mercoledì 19 dicembre 2012
anche noi ma con la valigia di cartone
Ricco e cinese: il 'volto'
dell'immigrato del 2011
di Sonia Montrella
Twitter@SoniaMontrella
Roma, 19 dic.- Passaporto cinese, trolley firmato Louis Vuitton al seguito, biglietto di prima classe in mano. E’ la fotografia dell’immigrato del 2011: ricco, ben istruito e proveniente dalla Cina. Secondo l’International Migration Report (2012), stilato dal Centre for China and Globalisation (CCG) e dalla scuola di Legge del Beijing Institute of Technology, la seconda potenza economica al mondo, il cui PIL ha viaggiato per anni sulle due cifre, è anche il primo Paese da cui si scappa. Nessuna valigia di cartone o cervello in fuga, in Cina i problemi sono altri e a volare oltre-confine sono coloro che posso permetterselo, per eludere inquinamento ambientale e corruzione politica.
L’anno scorso, rivela lo studio, oltre 150mila persone hanno lasciato l’ex Impero di Mezzo, di queste 87mila si sono trasferite negli Stati Uniti, 30mila in Canada e altrettante in Australia, 6mila in Nuova Zelanda.
“Le classi agiate e ben istruite sono diventate le protagoniste dell’esodo di massa. La percentuale di immigranti appartenenti a questo gruppo sale sempre di più”. Circa 6000 cinesi sono oggi cittadini permanenti statunitensi, canadesi o australiani grazie ai massicci investimenti fatti nei Paesi, una corsia preferenziale per l’ottenimento del permesso. Una formula che ha funzionato soprattutto in America dove in base al programma EB-5, gli stranieri che investono 500.000 dollari (397.000 euro) in attività di business creando almeno 10 posti di lavoro, ottengono in cambio la green card, il permesso di residenza di durata illimitata per vivere negli Usa. L’iniziativa fu lanciata nel 1990 ed era rivolta principalmente ad attirare i cittadini ricchi di Hong Kong che volevano emigrare all’estero in vista del ritorno della colonia inglese alla madrepatria nel 1997.
Il 70% di coloro che hanno fatto domanda per l’EB-5 nel 2011 sono di nazionalità cinese e la percentuale sembra destinata ad aumentare, dato l’incremento esponenziale rispetto al 2006, in cui i partecipanti cinesi erano solo 63.
Per Liu Erduo, vice direttore della scuola del lavoro e delle risorse umane della Renmin University, il quadro rispecchia un’insoddisfazione generale. “In un certo senso l’esodo dei talenti è iniziato da quando la Cina è diventata più aperta al resto del mondo, in altro mostra il gap di benefit e reddito riservato alle elite tra la Cina e il resto dei Paesi più sviluppati”.
Secondo il direttore del Centro ricerche per gli investimenti stranieri dell’Accademia di Scienze Sociali di Shanghai, Li Xiaogang, il fattore economico è secondario, a trainare il flusso la ricerca di migliori condizioni di vita in termini di ambiente, giustizia e politica. “Sebbene l’economia del Paese si sia sviluppata così tanto negli ultimi 30 anni, la situazione politica e ambientale è rimasta invariata”.
Un altro rapporto redatto da Bain&Company lo scorso anno sosteneva che l’80% dei cinesi emigrati all’estero lo ha fatto per garantire una migliore istruzione ai propri figli.
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