martedì 28 gennaio 2014

Essi, in concreto, contano più di tutti i partiti messi assieme e hanno ingessato il paese
A casa tutti gli alti burocrati
Se non se ne libera, Renzi farà un buco nell'acqua 
di Tino Oldani

Nel nostro piccolo l'avevamo scritto su ItaliaOggi del 9 gennaio: la Legge di stabilità è un delirio normativo, una follia burocratica che si compone di 748 commi, ognuno dei quali è di fatto una nuova legge. Ci fa piacere che l'abbia scoperto anche il Corriere della sera, che ieri ha dedicato al superpotere dei grandi burocrati l'editoriale in prima pagina e un'ottima inchiesta in terza, con alcuni dati davvero eloquenti.

Partiamo da questi ultimi, finora inediti: per rendere efficace la Legge di stabilità del governo Letta, quella dei 748 commi, serviranno ben 117 provvedimenti tra decreti ministeriali e norme attuative, di cui nessuno è in grado di prevedere i tempi. Ciò si deve al fatto che tuttora non sono state emanate tutte le norme attuative che riferiscono non solo alla legge di stabilità del precedente governo Monti, ma perfino a provvedimenti «urgenti» di molti anni prima. Tanto è vero che, ricorda il Corsera, solo pochi giorni fa è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un regolamento «atteso dai tempi del primo governo Prodi». Un ritardo monstre di 20 anni.

Per limitarci agli ultimi due governi, la bella inchiesta firmata da Enrico Marro rivela che, per attuare le leggi sfornate da Monti e Letta, serviranno ben 852 norme di attuazione (compresi i 117 legati all'ultima legge di stabilità). Senza queste norme, anche le leggi più urgenti, necessarie e condivise (dal bonus bebé al Fondo di garanzia per i mutui, fino alla cartolarizzazione dei crediti per le piccole imprese) sono destinate a restare sulla carta. Come è già accaduto per gli sgravi fiscali alle imprese che assumono giovani laureati specializzati, previsti dal Decreto Sviluppo dell'ex ministro Corrado Passera (12 giugno 2012), rimasti nel limbo per 600 giorni prima di avere efficacia grazie alla norma attuativa.

Di chi è la colpa di questi ritardi? La risposta è nell'editoriale di venerdì di Ernesto Galli Della Loggia, che indica nel «blocco burocratico-corporativo» il vero potere forte che comanda in Italia. Un blocco, sostiene, composto da: «Consiglio di Stato, Tar, Corte dei conti, Authority, alta burocrazia (direttori generali, capi di gabinetto, capi degli uffici legislativi), altissimi funzionari delle segreterie degli organi costituzionali (Presidenza della Repubblica, della Camera e del Senato), vertici di gran parte delle fondazioni bancarie, i membri dei Cda delle oltre 20 mila Spa a partecipazione pubblica al centro e alla periferia». Per Galli Della Loggia, si tratta di «un blocco formidabile, il cui potere consiste principalmente nella possibilità di condizionare, ostacolare o manipolare il processo legislativo, e in genere il comando politico». Ne consegue che governo e partiti hanno solo in apparenza il potere di legiferare. In realtà, sostiene l'editoriale del Corsera, si trovano «in una situazione di subordinazione, dal momento che nel 90 per cento dei casi fare una legge conta poco o nulla se essa non è corredata da un apposito regolamento attuativo».

Anche nel resto d'Europa, scrive Galli Della Loggia, l'alta burocrazia influisce sui processi legislativi. Ma in nessun paese ha assunto un ruolo così invadente, né un potere così vasto e, di fatto, incontrollato. Se ciò è avvenuto, è stato per l'indebolimento della classe politica, i cui rappresentanti «sono stati intimiditi, messi all'angolo e resi subalterni alla classe amministrativa». Il politologo non fa alcun cenno alle inchieste della magistratura, che negli ultimi 20 anni hanno di fatto screditato e sottomesso la classe politica, sovente per demerito di quest'ultima. Fotografa però una realtà indiscutibile. «La gabbia di ferro del blocco burocratico-corporativo e degli interessi protetti ha soffocato la politica». Come uscirne? Conclude Galli Della Loggia: «C'è solo da sperare che, nella nuova stagione che sembra annunciarsi, la classe politica torni a respirare liberamente per assolvere i compiti cruciali che sono esclusivamente i suoi».

Tutto qui? C'è solo da sperare? Non siamo per nulla d'accordo con tanta timidezza. Il problema è molto serio, e per rompere la gabbia di ferro della superburocrazia c'è solo una strada: lo spoil system. Ovvero, citiamo Wikipedia, «il sistema del bottino, la pratica politica, nata negli Stati Uniti d'America tra il 1820 e il 1865, secondo cui gli alti dirigenti della pubblica amministrazione dipendono dal cambio del governo». Questo significa che chi vince le elezioni e arriva al governo, come primo atto, congeda tutti gli alti dirigenti di Palazzo Chigi e dei ministeri, in quanto legati alla precedente amministrazione, e li sostituisce con dirigenti di fiducia e di provata competenza. Altrimenti, come fa notare anche il Corriere della sera, sarà inevitabile che non vi sia mai alcuna differenza tra i governi di Destra e quelli di Sinistra, come è stato finora, poiché il vero potere rimarrebbe sempre nelle mani degli stessi uomini, della casta dei superburocrati. Dunque, se davvero il segretario Pd, Matteo Renzi, oggi dominus della politica, vuole cambiare l'Italia, non si limiti a suggerire buone leggi. Se vuole renderle davvero efficaci, non può permettersi di sorvolare sull'invadenza dei superburocrati. Serve fare tabula rasa in modo radicale. Certo, spoil system è un anglicismo, e Renzi ha promesso di non farne più uso dopo l'iniziale abuso (jobs act, finish, cool, smart, game over). Ma più del nome, mai come in questo caso conta la sostanza.

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