sabato 18 gennaio 2014

CONTI INTERNAZIONALI
L’export scivola e frena la ripresa
Arrivano dati negativi sull’export italiano. Se anche le imprese globali arrancano, diventa difficile capire da dove arriverà il segno più. Di Francesco Daveri
LA VOCE 7 ORE FA
Anche sull’estero pesa l’assenza di misure più incisive di aiuto all’economia, da mesi dimenticata dalla politica.
LA PREOCCUPANTE FRENATA DELL’EXPORT
Nella disattenzione generale della politica e dei media (il Corriere e la Repubblica non ne hanno parlato, il Sole 24 Ore ha messo un commento a pagina 38) l’Istat ha pubblicato dati molto negativi sull’export italiano, cioè sulla voce del Pil da cui ci si aspetta il contributo più consistente per la ripresa. Se anche le imprese globali arrancano, diventa davvero difficile capire da dove arriverà il segno più , tanto atteso già nel quarto trimestre 2013 e dato per scontato per il 2014. Evidentemente anche sull’estero oltre che sul mercato interno pesa l’assenza di misure più incisive di aiuto all’economia, da mesi dimenticata dalla politica.
I dati di novembre 2013 sul commercio estero dell’Italia indicano che, rispetto al mese precedente, le esportazioni in valore sono scese quasi del 2 per cento. Così, più o meno, hanno fatto anche le importazioni (-2,2 per cento rispetto a ottobre 2013). Si sa, i dati mensili sono ballerini: nel corso del 2013 le esportazioni in valore erano già calate percentualmente di più che in novembre in altre due occasioni (febbraio e luglio). Ma poi sono ritornate a crescere. Dopo tutto, dall’inizio dell’anno, siamo a 358 miliardi di euro di incassi derivanti dall’export di beni italiani verso gli altri paesi a fronte di soli 331 miliardi di spesa in prodotti importati dall’estero. La differenza tra export e import tra gennaio e novembre di quest’anno dà un saldo commerciale con il segno più per 31 miliardi di euro, in netto aumento rispetto ai 10 miliardi di euro del 2012. In Europa solo la Germania ha un avanzo commerciale più grande di quello dell’Italia. Apparentemente, dunque, le preoccupazioni dell’Italia sono ben altre: il Pil in calo da due anni, i consumi in calo o stagnanti, il debito pubblico che esplode, il credito bancario che non c’è. Non i conti con l’estero. Ma proprio qui sta il punto: i conti con l’estero sono la gallina dalle uova d’oro dell’Italia. A soffrire è l’export verso i paesi dell’Unione Europea (specialmente quelli che non crescono o crescono poco come Francia, Spagna) ma anche verso le economia asiatiche fino a ieri in rapidissimo sviluppo e in Cina, dove la battaglia anti-corruzione del nuovo governo cinese comincia a lasciare un segno nei portafogli degli alti funzionari e nei bilanci delle griffe italiane di alta gamma. Se l’estero smettesse di produrre le uova d’oro, tutti gli altri mali di cui ci preoccupiamo tutti i giorni diventerebbero ben più gravi.Da questo punto di vista, dunque, i dati di novembre (in netto peggioramento rispetto a quelli di ottobre e settembre) contengono in effetti un motivo di allarme. I 354 miliardi di euro di esportazioni tra gennaio e novembre 2013 sono solo lo 0,5 in meno rispetto ai primi 11 mesi del 2012. Ma l’Istat (tabella 9) ci informa che il meno 0,5 in valore è la combinazione di un +1 per cento nei valori medi unitari (i prezzi dei prodotti esportati secondo l’Istat, in crescita dunque in linea con l’inflazione al consumo) e di un meno 1,5 per cento nelle quantità esportate. E sono le quantità esportate che contano nel calcolo del Pil. Quantità esportate che erano – ricordiamolo –aumentate del 2, del 4 e del 2,6 per cento rispettivamente nel 2012, 2011 e 2010. Se anche l’export annuale – oltre a consumi e investimenti – finisse il 2013 con un segno meno, sarebbe difficile ottenere un segno più del Pil nel quarto trimestre e il 2014 partirebbe con cattivi auspici.

IN RECESSIONE I CONTI CON L’ESTERO MIGLIORANO. SOLO PER UN PO’

Per ora, paradossalmente, il peggioramento dei conti con l’estero causato dal rallentamento della dinamica delle esportazioni è un po’ oscurato proprio dalla recessione. Quando l’economia va male (e nel 2012 e 2013 è andata proprio male), le famiglie non consumano e le imprese non investono, quindi importano meno del normale. In generale, tuttavia, i numeri negativi dell’import che oggi registriamo riflettono due fenomeni. Prima di tutto, c’è la recessione che frena le quantità importate (scese del 4,3 per cento rispetto ai primi 11 mesi del 2012). Ma a ridurre il valore delle importazioni c’è anche un altro fattore: il diminuito costo in dollari delle materie prime, reso ancora più evidente dall’apprezzamento dell’euro. Insieme, il calo dei prezzi internazionali dei prodotti primari e l’euro forte riducono in modo consistente il costo della bolletta energetica (e l’inflazione). I prezzi delle importazioni sono infatti scesi dell’1,8 nei primi undici mesi dell’anno. Se sommiamo il calo di 4,3 per cento delle quantità e l’1,8 per cento dei prezzi otteniamo il 6,1 che l’Istat riporta nel suo comunicato stampa come dato riassuntivo del gennaio-novembre 2013 rispetto ai 12 mesi precedenti. Con prezzi delle importazioni più elevati e un’economia meno depressa, anche il valore delle importazioni tornerà a salire (c’è solo da augurarselo). In tal modo, tuttavia, una buona parte dell’avanzo commerciale del 2013 sparirà rapidamente a meno che non ripartano le esportazioni.Nell’insieme, viene fuori che nell’Italia fiaccata da più di sei anni di crisi ormai non è più solo il mercato interno a soffrire . Per il mercato interno la politica ha una buona scusa per la sua disattenzione: i conti pubblici impediscono di fare di più. Ma le imprese che operano sull’estero non chiedono e non hanno bisogno di soldi pubblici. Chiedono prima di tutto più trasparenza e più semplicità alla burocrazia (lo sportello unico doganale, dov’è finito?) in un quadro di regole stabile e prevedibile e se possibile meno fiscalmente oneroso. Le (noiose) statistiche di commercio estero ci suggeriscono che l’azione su questi fronti non è davvero più rinviabile a un domani che non viene mai.

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