venerdì 31 gennaio 2014

L'intero mercato globale è avvolto in un contesto di molti miliardi di dollari.
Il valore dei beni in carta moneta è stato gonfiato a livelli insostenibili e tutti volevano incassare i loro guadagni provenienti dalle scorte a livelli record ... l'intero sistema ora starebbe per implodere sopratutto perchè I dollari e tanto meno l'euro semplicemente non esistono.
Tantissimi sono i rapporti che spiegano tutto nel dettaglio

Ma posso farvi la sintesi in poche parole ...
Più di 14.000 miliardi dollari è defluito in carta "attività" nel corso degli ultimi due anni, molti miliardi dei quali è stato digitalmente evocato da invisibili mani di maghi della finanza.
Non c'è da stupirsi, quindi, che i loro lavoro svolti "attività" sono ai massimi di tutti i tempi.
L'unico problema è che non sono stati benefici a tutti. Hanno ora bisogno di essere venduti e diventare qualcosa di valore reale.
Ma se il mondo avrebbe voluto incassare da tutte queste "attività", come mai non si è potuto rapidamente fare? Meno male diversamente il sistema sarebbe imploso e speriamo che non accada anche se qlc pensa possa ancora accadere.

L'unica cosa certa è che la marea di quei beni presunti è una montagna gigantesca di debiti.
Ben presto, la maggior parte dei beni cartacei tradizionali perderà una gran parte del loro valore perchè i debiti saranno cancellati e buttati al macero a causa della loro incapacità per il loro servizio a lungo termine. (Basta chiedere ai pensionati di Detroit come si reggono con le loro "attività".)
Se gli attivi della carta sono sull'orlo del collasso, come molte ricerche dimostrano, la domanda corretta da porsi è ... quali sono le attività più sicure da  possedere?
Un  rapporto nuovo di zecca risponde a questa domanda.
E voglio essere sicuro di far capire che questo non è tutto negativo ...
Infatti, mentre è inevitabile che molte persone avranno i loro risparmi e investimenti letteralmente spazzati via, quando scoppia questa bolla "asset" ... ora quelli che si posizionano prima di questo sconvolgimento finanziario trarranno immensamente un grande profitto.
Ci sono pochi semplici passi che si possono prendere - a partire da oggi - che può proteggere non solo la vostra ricchezza esistente quando questo castello di carte crolla ... ma può anche dare la possibilità di raddoppiare o triplicare il patrimonio netto finanziario.
L'importante è che vi informiate per bene.
Alcuni consigli vengono descritti di seguito clik http://www.angelnexus.com/o/web/55226
Buona lettura
AB
CBMS-NSF Regional Conference Series in Matematica Applicata
Principi matematici della fibra ottica Communications Autori: JK Shaw Virginia Polytechnic Institute e State University, Blacksburg, Virginia
La sinergia tra i World Wide Web e fibra ottica è una storia familiare ai ricercatori di comunicazioni digitali. Fibre sono i fattori abilitanti dei tassi di flusso di informazioni che rendono possibile il Internet. Attualmente cavi di fibre ottiche transoceanici trasmettono dati a velocità che possono trasferire il contenuto di una biblioteca universitaria rispettabile in pochi minuti. Nessun altro mezzo è capace di questo tasso di trasmissione a tali distanze.
Con la maturazione della telefonia mobile portatile e l'emergente mercato dell'accesso a banda larga, una maggiore capacità di trasmissione in fibra sarà essenziale nei primi anni del 21 ° secolo. Dal momento che la richiesta di una maggiore capacità di guida lo sviluppo di nuove tecnologie basate ottica-, fibre ottiche rimane dunque un settore vivace per la ricerca. Sapendo che la tecnologia di base in fibra ottica è un mezzo maturo che le questioni aperte sono più fortemente concentrato e permettono profondo contenuto matematico.
Principi matematici di fibra ottica Communications è destinato a sostenere e promuovere la ricerca interdisciplinare nel settore delle comunicazioni in fibra ottica, fornendo sfondo essenziale in entrambi i principi fisici e matematici della disciplina. Argomenti capitolo comprendono le basi di fibre e la loro costruzione, modalità di fibra e il criterio di funzionamento in modalità singola, l'equazione di Schrödinger non lineare, l'approccio variazionale per l'analisi della propagazione dell'impulso, e, infine, solitoni e alcuni nuovi risultati sulla soglia di energia di formazione di solitoni .Questi capitoli sono scritti per essere il più indipendente possibile, tenendo il lettore alle frontiere della ricerca sulle comunicazioni in fibra ottica.
Dal 2004, gestione Mastrapasqua, l’ospedale Israelitico ha accumulato ininterrottamente debiti nei confronti dell’ex Inpdap (oggi Inps) ad un ritmo di 2/3 mln all’anno.
Protagonisti: il direttore generale dell’ospedale israelitico (Mastrapasqua), il Presidente dell’Inps (Mastrapasqua), il vice presidente di Equitalia (Mastrapasqua). Il fatto: l’Ospedale Israelitico di Roma ha firmato una convenzione con la Regione Lazio per avere il rimborso delle prestazioni. La Regione ritarda a pagare perché non tutte le prestazioni sembrano dovute, poi quella convenzione è troppo di manica larga e viene bloccata. Antonio Mastrapasqua, nel 2012, convince la Polverini che non c’è niente di taroccato nell’ospedale che lui dirige. Qualche settimana fa il nuovo governatore della regione Zingaretti ha di nuovo sospeso la convenzione. Le indagini dei carabinieri hanno avuto il loro corso: sembra proprio che l’ospedale chiedesse alla Regione rimborsi non dovuti; ci sono stati arresti, sono partite le indagini della magistratura e la pronta collaborazione di Mastrapasqua: «Non ne sapevo niente». Il capo ha tanti incarichi, non può seguire tutto per filo e per segno, e odiosamente scarica sui sottoposti. Ma che interesse può avere un medico, o un amministrativo, che lavora per un ente senza fini di lucro, nel taroccare una richiesta di rimborso? È troppo facile pensare che lo fa perché qualcuno glielo chiede. Se non il direttore generale, chi?

Mentre l’indagine farà il suo corso, spostiamo l’interesse sull’Inps. L’Ospedale Israelitico dal 1993 non versa i contributi dovuti, e chiede alla Asl di provvedere a regolare i conti con gli enti previdenziali in cambio della cessione di una parte del credito. In sostanza ricorre a una legge del 1985 che consente agli enti morali di compensare i crediti per le prestazioni sanitarie con i debiti nei confronti della pubblica amministrazione. Ma chi ha certificato quei crediti come «certi ed esigibili», visto che gli accertamenti hanno dimostrato il contrario? La Regione ha quindi ritardato i pagamenti, e l’ente previdenziale ha accumulato credito, senza muovere un dito. Non è certo un problema dell’Inps se l’ospedale chiedeva rimborsi non dovuti! Il problema sta nel fatto che Mastrapasqua sia da un lato direttore generale dell’ospedale che deve pagare i contributi, e dall’altra presidente dell’ente che li deve incassare.

La cifra di cui stiamo parlando non è da poco: dai documenti Inps in nostro possesso il debito per contributi previdenziali non pagati dall’Ospedale Israelitico ammontano a 42.548.753 euro, di cui 10.771.383 per interessi sanzionatori, 2.845.695 per interessi di mora. Dal 2004, gestione Mastrapasqua, l’ospedale ha accumulato ininterrottamente debiti nei confronti dell’ex Inpdap (oggi Inps) a un ritmo di 2-3 milioni all’anno. Ma com’è possibile che siano trascorsi tutti questi anni senza che siano state avviate le procedure di riscossione coattiva nei confronti dell’ospedale, ovvero della Regione Lazio, se doveva essere quest’ultima a onorare i debiti dell’ospedale religioso? Ricordiamo che esiste una normativa (Legge n. 388/2000) che impone agli enti previdenziali adempimenti molto stringenti pena la loro prescrizione. In sostanza, l’Inps, come l’ex Inpdap, è tenuto a segnalare all’impresa inadempiente «i contributi dovuti e non pagati alla scadenza... (nei limiti della prescrizione di norma 5 anni, ndr ) accertati d’ufficio o tramite l’attività di vigilanza» (dal sito dell’Inps). Dopodiché, entro la fine dell’anno successivo a quello contestato deve provvedere al loro recupero con l’emissione delle famigerate «cartelle esattoriali» gestite da Equitalia di cui il dottor Mastrapasqua è vicepresidente.

Sono state emesse cartelle a carico dell’Ospedale o della Regione Lazio? Dai documenti Inps in nostro possesso, sembrerebbe di no, perché l’Inps, subentrato all’Inpdap dal 2012, chiede di quantificare gli «interessi che la Asl avrebbe dovuto corrispondere per i debiti dell’ospedale, che la stessa Asl Rm aveva riconosciuto a seguito di cessione» solo in data 23 ottobre 2013.

Domanda: il debito nasce nel 1993, si appesantisce dal 2004, e a fine 2013 né l’Inps, né l’ex Inpdap, sanno a quanto ammonta il debito complessivo perché devono ancora quantificare sanzioni e interessi? Evidentemente sì, perché da quel che emerge dalle carte la direzione centrale entrate Inps fornisce i criteri di calcolo il 26 novembre 2013. Naturalmente l’Inps si sta interrogando sul da farsi ritenendo che siano necessarie «ulteriori verifiche ed approfondimenti». Nel più classico degli «scaricabarile» del dipendente pubblico il calcolo, da cui finalmente emerge che tutto il debito maturato è pari a quasi tutti i ricavi di un anno dell’Ospedale Israelitico, viene inviato alla «direzione regionale per le valutazioni di competenza». Quindi, oggi, la Regione Lazio e non l’Ospedale Israelitico, dovrebbe pagare gli interessi per il ritardato pagamento di quei contributi previdenziali ceduti. Ma dice che non pagherà perché quelle fatture erano gonfiate o non dovute. Insomma l’efficientissimo presidente dell’Inps ha sicuramente provato a fare gli interessi dell’Ospedale Israelitico, ma non quelli della Pubblica amministrazione che si chiami Regione Lazio, Inpdap o Inps, visto che parte di quei contributi probabilmente non potranno più essere richiesti da Equitalia perché prescritti.
Guarda l’inchiesta “Dirigenti di classe” andata in onda a Report il 21 ottobre 2012
31 gennaio 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Olio italiano ma solo sull'etichetta, ecco la truffa che indigna l'America
I produttori: "Da noi qualità al top, ci rovinano i disonesti". I ricarichi alla vendita sono enormi anche per le bottiglie "bugiarde"

di PAOLO BERIZZI
Lo chiamano "l'oro liquido". O sua maestà olio extravergine. All'estero - da dove in molti casi proviene la "base" che lo compone, e qui sta il problema - venerano l'olio d'oliva italiano come una specie di nettare divino. Quanto sia autentico, lo vedremo tra poco. Ritornano in mente le vignette contro Maometto - con rispetto parlando - di fronte al polverone di polemiche provocato dai 15 disegni con cui il New York Times ha illustrato le truffe dell'extravergine in Italia e il "suicidio" - è la parola usata dall'autorevole quotidiano che ieri sera è silenziosamente tornato sui suoi passi - del frantoio "made in Italy". Quanto è puro il nostro extravergine d'oliva? E, soprattutto, è davvero "italiano"?...

Spagna, Grecia, Tunisia, Marocco. Sono i principali paesi dai quali importiamo olio. E quell'olio - lo hanno accertato in questi tre anni indagini giudiziarie concluse con massicci sequestri - in alcuni casi viene manipolato, miscelato e reimbottigliato in modo fraudolento. Mischiato con olio italiano. Corretto per lo più con beta-carotene (per mascherare il sapore) e clorofilla (per modificarne il colore). E venduto infine con etichetta "extravergine made in Italy". Olio di semi e olio di sansa sono le "basi" più utilizzate dai furbetti della tavola, per lo più sono imbottigliatori. Tecnicamente il vizietto si chiama adulterazione e contraffazione. È una scelta sleale alla quale ricorrono prevalentemente le aziende di grandi dimensioni. Sono loro che hanno in mano il mercato dell'olio di fascia medio-bassa. In alcuni casi si tratta di multinazionali straniere che hanno acquistato marchi italiani. Ma nella stessa fascia ci sono imprese di media portata che detengono marchi storici e molto noti...

In Tunisia un chilo d'olio costa 0,23 centesimi e che il prezzo medio di un chilo di olio finto "made in Italy" è 3-4 euro, i taroccatori ci tirano su un mille per cento. Il Nafs del Corpo forestale dello Stato nel 2013 ne ha beccati 204 e ha appioppato sanzioni per quasi 5 milioni di euro...

Ma ragioniamo su un dato. Come mai a fronte dei 345 milioni di litri di olio d'oliva che esportiamo (anno 2013), ne importiamo 445 milioni di litri (nel 2011 sono state 470 mila)? Dove vanno le tonnellate di olio "in entrata"? L'Italia - numeri Coldiretti - è il secondo produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna... Ma è anche il principale importatore mondiale...
"Il caccia F-35 fragile e inaffidabile". Il Pentagono sferza la Lockheed
Il dipartimento alla Difesa Usa: "Problemi anche al software". Rapporto di un centro studi americano: la produzione potrà creare solamente la metà dei posti di lavoro promessi. La campagna italiana contro il programma: "Rischiamo di dover usare altri velivoli"

di GIAMPAOLO CADALANU
Non finiscono mai i problemi dell'F-35: doveva essere il cacciabombardiere del futuro, ma i guai di messa a punto rischiano di renderlo operativo in tempi così lontani da rendere insignificante il vantaggio strategico tanto apprezzato dagli Stati maggiori. A sottolineare le difficoltà del sistema d'armamento più costoso della Storia sono ancora una volta i tecnici del Pentagono, che seguono con pignoleria lo sviluppo del programma Joint Strike Fighter e in passato ne hanno già evidenziato i punti deboli, dal casco di comando alla vulnerabilità ai fulmini.

A firmare l'ultimo rapporto è il capo della sperimentazione del Pentagono, Michael Gilmore: secondo i test condotti sul campo, in questa fase dello sviluppo "le prestazioni sull'operatività complessiva continuano ad essere immature" e rendono necessarie "soluzioni industriali con assistenza e lavori inaccettabili per operazioni di combattimento". In altre parole, la macchina è inaffidabile. Sotto accusa è fra l'altro la robustezza complessiva di fusoliera e motori: in almeno cinque occasioni i tecnici hanno trovato "significativi segni di cedimento", cioè crepe, che richiederanno nuovi aggiustamenti e con tutta probabilità un aumento del peso, con conseguente diminuzione delle prestazioni. L'azienda sostiene che le debolezze delle paratie segnalate nel rapporto Gilmore sono già state sistemate, ma non precisa con quali aumenti di peso, limitandosi a segnalare che l'uso dell'alluminio permette di evitarecarichi eccessivi. In realtà il peso del cacciabombardiere è ormai vicino al limite stabilito nelle specifiche previste dalle Forze armate Usa, e questo significa che lo spazio per le correzioni è molto limitato, sostiene Gilmore.

Anche il software di gestione, estremamente complicato, è un problema, soprattutto nella versione "B" a decollo corto e atterraggio verticale, destinata al corpo dei marines ma fortemente voluta anche dalla Difesa italiana per sostituire gli Harrier sulla portaerei Cavour. Secondo il rapporto di Gilmore il programma fornisce prestazioni definite "inaccettabili" e non è sicuro che l'F-35 B possa essere operativo entro la fine del 2015. Lockheed-Martin invece garantisce di poter fornire entro giugno come combat-ready gli 8,4 milioni di linee del software completo. Il generale James Amos, comandante dei marines, ha precisato che lui "è ottimista, ma usa estrema attenzione" al procedere dello sviluppo del caccia, ammettendo che "potrebbe esserci un rischio di non completamento per la data prevista". Lo stesso Amos ha ammesso che il sistema di trattamento dati ALIS, che serve a passare le informazioni dal jet all'assistenza, ha ancora qualche problema, così come è necessario qualche ritocco meccanico, già previsto negli F-35 B di ultima produzione, ma necessario per gli esemplari già forniti. "Tre livelli di problemi che mi tengono sveglio la notte", dice Amos,

Molto duro il giudizio della Rete Italiana per il Disarmo, che chiede la cancellazione del programma F-35: "Al di là di problematiche tecniche o di intoppi dal punto di vista dello sviluppo è infatti la situazione complessiva del programma, con i ritardi conseguenti, che dovrebbe destare preoccupazione anche a livello del nostro Governo e del nostro Ministero della Difesa", scrive su Altreconomia il coordinatore della campagna, Francesco Vignarca: "Il rischio è che i Paesi che hanno fatto affidamento su questi "nuovi" F-35 debbano trovarsi a considerare la necessità di utilizzare altri velivoli, almeno per un certo lasso di tempo, per ovviare ai buchi di disponibilità operativa che sicuramente ci saranno".

Secondo l'azienda americana il rapporto Gilmore registra anche progressi ed è in sostanza parte del dibattito legato ai fortissimi stanziamenti necessari, prova di trasparenza da parte del Pentagono. Ben diverse le condizioni in Italia, le scelte della Difesa sembrano sottratte a ogni possibilità di valutazione. Ne è una prova il rapporto diffuso nei giorni scorsi dal Center for International Policy, un centro studi americano secondo cui la Lockheed ha "grandemente esagerato" nel valutare il numero di posti di lavoro creato dal programma F-35, e le cifre indicate andrebbero dimezzate. Nonostante l'Italia ospiti il secondo stabilimento di costruzione dell'F-35, e le decisioni strategiche siano state prese tenendo conto dell'occupazione, nessuno alla Difesa ha commentato il rapporto.
30 gennaio 201
AMBIENTE
L'ANNO DEL CAVALLO SENZA FUOCHI D'ARTIFICIO
Metereologi avvertono: "troppo nocivi per l'ambiente"

di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

Pechino, 30 gen. - Dalla mezzanotte di oggi la Cina entra nell'anno del Cavallo. L'attesa per le celebrazioni si estende a tutto il Paese, ma il nuovo anno non cancella i vecchi problemi, e tra questi l'inquinamento atmosferico. I meteorologi hanno mandato i primi avvertimenti. "Petardi e fuochi d'artificio possono rilasciare grandi quantitativi di gas tossici e particelle come diossido di zolfo che causeranno un forte inquinamento" spiega al quotidiano China Daily Chen Zhenlin, portavoce della China Meteorological Administration. Per evitare un innalzamento dello smog nei prossimi quindici giorni di festa l'ente meteorologico cinese chiede alle amministrazioni locali di prendere in seria considerazione il bando ai fuochi d'artificio.

Un appello simile era arrivato anche lo scorso anno dalla municipalità di Pechino. Il cielo sopra la capitale, allora, era grigio e i livelli di smog tra i più alti mai segnalati; la stampa mondiale parlava di "Air-pocalypse" per definire l'allerta inquinamento della capitale, e le autorità sanitarie chiedevano a bambini, anziani e sofferenti di problemi al cuore di non lasciare le loro case, se non in caso di emergenza. Anche oggi, molte aree della Cina sono coperte da una coltre di smog, e la municipalità di Pechino ha già lanciato l'appello a ridurre l'acquisto di fuochi d'artificio nei tanti tendoni che ogni anno, nel periodo delle feste, fanno la loro comparsa agli angoli delle strade della capitale. Per ora, affermano i funzionari del comune di Pechino, la riduzione rispetto all'ammontare complessivo di fuochi e petardi è del 13% rispetto allo scorso anno, e -aggiungono- "non crediamo che tutti i fuochi d'artificio in vendita saranno acquistati".

La politica ha celebrato ieri il capodanno con un a festa alla Grande Sala del Popolo che si affaccia su Piazza Tian'anmen. Xi Jinping ha esteso gli auguri per il nuovo anno a tutta la popolazione e ai cinesi che vivono all'estero e ha menzionato anche gli stranieri che vivono in Cina per il loro contributo alla modernizzazione del Paese. Prima ancora, Xi Jinping aveva fatto visita alle guardie di frontiera di Xilinhot, località di confine tra la Mongolia Interna cinese e la Mongolia con capitale Ulaanbaatar. Il presidente ha incontrato poi un gruppo della minoranza etnica mongola e ha sottolineato in un discorso l'importanza dell'unità di tutti i gruppi etnici che vivono nella Repubblica Popolare: un invito che arriva a pochi giorni da una triplice esplosione che ha sconvolto lo Xinjiang e dove sono rimaste uccise dodici persone tra le esplosioni e i successivi scontri con la polizia.

Le festività, in Cina, si accompagnano tradizionalmente all'esodo di massa. Sono quasi 80 milioni secondo i dati delle ferrovie cinesi risalenti a martedì scorso i cinesi che hanno perso il treno per recarsi nei luoghi d'origine e trascorrere il capodanno con i parenti più stretti. Ma le cifre di quelle che viene comunemente definito come la migrazione interna più grande al mondo sono ancora più ingenti e le stime parlano di 3,6 miliardi di viaggi, in totale, nell'arco dei quaranta giorni del "chunyun", ovvero i giorni che precedono e seguono l'inizio del nuovo anno ("chunjie"). Molti viaggeranno in auto. Lo scorso anno le vendite degli autoveicoli in Cina hanno sfondato il tetto dei venti milioni di nuovi veicoli immatricolati: un dato che fa che fa riflettere le autorità sull'aumento delle emissioni dei gas di scarico, e sulla sicurezza stradale. E' di poche ore fa la notizia di un maxi-incidente stradale nello Zhejiang con tre morti e almeno quindici feriti, più altre decine di persone rimaste intrappolate nell'incidente che ha coinvolto undici autoveicoli in un tratto di strada con scarsa visibilità. La scorsa notte, altre cinque persone, tra cui un bambino, sono rimaste uccise in un incidente causato da un'autocisterna che ha preso fuoco lungo una strada dell'isola di Hainan. Per spegnere l'incendio sono giunti 136 pompieri sul luogo dell'incidente.

Secondo i primi dati, tra le tendenze di quest'anno, ci sono in prima file le cene al ristorante e il ricorso allo shopping on line per i regali. Moltissime famiglie decideranno di trascorrere la serata di oggi nelle sale da pranzo dei ristoranti tradizionalmente più costosi, con i grandi nomi della cucina cinese che serviranno le specialità delle feste a prezzi contenuti, scrive il Quotidiano del Popolo. E una gran parte dei regali che verranno scambiati saranno frutto di acquisti on line: i siti di e-commerce stanno vivendo un vero e proprio boom in Cina e promettono acquisti per tutte le tasche. Una scelta sicura, oltre che comoda. Come l'anno scorso, anche quest'anno continua la vigilanza della Commissione Disciplinare sulle spese pazze di funzionari e politici prima del capodanno: una misura introdotta dallo stesso presidente Xi Jinping in occasione dello scorso capodanno: Nel 2013, l'austerity targata Xi si era spinta fino a vietare alle emittenti televisive di trasmettere spot pubblicitari di prodotti della fascia del lusso. Gli investigatori hanno chiesto a chiunque avesse prove di spese eccessive da parte di persone in vista, di segnalarli alla commissione per approfondire le indagini.

Molte le celebrazioni in tutto il mondo per il capodanno cinese. L'ambasciata cinese in Belgio ha tenuto ieri un concerto per celebrare l'ingresso nell'anno del Cavallo. A Londra il 2 febbraio prossimo si terrà una parata che terminerà nella Chinatown della capitale con altre attività anche a Trafalgar Square nel corso della giornata. Anche Las Vegas è addobbata a festa: sullo Strip della capitale mondiale del gioco d'azzardo sono apparsi cavalli e lanterne rosse per salutare il nuovo anno cinese. A Roma, il sindaco della capitale, Ignazio Marino, e l'ambasciatore cinese in Italia, Li Ruiyu hanno dato il via alle celebrazioni il 25 gennaio scorso, in piazza del Popolo. Anche la tecnologia ha celebrato la più tradizionale delle feste cinesi. L'homepage di Google ha ritratto l'immagine di un cavallo e il motore di ricerca cinese Baidu tracia ora per ora tutti gli spostamenti interni dei cinesi che tornano a casa per trascorrere le feste in famiglia.
Il centro congressi del G8 è nuovo e già perde pezzi
Doveva rilanciare La Maddalena, dopo 4 anni è vuoto
IL CASO QUASI QUATTROCENTO MILIONI SPESI PER IL PORTO TURISTICO E UN’INCHIESTA CON 17 INDAGATI PER LA BONIFICA DELL’AREA DELL’EX ARSENALE MAI PORTATA A TERMINE....
«Ah, quando s’alza il vento…». Il lamento cantato da Lucio Battisti si leva alla Maddalena a ogni folata di maestrale. Altri tetti scoperchiati, altri pannelli di vetro strappati all’avveniristico «Main Center», altri pezzi di coperture inghiottiti dal mare… Cadono a pezzi, solo quattro anni dopo, le costosissime strutture costruite per il G8 poi spostato all’Aquila. E i soldi dati ieri per finire la bonifica, potete scommetterci, non basteranno.Sono 11 milioni e rotti, i nuovi stanziamenti decisi dal ministero dell’Ambiente e dalla Regione Sardegna per completare il risanamento «dello specchio acqueo antistante l’ex Arsenale militare di La Maddalena». Il guaio è che per i giudici impegnati nell’inchiesta sulla «bonifica fantasma», i quali poche settimane fa hanno inviato gli avvisi di indagini concluse a 17 indagati eccellenti, dall’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso all’ex responsabile della struttura di missione per il G8 Mauro Della Giovanpaola fino all’ex viceré del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci, l’area dettata da fanghi neri impregnati di idrocarburi lasciati dai vecchi insediamenti militari non è di sei ettari ma di dodici: il doppio.

Tanto che i pessimisti sono pronti a giurare che saranno insufficienti non solo i quattrini (ne servono almeno 19, di milioni, secondo i periti della magistratura) ma anche i tre anni fissati per finire il disinquinamento. E tutto si può chiedere ai maddalenini meno che abbiano fiducia negli impegni presi. Troppe volte, in questi anni, sono stati traditi. Alla Maddalena, giurava Silvio Berlusconi nel dicembre di cinque anni fa, «è stata fatta la più grande bonifica ambientale mai fatta in Italia in modo che l’isola diverrà un’attrazione turistica assolutamente all’avanguardia». E il governo assicurava, sfidando la Ue che avrebbe aperto una procedura d’infrazione su tutte le violazioni delle regole, che i lavori per il G8 sarebbero stati fatti «nel massimo rispetto ambientale». E ancora tre giorni prima del terremoto all’Aquila che avrebbe spinto il Cavaliere a mollare l’arcipelago, Bertolaso affermava: «Abbiamo bonificato una zona inquinata in un parco nazionale, abbiamo portato le barche dove c’erano i sommergibili e ora garantiamo l’occupazione a un migliaio di persone». Sì, ciao… Mai vista un’assunzione.

Costò una tombola, quel «lifting ambientale» per cui la Protezione civile ingaggiò anche Francesco Piermarini, il fratello della moglie di Bertolaso che lo definiva «un grande esperto di bonifiche». Trentuno milioni, pare. Ma con tutti gli annessi e connessi sarebbero stati 72. Senza che le acque fossero ripulite almeno il necessario per rimuovere, se non il divieto di balneazione, almeno quello di navigazione e di ancoraggio. Il colmo, scrisse sull’Espresso Fabrizio Gatti: «Un porto turistico costato complessivamente 377 milioni di euro pubblici nel quale yacht, barche e gommoni non possono attraccare». E lì c’è la seconda grana. La pretesa della Mita Resort di Emma Marcegaglia che lo Stato rispetti l’accordo fatto poche settimane prima dello spostamento del G8. Quando l’allora presidente di Confindustria vinse in gara solitaria (contestatissima da due altri imprenditori turistici) l’appalto per gestire in cambio di 40 milioni, per trent’anni, le strutture costruite o ristrutturate per il summit internazionale. Un complesso che avrebbe dovuto diventare, dopo lo spot mondiale della parata con Obama, Medvedev, Merkel, Sarkozy e tutti gli altri, il cuore della nautica esclusiva dell’intero Mediterraneo.

Dicono quelli della Mita: ma come, dovevate portare i Grandi del pianeta e (con tutto il rispetto per la tragedia aquilana) così non è stato; dovevate risanare le acque e non l’avete fatto; dovevate togliere lo stradone che passa davanti all’ex ospedale militare trasformato in un hotel di lusso per farci la passeggiata a mare e non l’avete tolto; ci avete fatto spendere 9 milioni di euro di arredamenti e non possiamo affittare una camera o un posto barca… Risultato: una richiesta danni di 149 milioni. Che si aggiungerebbero al mezzo miliardo (la cifra esatta, per ora, pare non saperla nessuno) già buttato per quella costosissima giostra mai fatta girare. «Ma come: se la Marcegaglia non ha ancora tirato fuori un centesimo dei soldi dovuti!», sbotta l’ex assessore provinciale all’ambiente Pierfranco Zanchetta, duro oppositore delle scelte sventurate fin qui commesse, «Non capisco. Già le avevano fatto lo sconto riducendo da 40 a 31 i milioni di canone e allungandole da 30 a 40 gli anni di gestione! Ha speso soldi per arredamenti o altro? Porti le ricevute ed esiga i rimborsi. Ma chiedere 149 milioni di mancato guadagno senza neppure aver tirato fuori quello che deve lei allo Stato…».

Fatto sta che, in attesa che si chiuda la rissa sulla manutenzione («Tocca allo Stato», «No, alla Regione», «No, alla Marcegaglia») le opere che solo quattro anni fa erano nuove di zecca e pronte ad accogliere il vertice planetario, sono in condizioni catastrofiche. L’area delegati che doveva diventare una struttura culturale e commerciale mostra le ferite dei pezzi di tetto strappati dal vento. Le colonne degli antichi depositi dell’arsenale costosamente restaurate sono già oscenamente arrugginite. L’albergo ricavato dall’ex ospedale con lavori abnormi per 77 milioni di euro (722 mila euro a camera) è assediato dalle erbacce che stanno mangiandosi anche il marciapiede. E ovunque degrado, degrado, degrado.

Quello che più fa salire il sangue al cervello è però l’edificio futuristico del «Main Center» che doveva ospitare le personalità più illustri del mondo e che si protende sull’acqua del bacino. Le spettacolari vetrate sui fianchi erano coperte da una specie di alveare, un grande merletto di vetro e acciaio voluto per dare insieme un po’ d’ombra e insieme trasparenza, stanno giorno dopo giorno sgretolandosi. «Uno schifo», si sfoga l’architetto Stefano Boeri, autore del progetto, «Lo vedo e sto male. Sono pazzi a lasciarlo finire così». Non era stata una pazzia piuttosto mettere quella grata leggera esposta alla furia del maestrale? «Per niente! Non c’è posto dove il maestrale tiri quanto a Marsiglia eppure lì il Mucem, cioè il museo della civilizzazione dell’Europa e del Mediterraneo, coperto con la stessa tecnica, è stupendo e intatto. Alla Maddalena è mancata la minima manutenzione annuale. L’azienda che l’ha costruita, quella copertura, si è offerta di farla, la manutenzione. Non le hanno neanche risposto. Tanto che hanno fatto causa per la figuraccia cui sono, senza colpa, esposti».

Tema: ammesso che ci mettano «solo» altri tre anni per la bonifica vera (totale otto: più di quelli bastati a fare il tunnel sotto la Manica) cosa sarà di tutto quel complesso che fu bellissimo e bellissimo potrebbe tornare a essere ma è abbandonato al vento, alla polvere, agli sterpi? Beffa tra le beffe, la Regione è costretta pure a pagarci sopra quattrocento mila euro l’anno di Imu…

© RIPRODUZIONE RISERVATA

30 ottobre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA«Ah, quando s’alza il vento…». Il lamento cantato da Lucio Battisti si leva alla Maddalena a ogni folata di maestrale. Altri tetti scoperchiati, altri pannelli di vetro strappati all’avveniristico «Main Center», altri pezzi di coperture inghiottiti dal mare… Cadono a pezzi, solo quattro anni dopo, le costosissime strutture costruite per il G8 poi spostato all’Aquila. E i soldi dati ieri per finire la bonifica, potete scommetterci, non basteranno.Sono 11 milioni e rotti, i nuovi stanziamenti decisi dal ministero dell’Ambiente e dalla Regione Sardegna per completare il risanamento «dello specchio acqueo antistante l’ex Arsenale militare di La Maddalena». Il guaio è che per i giudici impegnati nell’inchiesta sulla «bonifica fantasma», i quali poche settimane fa hanno inviato gli avvisi di indagini concluse a 17 indagati eccellenti, dall’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso all’ex responsabile della struttura di missione per il G8 Mauro Della Giovanpaola fino all’ex viceré del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci, l’area dettata da fanghi neri impregnati di idrocarburi lasciati dai vecchi insediamenti militari non è di sei ettari ma di dodici: il doppio.

Tanto che i pessimisti sono pronti a giurare che saranno insufficienti non solo i quattrini (ne servono almeno 19, di milioni, secondo i periti della magistratura) ma anche i tre anni fissati per finire il disinquinamento. E tutto si può chiedere ai maddalenini meno che abbiano fiducia negli impegni presi. Troppe volte, in questi anni, sono stati traditi. Alla Maddalena, giurava Silvio Berlusconi nel dicembre di cinque anni fa, «è stata fatta la più grande bonifica ambientale mai fatta in Italia in modo che l’isola diverrà un’attrazione turistica assolutamente all’avanguardia». E il governo assicurava, sfidando la Ue che avrebbe aperto una procedura d’infrazione su tutte le violazioni delle regole, che i lavori per il G8 sarebbero stati fatti «nel massimo rispetto ambientale». E ancora tre giorni prima del terremoto all’Aquila che avrebbe spinto il Cavaliere a mollare l’arcipelago, Bertolaso affermava: «Abbiamo bonificato una zona inquinata in un parco nazionale, abbiamo portato le barche dove c’erano i sommergibili e ora garantiamo l’occupazione a un migliaio di persone». Sì, ciao… Mai vista un’assunzione.

Costò una tombola, quel «lifting ambientale» per cui la Protezione civile ingaggiò anche Francesco Piermarini, il fratello della moglie di Bertolaso che lo definiva «un grande esperto di bonifiche». Trentuno milioni, pare. Ma con tutti gli annessi e connessi sarebbero stati 72. Senza che le acque fossero ripulite almeno il necessario per rimuovere, se non il divieto di balneazione, almeno quello di navigazione e di ancoraggio. Il colmo, scrisse sull’Espresso Fabrizio Gatti: «Un porto turistico costato complessivamente 377 milioni di euro pubblici nel quale yacht, barche e gommoni non possono attraccare». E lì c’è la seconda grana. La pretesa della Mita Resort di Emma Marcegaglia che lo Stato rispetti l’accordo fatto poche settimane prima dello spostamento del G8. Quando l’allora presidente di Confindustria vinse in gara solitaria (contestatissima da due altri imprenditori turistici) l’appalto per gestire in cambio di 40 milioni, per trent’anni, le strutture costruite o ristrutturate per il summit internazionale. Un complesso che avrebbe dovuto diventare, dopo lo spot mondiale della parata con Obama, Medvedev, Merkel, Sarkozy e tutti gli altri, il cuore della nautica esclusiva dell’intero Mediterraneo.

Dicono quelli della Mita: ma come, dovevate portare i Grandi del pianeta e (con tutto il rispetto per la tragedia aquilana) così non è stato; dovevate risanare le acque e non l’avete fatto; dovevate togliere lo stradone che passa davanti all’ex ospedale militare trasformato in un hotel di lusso per farci la passeggiata a mare e non l’avete tolto; ci avete fatto spendere 9 milioni di euro di arredamenti e non possiamo affittare una camera o un posto barca… Risultato: una richiesta danni di 149 milioni. Che si aggiungerebbero al mezzo miliardo (la cifra esatta, per ora, pare non saperla nessuno) già buttato per quella costosissima giostra mai fatta girare. «Ma come: se la Marcegaglia non ha ancora tirato fuori un centesimo dei soldi dovuti!», sbotta l’ex assessore provinciale all’ambiente Pierfranco Zanchetta, duro oppositore delle scelte sventurate fin qui commesse, «Non capisco. Già le avevano fatto lo sconto riducendo da 40 a 31 i milioni di canone e allungandole da 30 a 40 gli anni di gestione! Ha speso soldi per arredamenti o altro? Porti le ricevute ed esiga i rimborsi. Ma chiedere 149 milioni di mancato guadagno senza neppure aver tirato fuori quello che deve lei allo Stato…».

Fatto sta che, in attesa che si chiuda la rissa sulla manutenzione («Tocca allo Stato», «No, alla Regione», «No, alla Marcegaglia») le opere che solo quattro anni fa erano nuove di zecca e pronte ad accogliere il vertice planetario, sono in condizioni catastrofiche. L’area delegati che doveva diventare una struttura culturale e commerciale mostra le ferite dei pezzi di tetto strappati dal vento. Le colonne degli antichi depositi dell’arsenale costosamente restaurate sono già oscenamente arrugginite. L’albergo ricavato dall’ex ospedale con lavori abnormi per 77 milioni di euro (722 mila euro a camera) è assediato dalle erbacce che stanno mangiandosi anche il marciapiede. E ovunque degrado, degrado, degrado.

Quello che più fa salire il sangue al cervello è però l’edificio futuristico del «Main Center» che doveva ospitare le personalità più illustri del mondo e che si protende sull’acqua del bacino. Le spettacolari vetrate sui fianchi erano coperte da una specie di alveare, un grande merletto di vetro e acciaio voluto per dare insieme un po’ d’ombra e insieme trasparenza, stanno giorno dopo giorno sgretolandosi. «Uno schifo», si sfoga l’architetto Stefano Boeri, autore del progetto, «Lo vedo e sto male. Sono pazzi a lasciarlo finire così». Non era stata una pazzia piuttosto mettere quella grata leggera esposta alla furia del maestrale? «Per niente! Non c’è posto dove il maestrale tiri quanto a Marsiglia eppure lì il Mucem, cioè il museo della civilizzazione dell’Europa e del Mediterraneo, coperto con la stessa tecnica, è stupendo e intatto. Alla Maddalena è mancata la minima manutenzione annuale. L’azienda che l’ha costruita, quella copertura, si è offerta di farla, la manutenzione. Non le hanno neanche risposto. Tanto che hanno fatto causa per la figuraccia cui sono, senza colpa, esposti».

Tema: ammesso che ci mettano «solo» altri tre anni per la bonifica vera (totale otto: più di quelli bastati a fare il tunnel sotto la Manica) cosa sarà di tutto quel complesso che fu bellissimo e bellissimo potrebbe tornare a essere ma è abbandonato al vento, alla polvere, agli sterpi? Beffa tra le beffe, la Regione è costretta pure a pagarci sopra quattrocento mila euro l’anno di Imu…

© RIPRODUZIONE RISERVATA

30 ottobre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA

giovedì 30 gennaio 2014

In mostra grandi aree ristorazione e l'armoniosa coesistenza cibo-natura
Expo, i cinesi ci credono
Tre i padiglioni. Ricaduta da 60 mln di euro
Pagina a cura di Mariangela Pira

Il fatto che la Cina sia stata la prima a firmare il protocollo di partecipazione all'Expo la dice lunga sulle aspettative da parte dei cinesi nei confronti dell'Esposizione Universale del 2015.

Certo, in virtù del criterio di reciprocità con l'ultima Expo2010 di Shanghai era doveroso da parte dei cinesi, visto il passaggio di testimone, partecipare in grande all'Esposizione di Milano.

Expo sarà infatti il palcoscenico ideale per far conoscere la Cina agli europei: con un padiglione di 4.590 metri quadrati, il loro sarà il secondo spazio espositivo più grande, dopo quello italiano. Sul fronte degli investimenti i cinesi non hanno mai dato indicazioni precise: le stime di Expo2015, che comprendono tutti i tre padiglioni cinesi, prevedono 60 milioni di euro in arrivo dalla Cina per l'esposizione milanese. In linea con la loro filosofia di business, per i cinesi l'accordo sull'Expo è strategico; un modo per far sì che le loro imprese possano siglare interessanti intese di business. Il Commissario Unico di Expo, Giuseppe Sala, ha già consegnato i lotti alla Cina e ai suoi Corporate Participants, pronti a intraprendere le attività. Da circa un mese è iniziato il percorso operativo che porterà alla costruzione del sito espositivo cinese. Che sarà articolato in tre padiglioni: oltre a quello nazionale, il paese sarà presente con due spazi corporate, uno gestito da China Vanke, colosso del settore immobiliare, e l'altro dal China Corporate United Pavillion (Ccup), costituito da una cordata di imprese cinesi.

Il concept del padiglione nazionale è ancora top secret. Il progetto non è stato ancora presentato neanche alla società Expo2015, la quale ha ricevuto da poco i primissimi sketch con preghiera da parte di Pechino - impegnatissima nella progettazione dello stand - di non divulgarli alla stampa. Di certo ci sarà un'area «food», un angolo di ristorazione dalle dimensioni considerevoli che verrà gestito da una grossa catena alimentare dell'Hebei (una delle province cinesi).

Il padiglione di China Vanke, che fornisce oltre mezzo milione di unità abitative e offre servizi di gestione a oltre 1,5 milioni di cinesi, illustrerà il programma «Shitang» (mensa): mettere a disposizione spazi di ristorazione in cui mangiare in maniera salutare, a prezzi contenuti, e in cui socializzare con lo scopo di migliorare il tessuto sociale della città. La partecipazione del colosso immobiliare però servirà anche al progetto «China Special Project di Expo Milano 2015» che coinvolge cinque aree strategiche con in primis l'obiettivo di portare all'esposizione universale di Milano un milione di visitatori cinesi.

Al secondo Corporate Pavilion cinese partecipano una ventina di imprese cinesi. Il China Corporate United Pavillion si estenderà su una superficie di circa 1.270 metri quadri e sorgerà non lontano dal padiglione che l'architetto Daniel Libeskind ha progettato per China Vanke. Il tema è «China Seeds» (semi di Cina) e riguarda il settore ambientale e alimentare alla luce della filosofia «dell'armoniosa coesistenza con la natura», principio base della cultura cinese, che si sposa anche con il business.
CINA POLITICA INTERNA
XI JINPING: l'UNICO 
UOMO AL COMANDO

di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest

Pechino, 28 gen. -  Venerdì scorso, Xi Jinping è stato nominato a capo della nuova Commissione per la Sicurezza Nazionale. Meno di un mese fa, il 30 dicembre, la Xinhua aveva annunciato un'altra nomina per lui, quella di presidente della Commissione per l'approfondimento delle Riforme, l'altro organo ristretto nato dal terzo plenum del Comitato Centrale, che si era tenuto a novembre. La nuova commissione sulla Sicurezza risponderà esclusivamente ai vertici del partito e avrà come vice presidenti il primo ministro Li Keqiang e il presidente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, Zhang Dejiang, ovvero - assieme allo stesso Xi - le altre due maggiori cariche dello Stato. Li Keqiang è stato nominato anche vice presidente della commissione per l'approfondimento della Riforme, assieme, questa volta, a Liu Yunshan e al vice premier Zhang Gaoli, anch'essi membri del Comitato Permanente del Politburo, l'organo ristretto che detiene il potere decisionale sul partito e sullo Stato.

Il processo di consolidamento del potere del presidente cinese sembra, ora, completato, con Xi saldamente in cima all'organigramma. Oltre alle cariche ricevute dal suo predecessore, Hu Jintao, il presidente cinese ha l'ultima parola sulle riforme economiche e sulla sicurezza nazionale, attraverso le due commissioni che è chiamato a presiedere. L'istituzione di gruppi ristretti non rappresenta una novità nel PCC: uno dei più noti è stato quello che guidato la Rivoluzione Culturale, con a capo prima il segretario personale di Mao Zedong, Chen Boda, e poi la moglie, Jiang Qing. La prerogativa delle due nuove commissioni è quella di rispondere solo all'apparato del partito e di evitare molti ostacoli burocratici. "Xi Jinping ha più poteri e responsabilità sia di Jiang Zemin che di Hu Jintao - spiega ad Agi China 24 Willy Lam, docente della Chinese University di Hong Kong ed esperto di elite politiche cinesi - Come capo dei due nuovi gruppi, il gruppo guida per l'Approfondimento delle Riforme e la Commissione sulla Sicurezza Nazionale, Xi ha il controllo sull'economia e sull'apparato di polizia, più il potere sugli affari del partito, gli affari esteri e l'esercito". Xi Jinping è il leader più potente della Cina dai tempi di Deng Xiaoping, anche se, precisa Joseph Cheng Yu-shek, ordinario di Scienze Politiche alla City University di Hong Kong, i tempi sono cambiati, per due motivi, soprattutto. "Oggi ci sono molti più gruppi di potere, e sono più potenti che in passato. In questo senso, Xi Jinping non può essere paragonato a Mao Zedong o a Deng Xiaoping".

Da dove deriva il suo potere, il presidente cinese? "Xi ha un grande supporto da parte dei principi rossi, e in sostanza anche da parte dell'esercito, grazie ai contatti che ha coltivato nel corso degli anni - continua Cheng - Grazie a questi due aspetti, ha quindi più potere del suo predecessore: in più, Hu Jintao si è ritirato completamente dalla scena politica, lasciando anche la carica di presidente della Commissione Militare Centrale". Il ritiro completo dell'ex presidente cinese dalla vita pubblica viene citato anche dall'ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Robert Gates, come uno dei motivi che hanno accelerato il consolidamento di Xi al vertice. Anche se non è l'unico, come spiega nel suo libro da poco uscito negli Stati Uniti, "Duty", in cui racconta gli anni trascorsi nell'amministrazione Obama. Come esempio dell'appeal di Xi sull'Esercito Popolare di Liberazione, Gates prende a esempio la visita di Hu Jintao a Washington nel 2010: proprio mentre si trovava in America, l'aeronautica cinese testava i caccia da combattimento J-20, fatto di cui lo stesso Hu sembrava non essere pienamente a conoscenza, a detta dell'ex segretario alla Difesa americano. La conseguenza di questo rinnovato feeling tra il presidente e l'esercito, nell'era Xi, è che prima si potevano ritenere responsabili solo i vertici militari di alcuni atti aggressivi. Ora, invece, come nel caso dell'istituzione di una zona di identificazione aerea di Difesa, "devi assumere che il presidente Xi abbia approvato e accettato questa decisione", spiega Gates.

Il presidente cinese è dunque plenipotenziario. Ma le due nomine alla guida delle commissioni hanno anche un altro riflesso: la fine del tandem Xi-Li alla guida del Paese. In realtà, la spartizione del potere tra i due non era mai davvero cominciata. "Non c'è mai stato un tandem Xi-Li. C'è solo Xi al vertice - spiega ancora Willy Lam - Li gioca un ruolo da gregario rispetto a Xi e Xi lo vede come una minaccia: Li è l'unico membro della Lega Giovanile Comunista a fare parte del Comitato Permanente del Politburo" l'altra grande corrente all'interno del partito. Con il ruolo di presidente nella Commissione per l'Approfondimento delle Riforme, si era diffusa l'opinione tra gli analisti che Xi Jinping avesse in qualche modo sottratto al suo principale collaboratore quella che era la prerogativa della figura del primo ministro: la supervisione dell'economia. Li Keqiang "continuerà a guidare il Consiglio di Stato e a occuparsi delle riforme economiche, per quanto concerne l'ordinaria amministrazione - prevede Joseph Cheng - ma per le scelte importanti dovrà consultarsi con Xi".

Per spiegare il tipo di potere che Xi Jinping detiene oggi sul Paese, si potrebbe forse ricorrere al paragone con un altro leader straniero: Vladimir Putin. "Xi è un ammiratore del presidente russo - continua Lam - Nel suo arrogarsi sempre più poteri, si possono scorgere tracce della presa del potere di Putin". Che Putin sia o meno un modello per Xi Jinping, i rapporti tra i due presidenti sono solidi, e addirittura amichevoli, a detta dello stesso leader russo. In un'intervista ai giornalisti di CCTV, Putin ha rivelato di avere festeggiato il suo compleanno, ad ottobre, assieme a Xi. "Abbiamo bevuto un po' di vodka insieme - ha confidato ai reporter mentre offriva loro del mao-tai, il tradizionale liquore cinese - e abbiamo anche mangiato panini, come studenti universitari". Dal canto suo, Xi, ha ricambiato l'affetto, confermando la sua presenza alla cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici invernali di Sochi, sul Mar Nero, il 7 febbraio prossimo. Xi rimarrà in Russia per tre giorni a partire dal 6 febbraio prossimo. La partecipazione del presidente cinese alle Olimpiadi invernali arriva come una boccata d'ossigeno per Mosca, dopo che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande hanno deciso di boicottare la cerimonia di apertura. "La Cina ripone un'alta considerazione nelle Olimpiadi internazionali e vi partecipa attivamente" è stato il commento del Ministero degli Esteri cinese.

Il sigillo di Xi sulla vita politica del Paese potrebbe, però non bastare a evitare le resistenze alle riforme, che secondo i due studiosi potrebbero arrivare proprio da quei gruppi di potere che vi si oppongono,e che per mesi hanno occupato le analisi degli esperti sul loro possibile ruolo di antagonisti del cambiamento. Ma l'istituzione delle due commissioni può avere anche un'altra spiegazione. "Probabilmente - conclude Cheng - con la creazione della Commissione per la Sicurezza Nazionale, Xi avrà un controllo maggiore dell'apparato di sicurezza e di tutto il meccanismo di mantenimento della stabilità sociale, che prima era nelle mani di Zhou Yongkang". Quello che ne risulta, contemporaneamente, assume però le forme di una sconfitta per le riforme economiche e politiche del sistema, secondo Willy Lam. "Questi due gruppi non hanno bisogno di rendere conto al pubblico. Vanno nella direzione opposta delle preoccupazioni di Li di tagliare la burocrazia e di "lasciare un maggiore ruolo al mercato". "Il partito, sotto Xi - conclude l'analista di Hong Kong- sta portando indietro le lancette dell'orologio".

28 gennaio 2014

© Riproduzione riservata
Agenzia Xinhua
CINA PRIMO CONSUMATORE MONDIALE DI VINO ROSSO
Pechino, 30 gen. - La Cina e' diventata nel 2013 il maggiore consumatore al mondo di vino rosso, superando Francia e Italia.
  Lo riferisce China Real Time che cita uno studio di settore presentato questa settimana a Vinexpo. Dall'analisi e' emerso che lo scorso anno il Gigante Asiatico, incluso il polo enologico di Hong Kong, ha consumato 155 milioni di casse da 9 litri, un incremento del 136% rispetto a 5 anni fa, superando Francia e Italia, con rispettivamente 150 milioni e 141 milioni di casse di vino.
  Inoltre, il consumo di vino rosso e' quasi triplicato in Cina tra il 2007 e il 2013, mentre e' calato del 18% in Francia e del 5.8% in Italia. Resta tuttavia inferiore, rispetto agli altri due, il consumo pro capite.
  La stragrande maggioranza del vino consumato in Cina - l'83% secondo lo studio - e' stata prodotta internamente. Il paese e' ora il sesto maggiore produttore di vino al mondo, con le province dello Shandong e del Ningxia in prima linea nella viticoltura. Il vino rosso e' nettamente preferito agli altri: i cinesi infatti oltre a essere convinti delle sue proprieta' benefiche, associano come da tradizione il colore rosso alla fortuna.
  Negli ultimi anni il vino rosso e' addirittura diventato una popolare alternativa al baijiu, il famoso superalcolico cinese distillato dai cereali, in occasione dei pranzi o delle cene d'affari. Trascurati, invece, i vini frizzanti: nel 2011, solo lo 0.05% del vino consumato in Cina rientrava questa categoria, a paragone del 7% di bollicine consumate nel resto del mondo.
AGRICOLTURA
COMMISSIONE UE PROPONE DI POTENZIARE “FRUTTA NELLE SCUOLE” E “LATTE NELLE SCUOLE”
Pubblicato il 30/01/2014 at 13:16
La Commissione europea ha pubblicato oggi una proposta intesa a riunire in un quadro comune due distinti programmi per le scuole,Frutta nelle scuole e Latte nelle scuole. A fronte del calo dei consumi di tali prodotti tra i bambini, l’obiettivo della proposta è affrontare con maggiore decisione il problema della cattiva alimentazione, rafforzare la dimensione educativa dei programmi e contribuire alla lotta contro l’obesità. All’insegna dello slogan “Mangiare bene per stare bene”, questo programma rafforzato, che crea un filo diretto tra aziende agricole e scuole, darà maggiore enfasi alle misure educative destinate a sensibilizzare i bambini sull’importanza di abitudini alimentari corrette, sulla gamma di prodotti agricoli disponibili e su aspetti riguardanti la sostenibilità, l’ambiente e i rifiuti alimentari.

Dacian Cioloș, Commissario per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, ha dichiarato oggi: “Con i cambiamenti proposti oggi intendiamo prendere le mosse dai programmi esistenti per invertire la tendenza al calo dei consumi e rendere i bambini più consapevoli dei potenziali benefici di tali prodotti. Si tratta di un passo importante per realizzare cambiamenti duraturi nelle abitudini alimentari dei bambini e sensibilizzarli a tematiche importanti per la società. Spero inoltre che sarà un’occasione preziosa per avvicinare il mondo rurale ai bambini, ai loro genitori e agli insegnanti, soprattutto nelle aree urbane”.

Il nuovo regime funzionerà nell’ambito di un quadro giuridico e finanziario comune, che permetterà di migliorare e semplificare i requisiti amministrativi dei due programmi esistenti. Disporre di un quadro unico permetterà di ridurre l’onere, in termini di gestione e organizzazione, per le autorità nazionali, le scuole e i fornitori, ma anche di aumentare l’efficacia del programma. La partecipazione al programma sarà facoltativa per gli Stati membri, che potranno inoltre scegliere i prodotti che intendono distribuire.

Come già previsto nell’accordo dell’anno scorso sulla spesa futura dell’UE, il nuovo programma, una volta approvato, avrà una dotazione di 230 milioni di euro per anno scolastico (150 milioni di euro per gli ortofrutticoli e 80 milioni di euro per il latte). Nel bilancio 2014 la dotazione era di 197 milioni di euro (122 milioni di euro e 75 milioni di euro rispettivamente). La proposta, che sarà presentata al Parlamento europeo e al Consiglio, si basa sui dati emersi dalle relazioni di valutazione e sulla consultazione pubblicache si è svolta nel 2013 nell’ambito del processo di valutazione d’impatto.

-RIPRODUZIONE RISERVATA-

martedì 28 gennaio 2014

Essi, in concreto, contano più di tutti i partiti messi assieme e hanno ingessato il paese
A casa tutti gli alti burocrati
Se non se ne libera, Renzi farà un buco nell'acqua 
di Tino Oldani

Nel nostro piccolo l'avevamo scritto su ItaliaOggi del 9 gennaio: la Legge di stabilità è un delirio normativo, una follia burocratica che si compone di 748 commi, ognuno dei quali è di fatto una nuova legge. Ci fa piacere che l'abbia scoperto anche il Corriere della sera, che ieri ha dedicato al superpotere dei grandi burocrati l'editoriale in prima pagina e un'ottima inchiesta in terza, con alcuni dati davvero eloquenti.

Partiamo da questi ultimi, finora inediti: per rendere efficace la Legge di stabilità del governo Letta, quella dei 748 commi, serviranno ben 117 provvedimenti tra decreti ministeriali e norme attuative, di cui nessuno è in grado di prevedere i tempi. Ciò si deve al fatto che tuttora non sono state emanate tutte le norme attuative che riferiscono non solo alla legge di stabilità del precedente governo Monti, ma perfino a provvedimenti «urgenti» di molti anni prima. Tanto è vero che, ricorda il Corsera, solo pochi giorni fa è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un regolamento «atteso dai tempi del primo governo Prodi». Un ritardo monstre di 20 anni.

Per limitarci agli ultimi due governi, la bella inchiesta firmata da Enrico Marro rivela che, per attuare le leggi sfornate da Monti e Letta, serviranno ben 852 norme di attuazione (compresi i 117 legati all'ultima legge di stabilità). Senza queste norme, anche le leggi più urgenti, necessarie e condivise (dal bonus bebé al Fondo di garanzia per i mutui, fino alla cartolarizzazione dei crediti per le piccole imprese) sono destinate a restare sulla carta. Come è già accaduto per gli sgravi fiscali alle imprese che assumono giovani laureati specializzati, previsti dal Decreto Sviluppo dell'ex ministro Corrado Passera (12 giugno 2012), rimasti nel limbo per 600 giorni prima di avere efficacia grazie alla norma attuativa.

Di chi è la colpa di questi ritardi? La risposta è nell'editoriale di venerdì di Ernesto Galli Della Loggia, che indica nel «blocco burocratico-corporativo» il vero potere forte che comanda in Italia. Un blocco, sostiene, composto da: «Consiglio di Stato, Tar, Corte dei conti, Authority, alta burocrazia (direttori generali, capi di gabinetto, capi degli uffici legislativi), altissimi funzionari delle segreterie degli organi costituzionali (Presidenza della Repubblica, della Camera e del Senato), vertici di gran parte delle fondazioni bancarie, i membri dei Cda delle oltre 20 mila Spa a partecipazione pubblica al centro e alla periferia». Per Galli Della Loggia, si tratta di «un blocco formidabile, il cui potere consiste principalmente nella possibilità di condizionare, ostacolare o manipolare il processo legislativo, e in genere il comando politico». Ne consegue che governo e partiti hanno solo in apparenza il potere di legiferare. In realtà, sostiene l'editoriale del Corsera, si trovano «in una situazione di subordinazione, dal momento che nel 90 per cento dei casi fare una legge conta poco o nulla se essa non è corredata da un apposito regolamento attuativo».

Anche nel resto d'Europa, scrive Galli Della Loggia, l'alta burocrazia influisce sui processi legislativi. Ma in nessun paese ha assunto un ruolo così invadente, né un potere così vasto e, di fatto, incontrollato. Se ciò è avvenuto, è stato per l'indebolimento della classe politica, i cui rappresentanti «sono stati intimiditi, messi all'angolo e resi subalterni alla classe amministrativa». Il politologo non fa alcun cenno alle inchieste della magistratura, che negli ultimi 20 anni hanno di fatto screditato e sottomesso la classe politica, sovente per demerito di quest'ultima. Fotografa però una realtà indiscutibile. «La gabbia di ferro del blocco burocratico-corporativo e degli interessi protetti ha soffocato la politica». Come uscirne? Conclude Galli Della Loggia: «C'è solo da sperare che, nella nuova stagione che sembra annunciarsi, la classe politica torni a respirare liberamente per assolvere i compiti cruciali che sono esclusivamente i suoi».

Tutto qui? C'è solo da sperare? Non siamo per nulla d'accordo con tanta timidezza. Il problema è molto serio, e per rompere la gabbia di ferro della superburocrazia c'è solo una strada: lo spoil system. Ovvero, citiamo Wikipedia, «il sistema del bottino, la pratica politica, nata negli Stati Uniti d'America tra il 1820 e il 1865, secondo cui gli alti dirigenti della pubblica amministrazione dipendono dal cambio del governo». Questo significa che chi vince le elezioni e arriva al governo, come primo atto, congeda tutti gli alti dirigenti di Palazzo Chigi e dei ministeri, in quanto legati alla precedente amministrazione, e li sostituisce con dirigenti di fiducia e di provata competenza. Altrimenti, come fa notare anche il Corriere della sera, sarà inevitabile che non vi sia mai alcuna differenza tra i governi di Destra e quelli di Sinistra, come è stato finora, poiché il vero potere rimarrebbe sempre nelle mani degli stessi uomini, della casta dei superburocrati. Dunque, se davvero il segretario Pd, Matteo Renzi, oggi dominus della politica, vuole cambiare l'Italia, non si limiti a suggerire buone leggi. Se vuole renderle davvero efficaci, non può permettersi di sorvolare sull'invadenza dei superburocrati. Serve fare tabula rasa in modo radicale. Certo, spoil system è un anglicismo, e Renzi ha promesso di non farne più uso dopo l'iniziale abuso (jobs act, finish, cool, smart, game over). Ma più del nome, mai come in questo caso conta la sostanza.

Caso Mastrapasqua, la Procura indaga sul protocollo regionale troppo di favore
Dall'accordo tra l'Ospedale Israelitico e la Regione Lazio è derivato, secondo gli investigatori, "un ingiusto vantaggio alla clinica da 71 milioni di euro". Ecco cosa conteneva quell'accordo e perché è considerato irrituale

di FABIO TONACCI e FRANCESCO VIVIANO
ROMA - Che cosa c'era in quel protocollo d'intesa tra l'Ospedale Israelitico di Antonio Mastrapasqua e la Regione Lazio, siglato tre anni fa e sempre bocciato dal governo? Di quali clausole si componeva l'accordo che, secondo i carabinieri del Nas, ha violato le norme regionali favorendo "un ingiusto vantaggio alla clinica di 71 milioni di euro"? Per la procura di Roma, che ha iscritto nel registro degli indagati il presidente dell'Inps  per la faccenda delle 12mila schede di ricovero "falsificate" e per la successiva cessione di un credito "non esigibile", quel pezzo di carta ha un certo peso.

Lo firmano il 3 agosto del 2011 Mastrapasqua, in qualità di direttore generale dell'Israelitico, e Ferdinando Romano, allora direttore Programmazione e Risorse della Sanità nel Lazio. Romano è appena arrivato, siede su quella poltrona da pochi mesi. E la questione della clinica di Mastrapasqua gli si presenta subito per quella che è, una bella grana.

C'è infatti questa montagna di fatture dal valore totale di 14 milioni di euro che le Asl Roma D e Roma devono rimborsare all'Israelitico. Però qualcosa non torna. Romano infatti sigla un protocollo che prevede, tra le altre cose, "la definizione dei tempi e delle modalità dei controlli esterni sulle prestazioni rese tra il 2006 e il 2009, con drg 063, 168, 169 (sono i codici dei ricoveri sotto indagine, ndr)". La verifica si fa "in contraddittorio", e su tutte le cartelle cliniche "ad eccezione di quelle già riclassificate per inappropriatezza". Una scelta che chi oggi lavora in quel dipartimento regionale non esita a definire "irrituale". Perché c'era bisogno di un protocollo ad hoc sui controlli? Cosa si sapeva, già nel 2011, su quei crediti vantati e non riscossi?

Nell'atto, Mastrapasqua e Romano stabiliscono anche altro. Definiscono nei dettagli come dovranno essere liquidati le fatture e gli interessi maturati dall'Ospedale Israelitico. E inseriscono clausole per definire i contenziosi ancora pendenti con la Regione Lazio che proprio quelle prestazioni non rimborsate avevano generato.

Con un decreto della governatrice Renata Polverini, nel suo ruolo di commissario ad acta per il deficit della sanità, il protocollo viene ratificato. E subito bocciato al tavolo tecnico, non appena viene letto dai delegati del ministero dell'Economia e della Salute. Secondo una fonte qualificata interna all'amministrazione regionale, era un testo che "faceva troppi concessioni all'Israelitico, incompatibile con il piano di rientro".

Romano e Mastrapasqua ne firmano un altro, il 4 giugno del 2012. Ma anche quello rimbalza contro le perplessità del governo, perché "solo in parte supera le criticità evidenziate". Era talmente "morbido" e favorevole che l'Aiop, l'Associazione italiana per l'ospedalità privata, inviò una nota per chiedere di estendere a tutte le cliniche italiane "le condizioni d'accordo stipulate con l'Israelitico".

Nonostante i pareri negativi dei due ministeri, quel protocollo d'intesa è rimasto in piedi fino a poche settimane fa, quando chi ha preso il posto di Ferdinando Romano alla Direzione regionale, Flori Degrassi, lo ha disdetto. Naturale conseguenza della scelta del governatore
Nicola Zingaretti di sospendere a luglio il pagamento dei ricoveri contestati (e mai liquidati).

Per gli investigatori del Nas di Roma, non aver revocato l'accreditamento all'Ospedale Israelitico tre anni fa, quando quel compromesso "irregolare" fu siglato tra Mastrapasqua e Romano, ha permesso alla clinica di rinnovare la convenzione con la Regione. Accumulando, in virtù di questa, un "ingiusto vantaggio" di 71 milioni di euro tra il 2011 e il 2013.
Dalla Nuova Sardegna / Olbia / Cronaca / Sughero, riparte il tavolo tecnico
Sughero, riparte il tavolo tecnico
A Cagliari l’incontro con l’assessore all’Industria: ora servono risorse economiche
di Sebastiano Depperu
CALANGIANUS. Amarezza e soddisfazione. Sono stati questi i sentimenti degli amministratori alla fine dell’incontro a Cagliari sul sughero.
L'assessore regionale all'Industria si è impegnato a trovare le risorse necessarie per il rilancio del comparto, cercando di ottenere i finanziamenti europei della programmazione 2014-2020. Ma è anche vero che è rimasto lettera morta un protocollo di intesa datato 2009. «In occasione dell'ultimo tavolo tecnico sul sughero – spiega il sindaco Giò Martino Loddo –, abbiamo scoperto l’esistenza di un vecchio protocollo d'intesa, mai attuato, di importanza vitale per il rilancio del comparto del sughero. Un progetto articolato che impegnava il ministero dell'Ambiente e la Regione a realizzare una serie di interventi che, spaziando a 360 gradi, avrebbero avuto ricadute molto positive per il settore in crisi. Si partiva dalla valorizzazione di un patrimonio più unico che raro: la foresta del sughero. Erano previsti degli interventi che spaziavano dal miglioramento delle piante al rispetto dell'ambiente, continuando con la professionalizzazione degli operatori e l'educazione degli studenti alla conservazione di questo patrimonio. In sintesi quello che abbiamo sempre sostenuto e difeso da quando abbiamo fatto nostre questi problemi». Il protocollo d'intesa doveva avere come protagonisti la Sardegna, il ministero e la Toscana. Il finanziamento di 7,5 milioni di euro era suddiviso in 2 milioni alla Toscana e 5.5 milioni alla Sardegna. «Quei soldi non ci sono più – aggiunge Loddo che ha partecipato al tavolo tecnico di Cagliari insieme a Pier Mario Inzaina, assessore alle Attività produttive e alla delegata Paola Tamponi –. Siamo tornati indietro amareggiati perché consapevoli che quel progetto, se ben valorizzato, sarebbe potuto partire prima e forse ora avremmo potuto occuparci prevalentemente della commercializzazione di un prodotto di alta qualità. Ora, però, mettiamo da parte l’intesa del 2009. E, se devo esprimere un giudizio, devo fare un plauso ai funzionari dell’ufficio di presidenza e dell'assessorato all'Industria per come stanno affrontando questa problematica. Una nota di biasimo per l’assenza dell'assessore all'Agricoltura. Un grazie va anche ai funzionari dell'Ambiente che hanno ben chiare le linee direttrici su cui muoversi. Il sughero è la Costa Smeralda dell'industria».
27 gennaio 2014

sabato 25 gennaio 2014

BANCHE E ASSICURAZIONI
Cina, fari puntati sui titoli tossici
Nei giorni scorsi si è duffusa la notizia che la prima banca nazionale Icbc "si è rifiutata di garantire gli investitori su un Wealth Management Product che ha contribuito a piazzare sul mercato. Si tratta di una questione rilevante, perchè in Cina negli ultimi anni si è fatto un largo uso di questi Wmp per finanziare le aziende locali senza passare per il sistema bancario. I privati hanno sottoscritto questi prodotti in larghi ammontari, attirati dai rendimenti pagati, e convinti che gli istituti bancari offrissero una garanzia implicita. Ora", ha spiegato Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia, "a fronte delle prime insolvenze, le banche si trovano di fronte alla scelta se garantire i sottoscrittori, gravando i loro bilanci con una nuova fonte di perdite, oppure rifiutarsi di farlo, rischiando di scatenare una fuga dai prodotti e con essa un credit crunch per le aziende".

Secondo quanto riporta oggi on-line il Time-weekly newspaper, Icbc e China Credit Trust potrebbero insieme al governo cinese andare in soccorso agli investitori che hanno scommesso su prodotti ad alto rendimento ora a rischio di default. Icbc e China Credit Trust potrebbero accollarsi ciascuna il 25% degli investimenti per un ammontare di 3 miliardi di yaun (496 milioni di dollari Usa).

Una situazione di tensione che ha fatto invertire la marcia ai tassi a breve, che erano parzialmente rientrati. "I tassi monetari, tra le possibili cause del rallentamento di fine 2013, hanno continuato a salire, col mese che è tornato ai massimi di dicembre (7.5%). Le autorità monetarie hanno dichiarato che la domanda di cash è legata al capodanno cinese (31 gennaio), ma in realtà l'attenzione degli investitori sembra maggiormente focalizzata sulle ricadute del possibile default del Wealth Management Product", aggiunge Sersale.

L'aumento della tensione sui mercati monetari è tra i fattori del calo dell'indice preliminare Pmi manifatturiero della Cina, calcolato da Hsbc, a gennaio calato a 49,6 punti dai precedenti 50,5 punti. La rilevazione, in prima lettura (il dato definitivo sarà pubblicato il 30 gennaio), ha deluso le stime degli analisti che si aspettavano un calo inferiore del Pmi manifatturiero a 50,3 punti. Un dato inferiore ai 50 punti suggerisce una fase di contrazione dell'attività manifatturiera.

Un indicatore che arriva dopo la recente pubblicazione del Pil reale cinese nel 4° trimestre che è sceso leggermente, al 7,7% anno su anno, rispetto al +7,8% anno su anno del trimestre precedente. Il dato porta al 7,7% la crescita annuale per il 2013, superiore al 7,5% che si era prefissato lo scorso anno il governo cinese, mentre il target di quest'anno non è stato ancora comunicato.

"Il rallentamento, giudicando dai dati di dicembre, è riconducibile all’andamento più debole di produzione e investimenti, che potrebbe riflettere condizioni più rigide di accesso al credito", spiega Craig Botham, Emerging Markets Economist di Schroders.

"Le autorità politiche cinesi dovrebbero focalizzarsi sul supportare la crescita", aggiunge Qu Hongbin, capo economista di Hsbc per la Cina.
Senza dimenticare che nei giorni scorsi è emerso anche un rallentamento a dicembre della produzione industriale dal 10% di novembre al 9,7% anno su anno, mentre gli investimenti in infrastrutture sono calati fortemente, contraendosi del 3,2% anno su anno.

"Con condizioni del credito più rigide e in particolare con controlli più stretti sull’indebitamento dei governi locali, è difficile pensare che gli investimenti in infrastrutture possano registrare performance elevate nell’anno in corso. Nonostante la Cina sia riuscita a chiudere piuttosto bene il 2013, prevediamo un andamento più debole in futuro", aggiunge Botham.

Il nodo sono le politiche che il governo cinese sta adottando per scongiurare il pericolo di una crisi creditizia. "La spinta a ridurre il credito e a ribilanciare l’economia potrebbe fare le sue prime vittime, anche se ci aspettiamo che i riformisti rallenteranno il passo nel caso in cui il conteggio delle vittime dovesse salire eccessivamente", conclude Botham.
Davos, Draghi: Bce pronta e intenzionata ad agire se servirà
'Con bassa inflazione aumenta rischio deflazione'
25 gennaio, 15:44
DAVOS - "Siamo consapevoli che più l'inflazione resta a questi livelli molto bassi, maggiori saranno i rischi di deflazione. Siamo pronti e intenzionati ad agire se necessario". Così il presidente della Bce, Mario Draghi. Se la Banca centrale europea dovesse fare un allentamento quantitativo seguendo la Fed o la Banca d'Inghilterra, non sarebbe facile scegliere i titoli da comprare sui mercati, visto il divieto di finanziamento monetario ai governi e la prevalenza di titoli bancari sul versante privato.

"Il miglioramento nel tempo è stato impressionante", ha detto Draghi, in merito al risultato dei mercati dopo la promessa di fare tutto il necessario a difesa dell'euro. Draghi ha notato il boom del 50% delle borse e il crollo dei rendimenti in Spagna e Italia, ma anche la ripresa "ancora fragile e debole e mal distribuita".

Una buona parte del forte calo dell'inflazione 'core' in atto nell'Eurozona è dovuta a una "correzione relativa dei prezzi" nei paesi che hanno avuto un salvataggio, come Grecia e Portogallo, una correzione che serve a riequilibrare queste economie. Così il presidente della Bce. "Per questo che pensiamo che tornerà verso il 2%".

Rehn, Italia usi stabilità politica per riforma lavoro - "Mi aspetto che l'Italia approfitti della stabilità politica da poco conquistata per fare progressi nelle riforme, incluse privatizzazioni e mercato del lavoro". Lo ha detto il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, spiegando che la Francia si sta muovendo per ritrovare la competitività. Le istituzioni europee devono lavorare per trovare una soluzione al problema del credito alle piccole e medie imprese nel Sud Europa, un tema "fondamentale", ha aggiunto Olli Rehn.

Lagarde, stretta Fed crea rischi su mercati emergenti - Fra i rischi che il Fondo monetario internazionale rileva per l'economia globale c'è il 'tapering' della Federal Reserve "con ricadute sui mercati emergenti in particolare". Lo ha detto il direttore generale del Fmi CHristine Lagarde.

Uno dei "nuovi rischi all'orizzonte è la deflazione, con una probabilità dal 15 al 20%" che rischia di colpire in particolare l'Eurozona: così il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde.

Schaeuble, politica bilancio Ue per mutualizzare debiti - "Facciamo una politica di bilancio comune. Allora potremmo muoverci" verso una mutualizzazione dei debiti. Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, spiegando che mettendo in comune i debiti dell'Eurozona senza una politica unica si toglierebbe ogni incentivo alle riforme strutturali.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA
Gdf,da P.a danni a casse Stato per 5 mld
Tra frodi e sprechi, nel 2013 segnalate oltre 19 mila persone
(ANSA) - ROMA, 25 GEN - Cinque miliardi di euro sono spariti dalle casse dello Stato a causa di sprechi nella pubblica amministrazione e di truffe ai finanziamenti nazionali e comunitari. Lo afferma la Guardia di Finanza nel bilancio dell'attivita' del 2013 sottolineando che sono oltre 19 mila i soggetti segnalati all'autorita' competente.
ESTERO - LE NOTIZIE MAI LETTE IN ITALIA
L'incremento delle retribuzioni per il 2014 è stato deciso dal Partito comunista
I salari cinesi crescono del 10%
Sono in aumento la spesa interna e il costo dei prodotti
di Ettore Bianchi
Quest'anno i salari cinesi dovrebbero aumentare mediamente del 10%. Uno scenario tratteggiato da molti analisti finanziari, che parlano di una strategia voluta direttamente dal Partito comunista per concretizzare il piano economico delineato dall'ultimo plenum svoltosi in novembre: più vigore alla crescita interna e una diminuzione del peso specifico accordato all'export, che finora è stato il principale motore dello sviluppo dell'ex Celeste impero insieme alla manodopera a basso costo.

La tendenza non è nuova, perché l'incremento degli stipendi era iniziato già nel 2011 con un +14,4% nelle aree urbane.
Semmai va annotato che gli aumenti stanno rallentando, perché l'anno successivo è stato registrato un +11,9% e nel 2013 ci si è limitati a una crescita dell'11%. Il livello massimo risale al 2007 (+18,5%), ma allora l'incremento del pil era stato pari al 14,2%. L'anno scorso l'economia del paese asiatico è migliorata del 7,6%: si tratta del ritmo più debole da 14 anni a questa parte.

L'intervento ulteriore sui salari comporta dei rischi, a cominciare dalla minore competitività della forza lavoro. Per questo è attesa un'ulteriore delocalizzazione delle aziende verso il Sudest asiatico, in particolare il Vietnam, la Cambogia e il Bangladesh. Inoltre il costo dei prodotti finiti rischia di salire.

Ma gli effetti collaterali non intaccano la volontà del partito di portare avanti i propri obiettivi: sostenere i consumi, contrastare le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione e della diminuzione relativa della manodopera. Recentemente è stata deliberata un'attenuazione della storica politica del figlio unico. Il governo ha anche deciso di rivedere il sistema Hukou, che limitava lo spostamento della manodopera da un luogo all'altro della Cina.

Il riequilibrio tra sviluppo interno ed esportazioni rischia di nuocere all'innalzamento del prodotto interno lordo, ma i vertici della politica sono pronti ad accettare la scommessa in nome di una maggiore stabilità. Essi non erano tuttavia pronti alla sorpresa di un rallentamento che nel 2013 è stato più forte del previsto.

L'anno appena iniziato, secondo alcuni osservatori, sarà cruciale per l'attuazione delle riforme. Al punto che qualcuno si spinge a parlare apertamente di «dentro o fuori». Ci si vuole lasciare alle spalle anche la politica di investimenti improduttivi, com'è stato per i programmi immobiliari che non erano adatti al mercato. Iniziative che sono state finanziate attraverso un'espansione del credito giudicata eccessiva e che, oltretutto, è stata spinta in parte da istituzioni extrabancarie come compagnie assicurative e società finanziarie, senza adeguate garanzie.

Ci si può domandare se una discesa drastica dei prezzi delle case possa affondare questo sistema bancario occulto. Capital Economics esclude questo rischio per il 2014, mentre Bnp Paribas considera l'eccessivo indebitamento delle imprese e delle collettività locali una minaccia che aleggia sull'economia cinese. Nel frattempo i lavoratori possono continuare a godersi una busta paga più ricca, sotto l'occhio vigile di un governo che sta cercando di liberalizzare e modernizzare la nazione.

© Riproduzione riservata
ORSI & TORI
di Paolo Panerai
«Che aspettiamo a rifare l'Aeroporto JF Kennedy? Chi dice che non ci devono essere investimenti pubblici per rilanciare l'economia non capisce che questo è il momento magico con il denaro che costa il 3% e non capisce che sono le grandi opere pubbliche che determinano lo sviluppo economico e l'avanzamento di un Paese». Il professor Lawrence Summers di Harvard non ha dubbi nell'approfondito dibattito su dove va il mondo organizzato a Davos da Class Cnbc fra i governatori delle banche centrali (replicato alle 9,10 di oggi sabato 25 e alle 21 di domenica 26) insieme a tutto lo straordinario materiale di analisi e di conoscenza sull'economia mondiale prodotto dal network Cnbc durante il World Economic Forum nel Cantone dei Grigioni. Il mondo, è la conclusione di Davos, va. Gli Stati Uniti nel 2014 faranno assai meglio delle previsioni finora diffuse. In Europa, l'Irlanda è diventata un caso esemplare e la crescita sarà significativa grazie a una riduzione delle imposte e del contenimento del costo del lavoro; la Spagna, a giudizio quasi unanime, è già in ripresa significativa. A Madrid non si trova una camera d'Albergo libera, racconta Mattia Nocera, della svizzera Banca del Ceresio (una delle più accreditate nella gestione, molto vicina a George Soros), fresco di colloqui con un gruppo di gestori con un portafoglio complessivo di 50 miliardi di euro: la pubblicità sulla televisione spagnola è tornata a crescere del 10%; il prezzo delle case è tornato a salire per consistenti investimenti di gruppi statunitensi; il costo del lavoro è ormai allineato a quello tedesco.

In questi anni è stato fatto un gran lavoro in tutti i Paesi colpiti dalla crisi, ha spiegato il professor Summers; gli anni di crisi sono stati assai più duri del '29, '30, '32 e '33. Ma la ricerca economica più avanzata, strumenti di rilevazione più sofisticati hanno consentito di compiere interventi più appropriati ed efficaci. Le lodi verso l'amministrazione di Barack Obama sono senza lesina. Ma appunto non è il caso di mollare se si vuole che la crescita diventi stabile e appunto gli interventi nelle infrastrutture pubbliche siano essenziali non solo per la crescita che generano ma anche per il miglioramento qualitativo della vita dei cittadini e la crescita della produttività.

Quindi, da Davos arriva sul mondo, nonostante il calo (contenuto) del settore manifatturiero in Cina, una luce di sostanziale ottimismo, anche se la riforma del sistema finanziario e bancario non è ancora compiuta. Stimolante è stato il dibattito fra il professor Summers e il Cancelliere dello Scacchiere, l'inglese George Osborne. Anche la Gran Bretagna è in forte rilancio, ma il professore di Harvard ha fatto più di una contestazione alle scelte di politica economica, lamentando che non sia stata seguita fino in fondo la ricetta americana, preferendo scegliere la via ormai consueta della Gran Bretagna di agevolare il trasferimento nel Paese di grandi capitali, quindi di offrire più servizi che attività industriali. La conferma l'ha data lo stesso Cancelliere dello Scacchiere, ricordando che grandi imprenditori e capitalisti cinesi stanno affluendo con le loro riserve a Londra dopo che, bruciando tutti sul tempo, il governo britannico ha concluso accordi speciali di agevolazione non solo fiscale verso i ricchi cinesi che assumono come loro base la City.

E l'Italia?

Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha rinunciato a essere presente a Davos, insieme a tutti i più potenti del mondo, preso com'è dal negoziato ufficiale e ufficioso per il rimpasto del governo e la legge elettorale. Al dibattito ha partecipato, del governo, solo il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni. Di vertici del genere Saccomanni si intende, essendo stato per anni presente al fianco del governatore Carlo Azeglio Ciampi e del direttore generale, Lamberto Dini, alle riunioni del Fondo monetario internazionale e degli altri organismi monetari ed economici. Ma certo lo spirito non era quello giusto per rappresentare un volto vigoroso dell'Italia. Saccomanni, certo per errori della struttura burocratica del ministero, è scivolato su qualche buccia di banana fino al punto da essere messo nel mirino dei seguaci di Matteo Renzi come ministro da sostituire. Saccomanni ha partecipato al pannel dedicato alla competitività «Closing Europe's competitiveness gap» con il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, e il presidente (in scadenza) della Commissione europea, Josè Manuel Barroso.

In un certo senso più significativa è stata la partecipazione al panel «L'Europa è tornata?» del presidente dell'Eni, Giuseppe Recchi, insieme all'amministratore delegato del grande gruppo pubblicitario Wpp, Martin Sorrell (la pubblicità è l'indicatore più significativo per capire se il vento è cambiato), il presidente dell'Ubs, Alex Weber, e l'economista di Harvard ed ex-capo economista del Fondo monetario internazionale, Kenneth Rogoff. Da una domanda così diretta è infatti inevitabilmente emerso che l'Italia è indietro a tutti, nonostante le parole di fiducia di Recchi.

Ha quindi ragione Renzi che non c'è più un minuto da perdere. Provvedimenti fondamentali per il rilancio dell'economia devono essere presi immediatamente insieme alla riforma della legge elettorale, per la quale si assiste al paradosso per cui l'assenza delle preferenze, un tempo strumento principe delle clientele politiche e delle loro conseguenze anche criminali, vengono indicate come elemento antidemocratico. È questo cazzeggio, se ci si passa il termine, che indica non solo come l'Italia sia al palo ma anche come lo stesso vigore di Renzi possa essere frenato in nome di un conservatorismo in cui il vero potere lo hanno le burocrazie.

Ma non solo: pur nella sua competenza e dedizione, il presidente del Consiglio Letta manca di coraggio. Dispiace dirlo, ma è così e su questo fronte certo non lo aiuta Saccomanni, che anche in Bankitalia è sempre stato, bravissimo, un uomo d'ordine e non di attacco. Finalmente sta prendendo corpo la prima privatizzazione, quella di Poste Italiane, dove in questi 12 anni di guida, l'ingegner Massimo Sarmi ha fatto un lavoro egregio: la valutazione che circola è 10 miliardi, quindi collocando il 40% il governo si aspetta di incassare 4 miliardi. Mettete questo numero in relazione al debito pubblico e vi sarà chiara l'inadeguatezza del disegno, non per il poco valore di Poste Italiane e di Sarmi, ma perché l'annuncio, il cui valore per i mercati finanziari è sempre fondamentale, è a spizzichi e bocconi. La si vuol capire che occorre disegnare e annunciare un piano di centinaia di miliardi, non di qualche miliardo?

Il cacciavite è fondamentale per far funzionare la macchina, ma se la macchina ha pochi cavalli di potenza il cammino che farà sarà lento, mentre il tempo ormai è scaduto. Qui, Signor Presidente Letta, serve una macchina potente per una partenza a razzo. Pensi a una Ferrari o a una Maserati o a una Lamborghini, non a una utilitaria. Perfino la Fiat ha capito che si esce dalla crisi solo se si scelgono le fasce più alte di mercato. E il mercato del Paese Italia non può essere quello di una privatizzazione oggi da 4 miliardi e una domani magari da 5. Di lentezza si muore. E non pensi che si possa aspettare il semestre di guida italiana dell'Unione europea per fare fuochi e fiamme. L'occasione è importante, ma non va sopravvalutata: perché essere il Paese che rappresenta la Ue nel mondo comporta inevitabilmente dei compromessi per conciliare gli interessi di una lista ormai infinita di Paesi. Quel mestiere Le riuscirà benissimo, ma deve arrivarvi con una situazione italiana nella quale è avvenuto almeno l'annuncio, serio, di un programma pesante di taglio della spesa pubblica, di vendita del patrimonio pubblico, quindi di forte riduzione della pressione fiscale e di investimenti significativi nelle infrastrutture (segua, per favore, il suggerimento del professor Summers, sull'aeroporto JF Kennedy) oltre che di riduzione del costo del lavoro attraverso la riduzione delle tasse relative.

Non ci sono le condizioni per un tale pacchetto, che di colpo consenta all'Italia di agganciare le locomotive che ormai sono partite? Non è vero. Anche se la comune matrice cattolica non è sufficiente alla sintonia con Renzi, se non altro per una profonda differenza temperamentale, è il caso che il capo del Governo accetti la linea del sindaco di Firenze. Che senso ha che il presidente del Consiglio si esprima sul fatto che la legge elettorale non prevede le preferenze? Naturalmente ognuno può avere la sua visione della democrazia, ma dovrebbe essere sufficiente che non pochi dei politologi e dei costituzionalisti si sono espressi positivamente rispetto al progetto di legge. Non si indugi sulla discussione mossa dall'ideologia, come scrive giustamente Pier Luigi Battista sul Corriere della Sera. Non è forse espressione di una vera democrazia la legge elettorale inglese nella quale esiste un solo candidato per ciascun partito in ogni collegio, che appunto si chiama uninominale.

Quando Renzi dice di non essere interessato a fare oggi il presidente del Consiglio è sincero, perché ha bisogno di fare esperienza, quella esperienza che Letta oggi ha essendo stato sottosegretario e ministro e che comunque non basta per sconfiggere la burocrazia, il mostro che blocca il Paese. L'Italia non può rimanere ferma perché il presidente del Consiglio, dopo aver più volte precisato che la legge elettorale è questione solo del Parlamento, si mette di traverso rispetto all'accordo già raggiunto da Renzi con Forza Italia e con il Nuovo centro destra (Ncd) guidato dal vicepresidente del Consiglio, ma anche segretario del partito, Angelino Alfano.

Letta ha più volte dichiarato che con Renzi avrebbe collaborato efficacemente. Renzi ha sbloccato in poco tempo un ostacolo fondamentale come la legge elettorale per la prosecuzione della legislatura almeno fino ai tempi indicati dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cioè il 2015. Che Letta si dedichi a definire con Renzi l'agenda del governo cercando di recepire l'energia e la determinazione che il sindaco di Firenze ha mostrato di saper portare nella politica, nonostante uno stile certo un po' sbrigativo. Chi pensava che proprio quello stile facesse essere solo parole le sue filippiche e le sue proposizioni è stato clamorosamente smentito nella vicenda della legge elettorale, dove Renzi ha rispettato i tempi che aveva annunciato per trovare un accordo anche con Silvio Berlusconi. Che poi la minoranza del Pd polemizzi con Renzi proprio per l'accordo con il diavolo Berlusconi ha trovato la più pronta e decisiva risposta da parte del sindaco fiorentino: ma cosa vogliono costoro, visto che con Berlusconi avevano fatto addirittura un governo?

Anche Renzi è stato forzatamente assente a Davos, probabilmente non solo per mancanza di tempo ma anche per non mostrare un Paese diviso anche nel maggior partito di governo. Ma a Davos, in tutti coloro che si interessano e sono interessati alla ripresa dell'Italia, il fenomeno Renzi è stato vissuto decisamente come un elemento per essere più positivi sul Belpaese.

Se sotto la spinta di Renzi il governo riprendesse coraggio, slancio e determinazione, probabilmente anche le prospettive future dell'Italia diventerebbero positive come lo sono già quelle di larga parte del mondo. Che infatti va nella direzione di una decisa ripresa. (riproduzione riservata)

Paolo Panerai
In arrivo le pensioni zero euro
Una donna di 87 anni di Agrigento ha ricevuto un assegno pensionistico di zero euro (nella foto il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua). La pensione mensile dell'anziana è normalmente di 572,42 euro, di poco superiore al minimo, ma nell'ultimo cedolino sono stati decurtati dalla domma 138,50 euro come rata Irpef 2012 e 322,94 euro come acconto Irpef 2013. Dunque, saldo zero e questo mese niente pensione. Il presidente dell'Inps questa mattina ha commentato l'ipotesi di uno sblocco dell'indicizzazione delle pensioni fino a  3mila euro con queste parole: "Ho massimo rispetto per il lavoro del Parlamento".
Renzi presenta l'intesa con il Cav e il Pd dice 111 sì. E nessun no
Di Franco Adriano e Giampiero Di Santo
O tutto il pacchetto di riforme o salta l’accordo. Matteo Renzi, segretario del Pd, ha presentato così alla direzione del Pd tuttora in corso  l’intesa con Forza Italia che prevede la nuova legge elettorale sul modello spagnolo , con un sistema maggioritario e premio di maggioranza, ragionevole, del 18% al massimo nel caso in cui si arrivi al 35%, turno di ballottaggio tra due coalizioni nel caso in cui non si arrivi alla soglia, e liste bloccate, ma con collegi  plurinominali . Oltre a una soglia di sbarramento che va dal 5% all’8% nel caso di forza politica che si presenti da sola, al 12% in caso di coalizione. Una proposta e una relazione approvate dalla direzione con 111 voti a favore e 31 astensioni e che comprende anche la rivisitazione del titolo quinto della Costituzione e quindi il ritorno della centralità dello stato nella politica energetica  e di promozione turistica all’estero ,  la cancellazione del senato così come è, la riduzione del numero dei parlamentari complessivi da 945 a 630,  e il taglio dei costi della politica, con interventi in particolare sulle regioni, perché i consiglieri regionali non potranno guadagnare più dei sindaci delle città capoluogo e sarà superato il finanziamento pubblico dei gruppi consiliari regionali, fonte di scandali continui. “Questa non è una riforma costituzionale, ma c’è condivisone con  questo anche con le altre forze politiche”, ha detto Renzi. “Spero di chiudere su questo capitolo per il 25 maggio, cosicché alle elezioni europee potremo spiegare agli elettori che la politica la facciamo noi, non Grillo”. Ma al di là della polemica con il leader del M5S, Renzi ha spiegato il senso politico dell’accordo raggiunto con  Berlusconi “sulle regole” e soprattutto sulla legge elettorale: “Molti hanno fatto di tutto per portare Berlusconi a palazzo Chigi o per farcelo tornare”, ha detto Renzi con riferimento alle vicende dell’Unione nel  2006 e successivamente alle larghe intese attuali: “Noi facciamo le facciamo regole con Berlusconi per non farci più il governo, per vincere le elezioni e governare con il nostro programma”, ha detto il numero uno del Pd. "Veltrroni diceva che il Pd deve avere vocazione maggioritaria e sono d'accordo con lui. Questa lergge è fatta apposta per governare e il nostro avversario, qualsiasi avversario, ha lo stesso nostro diritto di giocarsi la sua partita. Il Porcellum se l'erano votati loro, il centrodestra, adesso siamo a un passo dall'accordo. Non state votando sulle proposte del segretario, ma di 3 milioni di italiani che hanno votato alle primarie.  Se vinciamo noi cambieremo il titolo V della Costituzione, , supereremo il senato attuale e cambieremo la legge elettorale. C’è un accordo che va oltre la scadenza del 2014 ed è stato ingeneroso sentirsi dire che Renzi intendeva fare le scarpe al premier".   



Cuperlo: Così non va bene

"La proposta non è convincente, non garantisce rappresentanza adeguata né il diritto dei cittadini a scegliere gli eletti». Ginni Cuperlo, presidente del Pd, ha sottolineato così le sue critiche nei confronti della riforma elettorale proposta da Renzi. E ha ricordato come sia stato un azzardo dialogare direttamente con Berluscconi: "non era più così egemone, ora spingiamo ancora da lui coloro che se ne erano distaccati", ha detto con riferimento al ncd di Angelino Alfano") e, soprattutto, il fatto che sia venuta meno la democrazia interna. Per questo Cuperlo rilancia l'idea di una consultazione online tra iscritti e dirigenti e contesta l'idea che le primarie abbiano dato un potere assoluto al leader. «Un partito non funziona così».

Veltroni: giusto il metodo Renzi, anche io tentai di fare le riforme con Berlusconi

"Il metodo è quello giusto, è giusto discutere con gli altri per scrivere le regole del gioco. Io provai con Berlusconi a scrivere le regole come stiamo facendo adesso, ma non ci riuscii perché Berlusconi era troppo forte", ha detto Walter Veltroni. "Mai come oggi, il nostro paese è sull'orlo di una crisi molto forte, perchè il combinato disposto della recessione e della crisi istituzionale rischia di avere un peso molto forte sul nostro Paese", ha aggiunto Veltroni: "E' quando si verificano crisi istituzionali ed economiche che i paesi conoscono le loro stagioni più buie. Come diceva Calamandrei: le democrazie muoiono per incapacità di decidere. 

I sì di Fassino e Marini 

"Chi oggi accusa Matteo Renzi per aver parlato con Silvio Berlusconi in passato ha sempre sostenuto la necessità di confrontarsi anche con gli avversari. Lo ha detto il sindaco di Torino e numero uno dell'Anci Piero Fassino:"Mi colpisce che oggi rimproverino a Renzi di avere parlato con Berlusconi quelli che per un certo periodo sostenevano che bisognasse parlarci". Franco Marini, dal canto suo, si è detto favorevole alla proposta del segretario. 

La replica di Renzi

"Quando viene detto, come ha detto Cuperlo che il sistema è concatenato si dice una verità oggettivo. Questa concatenazione non può produrre strane alchimie su tempistica di approvazione. Mercoledì il disegno di legge alla camere e in febbraio approvazione in prima lettura. Poi al senato e convocazione dei capigruppo. Entro il 15 febbraio gruppi che lavoreranno al titolo quinto formulino le loro proposte. Legge elettorale non va legata al tema delle altre riforme, va approvata entro il 25 maggio"


Marzotto: Berlusconi non sia più Cav. E si sospende dall'Ordine
Di Giampiero Di Santo
Si è sospeso dall’Ordine dei cavalieri del lavoro. In attesa che il ministro dello sviluppo economico, Flavio Zanonato, avvii la procedura di estromissione del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Pietro Marzotto, presidente del gruppo tessile fino al 1998 e da allora presidente della Fondazione Marzotto e azionista di maggioranza nonché vicepresidente di Peck,  ha deciso di lasciare temporaneamente il suo posto di cavaliere fino a quando a Berlusconi, condannato con sentenza definitiva a 4 anni di reclusione per frode fiscale, non sarà tolto il posto “per indegnità”.   Il conte, erede di una dinastia che ha dato all’Italia due deputati del Regno d’Italia, Gaetano e Vittorio Emanuele, ciascuno per due legislature, ha scritto una lettera, qualche giorno fa al presidente dei Cavalieri del lavoro del Triveneto, Alessandro Favaretto  Rubelli, per chiedere sia applicata con sollecitudine la revoca del Cavalierato. E la risposta è stata èpiù o meno positiva ma molti diplomatica, vista la delicatezza politica della vicenda: «Pietro Marzotto è piuttosto impulsivo, ma indubbiamente non ha tutti i torti in quello che dice”, ha commentato Favaretto Rubelli. La procedura non compete alla federazione triveneta, ma è di competenza del Consiglio nazionale dei cavalieri del lavoro, presieduto dal ministro per lo Sviluppo economico. Sul tema abbiamo interpellato, per canali diplomatici, anche il Quirinale, che ci ha appunto risposto che la proposta di revoca deve essere promossa dal consiglio nazionale e poi essere ratificata da un Decreto del Presidente della Repubblica”. Si è mosso anche il ministro Flavio Zanonato, che ha promesso decisioni rapide non appena sarà completa la sentenza su Berlusconi: «Non appena si conoscerà la sentenza su Berlusconi, prenderò una decisione», ha detto Zanonato. “C’è una struttura autonoma, fatta dai Cavalieri del lavoro che formano un Ordine. Il mio ministero, sulla base delle proposte che fa questo Ordine,  formula una selezione che sottopone al capo dello Stato. Non appena avrò la sentenza su Berlusconi, che ancora non esiste, perché stiamo aspettando che si completi per la parte relativa ai suoi diritti civili, prenderò una posizione. Anche sulla base di quello che dirà l’Ordine».

Aiuti a chi compra macchinari
Di Cinzia De Stefanis
Sbloccata la Sabatini-bis che prevede finanziamenti per macchinari, beni strumentali d’impresa, e per la prima volta hardware e software. Il tutto sostenuto da un plafond di provvista pari a 2,5 miliardi di euro assicurato da Cassa depositi e prestiti per un triennio (2014/16). Il decreto interministeriale del 27 novembre 2013 del ministero dello sviluppo economico e del ministero dell’economia e delle finanze (di cui ItaliaOggi ha anticipato i contenuti il 14/1/2014) è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 19 di ieri, 24 gennaio 2014. Il decreto sulla c.d. Sabatini-Bis definisce il meccanismo agevolativo che favorisce l’acquisto o il leasing di beni strumentali mediante un contributo in conto interessi. Dobbiamo ricordare che per la piena operatività delle agevolazioni bisogna attendere la definizione di altri due passaggi importanti. Entro febbraio sarà firmata la convenzione tra ministero dello Sviluppo economico, Cassa depositi e prestiti e Abi ed è in corso di redazione la circolare che definisce il termine e gli schemi per presentare la domanda. La circolare sarà pronta entro la fine del mese di gennaio.