venerdì 14 dicembre 2012
Purtroppo l'Italia è per il confcommercio al minuto anzi al millesimo di secondo
DI GIULIANO NOCI
CARA ITALIA, LA CINA
TI ASPETTA (DA TEMPO)
di Giuliano Noci*
twitter@giuliano_noci
Milano, 10 dic. - La recente visita del Ministro Passera in Cina – che fa seguito al viaggio del Presidente Monti e di altri ministri del Governo tecnico – ha riacceso i riflettori sul rapporto Italia-Cina. Sono in molti ormai in Italia a ritenere l’ex impero di mezzo più un’opportunità che un pericolo. Mi viene da dire: finalmente!
Fino a pochi anni fa, infatti, molti politici e industriali si ostinavano a vedere nel Dragone una minaccia: prevaleva la prospettiva di coloro, che vedevano nelle imprese cinesi – a basso costo – la principale causa dei problemi del nostro sistema industriale.
Peccato che non venivano considerati due aspetti fondamentali; non si teneva conto, in primo luogo, il fatto che la competizione sui costi è una battaglia per poveri: c’è sempre qualcuno nel mondo che ha costi di produzione inferiori e, in questo senso, il perseguimento di una strategia di leadership di costo è comunque una falsa chimera per le nostre imprese.
Non veniva, in secondo luogo, considerato l’enorme potenziale che il Made in Italy ha in Cina: molte indagini condotte negli ultimi anni dalla School of Management del Politecnico di Milano, ma non solo, hanno infatti evidenziato come i consumatori dell’ex impero di mezzo considerino i prodotti italiani come sinonimo di qualità, eccellenza e affidabilità.
A fronte di questa rinnovata consapevolezza del potenziale del sistema industriale italiano nella tana del Dragone, cerchiamo di fare il punto della situazione a oggi. Un primo dato importante è che l’interscambio commerciale tra il Bel Paese e la Cina ha raggiunto nel 2011 un controvalore di circa 52 miliardi di dollari: una cifra superiore a quanto registrato con gli Stati Uniti.
Tutto a posto, quindi? Neanche per sogno. Nonostante il trend di crescita delle esportazioni registrato negli ultimi anni, vi è ancora molto da fare. Basti pensare che per alcune categorie merceologiche, il valore delle esportazioni destinate alla Svizzera (Paese di 8 milioni di abitanti) è significativamente superiore a quanto veicolato nell’ex impero di mezzo.
Quali le ragioni di questa situazione? Al di là del tardivo interesse di molte nostre imprese per il Dragone, vi sono due nodi che devono essere affrontati al fine di massimizzare le opportunità offerte dal mercato cinese al nostro sistema industriale.
Le imprese devono cambiare mentalità. In primo luogo, si devono rendere conto che le dimensioni del mercato sono tali da rendere pretestuoso l’obbiettivo “Esporto in Cina”; è fondamentale individuare città e/o province da cui partire e concentrare gli sforzi.
Occorre, in secondo luogo, che si mettano in rete; penso, ad esempio, al sistema dell’arredo: in Cina, vengono investiti ogni anno oltre 4 miliardi di dollari per hotel a 5 stelle, ognuno con almeno 500 camere. Si tratta di commesse evidentemente non alla portata della singola impresa e che, invece, potrebbero essere acquisite da pool di imprese del Made in Italy.
Serve, infine, una cultura di marketing; non è plausibile approcciare il mercato cinese con strategie commerciali e distributive adottate in Occidente: troppo diversi sono il processo di acquisto, il ruolo degli influenzatori e i meccanismi decisionali; serve, in altre parole, un serio adattamento della strategia di ingresso al mercato locale e, se necessario, un adeguamento delle caratteristiche dei prodotti veicolati – naturalmente secondo una linea di continuità con punti di forza del percepiti dai consumatori locali con riferimento al Made in Italy -.
Il nostro sistema di promozione internazionale deve essere più aggressivo nell’attuare azioni, volte a valorizzare le potenzialità e i tratti distintivi dell’italianità. Abbiamo finalmente messo in campo negli ultimissimi anni diplomatici di altissimo rango, si sono intensificate – direi finalmente – le visite dei nostri politici; ora è necessario un piano di azione a due vie: verso l’Italia, per sensibilizzare gli imprenditori su specificità e opportunità nelle differenti aree del continente-Cina; nei confronti del mercato cinese, per attivare quell’indispensabile azione di educazione e sensibilizzazione (pre-commerciale) che da tempo, ad esempio, la Francia svolge e l’ha portata ad ottenere il primato, tra i marchi stranieri su numerose categorie merceologiche.Non dobbiamo insomma perdere tempo.
Le nostre imprese devono essere consapevoli, da un lato, del loro enorme potenziale e, dall’altro, convincersi dell’opportunità/necessità di un vero cambiamento nel loro approccio all’internazionalizzazione per domare il Dragone. Della serie: la Cina è vicina ma non è esattamente a portata di mano. I cinesi comunque ci apprezzano: facciamo in modo che trovino i nostri prodotti!
*Prorettore Polo Terrioriale cinese al Politecnico di Milano
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