domenica 19 gennaio 2014

INTERVISTA A ROBERTO ALAJMO
“CINA, MA NON TROPPO VICINA”
La mia Cina è la nuova rubrica di AgiChina24 dedicata a personaggi italiani del mondo dell'arte, della letteratura, dello spettacolo. Agli intellettuali e agli artisti, chiediamo di regalarci un'immagine della Cina, vista per la prima volta attraverso lenti inusitate.

di Alessandra Spalletta
Twitter@ASpalletta

Roma, 25 nov. - Roberto Alajmo è uno scrittore. Uno scrittore siciliano. Autore di romanzi duri. Cuore di madre, E’ stato il figlio, La mossa del matto affogato (Mondadori), hanno svelato quanto cruda possa essere la famiglia siciliana. Cruda la donna quando è madre. Cruda la complicità quando è reticenza. Cruda, sì: la mafia. Il mondo grottesco che il regista Ciprì ha rappresentato nel film E’ stato il figlio tratto dall’opera omonima.

Poi, Alajmo ha abbandonato il gioco con la morte. Un gioco, macabro, iniziato presto come per tutti i bambini siciliani quando il nonno morto porta loro un regalo nella notte tra il 1 e il 2 novembre. Poi, nello scrittore, trasformato in ossessione. Ancora prima dei romanzi, come un ossessivo sforzo a ricordare. I morti della mafia cui Alajmo dedica l’Almanacco siciliano delle morti presunte (Edizioni della Battaglia). E quell’incidente aereo del 1978 a Punta Raisi ricostruito attimo per attimo in Notizia del disastro (Garzanti). E la biografia del magistrato Luca Crescente stroncato non dalla mafia ma da un male altrettanto profondo, Tempo niente (Laterza).

Alajmo il gioco con la morte, l’ha abbandonato. Ha girato la medaglia e ha lucidato il lato comico della vita. Il repertorio dei pazzi della città di Palermo. Palermo è una cipolla (Laterza). Alajmo fa ridere, di un gusto sempre malinconico. Le radici mai dimenticate, per un autore che si considera discendente del maestro Sciascia. E poi, l’ironia. Un perfida ironia con cui lo scrittore descrive la sua Sicilia. E il nostro paese. “La Sicilia è un’esasperazione dell’Italia. Tutti i vizi italiani è come se venissero prima collaudati da noi”, sillaba in questa intervista.

Quei viziacci Alajmo sa raccontarli, molto bene. Ne L’arte di annacarsi (Laterza). Nel suo blog, seguitissimo. Nel visionario Arriva la fine del mondo, e ancora non sai cosa mettere (Laterza). Libro dopo libro. Masso dopo masso. “Ogni libro è una rimonta sisifea della montagna con il masso appresso, e poi in un attimo lo vedi rotolare dall’altra parte fino a quando non ce la fai più: non vai più a prenderlo” . L’ambizione è l’immortalità.

Torna sempre, la morte. Il tempo che mai torna o forse torna sempre. Nei libri, resta; quel tempo perduto che rivive nel recente volume Il primo amore non si scorda mai, anche volendo (Laterza).

Da oggi per qualche tempo, Alajmo di tempo per scrivere ne avrà forse poco. Lo hanno nominato direttore del Teatro Stabile di Palermo.

Se dico Cina cosa le viene in mente?

Un paese troppo grande per poterlo conoscere. Una di quelle grandezze talmente spaventose che fanno sì che l’intelligenza cerchi addirittura di sottrarsi alla conoscenza. Anche l’intelligenza più curiosa, da un paese coma la Cina, si lascia atterrire.

Ha mai incontrato la Cina?

Ne ho conosciuto l’aspetto esteriore. Non ci sono mai andato direttamente. Stento a immaginare un mio viaggio in Cina, dove sono state pure invitato una volta. Ma andare in delegazione a Pechino, vedere quel poco che ti fanno vedere e conoscerne soltanto un pezzetto, mi sembrerebbe un’esperienza parziale. Sarebbe come un turista anzi peggio di un turista, il quale almeno vede delle cose; a uno scrittore in delegazione fanno vedere soprattutto sale da convegno e finisce che non sai più distinguere un paese da un altro. E allora il viaggio diventa una sorta di falsa prospettiva.

La spaventa la crescita della Cina? Ovvero la potenza di un paese economicamente e militarmente forte, e politicamente distante dai nostri ideali?

Dobbiamo sforzarci di risolvere la fisiologica paura del nuovo. Non è che il mondo si ferma perché noi europei o abitanti del nord-ovest del pianeta, decidiamo che abbiamo raggiunto uno standard di vita soddisfacente. Il mondo va avanti e si trasforma. L’idea di fermarsi terrorizzati dall’invasione del ‘barbaro’ -  che è semplicemente qualcosa di diverso da noi, qualcosa che non conosciamo e che non siamo abituati ad affrontare - non è tanto prova dell’aggressività cinese quanto del nostro anchilosamento mentale.

La fine del mondo non c’è ma ci sarà: è la tesi di uno dei suoi ultimi libri, Arriva la fine del mondo (e ancora non sai cosa mettere), edito da Laterza. Il mondo può finire a Pechino?

In quel libro vado cercando indizi di fine del mondo o di alcuni dei mondi così come li abbiamo conosciuti. Uno dei sintomi era questo ingorgo immobile che si era sviluppato tra una zona carbonifera della Cina fino alla capitale. Una installazione di tir immobili che mi dava lo spunto di ipotizzare la fine del mondo per ingorgo. Ma era un puro pretesto; non è da un ingorgo cinese che verrà la fine del mondo. Sarà semplicemente anche un ingorgo italiano.

Sicilia specchio dell’Italia. Esiste una cura contro le influenze della nostra epoca?

La Sicilia è un’esasperazione dell’Italia. La chiave di tutti i mali, ancora una volta, è in Sicilia.Tutti i vizi italiani è come se venissero prima collaudati da noi. Il familismo amorale, ad esempio, che secondo me  è il nocciolo di tutti i disastri italiani. Come si fa con le grandi pestilenze, si tratta di risalire indietro a individuare il ceppo originario, il visus lì dove si è manifestato la prima volta, in questo caso: la Sicilia.  E lì cercare gli anticorpi. Il vaccino.

Wile E. Coyote è precitato nel burrone?

Wile E. Coyote corre corre corre. A un certo punto la terra finisce sotto i suoi piedi. Per un po’ continua a correre, fino a quando si ferma e guarda in basso. Si rende conto che è dalla consapevolezza di essere nel vuoto che deriva la forza di gravità che lo fa precipitare in fondo al Canyon.  Wile E. Coyote, ovvero l’Italia, è nel momento in cui si rende conto di aver vissuto oltre le sue possibilità. Nell’inquadratura successiva c’è il precipizio.

Il nuovo incarico di direttore del Teatro Stabile di Palermo l’allontanerà dalla scrittura?

Dal punto di vista personale, esistenziale, questo nuovo lavoro è una svolta. La vera differenza è che mentre prima lavoravo in una stanza la cui porta era chiusa dall’interno, e potevo rifugiarmi in qualsiasi momento, oggi la chiave è dall’esterno: chiunque può entrare e soprattutto chiudermi dentro.

Appena è entrato al Biondo e l’hanno chiusa dentro, cosa ha trovato?

Una macchina ferma e semi collassata da alcuni mesi.

In cosa consisterà la cura Alajmo?

Si tratta di ricostruire la fiducia di Palermo. La città si era dimenticata del teatro. Il teatro pure si era dimenticato della città. Era stato un oblio reciproco. Ricucire questo rapporto è quindi il primo obiettivo. E poi, risanare finanziariamente un teatro che sei mesi fa era già sull’orlo della chiusura e che adesso sta cercando faticosamente di rimettersi in movimento.

Discendenza. Che traccia vuole lasciare di sé lo scrittore Alajmo?

E’ una specie di fatica di Sisifo che per chi fa il mestiere di scrivere, si risolve con il vedere la pietra rotolare dall’altra parte. Ogni libro è una rimonta sisifea della montagna con il masso appresso, e poi in un attimo lo vedi rotolare dall’altra parte fino a quando non ce la fai più: non vai più a prenderlo. L’ambizione sarebbe quella dell’immortalità. Non solo per me, per tutti. E’ l’approssimazione all’immortalità l’obiettivo più verosimile: cercare di lasciare una traccia sul pianeta terra. Non solo gli scrittori, ogni persona, più o meno consciamente, spererebbe di essere ricordato dai discendenti. Comunque tutti sono destinati al fallimento. Chi si avvicina all’obiettivo non può neanche dire di essere più felice: neanche questa consolazione ci tocca.

Se dopo morto le venisse data la possibilità di rincarnarsi, dove vorrebbe rinascere?

A New York . Oppure in un posto dove poter coltivare una sana forma di demenza. Un’isola della Polinesia sarebbe perfetta; un luogo dove poter essere idioti senza troppi pensieri.

Un messaggio alla Cina

Non stateci troppo addosso, per favore.

25 novembre 2013

© Riproduzione riservata

Nessun commento:

Posta un commento