data lo stesso Cancelliere dello Scacchiere, ricordando che grandi imprenditori e capitalisti cinesi stanno affluendo con le loro riserve a Londra dopo che, bruciando tutti sul tempo, il governo britannico ha concluso accordi speciali di agevolazione non solo fiscale verso i ricchi cinesi che assumono come loro base la City.
E l'Italia?
Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha rinunciato a essere presente a Davos, insieme a tutti i più potenti del mondo, preso com'è dal negoziato ufficiale e ufficioso per il rimpasto del governo e la legge elettorale. Al dibattito ha partecipato, del governo, solo il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni. Di vertici del genere Saccomanni si intende, essendo stato per anni presente al fianco del governatore Carlo Azeglio Ciampi e del direttore generale, Lamberto Dini, alle riunioni del Fondo monetario internazionale e degli altri organismi monetari ed economici. Ma certo lo spirito non era quello giusto per rappresentare un volto vigoroso dell'Italia. Saccomanni, certo per errori della struttura burocratica del ministero, è scivolato su qualche buccia di banana fino al punto da essere messo nel mirino dei seguaci di Matteo Renzi come ministro da sostituire. Saccomanni ha partecipato al pannel dedicato alla competitività «Closing Europe's competitiveness gap» con il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, e il presidente (in scadenza) della Commissione europea, Josè Manuel Barroso.
In un certo senso più significativa è stata la partecipazione al panel «L'Europa è tornata?» del presidente dell'Eni, Giuseppe Recchi, insieme all'amministratore delegato del grande gruppo pubblicitario Wpp, Martin Sorrell (la pubblicità è l'indicatore più significativo per capire se il vento è cambiato), il presidente dell'Ubs, Alex Weber, e l'economista di Harvard ed ex-capo economista del Fondo monetario internazionale, Kenneth Rogoff. Da una domanda così diretta è infatti inevitabilmente emerso che l'Italia è indietro a tutti, nonostante le parole di fiducia di Recchi.
Ha quindi ragione Renzi che non c'è più un minuto da perdere. Provvedimenti fondamentali per il rilancio dell'economia devono essere presi immediatamente insieme alla riforma della legge elettorale, per la quale si assiste al paradosso per cui l'assenza delle preferenze, un tempo strumento principe delle clientele politiche e delle loro conseguenze anche criminali, vengono indicate come elemento antidemocratico. È questo cazzeggio, se ci si passa il termine, che indica non solo come l'Italia sia al palo ma anche come lo stesso vigore di Renzi possa essere frenato in nome di un conservatorismo in cui il vero potere lo hanno le burocrazie.
Ma non solo: pur nella sua competenza e dedizione, il presidente del Consiglio Letta manca di coraggio. Dispiace dirlo, ma è così e su questo fronte certo non lo aiuta Saccomanni, che anche in Bankitalia è sempre stato, bravissimo, un uomo d'ordine e non di attacco. Finalmente sta prendendo corpo la prima privatizzazione, quella di Poste Italiane, dove in questi 12 anni di guida, l'ingegner Massimo Sarmi ha fatto un lavoro egregio: la valutazione che circola è 10 miliardi, quindi collocando il 40% il governo si aspetta di incassare 4 miliardi. Mettete questo numero in relazione al debito pubblico e vi sarà chiara l'inadeguatezza del disegno, non per il poco valore di Poste Italiane e di Sarmi, ma perché l'annuncio, il cui valore per i mercati finanziari è sempre fondamentale, è a spizzichi e bocconi. La si vuol capire che occorre disegnare e annunciare un piano di centinaia di miliardi, non di qualche miliardo?
Il cacciavite è fondamentale per far funzionare la macchina, ma se la macchina ha pochi cavalli di potenza il cammino che farà sarà lento, mentre il tempo ormai è scaduto. Qui, Signor Presidente Letta, serve una macchina potente per una partenza a razzo. Pensi a una Ferrari o a una Maserati o a una Lamborghini, non a una utilitaria. Perfino la Fiat ha capito che si esce dalla crisi solo se si scelgono le fasce più alte di mercato. E il mercato del Paese Italia non può essere quello di una privatizzazione oggi da 4 miliardi e una domani magari da 5. Di lentezza si muore. E non pensi che si possa aspettare il semestre di guida italiana dell'Unione europea per fare fuochi e fiamme. L'occasione è importante, ma non va sopravvalutata: perché essere il Paese che rappresenta la Ue nel mondo comporta inevitabilmente dei compromessi per conciliare gli interessi di una lista ormai infinita di Paesi. Quel mestiere Le riuscirà benissimo, ma deve arrivarvi con una situazione italiana nella quale è avvenuto almeno l'annuncio, serio, di un programma pesante di taglio della spesa pubblica, di vendita del patrimonio pubblico, quindi di forte riduzione della pressione fiscale e di investimenti significativi nelle infrastrutture (segua, per favore, il suggerimento del professor Summers, sull'aeroporto JF Kennedy) oltre che di riduzione del costo del lavoro attraverso la riduzione delle tasse relative.
Non ci sono le condizioni per un tale pacchetto, che di colpo consenta all'Italia di agganciare le locomotive che ormai sono partite? Non è vero. Anche se la comune matrice cattolica non è sufficiente alla sintonia con Renzi, se non altro per una profonda differenza temperamentale, è il caso che il capo del Governo accetti la linea del sindaco di Firenze. Che senso ha che il presidente del Consiglio si esprima sul fatto che la legge elettorale non prevede le preferenze? Naturalmente ognuno può avere la sua visione della democrazia, ma dovrebbe essere sufficiente che non pochi dei politologi e dei costituzionalisti si sono espressi positivamente rispetto al progetto di legge. Non si indugi sulla discussione mossa dall'ideologia, come scrive giustamente Pier Luigi Battista sul Corriere della Sera. Non è forse espressione di una vera democrazia la legge elettorale inglese nella quale esiste un solo candidato per ciascun partito in ogni collegio, che appunto si chiama uninominale.
Quando Renzi dice di non essere interessato a fare oggi il presidente del Consiglio è sincero, perché ha bisogno di fare esperienza, quella esperienza che Letta oggi ha essendo stato sottosegretario e ministro e che comunque non basta per sconfiggere la burocrazia, il mostro che blocca il Paese. L'Italia non può rimanere ferma perché il presidente del Consiglio, dopo aver più volte precisato che la legge elettorale è questione solo del Parlamento, si mette di traverso rispetto all'accordo già raggiunto da Renzi con Forza Italia e con il Nuovo centro destra (Ncd) guidato dal vicepresidente del Consiglio, ma anche segretario del partito, Angelino Alfano.
Letta ha più volte dichiarato che con Renzi avrebbe collaborato efficacemente. Renzi ha sbloccato in poco tempo un ostacolo fondamentale come la legge elettorale per la prosecuzione della legislatura almeno fino ai tempi indicati dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cioè il 2015. Che Letta si dedichi a definire con Renzi l'agenda del governo cercando di recepire l'energia e la determinazione che il sindaco di Firenze ha mostrato di saper portare nella politica, nonostante uno stile certo un po' sbrigativo. Chi pensava che proprio quello stile facesse essere solo parole le sue filippiche e le sue proposizioni è stato clamorosamente smentito nella vicenda della legge elettorale, dove Renzi ha rispettato i tempi che aveva annunciato per trovare un accordo anche con Silvio Berlusconi. Che poi la minoranza del Pd polemizzi con Renzi proprio per l'accordo con il diavolo Berlusconi ha trovato la più pronta e decisiva risposta da parte del sindaco fiorentino: ma cosa vogliono costoro, visto che con Berlusconi avevano fatto addirittura un governo?
Anche Renzi è stato forzatamente assente a Davos, probabilmente non solo per mancanza di tempo ma anche per non mostrare un Paese diviso anche nel maggior partito di governo. Ma a Davos, in tutti coloro che si interessano e sono interessati alla ripresa dell'Italia, il fenomeno Renzi è stato vissuto decisamente come un elemento per essere più positivi sul Belpaese.
Se sotto la spinta di Renzi il governo riprendesse coraggio, slancio e determinazione, probabilmente anche le prospettive future dell'Italia diventerebbero positive come lo sono già quelle di larga parte del mondo. Che infatti va nella direzione di una decisa ripresa. (riproduzione riservata)
Paolo Panerai
Nessun commento:
Posta un commento