domenica 30 dicembre 2012

Ma noi Sardi Straricchi subiamo il fascino del Marketing delle lobby altrui



Olio extravergine
Diciamo la verità, l’Europa non ama il tipico. E noi italiani, che di cibi tipici siamo straricchi, ne soffriamo, perché ogni tanto qualche lobby del nord ci costringe a lunghe quanto estenuanti trattative, che non sempre si concludono a nostro favore. La logica delle lobby è fin troppo palese: unificare i gusti perché così il prodotto industriale allarga a dismisura il suo mercato. Se nell’Unione europea c’è un paese che sfugge a questo imperativo, continuando a difendere la sua tipicità, questo paese dà fastidio. L’olio extravergine d’oliva è il simbolo più clamoroso della reticenza europea per l’eccellenza tipica. Ci sono voluti anni perché finalmente sulle bottiglie comparisse l’origine: olio extravergine prodotto con olive italiane. In precedenza bastava dire che le olive, non si sa di quale paese, erano state spremute in un frantoio italiano, per garantire alla bottiglia il marchio del made in Italy. E, malgrado la lunga battaglia, i problemi del nostro olio permangono e con la crisi si ingigantiscono. Iniziamo dal prezzo. Quello dell’olio extravergine di oliva rappresenta un piccolo mistero. Come è possibile che una bottiglia di extravergine costi 3 euro e talora anche 2.90, quando si sa che un extravergine di qualità sta sui 7-8 euro, se non di più? Che olio si vende, realmente, nei supermercati italiani? Può essere vera, allora, la tesi del New Yorker ( importante periodico statunitense) ripresa da alcuni quotidiani, secondo la quale in Italia circola molto extravergine adulterato con olio di nocciola importato?
Guida ai consumi contro la crisi 
di Antonio Lubrano e Vauro

sabato 29 dicembre 2012

E se lo dice Obama anche in Italia la classe medio bassa è più che d'accordo


Obama, ricchi paghino di piu' per aiutare economia
Sul fiscal cliff "possiamo ancora raggiungere un accordo bipartisan", no ad aumento tasse per classe media. Politica non ostacoli progresso Paese
Ansa 29 dicembre, 12:23

"Un piano equilibrato che protegga la classe media, tagli le spese in maniera responsabile e chieda ai più ricchi di pagare un po' di più: questa è la cosa giusta per la nostra economia": così il presidente Usa, Barack Obama, si rivolge alle famiglie americane.

Sul fiscal cliff "possiamo ancora raggiungere un accordo bipartisan. Se così non sarà chiederò al Congresso di votare un pacchetto di misure per evitare un aumento delle tasse per la classe media": lo ha detto Barack Obama rivolgendosi alle famiglie americane.

''Non possiamo permettere che la politica di Washington ostacoli il progresso del Paese'': lo ha detto il presidente americano, Barack Obama, invitando il Congresso a fare il suo dovere e ad ''agire ora'' per evitare le conseguenze del 'fiscal cliff'.

Giovani europei non mollate tenete duro ed abbiate Fede

Servizio giornalistico: Disperata lotta dei giovani francesi per trovare un lavoro anche generico.


PARIGI, 7 dic (Xinhua) - Cinque anni fa, Adil Mahmani si era appena laureato, ora ha 25 anni ed è in cerca di un posto di lavoro a La Defense, importante quartiere degli affari di Parigi .

Mahmani era un giovane vivace che ha visto la vita con gli occhi colorati di rosa. Pensava che i suoi studi economia d'affari avrebbe portato ad una vita più allegra ed avrebbe potuto  ricompensare i sacrifici della sua famiglia sostenuti per farlo studiare.

Cinque anni dopo, sta ancora aiutando suo padre a vendere frutta e verdura al mercato di Saint-Christophe , nella periferia di Parigi, purtroppo una realtà amara ben lontana dai suoi sogni rosei.

"Come si dice meglio soffrire che morire. Fui costretto a lavorare per raccogliere qualche euro che mi potesse aiutare a pagare le necessità quotidiane. Altrimenti......... ti prego," disse il giovane.

"La disoccupazione continua a salire e la situazione economica sta peggiorando da un giorno all'altro. Tale situazione, non ha aperto l'orizzonte roseo come pensavo quando ho ottenuto il diploma di laurea. E' una triste realtà che uccide in me la speranza e l'ambizione di fare ogni cosa per prosperare ", ha detto alla
agenzia di stampa Xinhua  con un tono amaro.

Con quasi uno su quattro giovani francesi senza lavoro, le tenebre sembrano offuscare  più a lungo le prospettive del giovane .

Secondo i dati ufficiali più recenti, il tasso di disoccupazione dei giovani in Francia è salito a 9,9 per cento nel terzo trimestre colpendone 2,8 milioni  sul totale di posti di lavoro, 29.000 in più rispetto ai tre mesi precedenti.

I giovani di età compresa tra i 15 ei 24 anni sono stati i più colpiti, con la disoccupazione al 24,2 per cento per questa fascia di età, in crescita del 1,4 per cento rispetto al secondo trimestre.

Per aggiungere la beffa al danno, il francese Michel Sapin ministro del Lavoro ha detto in una recente intervista che si aspettava  dati più peggiori di disoccupazione nei prossimi mesi a causa della difficile situazione economica.

Per Laurent Drevet, il peggioramento in  prospettiva non lo scoraggia. Originario di Bretagne, a nord della Francia. E 'venuta a Parigi per cercare più opportunità e una vita migliore.

Ha detto che ha trascorso due ore al giorno esplorando siti web nella speranza di inseguire un lavoro stabile e porre fine all'incubo della disoccupazione.

Ho un diploma di  segretaria conseguito due anni fa, ho 22 anni  ha detto di aver avuto un colloquio di lavoro  ma non ha alcuna possibilità di godere una stabilità professionale e stabili proventi finanziari.

"Posso contare su indennità di disoccupazione per pagare le mie spese. So che il mio compito sarà molto difficile e le possibilità sarà sottile a causa di ciò che vediamo e ascolto ogni giorno, ma non mi arrendo,
ha detto la giovane donna .

Di fronte a una economia in fase di stallo, il presidente socialista Francois Hollande ha promesso di rovesciare la tendenza della disoccupazione entro la fine del 2013.

Ha detto che riformerà  il mercato del lavoro e creare 150.000 posti di lavoro per il futuro, incoraggiando le aziende ad assumere giovani lavoratori.

Ma gli analisti hanno detto che la crescita attesa è in difficoltà per il tasso di disoccupazione, già troppo elevato e sono elementi tali da ostacolare il piano di Hollande per i giovani lavoratori.
Ounissi Sonia

venerdì 28 dicembre 2012

Siamo sicuri che gli aumenti siano la giusta strada?

Non bastano gli aumenti di fine anno ...dalla prossima settimana ogni famiglia italiana dovrà subire ancora aumenti per € 1.500 !!! Ma chi li decide questi aumenti? Roba da pazzi qui anzichè diminuire aumentano
ancora !!!!???? Come faremo ad evitare il precipizio fiscale,sociale ed economico della nostra Italia
dopo 150 anni dall'unità ??? La strada è una sola : anzichè  aumentare sempre ora bisogna diminuire..... disoccupazione,tasse,energia, dispersione scolastica,separazioni,assicurazione,bolli,tabacco,condominio costo della vita,omicidi,suicidi ecc...ecc... come ? dando il buon esempio riducendo le centinaia di migliaia
di stipendi inutili ad iniziare da quelli  super.
Milano che cede lo 0,06%, con Mps in rialzo dell'1,2% a 0,22 euro, seguita da Fiat (+1,1%).......... ........ecc..ecc...tutti indicatori che non ci dicono più niente  Secondo il mio parere da non politico è che la maggior parte dei politici non sa più che pesci prendere e non ne parlano nemmeno perchè hanno sempre avuto altro a cui pensare.Obama al contrario è molto preoccupato della fiscal cliff ( scogliera fiscale ) ed esorta il Senato ad agire urgentemente per evitare uno tsunami diverso e di gran lunga più devastante rispetto ai precedenti naturali. E noi come pensiamo di reagire a camere sciolte? Non credo le primarie di domenica siano così importanti più del voto in Senato in America per evitare sì un disastro economico mondiale dopo quello politico al momento solo italiano.

e noi non riusciamo a condannare un politico per violazione di diritti umani



Il Sole 24 ORE - Radiocor 28/12/2012 - 14:36
Breaking News 24
NOTIZIARIO ASIA

Apple: condannata in Cina per violazione dei diritti di autore
Radiocor - Milano, 28 dic - Apple condannata in Cina per violazione dei diritti di autore. Il gruppo fondato da Steve Jobs dovra' versare una compenso a otto scrittori cinesi e a due case editrici per avere venduto libri in versione elettronica senza rispettare i diritti di autore. Secondo l'agenzia cinese Xinhua Apple e' stata condannata a pagare 125.285 euro a ciascuno dei danneggiati che hanno visto pubblicati loro libri in versione scaricabile via web lo scorso anno, non protetti dal copyright. Il tribunale di Pechino ha stabilito che e' stata violata la legge sulla comunicazione attraverso le reti di informazione con la pubblicazione di libri, non rispettando la proprieta' intellettuale.

Red-Lan

e noi che sistema lanciamo ?


Il Sole 24 ORE - Radiocor 28/12/2012 - 12:15
Breaking News 24
NOTIZIARIO ASIA

Cina: lancia il suo sistema di navigazione, Beidou contro Gps
Radiocor - Milano, 28 dic - La Cina lancia Beidou, sistema di navigazione satellitare attivo nella regione Asia-Pacifico, che rappresenta uno strumento di indipendenza economica e strategica nei confronti del Gps americano e del futuro Galielo europeo. Beidou, che significa 'la grande orsa' in mandarino, si appoggia a una rete di 16 satelliti di navigazione piu' altri quattro sperimentali ed e' diventato operativo ieri. Il portavoce dell'Ufficio cinese per la navigazione satellitare, Ran Chengqi, ha definito le sue performance 'comparabili' a quelli del Gps, assicurando che 'il segnale di Beidou puo' essere ricevuto in paesi come l'Australia'. La Cina prevede di estendere la propria rete satellitare con altri 40 apparecchi entro il 2024, ottenendo una copertura mondiale dal 2020.

Red-Ppa-

Un lusso vivere a Pechino


Breaking News 24
NOTIZIARIO ASIA

###Cina: citta' sempre piu' care, lo straniero non e' piu' Paperone - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*

Radiocor - Milano, 27 dic - Le citta' del Dragone sono sempre piu' care e lo straniero sempre meno ricco. Tutti le analisi del costo della vita per gli expatriate concordano nel rilevare una perdita della capacita' d'acquisto rispetto alla stabilita' - se non alla riduzione - delle retribuzioni decise dalla casa madre che invia un proprio rappresentante in Cina. Non fa eccezione l'ultimo rapporto pubblicato dalla societa' di consulenza Esa International: delle 425 citta' esaminate al mondo, Pechino e' la 22ma piu' cara, con Shanghai al 26mo posto. Le due metropoli cinesi si trovavano rispettivamente in posizione 35ma e 41ma nella classifica dello scorso anno. Si collocano inoltre al quinto e al settimo posto in Asia, la cui classifica e' come sempre guidata da Tokyo, la citta' piu' cara anche al mondo. Il rapporto prende in considerazione il costo della vita per i soli acquisti correnti: alimentazione, trasporti, abbigliamento. Non include dunque le spese che incidono maggiormente per gli stranieri, come le scuole private, le automobili e le abitazioni di pregio che ad essi erano tradizionalmente riservate. Tra le 50 citta' piu' care esaminate in Asia, 16 sono cinesi. I risultati sono suffragati da precedenti analisi, condotti da istituti prestigiosi come Mercer e The Economist Intelligence Unit. Cambiano alcuni indici, differiscono parzialmente le classifiche, ma la tendenza si conferma con nettezza: le citta' cinesi sono sempre piu' care - e comunque meno economiche - per gli stranieri. Anche citta' famose per il loro alto costo della vita come Hong Kong e Singapore appaiono piu' convenienti, almeno per certi parametri, rispetto alla Cina. Il South China Morning Post ha rilevato con un rilevante sforzo d'indagine che molti prodotti di consumo corrente come il pane e il caffe' sono molto piu' cari a Pechino che nell'ex colonia. Questa differenza si spiega con i dazi che ancora gravano nella Rpc sui prodotti importati: se gli acquisti avvenissero nei mercati rionali, dove gli stranieri sono clienti rari, il paragone sarebbe meno sorprendente. Rimane tuttavia indiscutibile che vivere in Cina sia sempre piu' oneroso. L'inflazione e soprattutto il continuo apprezzamento del Renminbi sono le cause principali. Il costo delle materie prime, della logistica e del lavoro sono tutti in rialzo e concorrono all'ascesa in graduatoria. Nell'industria le retribuzioni sono ormai poco competitive rispetto agli altri paesi emergenti. Il salario minimo di un operaio tessile cinese e' superiore del 50% a quello del suo collega messicano (6 volte piu' di un Bengalese, 3,5 piu' di un Vietnamita). E' la struttura produttiva che determina il basso costo dei prodotti, non piu' i salari di sussistenza per i quali la Cina era famosa. Il costo della vita per gli stranieri riflette dunque una Cina che cambia pur senza omologarsi. L'integrazione con le altre economie manterra' affollato di stranieri il panorama delle grandi citta', ma essi non saranno comunque i piu' ricchi. Un nuovo ceto sociale si e' affermato in Cina e la sua presenza appare sia potente che diffusa, pronta a sostituire anche negli acquisti piu' costosi il ridotto gruppo dei classici expatriate.

* Presidente di Osservatorio Asia

sabato 22 dicembre 2012

"Turismo " futuro del nostro paese e dei giovani


Farinetti: "Eataly a Piacenza entro il 2013, dedicato alla provincia italiana"

Oscar Farinetti ospite di Confidustria Piacenza conferma che l’arrivo di Eataly a Piacenza avverrà entro il 2013: "Tra settembre e dicembre di certo" ha affermato ai cronisti prima di iniziare l’incontro pubblico. "La sede locale di Eataly (che si insedierà alla Cavallerizza ndr) - ha spiegato il patron di Eataly - sarà dedicata alla provincia italiana, perchè Piacenza è il simbolo di una provincia virtuosa che cura l’eccellenza nell’agroalimentare". Spazio per una battuta anche sulla concorrenza dei cugini parmigiani. "Quando ho deciso di aprire Eataly in alta Emilia sono andato a Parma e c’era un certo sindaco, e sono poi venuto a Piacenza dove c’era invece un altro sindaco, un certo Roberto Reggi. E indovinate quale ho scelto? Scherzi a parte, Eataly apre dove c’è una sana amministrazione e bella gente. Poi a Piacenza i prodotti sono ottimi, non deve avere nessun complesso nei confronti di Parma, che nei secoli ha sempre fatto troppo "coccodè". Ora tocca a Piacenza e Eataly può aiutarla in questo compito".

Sul rapporto tra politica e impresa Farinetti dice che "spesso noi imprenditori dobbiamo difenderci dalla burocrazia, spesso opera di politici mediocri che non ci aiutano. Le aziende con performance migliori sono quelle che esportano, ma per rendere al meglio abbiamo bisogno di diplomazia italiana, di istituti che funzionino. Speriamo che con il nuovo governo arrivi gente più competente". Farinetti durante le primarie del Centrosinistra ha sostenuto Matteo Renzi ("impossibile che vincesse, con tutto l’apparato contro. Ma ha lasciato un segno profondo"), mai tentato dalla politica attiva? "Il mio modo di fare politica è assumere 610 giovani a Roma, restaurare senza un euro di soldi pubblici un immobile degradato come l’Ostiense, abbandonato dopo i Mondiali di Italia 90 e vero scandalo nazionale".

L'INCONTRO IN CONFINDUSTRIA  - L’Italia del “coraggio” è andata oggi di scena alla sala convegni di Confindustria. Protagonista Oscar Farinetti, imprenditore proveniente delle langhe piemontesi diventato famoso per aver creato una grande catena italiana dell’elettronica, Unieuro ed adesso per il progetto EatItaly, per portare la cucina italiana nel mondo, secondo un nuovo modello di “qualità alimentare” che presto dovrebbe sbarcare nei prossimi mesi anche a Piacenza.


L’incontro, presentato da Gaetano Rizzuto, direttore di Libertà ed Emilio Bolzoni, presidente di Confindustria, ha affrontato tanti aspetti della vita del nostro paese, dalle difficoltà del mondo dell’imprenditoria sino alla necessità di rifondare la politica nel nostro paese. Farinetti, diventato famoso nel mondo della comunicazione per lo slogan “l’ottimismo è il sale della vita”, insieme a Tonino Guerra, si è dimostrato fedele ai propri valori di coraggio ed entusiasmo. Secondo lui “non ha alcun senso nella vita non essere ottimisti” e ritiene che per godersi la vita basta sapersi accontentare di quel poco che si possiede. I suoi maestri di vita sono stati i contadini delle langhe, che sapevano godersi un “piatto semplice”, chiedendosi “ma chi c’è di più felice di noi al mondo?”.


Il coraggio, spiega, deve essere visto come un valore da contrapporre al cinismo, che invece pervade il nostro paese. Farinetti è convinto, che nel modello di vita dell’imprenditore, con la sua apertura alle sfide, agli insuccessi, vi siano i rimedi per fondare anche una società in cui “si impara ad essere coraggiosi”. Il suo successo nella comunicazione, non è arrivato facendo “furbate”, ma raccontando la verità, perché  è convinto intimamente che “i furbetti non ce la faranno mai”. Farinetti crede che il modello di società in cui abbiamo vissuto sino ad ora sia destinato a scomparire. Il futuro del nostro paese deve passare dal “turismo”, trattato finora in maniera secondaria e vissuto fino ad oggi come uno di quei posti da assegnare fra i diversi politici per accontentare i soliti partiti che per risollevare le sorti del paese.


L’Italia, spiega, deve poi aprirsi all’export, in particolare nel settore alimentare. "Il nostro paese ha una cultura culinaria “domestica” e di qualità, unica al mondo. In Italia possiamo fare in casa gli stessi piatti che possiamo mangiare al ristorante, quando in Francia, tutto nasce nei “restò” ed i loro piatti non sono replicabili tra le mura domestiche, poiché troppo complessi". "Nonostante che gli italiani siano circa lo 0,83 % della popolazione mondiali tutti ci guardano e vogliono i nostri prodotti". “La nostra forza è la diversità”, sottolinea Farinetti.


Non mancano poi alcuni argomenti che non ti aspetteresti da un imprenditore. Farinetti, dice di non vedere alcuna contraddizione fra una visione globale del mondo ed essere legato alla propria terra, al Piemonte ed in particolare alla città di Alba. Orgogliosamente figlio di un capo partigiano, ha appreso dalla resistenza quei valori su cui ha deciso di fondare la propria esistenza. In azienda spesso si combatte, e “fare impresa è come fare una guerra di liberazione, soprattutto quando devi avere a che fare con la burocrazia italiana”.


Oscar Farinetti è imprenditore piemontese, nato e residente ad Alba, di 58 anni.
A cavallo tra gli anni ’80 e ’90,  trasformando l’attività di  un piccolo supermercato avviato dal padre, ha realizzato con il marchio Unieuro la maggior catena commerciale italiana nel mercato degli elettrodomestici e dell’elettronica di consumo.  Di questo mercato Oscar Farinetti diventò, in assoluto, il punto di riferimento principale per la sua  capacità imprenditoriale fortemente distintiva di innovare le strategie di marketing  e di comunicazione aziendali.  In quegli anni diventò  famosa la sua campagna pubblicitaria basata sullo slogan " l’ottimismo è il profumo della vita" interpretato da un testimonial di prestigio come Tonino Guerra.


Nel 2003 Oscar Farinetti, prevedendo in anticipo i grandi cambiamenti e le grandi discontinuità  che avrebbero caratterizzato il mercato in cui operava, decise di cedere il suo gruppo aziendale a Dixon’s, il più grande retailer di elettronica di consumo d’Europa.  Nel 2007, concretizzando un suo grande sogno e una sua grande passione personale, fortemente motivato dai principi ispiratori di slow food, ha dato l’avvio ad  una nuova avventura imprenditoriale creando  Eataly una catena commerciale enogastronomica  dedicata ai prodotti alimentari e ai cibi di qualità .  Oggi Eataly può contare su 7 punti di vendita in Italia e 10 punti di vendita in Giappone e negli Stati Uniti con un programma molto intenso di nuove aperture nei prossimi due anni.  Fra queste anche l’apertura nella città di Piacenza.


Vincitore di premi nazionali ed internazionali, a riconoscimento dei  contenuti di innovazione  commerciale e culturale della formula,  Eataly è stato considerato negli U.S.A. il maggior caso di successo del Made Italy degli ultimi 10 anni.  Autore di alcuni libri, Oscar  Farinetti negli ultimi tempi è molto impegnato a sostenere i “valori” positivi dell’impresa e dell’imprenditorialità, oltre che il bisogno di rinnovamento del nostro paese

La Cina è ad un bivio


AMBIENTE
Inquinamento killer:
8.600 morti nel 2012
di Antonio Talia


Pechino, 20 dic.- In Cina c’è un killer invisibile che solo lo scorso anno ha ucciso circa 8600 persone: si tratta delle polveri sottili con un diametro inferiore a 2,5 micron, che secondo uno studio congiunto di Greenpeace e Università di Pechino nel 2012 hanno anche causato perdite economiche per circa un miliardo di dollari.

Lo studio, che ha esaminato le polveri sospese nell’aria delle città di Pechino, Shanghai, Canton e Xi’an, sostiene che i livelli di PM 2,5 presenti in queste città devono essere ridotti secondo i parametri fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, taglio che ridurrebbe le morti di circa l’80%.

Le particelle PM 2,5 sono causate tanto dai gas industriali immessi nell’aria che dal traffico di automezzi, e causano danni ai polmoni e al sistema cardiovascolare, in quanto a causa delle dimensioni ridottissime entrano in circolo direttamente nel sistema cardiovascolare.  Le polveri sottili possono causare tumore ai polmoni.

Il governo centrale di Pechino ha recentemente chiesto alle amministrazioni locali delle principali città cinesi di rendere pubblici i dati relativi al PM 2,5, ma in passato la questione aveva suscitato più di qualche imbarazzo: circa un anno fa, ad esempio, la municipalità di Pechino aveva chiesto alla locale ambasciata Usa di bloccare la pubblicazione delle statistiche.

Lo sviluppo vertiginoso dell’ultimo ventennio inizia a presentare il conto, sotto forma di una bomba ecologica che in Cina non si manifesta solo attraverso l’inquinamento atmosferico, ma anche nell’avvelenamento di acque e cibi: secondo un altro studio presentato di recente, realizzato dalla Banca Mondiale, solo nel 2003 i danni economici provocati dall’inquinamento ammontavano all’1,16% del PIL nazionale, mentre un dossier dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità mostrava che nel 2008 le morti premature legate alle varie forme di inquinamento avevano raggiunto quota 470mila.

E se la coscienza ambientale dei cinesi inizia a manifestarsi sotto forma di proteste sempre più diffuse, i più ricchi spesso scelgono di lasciare il Paese: Secondo il direttore  del Centro ricerche per gli investimenti stranieri dell’Accademia di Scienze Sociali di Shanghai, Li Xiaogang, il fattore inquinamento è tra quelli che spingono all’emigrazione chi può permetterselo: “Sebbene l’economia del Paese si sia sviluppata così tanto negli ultimi 30 anni, la situazione politica e ambientale è rimasta invariata”.

venerdì 21 dicembre 2012

Orientpress


INTERVISTA AD ANDREA
MARCELLONI DI ORIENTALIA

di Filippo Seminara

Roma, 20 dic.- Quanto coraggio è servito, ormai dieci anni fa, per aprire una libreria orientale quando l’Oriente era tutt’altro che vicino?

Di coraggio sicuramente ne è servito tanto, ma è un servizio che andava creato. Mancava un luogo che potesse offrire manuali per lo studio, vocabolari, testi di narrativa dedicati al Medio e all’Estremo Oriente. Ti parlo della mia esperienza e di quella di Palmira Pregnolato: abbiamo studiato cinese all’inizio degli anni ’90 quando reperire i testi su cui  studiare era davvero un’impresa. Non tanto il romanzo di Mo Yan o Su Tong, ma un buon vocabolario su cui studiare. Era un continuo chiedere ad amici che andavano in Cina di reperire testi per studiare il cinese. Quindi, perché non aprire un negozio ed avere rapporti diretti con le case editrici in Cina, Giappone ed altri Paesi asiatici?

E’ stata dunque sopratutto un’esigenza di mercato…

In un certo senso si. Nei primi anni Novanta a Roma c’era la libreria Marco Polo che in teoria doveva svolgere questa funzione ma che, in realtà, si occupava di tutt’altro. Sarà perché era fuori mano (si trovava al Pantheon) e  quindi la maggior parte dei loro clienti erano turisti. Così, da libreria, si è trasformata pian piano in una sorta di negozio di souvenir. Inoltre mancava un punto di riferimento vicino la facoltà di Studi Orientali. Questa è stata l’idea di partenza.

Cosa significa essere l’anima di una libreria di nicchia, qui a Roma? Quali difficoltà e quali soddisfazioni?

Le difficoltà, a parte il periodo di crisi che sta colpendo un po’ tutte le attività commerciali e le librerie in particolare, sono le solite: far tornare i conti e reperire i testi che vengono richiesti.  Quando riusciamo ad accontentare e a soddisfare un cliente, per noi è una grande gratificazione.
Chi è il cliente tipo di Orientalia?

Sicuramente gli  studenti che studiano lingue orientali sono, almeno numericamente, quelli che la fanno da  padrone. Come dicevamo, il nostro  punto di forza è stato proprio quello di aprire vicino la Facoltà di Studi Orientali. Ma gli universitari non sono i soli: ci sono tanti studiosi e semplici curiosi o docenti che ci contattano per trovare  libri che hanno difficoltà a reperire in altro modo. In questo momento ci stanno contattando anche dalla Spagna o dalla Germania, soprattutto per materiale in arabo o cinese.

Qual è il romanzo che svuota gli scaffali? Qual è il titolo più venduto?

Ahimè è da un paio d’anni che “svuotare gli scaffali” si sente poco! Non ti nascondo che ultimamente i manuali ed i dizionari sono i testi che vendiamo maggiormente, proprio in funzione  della vicinanza con l’Università. A parte i vocabolari ed i manuali di grammatica, potremmo dire che la Storia della Cina (Sabattini e Santangelo) o La Storia del Novecento (Samarani) sono i due testi storico-politici che vanno per la maggiore. Se dovessi andare sulla narrativa, sicuramente è da menzionare Haruki Murakami per quanto riguarda la sezione giapponese. Il Nobel a Mo Yan ha sicuramente risvegliato il settore della Cina, che era un po’ addormentato e, il vincitore del Nobel 2012 per la Letteratura e Yu Hua, sono  i più richiesti per quanto riguarda la narrativa cinese contemporanea.

Che metodo utilizzate per la scelta dei titoli da vendere? Avete degli esperti a consigliarvi?

Esistono diverse strade per la scelta dei titoli:  alcuni editori hanno i loro agenti che, più o meno ogni tre mesi, fanno il giro delle librerie e propongono le novità. Questo è il mezzo più veloce e più comodo. Poi ci sono le ricerche su internet, anche sui siti delle case editrici straniere e pagine web cinesi, giapponesi o indiane. Orientalia ha rapporti diretti con case editrici francesi, inglesi o americane che si occupano di Oriente. Ultimamente viene a trovarci, due volte l’anno, un rappresentante della Columbia University Press, per cui siamo molto aggiornati da questo punto di vista. Abbiamo anche contatti con distributori a Pechino o a Dheli. Ma certamente i suggerimenti ed i consigli dei clienti sono un ottimo mezzo di interazione con il nostro pubblico.

A proposito dell’evoluzione digitale del libro, come se la passa un libraio nell’era dell’ebook?

Male! L’ebook è sicuramente il prodotto che nel futuro andrà sempre più prendendo piede. E il libraio deve adattarsi, non rimanendo fermo ma cercando soluzioni che possano essere valide. Un’idea potrebbe esser quella di cominciare a vendere o produrre ebook come libreria. Orientalia è anche casa editrice con già tre pubblicazioni all’attivo e, alla fine del 2012, usciranno altri tre volumi editi dalla nostra casa, e sicuramente questa della digitalizzazione è una strada che stiamo valutando molto seriamente. Non ti nascondo che in questo periodo, non tanto l’ebook, ma la vendita online sia di libri cartacei che elettronici, ha creato parecchi problemi alle librerie medie e piccole. Dal punto di  vista del cliente, acquistare online un prodotto su cui hai  sconti e spedizione gratuita, è certamente più conveniente di comprare lo stesso testo in libreria. Questa è stata una delle ragioni per cui molte librerie hanno chiuso o stanno chiudendo. Non dobbiamo rimanere con le mani in mano e anche noi dobbiamo adattarci con le nostre politiche, la nostra professionalità e tenendo negli scaffali testi che non sono facili da reperire sul web. Sicuramente, grazie alla specificità del nostro materiale, ancora non subiamo così fortemente la concorrenza del web.


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mercoledì 19 dicembre 2012

Mi sa proprio che la colpa è del mercato finanziario

Lo dice la Banca mondiale non il Banco di Napoli


ECONOMIA
BANCA MONDIALE: ECONOMIA CINESE ALL’8,4 NEL 2013


di Antonio Talia
Twitter@AntonioTalia

Pechino, 19 dic.- La Banca Mondiale conferma la sua fiducia all’economia cinese e rivede al rialzo le previsioni sulla crescita nel 2013: secondo le ultime proiezioni, l’anno prossimo il Dragone potrebbe crescere dell’8,4%, contro l’8,1% stimato in precedenza.

“L’economia cinese inizia a mostrare l’effetto delle manovre volte a semplificare l’accesso al credito e dell’incremento degli investimenti in infrastrutture”, si legge nell’ultima edizione del rapporto. “Tali effetti sono destinati a continuare nel 2013, dato che le autorità cinesi hanno accelerato l’approvazione di nuovi progetti”.

Le continue botte d’arresto registrate dall’economia del Dragone negli ultimi mesi avevano spinto il governo ad adottare nuove misure espansive, dopo un periodo in cui tutti gli sforzi erano stati diretti a contenere l’inflazione e l’aumento dei prezzi delle abitazioni, ritenuto ormai insostenibile per la stragrande maggioranza della popolazione. Così, a giugno e luglio la Banca centrale di Pechino ha operato in rapida successione due tagli al tasso d’interesse, e ridotto il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche di 150 punti base dal novembre 2011 ad oggi.

“Gli aumenti nella produzione industriale e negli investimenti suggeriscono che l’economia cinese aveva ormai raggiunto i livelli più bassi di crescita ed è pronta a ripartire” scrivono ancora gli analisti della Banca Mondiale.

Ma non tutti condividono le previsioni di World Bank. Tra i pessimisti c’è un economista come Andy Xie, scettico di lunga data sulle performance cinesi, che in un articolo sul quotidiano di Hong Kong South China Morning Post conferma tutti i suoi dubbi sulla tenuta del Dragone. Il cuore del problema, come predicano da tempo molti altri accademici e analisti internazionali, risiede ancora una volta nel settore immobiliare. “La crescita cinese è sostenuta dagli investimenti, oltre che dalle esportazioni. E tali investimenti si basano sulle vendite dei terreni statali e sulle tasse applicate alle proprietà, che aumentano le entrate fiscali e vengono nuovamente pompate nel sistema sotto forma di spesa per le infrastrutture”.

Tuttavia, secondo Xie, questo modello che costruisce immobili e resta in attesa della domanda solo in un secondo momento  mostra ormai diversi segni di debolezza: molte società attive nel manifatturiero investono anche nell’immobiliare, dal quale ricavavano profitti facili. Tutto finito, secondo l’analista: nulla, al momento, sembra rimpiazzare il ruolo della bolla immobiliare come carburante  capace  di mantenere  in moto il resto del sistema. Cosa succederà? Gli analisti della Banca Mondiale ritengono che gli ultimi dati positivi, come produzione industriale e aumento degli investimenti, stiano puntando decisamente nella direzione di un miglioramento della crescita cinese. Altri, come Xie, preferiscono non fare troppo affidamento sulle stime ufficiali, e prevedono nuove frenate anche per l’anno che verrà.

anche noi ma con la valigia di cartone


Ricco e cinese: il 'volto'
dell'immigrato del 2011


di Sonia Montrella
Twitter@SoniaMontrella

Roma, 19 dic.- Passaporto cinese, trolley firmato Louis Vuitton al seguito, biglietto di prima classe in mano. E’ la fotografia dell’immigrato del 2011: ricco, ben istruito e proveniente dalla Cina. Secondo l’International Migration Report (2012), stilato dal Centre for China and Globalisation (CCG) e dalla scuola di Legge del Beijing Institute of Technology, la seconda potenza economica al mondo, il cui PIL ha viaggiato per anni sulle due cifre, è anche il primo Paese da cui si scappa. Nessuna valigia di cartone o cervello in fuga, in Cina i problemi sono altri e a volare oltre-confine sono coloro che posso permetterselo, per eludere inquinamento ambientale e corruzione politica.

L’anno scorso, rivela lo studio, oltre 150mila persone hanno lasciato l’ex Impero di Mezzo, di queste 87mila si sono trasferite negli Stati Uniti, 30mila in Canada e altrettante in Australia, 6mila in Nuova Zelanda.
“Le classi agiate e ben istruite sono diventate le protagoniste dell’esodo di massa. La percentuale di immigranti appartenenti a questo gruppo sale sempre di più”. Circa 6000 cinesi sono oggi cittadini permanenti statunitensi, canadesi o australiani grazie ai massicci investimenti fatti nei Paesi, una corsia preferenziale per l’ottenimento del permesso. Una formula che ha funzionato soprattutto in America dove in base al programma EB-5, gli stranieri che investono 500.000 dollari (397.000 euro) in attività di business creando almeno 10 posti di lavoro, ottengono in cambio la green card, il permesso di residenza di durata illimitata per vivere negli Usa. L’iniziativa fu lanciata nel 1990 ed era rivolta principalmente ad attirare i cittadini ricchi di Hong Kong che volevano emigrare all’estero in vista del ritorno della colonia inglese alla madrepatria nel 1997.
Il 70% di coloro che hanno fatto domanda per l’EB-5 nel 2011 sono di nazionalità cinese e la percentuale sembra destinata ad aumentare, dato l’incremento esponenziale rispetto al 2006, in cui i partecipanti cinesi erano solo 63.

Per Liu Erduo, vice direttore della scuola del lavoro e delle risorse umane della Renmin University, il quadro rispecchia un’insoddisfazione generale. “In un certo senso l’esodo dei talenti è iniziato da quando la Cina è diventata più aperta al resto del mondo, in altro mostra il gap di benefit e reddito riservato alle elite tra la Cina e il resto dei Paesi più sviluppati”.

Secondo il direttore  del Centro ricerche per gli investimenti stranieri dell’Accademia di Scienze Sociali di Shanghai, Li Xiaogang, il fattore economico è secondario, a trainare il flusso la ricerca di migliori condizioni di vita in termini di ambiente, giustizia e politica. “Sebbene l’economia del Paese si sia sviluppata così tanto negli ultimi 30 anni, la situazione politica e ambientale è rimasta invariata”.

Un altro rapporto redatto da Bain&Company lo scorso anno sosteneva che l’80% dei cinesi emigrati all’estero lo ha fatto per garantire una migliore istruzione ai propri figli.

Aspettando la primavera


Cina, tra "primavere
mancate" e sfide future


Mercoledì 19 dicembre, ore 18

Libreria Orientalia
Via Cairoli, 63   Roma
Presentazione del libro “Cina, la primavera mancata”
(S. Montrella, S. Pieranni, A. Spalletta, A.Talia)
In collaborazione con AgiChina24 e China Files

L’Asino d’Oro Edizioni

Presenti gli autori del libro: Simone Pieranni, Alessandra Spalletta

Con la partecipazione straordinaria di Ilaria Maria Sala, corrispondente da Hong Kong per “La Stampa”


MODERA: Enrica Toninelli, caporedattrice esteri RaiNews24


Per gentile concessione dell'editore L'Asino d’Oro, pubblichiamo la prefazione di Ilaria Maria Sala

Dal 1989 ogni rivolta di piazza, in qualunque parte del mondo sia, ha sempre un termine di paragone che prima o poi viene esplicitato: la primavera di Pechino, i fatti di Tian’anmen. È uno strano destino: prima delle primavere arabe, prima delle rivoluzioni colorate, prima ancora della caduta di Suharto in Indonesia, e perfino, più indietro nel tempo, prima della caduta del muro di Berlino, c’era Tian’anmen. La primavera fallita, a cui però tutte le altre si sono ispirate. La primavera che lasciò per le strade della capitale cinese il sangue di studenti, operai, passanti, uomini e donne che avevano creduto nella possibilità di cambiare in meglio il paese. E il sangue di coloro che erano usciti in fretta nella notte fra il 3 e il 4 giugno per proteggere «i nostri studenti», come erano chiamati i manifestanti da tutti quelli che assistevano ammirati e inquieti alle loro proteste. Anche loro si trovarono ad affrontare i carri armati e i mitra dei soldati, e nei giorni successivi ci si rese conto che molti di questi osservatori partecipi pagarono con la vita il tentativo di  ifendere i giovani ribelli di Tian’anmen. Nel 1989 l’intera Cina era sospesa fra due possibilità, entrambe impensabili. Da un lato, l’idea rivoluzionaria e semplice di ottenere libertà di stampa e di espressione, di estirpare la corruzione e il privilegio, e di avere, per tutti i cittadini, la possibilità di contribuire a eterminare il proprio futuro. Dall’altro, quella di una società che si chiudeva politicamente, che aumentava i controlli e diminuiva lo spettro del possibile, che decideva, dall’alto verso il basso, quali strade potevano essere percorse e quali invece sarebbero state precluse, e che imponeva di nuovo una lista dei pensieri accettabili e di quelli da schiacciare sul nascere.

Fra le due ipotesi, come sappiamo, i governanti cinesi scelsero di imporre la seconda, ma i ventitré anni che sono passati da quel momento hanno portato la Cina in una direzione diversa da ogni previsione,  dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, che il paese è troppo grande e troppo complesso per prestarsi alle fantasie di chi vuole guardare nella sfera di cristallo. Oggi la Cina è riuscita a coniugare una sua versione della modernità con un tipo di censura atemporale e anacronistica, che resiste caparbia a ogni tentativo di essere soffocata a suon di sberleffi, una propaganda che non si lascia turbare da nulla e che non ha nessun timore del ridicolo. È una potenza commerciale davanti alla quale tutti hanno voluto inginocchiarsi, molto prima che ciò fosse necessario, e molto più profondamente del dovuto. Nessuno, proprio nessuno si sarebbe aspettato, ventitré anni fa, che le cose avrebbero preso questa piega. Una volta ripulite le strade dai corpi delle vittime, dalle tende in cui dormivano gli studenti a Tian’anmen, dai carri armati bruciati nei giorni di guerriglia urbana che  seguirono la repressione, dalle barricate costruite con arredi urbani divelti, e malgrado un coprifuoco severo che rimase in vigore fino alla fine di quell’anno, dovunque si sussurrava che di nuovo ‘qualcosa’ sarebbe successo e le libertà negate sarebbero state conquistate. Dopo più venti anni questi mormorii sono ormai rari, ma nondimeno, in Cina, come specifica questo volume puntuale e dettagliato, si è sempre un po’ sul chi vive, perché chissà, forse una nuova primavera potrebbe avere inizio.

Periodicamente, gli osservatori, tanto in Cina quanto all’estero, si illudono che il momento di un’apertura liberatoria sia arrivato: ora le speranze sono accese da uno dei cambiamenti ciclici della dirigenza, ora dai contraccolpi di eventi esterni che sembrano scuotere tutto, ora dal diffondersi delle nuove tecnologie, ora da alcune rivolte localizzate ma che parlano al paese intero, come nel 1989 ma meglio che nel 1989.
Il 2011, l’anno del sollevamento arabo che avrebbe potuto estendere il suo contagio al di fuori del Mediterraneo, ha visto dunque arrivare un altro di questi momenti in cui, per un attimo almeno, si guarda a quello che avviene in Cina chiedendosi se forse, chissà, è giunta l’occasione che farà accendere la scintilla capace di illuminare a giorno le speranze dei riformatori. Tanto più oggi, nell’era di Twitter e Weibo, un’epoca in cui le notizie vanno di furia e invecchiano in fretta, e che i famelici social network hanno bisogno di sempre nuove informazioni da consumare, ecco che in molti avevano già provveduto a scrivere articoli ed editoriali sull’inevitabile domino che doveva rendere febbricitante anche la Cina.

Doveva essere la primavera dei Gelsomini: ma non lo è stato. Questo libro spiega perché, individuando sulla scena cinese un protagonista forse poco noto all’estero, ma onnipresente: si tratta del weichi wending, solitamente abbreviato in weiwen, il «mantenimento della stabilità» sul quale i governanti cinesi hanno posto enfasi totale e assoluta. Stabilità a ogni costo, ovvero anche modulando le risposte a seconda del pericolo che il potere reputa di avere davanti.

I quattro giornalisti autori di questo volume spiegano molto bene, con esempi vivaci e una scrittura brillante, che una protesta può essere foriera di maggiore repressione nel caso si tratti di un movimento politico dissidente o, peggio ancora, di disordini che si accompagnano a tensioni etniche, come in Tibet o nel Xinjiang. Oppure, che può portare a concessioni impreviste e a compromessi soddisfacenti, quando invece si tratta di scioperi di operai e lavoratori che protestano per motivi contingenti (dai salari alle ore e condizioni lavorative), o della nuova borghesia urbana che si oppone a industrie inquinanti nel cortile di casa sua. Ci spiegano, cioè, che il regime sa adattarsi e anche ascoltare quando non si sente sotto attacco diretto, ma che non perdona nel caso in cui si metta in discussione la sua legittimità e i suoi metodi più profondi. E nel caso in cui questa spiegazione della Cina attuale, tutto sommato semplice, sembri chiarire le cose, ecco che in questo paese così restio alle generalizzazioni si devono aggiungere anche altre variabili – costituite, per esempio, dalle personalità che dirigono i giochi, che si sia a Chonqching o nel Guangdong.

Ma non solo, a complicare il quadro, è ovvio, c’è di più: per quanto lo Stato si impegni a mantenere la censura, per quanto il governo faccia per soffocare ogni informazione vera sotto tonnellate di notizie frivole senza peso specifico, i social network non sono del tutto imbavagliabili, e da sotto le dighe e le muraglie qualcosa riesce a filtrare, più veloce del delirio censorio che lo vuole intrappolato.

I dettagli, le dinamiche di tutto ciò, sono finalmente disponibili in questo volume che si sofferma a fare il punto di una situazione che, per essere capita, ha bisogno di tempo e pazienza, fornendo gli strumenti, la cronologia indispensabile e il contesto in cui tutto ciò si è sviluppato.

Di nuovo, dunque, come si può leggere qui, la primavera di Pechino è stata di nuovo una primavera mancata; questa volta, però, senza nemmeno quei momenti di gioia e speranza che avevano infiammato tanti cuori e che l’avevano resa un’ispirazione mondiale indimenticabile malgrado la sua tragica fine. La repressione, preventiva e totale, del 2011, mostra fino a che punto i contraccolpi del 1989 si riverberino ancora oggi in Cina, malgrado la fretta con cui innumerevoli osservatori vogliano descrivere come ormai dimenticato e irrilevante quel momento spartiacque della storia contemporanea cinese, quello è ancora oggi lo spettro che turba i sonni di un regime che, al suo interno, si sente molto più fragile di quanto non appaia da fuori.

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martedì 18 dicembre 2012

A proposito di dati certificati


Crisi, Annuario Istat 2012: peggiora la vita di oltre la metà degli italiani. Meno lavoro, meno studenti, più disagi sociali

L'Annuario Istat a raffica. Tutti i dati vanno nella stessa direzione per dire che oltre il 50% degli italiani stanno peggio dello scorso anno. La situazione economica, per più della metà dei cittadini, si è deteriorata. E l'istituto di statistica italiano stende la lista. Aumenta la disoccupazione e la rassegnazione a trovare un posto di lavoro. Calano gli iscritti alle scuole superiori e università. Peggiorano i servizi sanitari e diminuiscono gli studenti che preferiscono cercarsi un lavoro. Insomma, un paese provato.

Scendono drasticamente le risorse economiche rispetto al 2011. Quest'anno la situazione delle famiglie e' sensibilmente peggiorata rispetto al 2011. Lo rileva l'Annuario statistico dell'Istat, secondo il quale il dato negativo coinvolge tutti gli ambiti territoriali dell'Italia: il Nord passa dal 41,2% al 53,6, il Centro dal 43,4% al 56,2 e il Mezzogiorno dal 47,6% al 58,8. Il giudizio delle famiglie sul livello di adeguatezza delle loro risorse economiche, osserva l'Istituto di via Balbo, ''e' speculare a quello dell'andamento della situazione economica''.

La mancanza di lavoro così prolungata scoraggia sempre di più la ricerca di un'occupazione. Nel corso del 2011 l'Istat registra un allungamento della durata della disoccupazione, con uno su due in cerca di lavoro da almeno un anno. Dall'Istat, infatti, emerge come l'incidenza della disoccupazione di lunga durata sia arrivata al 51,3% (48% nel 2010). Inoltre si evidenzia una ''zona grigia'', fatta da scoraggiamento e attesa di esiti di passate azioni di ricerca: principali ragioni della mancata 'caccia' di un'occupazione, segnalate da circa 1 milione e 800 mila inattivi.

Peggiora la situazione delle donne nel contesto professionale. Il tasso d'inattivita' per la componente femminile e' ancora particolarmente elevato, nonostante il calo registrato nel corso del 2011 (48,5% nel 2011 rispetto a 48,9% di un anno prima), specie nel Mezzogiorno, dove poco piu' di sei donne ogni dieci in eta' lavorativa non partecipano al mercato del lavoro.

Ci si iscrive meno, non solo all'universita' ma pure alle superiori. I giovani preferiscono cercare un lavoro. Per il terzo anno consecutivo, secondo l'Istat, a scendere sono soprattutto gli iscritti alle secondarie di secondo grado (-24.145 unità). Se il tasso di scolarita' si attesta ormai da qualche anno intorno al 100% per elementari e medie, subisce un'ulteriore flessione, dal 92,3% del 2009-2010 al 90%, quello riferito alle superiori.

Crisi, Annuario Istat 2012: peggiora la vita di oltre la metà degli italiani. Meno lavoro, meno studenti, più disagi sociali
La spesa non da segnali di ripresa. In Italia i consumi sono fermi, con gli esborsi delle famiglie in frenata. L'Annuario statistico italiano dell'Istat evidenzia una 'stazionarieta' in termini di volume dei consumi nazionali''. In particolare, spiega l'Istituto, ''la spesa delle famiglie residenti, effettuata sia in Italia sia all'estero, e' aumentata dello 0,2% in diminuzione rispetto all'1,2% del 2010''.

E' difficile, dunque, comperare anche la prima casa. Lo sa bene l'Istat. In Italia sembra che si avviino sempre meno cantieri, vista la discesa a picco delle nuove case. Secondo l'Annuario statistico italiano, infatti, il numero di abitazioni dei nuovi fabbricati residenziali e' salito dalle 44.167 unita', del primo trimestre 2000, fino ad un massimo di 75.081 abitazioni raggiunto nel quarto trimestre 2004; poi dal 2006 si e' iniziata a registrare una riduzione per arrivare al quarto trimestre 2011, con il numero crollato a 23.681 abitazioni, in calo di circa i due terzi rispetto ai massimi.

La crisi non invita al cambio dell'auto. Secondo l'Istat gli italiani non compreranno un'auto nuova almeno per i prossimi tre anni. Un dato che non regala prospettive rosee nel breve.

Sempre più famiglie, poi, denunciano le difficoltà per l'accesso ai servizi di pubblica utilità preferendo, dove possibile, i servizi via internet. In particolare per il pronto soccorso (52,7%), le forze dell'ordine (37,2%), gli uffici comunali (33,7%), i supermercati (28,5%) e gli uffici postali (25,3%). E gli sportelli delle Asl risultano quelli dove i tempi di attesa per l'erogazione dei servizi sono piu' lunghi.

Non date retta allo Spread


Per spiegare ai politici lo spread, iniziamo a pagarli in Btp
Umberto Cherubini
Lo spread, diversamente da come dicono molti, è un indicatore di probabilità: l’anno scorso, c’era una possibilità su tre di non riavere i propri soldi. Adesso è una su quattro. Il merito? Una cura da cavallo – dura, è vero – che però ha dato i suoi frutti. E forse insegnerà ai politici qualcosa di più.

Lo spread è legato alla probabilità. Ci fosse stato un politico, più o meno tecnico, che l’ha azzeccato! Lo spread è un termometro un po’ più sofisticato della probabilità che ai nostri regolatori  pare così difficile e pericolosa da diffondere. E i politici proseguono in una polemica senza senso. Per insegnare loro cosa è veramente lo spread sarebbe sufficiente pagarli in BTP. E potrebbe anche non essere una cattiva idea per allineare gli incentivi. 

Sentir parlare di spread come se ne sta parlando in questa campagna elettorale a uno che fa il mio lavoro fa lo stesso effetto che costringere un appassionato di punk ad assistere alla prima della Scala (e i lettori melomani possono pensare a un esempio di segno opposto). Parliamo dello spread come un termometro, ma non sappiamo di che. C’è chi dice: avevamo uno spread che eravamo quasi morti. C’è chi replica: macché, lo spread è stata una scusa per marcare visita (cambiare governo). E poi ci sono i populisti: ma dello spread del corpo ai milioni di piccole cellule che si sbattono dalla mattina alla sera che minchia gliene frega? E il corpo che sente questa animata discussione, e sente che la discussione è tra i medici che gli stanno preparando la cura per rimettersi, non può che toccarsi.

Mettiamo un po’ d’ordine in questo marasma. Lo spread segnala solo l’aumento del costo del debito? No. Se fosse solo questo avrebbe ragione Berlusconi, a novembre 2011 avremmo soltanto preso una botta di febbre. Lo spread è l’aumento del costo che le aziende pagano per finanziarsi? Sì e no. Lo spread può avere metastasi in molte parti del corpo, ma questa non è una conseguenza necessaria. Ci sono banche di paesi ad alto spread che hanno avuto spread inferiori del paese di riferimento.  Lo spread è una sorta di maledizione vudu che un sabba di banchieri ci ha scagliato in una notte di luna piena? Chi ci crede si faccia esorcizzare.

Vediamo dunque qual è il vero significato dello spread, e come si legge. In primo luogo la misura corretta dello spread NON è quella del rendimento dei Bto rispetto ai Bund: questa è una misura che ne ha dentro due, una che misura quanto al mercato fanno schifo i Btp e una che ci dice quanto fanno gola i Bund. Il vero spread che consideriamo in finanza è quello rispetto al tasso Irs (il cosiddetto asset swap spread), o quello dei Cds (credit defaul swap spread). Queste ultime due misure sono legate, nel senso che ci sono operatori che comprando su un mercato e vendendo sull’altro tengono i due spread vicini.

Ora, cosa significava al novembre 2011 avere uno spread di 500 punti base? La cosa è molto semplice. Anzi, sul mercato si chiama proprio così: “the simple rule”. Dividete 500 punti base per 100, per avere il dato percentuale: 5%. Poi, ecco “la regola semplice”: dividete 5% per quello che vi aspettate di perdere da un fallimento dello stato italiano. Supponiamo che sia il 60% . Ottenete: 5% diviso 60% uguale a 8,33%. Ora, se la misura dello spread è riferita a titoli o Cds a 5 anni, andate su un foglio Excel, e in una cella mettete il calcolo: “=1 – exp(–0,0833*5)”. Nella cella comparirà un numero: 34,0649%. Ecco cosa significa lo spread. E’ un termometro che ti dice: tra 5 anni hai il 34% di probabilità di essere morto.

Ecco il significato dello spread. Voleva dire che analisti, investitori, banche, cittadini, politici (perché non ho visto neppure politici, e neppure “lui”, fare incetta di Btp) erano concordi che c’era una probabilità su tre di non rivedere indietro i propri soldi. Vuole dire che eravamo in buona salute? Vuol dire che cambiare i medici che ci avevano in cura è stata una mascalzonata?

Ora abbiamo passato un anno in sanatorio, con una cura da cavallo. La nostra febbre è scesa a 320. Fate gli stessi conti, e trovate che ora abbiamo una probabilità su quattro di non arrivare a cinque anni. Meglio di una su tre, giusto? Pare di no. E’ materia di discussione. Discussione fatta di parole, e le parole in economia e finanza (molto più che in altri campi) se le porta il vento. Sarebbe stato più interessante e convincente sapere quanti Btp c’erano nei portafogli di Berlusconi e Mediaset, e di tutti quelli che dicono che si stava meglio quando si stava peggio, e soprattutto lo fanno parlando di spread a sproposito. Un modo per insegnare alla politica cos’è veramente lo spread ci sarebbe: pagare i costi della politica in Btp. Gli inglesi dicono: put your money where your mouth is. E forse avrebbe anche un effetto di incentivo a fare buona politica invece che cattiva informazione.



Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/spiegare-ai-politici-lo-spread-iniziamo-pagarli-btp#ixzz2FQGGmpqL

L'egoismo ci porta a non vedere la via di mezzo

Cina: spiana le montagne per recuperare territorio
- TACCUINO DA SHANGHAI‏
Il Sole 24 ORE - Radiocor 17/12/2012 - 16:09
di Alberto Forchielli*


Radiocor - Milano, 17 dic - La terra, come l'acqua, e' sempre piu' rara in Cina. Solo l'11% della superficie e' coltivabile e la migrazione dalle campagne - un fenomeno di dimensioni bibliche - ha reso i terreni intorno alle citta' sempre piu' scarsi e preziosi. Per la prima volta nella sua storia millenaria, la Cina e' ora un paese urbanizzato, dove la popolazione che vive nelle campagne e' ormai inferiore, seppur di poco, alla meta' del totale. Una millenaria civilta' contadina ha ormai inequivocabilmente cambiato struttura. Rimangono tuttavia aperti rilevanti problemi economici, legati sia alle coltivazioni che alle costruzioni. Il primo e' stato molto parzialmente risolto con il land grabbing, l'acquisizione di terra in affitti di lunghissima scadenza in paesi stranieri, grandi ma sparsamente popolati. Sono tuttavia necessari interventi piu' radicali e, in mancanza di direttive complessive, Pechino ha dato l'assenso a operazioni che appaiono bizzarre, ma rivelano l'urgenza dell'intervento. L'esecutivo ha infatti approvato lo scorso agosto un maxi piano di livellamento di ben 700 tra montagne e colline nella periferia di Lanzhou. L'obiettivo e' di costruire una nuova metropoli, un'appendice alla citta' che gia' conta 3,6 milioni di abitanti. Sara' il primo intervento per una 'zona di sviluppo a livello statale' costruito nell'entroterra del paese. Gli altri - il piu' importante e' stato Pudong, sull'altra riva del fiume a Shanghai - hanno avuto luogo sulla costa cinese, dove piu' ardue sono le soluzioni per trovare terra edificabile. Il progetto e' stato affidato a Yan Jiehe, tra gli uomini piu' ricchi della Cina, presidente di una delle aziende immobiliari piu' potenti, la China Pacific Construction Group. Evidentemente il suo progetto deve essere stato ben studiato prima della sua approvazione, perche' i dubbi che genera sono ragionevoli. Lanzhou e' infatti storicamente afflitta da mancanza d'acqua. Costruita sulle rive dello Huang Ho (il Fiume Giallo,) e' la capitale del Gansu, la provincia cinese che si incunea lungo il corso del fiume in zone aride e desertiche. Azzerare letteralmente le montagne significa mettere a repentaglio precari equilibri geologici che si basano su uno sfruttamento accorto delle poche risorse idriche disponibili. Inoltre, sul progetto aleggiano i fallimenti di tentativi analoghi. Intere conurbazioni nel nord della Cina sono state costruite per poi trasformarsi in citta' fantasma, disabitate negli uffici e nelle abitazioni che avrebbero dovuto attrarre nuovi clienti. Evidentemente non tutta funziona come previsto nel magma di interessi del mercato immobiliare. Forse ancora piu' eccentrico appare il tentativo di recuperare terreno coltivabile attraverso la rimozione dei cimiteri. Il Governo della provincia dell'Henan, uno dei polmoni agricoli del paese, sta mettendo in atto una misura che spiana gli ammassi di terra (delle piccole colline semisferiche) dove i corpi vengono seppelliti. L'obiettivo e' di rimuoverne piu' di 3 milioni per ricavare terra coltivabile. E' prevedibile una fiera resistenza, perche' nelle campagne l'abitudine di seppellire i congiunti non e' stata quasi intaccata dalle direttive governative che impongono - seppure in maniera non coercitiva - la cremazione, come avviene nelle citta'. L'opposizione e' articolata, fino ad aver raggiunto il livello accademico. Un professore ha provocatoriamente suggerito la rimozione del corpo di Mao Ze Dong nel Mausoleo di Piazza Tian An Men. In realta', il fondatore della Repubblica Popolare aveva chiesto di essere cremato, anche se ha poi prevalso la retorica celebrativa a difesa dello status quo. Evidentemente non si recupera terra rimuovendo un monumento, ma l'ardire della proposta rimane intatto, soprattutto se messo in paragone con l'intenzione del Governo di richiedere l'immissione del Mausoleo di Mao nella lisa dei patrimoni dell'Unesco.

* Presidente di Osservatorio Asia

lunedì 17 dicembre 2012

Yin e Yang


PRESO DA GIUDIZIOUNIVERSALE.IT
IL FONDO SOVRANO CINESE

Inauguriamo oggi la collaborazione con giudiziouniversale.it che proporrà ai suoi lettori contenuti di approfondimento a cura di AgiChina24.

Roma,. - Per alcuni sono i salvatori dell’economia dopo la crisi; per altri sono la prosecuzione della politica con mezzi finanziari e rappresentano interessi opachi: sono i fondi sovrani, e quello cinese, in particolare, è oggetto del libro di Alessandro Arduino “Il fondo sovrano cinese” edito da ObarraO Edizioni in collaborazione con il Cascc. Dalla sua comparsa sulla scena, China Investment Corporation (CIC) è stato sempre considerato con un misto di interesse e preoccupazione. I fondi sovrani obbediscono a un’agenda politica? E se questa massa di capitale venisse usata per approvvigionamenti di materie prime a prezzi tali da distorcere gli equilibri di mercato? AgiChina24 prende spunto dal libro per tentare di interpretare una realtà complessa.

“Figli” della crisi e smottamento di potere

All’inizio della crisi finanziaria, i fondi sovrani di Kuwait, Corea del Sud e Singapore firmano una spettacolare operazione di salvataggio: 69 miliardi di dollari messi a disposizione per pompare liquidità in Citygroup e Merril Lynch, le due banche d’investimento infartuate a causa di una esposizione alla crisi dei mutui subprime. Le Tigri asiatiche salvano gli Stati Uniti dalla Grande Recessione. Perché i fondi sovrani fanno paura? Davanti al valore aggregato di 3 mila miliardi di dollari, l’Occidente impallidisce. Se siamo di fronte a uno slittamento del potere economico dai paesi liberali alle nazioni governate da forme di capitalismo autoritario, i fondi sovrani ne costituiscono l’architrave. Perché tra i più temuti dei fondi dovrebbe collocarsi proprio quello cinese? La politica monetaria di Pechino ha sempre favorito investimenti a basso rischio, mediante l’acquisto di buoni del Tesoro: la trasfusione finanziaria in favore di banche e società d’investimento, in contemporanea alla fragilità dei mercati internazionali, ha alimentato molti dubbi in merito all’azione dei fondi sovrani.

Cos’è il CIC

Perché la Cina si ammanta di riserve in valuta estera? Per esorcizzare il rischio di shock finanziari. E' ancora viva la memoria della crisi che mise in ginocchio le Tigri Asiatiche nel 1997. La Cina allora resse grazie all'inconvertibilità della sua moneta. Oggi le casseforti di molti paesi dell'Asean Plus Three (fondato nel 1999, l’ASEAN+3 comprende Cina, Giappone e Corea del Sud)  contengono preventivamente una quantità di valuta estera superiore ai debiti contratti con le banche straniere. Cina in primis. Risultato: oggi le riserve cinesi hanno toccato quota 2399 miliardi, marcando un nuovo record. Quando si dice che la Cina finanzia il debito pubblico americano, non bisogna stupirsi: l'acquisto dei bond americani, come si è visto, è considerato da sempre un investimento a basso rischio. Ma anche a basso profitto.
Con una dotazione iniziale di 200 miliardi di dollari, il fondo sovrano cinese è stato creato nel 2007 su impulso del Ministero delle Finanze proprio con la missione di diversificare parte delle immense riserve valutarie in investimenti più retributivi rispetto ai Treasury Bonds americani. Dinanzi ai sospetti di chi lo bolla come il “braccio finanziario” di Pechino, il direttore Lou Jiwei ha spesso tentato di sgombrare il campo da possibili equivoci, dichiarando che il CIC intende essere un “investitore passivo, che controlla quote di minoranza”. Prerogativa del CIC è perseguire obiettivi a lungo termine, in linea con la politica economica del socialismo di mercato, basato su piani di sviluppo quinquennali.
Il CIC non è nato sotto una buona stella. Su di esso pesa una difficile eredità: l’iniziale esposizione di Lou Jiwei alla gogna mediatica, un eccesso di zelo dovuto alla necessità di contrastare la concorrenza di un potente rivale, il SAFE (Safe Administration Foreign Exchange), controllato dalla PBoC; e un difetto congenito di nascita. Diversamente dai fondi sovrani di altri paesi, infatti, il CIC non attinge direttamente alle riserve valutarie, ma nasce attraverso l'emissione di obbligazioni preferenziali con la garanzia di un interesse del 4,5%. In altre parole, se il fondo non vuole andare in perdita, i profitti giornalieri non devono essere inferiori a 300 milioni di yuan. Una cifra spettacolare che ne spiega la primordiale ansia da prestazione.
Le prime operazioni gettano il fondo sovrano sotto la luce dei riflettori mondiali: il CIC acquisisce il 10% delle azioni di Blackstone. Davanti alla mossa cinese - una operazione da 3miliardi per entrare nel capitale di una delle più promettenti finanziarie americane in fase di Opa -  negli Stati Uniti si diffonde un sentimento di profonda  preoccupazione. In realtà l'azione cinese si rivelerà un disastro: Blackstone è destinata a perdere nel giro di pochi mesi più del 50% del suo valore; con uno sconvolgente effetto domino, crollano anche i titoli delle altre due realtà in cui il CIC ha investito: Morgan Stanley e il fondo statale The Reserve.  Lou Jiwei è costretto a rivedere la strategia d'investimento: queste consistenti perdite iniziali, benché ammortizzate dalle ingenti riserve valutarie, lo costringono a far fronte alle pressioni interne. La Cina, infatti, sta vivendo un passaggio focale della trasformazione strutturale del proprio modello di sviluppo economico: la riconversione da un'economia orientata all’export e agli investimenti diretti esteri, a una economia trainata dai consumi interni, richiede un costo elevato. "Sarà compito del CIC generare una parte sostanziale degli attivi necessari", chiarisce Arduino.
Veniamo ad oggi. Se nel 2008, oltre agli investimenti legati alla finanza americana, non possiamo dimenticare quegli interni operati tramite Central Huijin per la ricapitalizzazione delle quattro maggiori banche d’investimento, nel 2009 il CIC ha acquisito quote di minoranza in numerose compagnie chiave dell’economia USA, tra cui Coca-Cola, Apple e Goodyear; altri investimenti sarebbero stati indirizzati verso l’energia, il settore minerario e quello del real estate in diverse nazioni, tra le quali Brasile, Australia, Kazakhstan e Indonesia. Gli utili del 2009 potrebbero superare i 10 miliardi di dollari e gli organi ufficiali riferiscono di un possibile aumento di capitale (che sarebbe passato da 200 a 300 miliardi di dollari). Molte supposizioni, poche conferme: le operazioni del CIC restano di difficile tracciabilità; dopotutto, la segretezza è una prerogativa di tutti i fondi sovrani.
Il CIC ha chiaramente messo in atto una nuova strategia tesa ad investire buona parte delle risorse nell'accaparramento di riserve minerarie ed energetiche. Circola persino voce che all'interno del CIC venga creata una divisione specializzata nella gestione delle commodities. Del resto è noto che il Dragone ha sete di materie prime. Così come è noto che la Cina da tempo abbia puntato gli occhi sull’Africa.

Un passo indietro: scenari

La Cina sta comprando il mondo? Negli anni 80 era diffuso il timore della conquista nipponica, oggi alla paura nipponica si sostituisce quella cinese; tanto che “il colpo di mano della Mitsubishi UFJ nei confronti del CIC”, di cui nel libro si fornisce un'ampia descrizione, "viene accolto positivamente dall'opinione pubblica americana". All'epoca, ai titoli allarmistici della stampa americana "i giapponesi comprano il cuore di New York", il presidente della Sony Morita rispondeva: "se non volete che il Giappone compri, basta non vendere". Il paragone tra il Giappone degli anni ottanta e la Cina di oggi finisce qui?  Nel fornire una chiave di interpretazione a un dejà vu imperfetto, Arduino colloca le azioni del fondo sovrano all'interno di un complesso quadro finanziario e geopolitico. "In questo momento di crisi, l'orizzonte d'investimento si è rarefatto, arrivando quasi al day trading: il mantenimento di un'ottica di lungo periodo porterà a un livellamento della volatilità dei mercati globali.” Se il CIC presenta ancora lo svantaggio di avere competenze inadeguate a seguire l'evoluzione dei mercati in cui è presente, lo scarso uso di strumenti di leva finanziaria (modalità che hanno configurato la principale debolezza degli hedge funds, con gravi conseguenze nei bilanci delle maggiori banche e società d'investimento mondiali) ne costituisce un evidente vantaggio, spiega Arduino.
Il CIC avrà quindi un effetto stabilizzatore anche dei mercati finanziari? Oppure l'Occidente deve temere le azioni di un fondo gestito in modo poco trasparente e ambiguo (tratto comune a molti fondi sovrani)? Non è semplice collocare le linee guida del CIC all'interno di un quadro ideologico ingessato; l’espressione “socialismo di mercato", da sempre ritenuto un ossimoro, è oggi diventato una formula di cui la crisi finanziaria avrebbe incoronato la vittoria, espressione dell'unico Paese che è stato in grado di aggredire la crisi in tempi record tanto da far sperare, nonostante le ripetute smentite del Premier cinese, che il Dragone potesse trainare le altre economiche fuori dal tourbillon della crisi finanziaria. Alla mano invisibile di Adam Smith, scrive Arduino, si è andato a sostituire un modello di sviluppo economico contrapposto, che oggi potrebbe rappresentare per le economie asiatiche una reale alternativa. Come abbiamo visto, il fondo sovrano cinese viene alla ribalta sulla scena internazionale in una fase di smottamento degli equilibri monetari globali che, con l'avvento della crisi nel post-15 settembre (data del fallimento di Lehman Brothers) vedono spostare l'ago della bilancia gradualmente a favore delle economie asiatiche, che riescono ad organizzare una risposta tempestiva ad efficace - Cina in testa - alla recessione globale, anche grazie alla ventennale riforma del sistema bancario che oggi appare più solido.  Malgrado gli sforzi messi in campo per contrastare la crisi abbiano presentato un conto salato alla leadership cinese - la nuova sfida di Pechino si misura oggi in termini di lotta al credito facile, gestione dello scenario inflazionistico, rischio di una bolla speculativa nel settore immobiliare e azionario, raffreddamento dell’economia - la Cina ha chiuso il 2009 con l'obiettivo agognato: una crescita del Pil dell'8,7%, la soglia minima per garantire la stabilità nel Paese. Ma non va dimenticato che il temuto fondo sovrano si coniuga con un Paese che presenta ancora profonde sacche di arretratezza, un “paese in via di ri-sviluppo”, specifica Arduino ad AgiChina24. "La Cina si presenta all'estero come un monolitico colosso economico, la cui base però poggia ancora su piedi di argilla". La transizione verso una economia trainata dai consumi è ancora un obiettivo lontano: Cina e Stati Uniti ancora fortemente interdipendenti e il "modello economico cinese è ancora in simbiosi con il consumo americano". La contrazione della bilancia commerciale, che ha provocato uno shock anafilattico all'industria cinese, da un lato, e l'indebolimento del dollaro, dall'altro, hanno toccato un nervo scoperto. Wen Jiabao a Davos, attaccando gli Usa come fonte della crisi finanziaria, ha espresso pubblicamente le preoccupazioni sugli effetti negativi che le politiche fiscali e monetarie americane potrebbero avere sul dollaro, e quindi sulle riserve detenute dal Dragone. Alle dichiarazioni di Wen ha fatto eco il governatore  della Banca Centrale Zhou Xiaochuan con la proposta utilizzare i Diritti Speciali di Prelievo al posto del dollaro come architrave del sistema monetario globale, definendo un "pericolo" l'affidamento ad unica valuta.
Gli Americani temono una fuga del Dragone dal dollaro, ma gli analisti escludono la possibilità di acquisti in valute alternative, come ad esempio l'euro. Sembrerebbe invece che a un disimpegno sul dollaro possa seguire un apprezzamento di minerali preziosi e commodities. Ad ogni modo, appare ormai chiaro che il Paese di Mezzo continuerà a sovvenzionare il debito americano fino a quando non avrà cambiato il suo modello di sviluppo. Il vero fronte ostile è il tasso di cambio: alle pressioni di Obama sull’apprezzamento dello yuan, ritenuto sottostimato e causa del surplus commerciale cinese, fanno da contraltare sia l'atteggiamento ottimista di Geither che tenta di smorzare le polemiche, sia un ruolo sempre maggiore della Cina all’interno degli organismi finanziari internazionali, come la recente nomina di Zhu Min a special adviser dell'FMI. Insomma, sembrerebbe che gli Stati Uniti stiano adottando la strategia del bastone e la carota. La Cina, invece, continua a rispondere alla pressioni americane ribadendo che la riforma del tasso di cambio sarà “graduale e controllata”,- anche per consentire agli esportatori colpiti dalla recessione globale di recuperare, e accusa gli Stati Uniti di voler scaricare a un’altra nazione la risoluzione dei suoi problemi. Pechino si sta opponendo con tutti i mezzi all’apprezzamento della sua moneta, che non considera affatto sottostimata. Un vero muro contro muro. La Cina è inoltre convinta che un improvviso aumento di valore della valuta avrebbe l’effetto di incrementare un massiccio afflusso di capitali speculativi dall’estero – la presunta “hot money” - che andrebbe a causare un pericoloso scenario inflattivo.

Il futuro

L'Aquila, insomma, deve fare i conti con l'accresciuta influenza del Dragone. L'azione del fondo sovrano, da un lato turba l’opinione pubblica americana perché si presenta come un concorrente nel mercato domestico, dall'altro fa comodo agli Stati Uniti perché si fa carico – come in passato - di operazioni di salvataggio finanziario.  “La Cina si aspetta che il suo status di banchiere dell’America si traduca in un accrescimento del proprio potere politico”, ha dichiarato di recente il congressman Michael Wessel. Le recenti misure anti-dumping sottolineano che l’Occidente sta reagendo a quella che viene percepita come ingerenza dei fondi sovrani con il ricorso al protezionismo. Ma non è una risposta sostenibile: "Al facile ricorso a protezionismo locale, che può nel medio-lungo termine portare a una chiusura dei mercati internazionali E a una conseguente implosione di consumi e produzione, risulta nell'immediato preferibile la progettazione di meccanismi di regolamentazione", sostiene Arduino. Oggi la Cina si presenta al mondo con una forte spinta nazionalistica. “Zhongguo Bu Gaoxing” (La Cina non è felice)  - libro recentemente messo al bando dalle autorità cinesi - esorta l'utilizzo del fondo sovrano per acquisizioni strategiche e non per porre rimedio agli errori del modello liberista americano.  "I maggiori rischi per il CIC sono in questo momento legati alla mancanza di una chiara strategia di sviluppo e alla dispersione degli investimenti”, chiosa l’autore.
Quale sarà il futuro del fondo sovrano? Non è un mero strumento finanziario, ma la pedina di un gioco più ampio. Chiaro. E’ uno strumento di soft power per favorire la penetrazione economica cinese nel mondo. Chiaro. L’azione dei nuovi fondi sovrani potrà condurre il processo di globalizzazione a una nuova fase o marcherà un ritorno alla nazionalizzazione di beni e processi produttivi? La risposta la trovate nel libro.


di Alessandra Spalletta

A proposito di Mao

ADDIO A RICHARD BAUM, LUTTO NELLA SINOLOGIA

di Antonio Talia
AGI CHINA24


Pechino, 17 dic.- Si è spento venerdì scorso all’età di 72 anni Richard Baum, uno dei massimi esperti del mondo cinese. In quarantadue anni di insegnamento alla UCLA (University of California-Los Angeles), attraverso la presidenza dell’UCLA Center for Chinese Studies, Baum ha formato migliaia di studenti provenienti da tutto il mondo, ed è stato il fondatore e il principale animatore di ChinaPol, un importante network online per lo scambio di opinioni sulla Cina.

Affascinato dalla politica cinese, nel 1967 Richard Baum riesce a ottenere una serie di documenti riservati del Partito Comunista Cinese condotti a Taipei dall’intelligence di Taiwan. I documenti rivelavano un feroce scontro interno al Partito svoltosi tra il 1962 e il 1965, che vedeva le posizioni di Liu Shaoqi e Deng Xiaoping (maggiormente rivolti alla lotta alla corruzione) opporsi a quelle di Mao, concentrato sulla lotta di classe. Grazie a questi documenti, insieme a Frederick Teiwes, Baum è stato il primo a spiegare il contesto politico che condusse alla Rivoluzione Culturale.

Tra i suoi lavori più importanti va ricordato il  volume “Burying Mao”. Il suo ultimo libro è stato “China Watcher: Confessions of a Peking Tom”.

Per il CIC non ottimistica la situazione dell'Europa


di Antonio Talia
AGI 24


Pechino, 17 dic.- Il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi riferirà al Parlamento europeo sulla situazione della crisi dell’Eurozona nel pomeriggio di oggi, ma intanto dall’Estremo Oriente arrivano segnali di sfiducia: “Credo che il panorama della crisi del debito pubblico europeo non induca ancora all’ottimismo” ha detto ieri il vicepresidente del fondo sovrano cinese China Investment Corporation Jesse Wang, affermando che CIC ha “investito intensamente nelle nazioni europee”. “Se le nazioni più indebitate dell’Eurozona potranno sviluppare un ambiente più favorevole agli investimenti stranieri, in futuro potremo considerare nuove mosse”.

CIC è il fondo sovrano che gestisce parte delle immense riserve accumulate da Pechino, con un patrimonio stimato in circa 480 miliardi di dollari. Non è la prima volta che CIC esprime pareri negativi sulla situazione dell’Eurozona: l’anno scorso era stato il turno del presidente del board dei supervisori Jin Liqun. Con toni insolitamente duri e diretti, Jin aveva invitato il Vecchio Continente a risolvere da sé i propri problemi prima di invocare l’intervento di aiuti esterni: “Le cause di questa crisi vanno individuate in un welfare eccessivo, e nelle norme sul lavoro che inducono i lavoratori alla pigrizia –sostiene Jin- mentre invece gli europei debbono lavorare più duramente e lavorare più a lungo. L’Europa faccia le riforme che deve fare, e poi noi interverremo”.

Il mese scorso Jin Liqun aveva sparato nuove bordate su Bruxelles e sull’Eurozona: “Le ultime proteste in varie nazioni europee mostrano che la politica di austerity sta spingendo alcuni popoli verso un punto di rottura. L’Europa ha bisogno di un giusto equilibrio tra austerità e crescita”aggiungeva il presidente del board supervisori di CIC, sottolineando che le proteste non incoraggiavano gli investitori stranieri.

La posizione di Jin Liqun, che sembra rispecchiare quella del fondo sovrano, è che la BCE dovrebbe lanciare misure considerate non ortodosse: “Una politica monetaria espansiva è considerata troppo radicale, ma noi crediamo che si tratti di una mossa pratica ed efficace. La crisi sta sprofondando l’economia europea sottoterra. La gente ha bisogno di margini di manovra per tornare a spendere”.

CIC ha recentemente acquistato una quota del 10% dell’aeroporto di Heathrow, a Londra, ma non sembra intenzionato a effettuare ulteriori manovre sullo scenario europeo.

ecco perchè bisogna aumentare le quote rosa


GU KAILAI
IL PROFILO DELLA DONNA
CHE HA SCONVOLTO IL POTERE
di Eugenio Buzzetti AGI CINA 24

Pechino, 17 dic. - Suo marito è ancora in attesa di processo, ma lei, Gu Kailai, moglie dell'ex leader di Chongqing Bo Xilai, è la donna che ha cambiato il volto della politica cinese nel 2012. Un lungo profilo dell'ex avvocato tracciato dal Financial Times ripercorre la vita e la carriera della protagonista del più clamoroso processo degli ultimi anni, per lei conclusosi nell'agosto scorso con la condanna a morte sospesa, equivalente all'ergastolo.

Figlia di una famiglia di rivoluzionari, Gu da giovane ha lavorato come muratore e come assistente macellaio, prima di imparare a suonare il liuto e aggiudicarsi un posto nella Beijing Film Orchestra. All'Università di Pechino ha conosciuto il futuro marito, Bo Xilai, che avrebbe sposato a metà degli anni Ottanta, e dalla cui unione sarebbe nato Guagua, nel 1987. La sua carriera di avvocato culmina nel 1995, con l'apertura di uno studio a suo nome, il Beijing Kailai, il primo in Cina a prendere il nome da una donna.

Autrice del libro "Sostenere la giustizia in America", Gu scriveva parole che le si sarebbero rivoltate contro in futuro: "Solo se vinci puoi evitare le accuse". La fase discendente della sua carriera comincia proprio a Chongqing, la città che dal 2007 al 2012 è stata amministrata con il pugno di ferro da suo marito. Un'inchiesta interna per corruzione nei suoi confronti la getta nel panico. Sempre descritta da chi la conosce come una gentildonna che amava indossare capi costosi, ora Gu diventa preda della paranoia e della depressione. Neil Heywood, l'uomo d'affari inglese che la conosceva sin dai tempi in cui Bo Xilai era sindaco di Dalian, nel nord-est della Cina, diventa per lei un'ancora di salvezza. Heywood è allo stesso tempo un amico speciale e l'uomo che deve aiutarla a nascondere grossi quantitativi di denaro all'estero. Ma le sue richieste diventano sempre più insistenti e Gu si convince che dovrà sbarazzarsi dell'uomo d'affari di famiglia per evitare di finirne soggiogata.

Pochi giorni prima dell'inizio del processo contro di lei, Gu confessa di avere ucciso il businessman di Sua Maestà, ma le prove portate in udienza lasciano molti punti di domanda sul reale svolgimento dei fatti. Visibilmente cambiata nell'aspetto, al punto da generare il sospetto che al suo posto in aula ci fosse una sosia, Gu Kailai viene condannata per l'omicidio Heywood, trovato morto il 14 novembre dello scorso anno in una camera d'albergo di Chonging.

La morte del businessman britannico sarà l'inizio della fine per la carriera politica di suo marito. Negli anni in cui è stato leader di Chongqing, Bo Xilai si è reso protagonista di una spettacolare lotta contro la criminalità e della campagna rossa che aveva fatto rivivere nella metropoli il mito di Mao, ma che allo stesso tempo ha eliminato dalla scena molti nemici politici. Bo Xilai verrà prima rimosso dalla carica di segretario politico di Chongqing e poi sospeso da tutte le cariche a livello nazionale. il 28 settembre scorso un breve comunicato dell'agenzia di stampa statale Xinhua ne sancisce la fine politica con l'epurazione dal Partito Comunista Cinese.

Gu viene definita come la persona che "ha avuto il ruolo principale nel dramma che ha scatenato la più grande crisi politica cinese da decenni". E' lei, per il Financial Times, la protagonista del caso Bo Xilai. Ma la vicenda legata a suo marito è anche piena di buchi, e i capi d'accusa non coincidono mai perfettamente con la realtà dei fatti. Gu Kailai ha fornito l'espediente narrativo ideale per la costruzione del caso che prodotto l'uscita di scena del marito. La narrazione di questa storia è stata conveniente per i nuovi leader di Pechino che in pochi mesi si sono liberati dell'uomo che avrebbe potuto con la sua influenza cambiare il corso della politica cinese. E ora, invece, attende da privato cittadino il processo che segnerà la parola fine alla sua vicenda.

...e noi di ICFA ci saremo per festeggiare il 2013 Cin Cin

Solidarietà di Montalcino con Case Basse: una modesta proposta

E così, com’era prevedibile e come avevo previsto che sarebbe accaduto, la famiglia Soldera ha gentilmente declinato la proposta emersa nel corso del Consiglio del Consorzio del Brunello del 7 dicembre scorso, ovvero “di farsi promotore verso i soci di raccogliere vino da donare all’azienda Case Basse”.
In un comunicato stampa, che potete leggere qui, ha dichiarato: “La proposta sorta in seno al Consiglio del Consorzio del Brunello, riunitasi in sessione straordinaria lo scorso dicembre, merita il nostro sentito ringraziamento.
E’ per altro preferibile, a nostro parere, che i frutti raccolti da questa azione venissero destinati non a favore di Case Basse ma a sostenere attività di ricerca e sperimentazione che abbiano come oggetto il vitigno ed il vino Sangiovese nel territorio di Montalcino e la sua valorizzazione nel mondo, con il coinvolgimento delle Università di Siena e Firenze e l’apporto imprescindibile di giovani ricercatori.”
Prendendo atto che quanto suggerito da Soldera è più ragionevole di quanto proposto da altri, ovvero “creare un’etichetta  di Brunello “Montalcino per Soldera” dove tutti i produttori mettono x litri del loro miglior vino”, poiché il risultato sarebbe un autentico monstrum enologico, tra l’altro anche di ardua realizzazione tecnica, mi sento di rilanciare il suggerimento del patron di Case Basse e di amplificarlo.
Che rimanga, perché è stato ed è un bel gesto, contrapposto a quello criminale dell’autore dell’attentato, l’idea di un’iniziativa di solidarietà concreta da parte dei produttori ilcinesi, incoraggiata dal Consorzio. Si tratta di vedere come realizzarla.
Allora più che ad una donazione di vino da parte delle aziende di Montalcino ritengo si possa pensare alla donazione al Consorzio, che se ne farà garante e custode, di un certo numero di bottiglie di Brunello delle varie aziende aderenti, il cui totale sarà oggetto di un’asta intitolata Montalcino per Case Basse o Montalcino solidale con Case Basse, magari da realizzare nel corso del Benvenuto Brunello 2013, sfruttando la presenza a Montalcino di operatori, anche dell’informazione, da tutto il mondo.

Gesto veramente nobile


CASE BASSE, L'ATTO VANDALICO CONDANNATO ANCHE DAL CONSORZIO DEL VINO BRUNELLO DI MONTALCINO
Il consiglio ha deliberato di farsi promotore verso i soci e raccogliere vino da donare all’azienda

Il consiglio straordinario del Consorzio del vino Brunello di Montalcino, riunitosi venerdì 7 per discutere in merito alla vicenda che ha coinvolto l’azienda Case Basse, ha voluto ribadire con forza la propria condanna per l’atto vandalico che lo ha colpito e riaffermare la solidarietà delle aziende produttrici e di tutto il territorio. Tale solidarietà è stata espressa immediatamente dal Presidente Fabrizio Bindocci, che ha manifestato fin da subito una sentita vicinanza morale ribadita anche durante un incontro con il produttore, durante il quale il Presidente ha proposto azioni concrete. Il consiglio ha deliberato di farsi promotore verso i soci di raccogliere vino da donare all’azienda Case Basse. Al consiglio straordinario è intervenuto anche il sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli a testimonianza che la gravità del gesto ha colpito non un’azienda ma tutto il sistema montalcinese, che ha subito un gesto grave ed inaccettabile. Il Presidente e il sindaco hanno voluto sottolineare che il territorio è attivo e laborioso e la solidarietà tra produttori, che da sempre rappresenta un grande valore, è totale. In attesa che le indagini facciano chiarezza su quanto avvenuto, il Consorzio si mette a disposizione dell’azienda Case Basse per qualsiasi supporto sia necessario.

l'animo cattivo di certe persone non ha limiti


ATTO VANDALICO ALL'AZIENDA CASE BASSE,
DISTRUTTI 600 ETTOLITRI DI BRUNELLO DI MONTALCINO
L'atto vandalico ha avuto luogo nella notte; a darne notizia lo stesso proprietario dell'azienda
03/12/2012 21:48:03

Oltre 600 ettolitri di Brunello andati perduti, l’intera produzione dal 2007 al 2012. E' quanto accaduto all'azienda Case Basse, una delle più prestigiose produttrici del vino noto in tutto il mondo. Nella notte, infatti, è avvenuto l’atto vandalico, confermato dal fatto che non ha avuto luogo alcun furto di bottiglie.
A renderlo noto è stato lo stesso proprietario della tenuta, Gianfranco Soldera, al sito winenews.it.
I carabinieri si stanno occupando delle indagini e seguono l'ipotesi dell'atto vandalico forse mirato nei confronti di Soldera. Già da ieri i militari hanno incrementato la vigilanza nella zona anche allo scopo di tranquillizzare gli altri produttori che temono di finire fra le vittime. Secondo quanto dicono gli inquirenti
i vandali entrati nei locali di Soldera hanno potuto agire indisturbati, infatti la porta d'ingresso della cantina non è allarmata e nemmeno le botti presentavano dispositivi antifurto. Le ipotesi di ritorsione risultano
inoltre poco plausibili infatti il proprietario afferma di non aver mai ricevuto minacce né da un concorrente
né da altri.

venerdì 14 dicembre 2012

Purtroppo l'Italia è per il confcommercio al minuto anzi al millesimo di secondo


DI GIULIANO NOCI
CARA ITALIA, LA CINA
TI ASPETTA (DA TEMPO)


di Giuliano Noci*

twitter@giuliano_noci

Milano, 10 dic. - La recente visita del Ministro Passera in Cina – che fa seguito al viaggio del Presidente Monti e di altri ministri del Governo tecnico – ha riacceso i riflettori sul rapporto Italia-Cina. Sono in molti ormai in Italia a ritenere l’ex impero di mezzo più un’opportunità che un pericolo. Mi viene da dire: finalmente!

Fino a pochi anni fa, infatti, molti politici e industriali si ostinavano a vedere nel Dragone una minaccia: prevaleva la prospettiva di coloro, che vedevano nelle imprese cinesi – a basso costo – la principale causa dei problemi del nostro sistema industriale.

Peccato che non venivano considerati due aspetti fondamentali; non si teneva conto, in primo luogo, il fatto che la competizione sui costi è una battaglia per poveri: c’è sempre qualcuno nel mondo che ha costi di produzione inferiori e, in questo senso, il perseguimento di una strategia di leadership di costo è comunque una falsa chimera per le nostre imprese.

Non veniva, in secondo luogo, considerato l’enorme potenziale che il Made in Italy ha in Cina: molte indagini condotte negli ultimi anni dalla School of Management del Politecnico di Milano, ma non solo, hanno infatti evidenziato come i consumatori dell’ex impero di mezzo considerino i prodotti italiani come sinonimo di qualità, eccellenza e affidabilità.

A fronte di questa rinnovata consapevolezza del potenziale del sistema industriale italiano nella tana del Dragone, cerchiamo di fare il punto della situazione a oggi. Un primo dato importante è che l’interscambio commerciale tra il Bel Paese e la Cina ha raggiunto nel 2011 un controvalore di circa 52 miliardi di dollari: una cifra superiore a quanto registrato con gli Stati Uniti.

Tutto a posto, quindi? Neanche per sogno. Nonostante il trend di crescita delle esportazioni registrato negli ultimi anni, vi è ancora molto da fare. Basti pensare che per alcune categorie merceologiche, il valore delle esportazioni destinate alla Svizzera (Paese di 8 milioni di abitanti) è significativamente superiore a quanto veicolato nell’ex impero di mezzo.

Quali le ragioni di questa situazione? Al di là del tardivo interesse di molte nostre imprese per il Dragone, vi sono due nodi che devono essere affrontati al fine di massimizzare le opportunità offerte dal mercato cinese al nostro sistema industriale.

Le imprese devono cambiare mentalità. In primo luogo, si devono rendere conto che le dimensioni del mercato sono tali da rendere pretestuoso l’obbiettivo “Esporto in Cina”; è fondamentale individuare città e/o province da cui partire e concentrare gli sforzi.

Occorre, in secondo luogo, che si mettano in rete; penso, ad esempio, al sistema dell’arredo: in Cina, vengono investiti ogni anno oltre 4 miliardi di dollari per hotel a 5 stelle, ognuno con almeno 500 camere. Si tratta di commesse evidentemente non alla portata della singola impresa e che, invece, potrebbero essere acquisite da pool di imprese del Made in Italy.

Serve, infine, una cultura di marketing; non è plausibile approcciare il mercato cinese con strategie commerciali e distributive adottate in Occidente: troppo diversi sono  il processo di acquisto, il ruolo degli influenzatori e i meccanismi decisionali; serve, in altre parole, un serio adattamento della strategia di ingresso al mercato locale e, se necessario, un adeguamento delle caratteristiche dei prodotti veicolati – naturalmente secondo una linea di continuità con punti di forza del percepiti dai consumatori locali con riferimento al Made in Italy -.

Il nostro sistema di promozione internazionale deve essere più aggressivo nell’attuare azioni, volte a valorizzare le potenzialità e i tratti distintivi dell’italianità. Abbiamo finalmente messo in campo negli ultimissimi anni diplomatici di altissimo rango, si sono intensificate – direi finalmente – le visite dei nostri politici; ora è necessario un piano di azione a due vie: verso l’Italia, per sensibilizzare gli imprenditori su specificità e opportunità nelle differenti aree del continente-Cina; nei confronti del mercato cinese, per attivare quell’indispensabile azione di educazione e sensibilizzazione (pre-commerciale) che da tempo, ad esempio, la Francia svolge e l’ha portata ad ottenere il primato, tra i marchi stranieri su numerose categorie merceologiche.Non dobbiamo insomma perdere tempo.

Le nostre imprese devono essere consapevoli, da un lato, del loro enorme potenziale e, dall’altro, convincersi dell’opportunità/necessità di un vero cambiamento nel loro approccio all’internazionalizzazione per domare il Dragone. Della serie: la Cina è vicina ma non è esattamente a portata di mano. I cinesi comunque ci apprezzano: facciamo in modo che trovino i nostri prodotti!

*Prorettore Polo Terrioriale cinese al Politecnico di Milano

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Solo la nostra borsa non riesce a prendere il volo


***Borse Cina: Shanghai chiude a +4,3% dopo dato manifatturiero
E attese per nuove misure a sostegno della crescita

Radiocor - Milano, 14 dic - La borsa di Shanghai ha chiuso la seduta in forte rialzo, con un balzo del 4,32%, miglior performance in tre anni. A sostenere le quotazioni il buon dato sull'espansione dell'attivita' manifatturiera cinese a dicembre, misurato da Hsbc, e le attese degli operatori per imminenti misure a sostegno dell'economia. Nel weekend, secondo fonti giornalistiche, si dovrebbe riunire i nuovi vertici politici per poi annunciare nuove misure che potrebbero dare un colpo definitivo al rilancio della crescita. L'indice composito ha chiuso cosi' a quota 2.150,63. Piu' cauta Hong Kong che ha concluso la seduta con l'indice Hang Seng in progresso dello 0,71 mentre la piazza di Shenzhen si e' allineata al balzo di Shanghai e ha terminato la riunione con l'indice composito in rialzo del 4,14%.

Red-lod

lunedì 10 dicembre 2012

e noi abbiamo rinviato anche la riforma elettorale e delle province assicurando così al paese il caos nell'economia vedi risultato odierno della borsa a Milano

Cina: Il Premier cinese Xi, riforma dell'economia non puo' essere rinviata‏
Radiocor - Pechino, 10 dic - I fondamentali economici di lungo termine della Cina sono buoni, ma il Paese deve prepararsi a complicate sfide e quindi occorre accelerare le riforme economiche. E' quanto riporta l'agenzia ufficiale 'Xinhua News', citando il nuovo numero uno del partito comunista, Xi Jinping. Il leader, parlando domenica a una riunione con i dirigenti di aziende in occasione del forum economico meridionale di Guangzhou, ha detto che accelerare la ristrutturazione e' 'il senso dei tempi' e quindi 'non deve essere ritardata'.

Anche il colosso assicurativo americano vende qlc suo gioiello


Aig: vende 80,1% Ilfc a gruppo investitori cinesi per 4,23 mld$
Radiocor - Milano, 10 dic - L'assicuratore statunitense Aig ha raggiunto un accordo per vendere l'80,1% detenuto in Ilfc, societa' di leasing di aerei, a un gruppo di investitori cinesi (News China Trust, China Aviation Industrial Fund e P3 Investments) per 4,23 miliardi di dollari con un'ulteriore opzione per cedere il 9,9%. Compresa questa quota il totale pagato sara' di 4,75 miliardi di dollari, portando la valorizzazione di Ilfc a 5,28 miliardi. L'operazione, che dovrebbe essere conclusa nel secondo trimestre 2013, deve ancora riceve l'approvazione delle autorita' statunitensi e cinesi.

Red-Lod

Solo le nostre borse vanno male

Il Sole 24 ORE - Radiocor 10/12/2012 - 10:47
Borse Cina: chiudono in positivo su dati Usa e produzione cinese

+1,07% Shanghai e +0,39% Hong Kong

Radiocor - Milano, 10 dic - Bilancio di segno positivo per le Borse cinesi, che si sono mosse in sintonia con il balzo registrato dalla produzione industriale cinese e dei dati migliori del previsto sul mercato del lavoro Usa (dati resi noti venerdi'). A Shanghai l'indice Composite (che raggruppa le azioni di tipo A e di tipo B, denominante rispettivamente in yuan e in dollari) in chiusura e' stato fissato a 2.083,77 punti, in rialzo dell'1,07% sulla vigilia. A Hong Kong l'indice di rifermento, l'Hang Seng, ha concluso la seduta a 22.276,72 punti, con un progresso dello 0,39%.

Si è accorta pure l'India della nostra ricchezza naturale

Compie 1 anno serra fotovoltaica piu' grande mondo
In Sardegna progetto integrazione produzione 12 colture agricole

CAGLIARI - Compie un anno la serra fotovoltaica piu' grande al mondo, realizzata a Villasor, nel sud Sardegna, a 25 km da Cagliari. ''Su Scioffu'' e' un mega impianto da 26 ettari con una capacita' installata di 20 MWp, pari al consumo annuale di 10.000 case, con un risparmio di 25 mila tonnellate di CO2 (il risparmio di una foresta di 3.200 ettari).

Il progetto, realizzato finora con un investimento di circa 80 milioni di euro, e' il primo in Italia della multinazionale indiana Moser Baer Clean Energy Limited (MBCEL), leader nel settore delle energie rinnovabili, e del colosso americano General Electric. Per festeggiare questo primo anno e' stata organizzata una tavola rotonda a cui hanno preso parte il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, l'amministratore delegato di Mbcel e presidente di Twelve Energy, Jain Lalit, il responsabile Sviluppo Sud Europa di Mbcel, Marcello Spano e l'assessore regionale dell'Industria, Alessandra Zedda.

Attualmente sono quattro le cooperative agricole impiegate nella coltivazione, che verra' commercializzata tra qualche mese, con 35 persone impiegate nel settore agricolo ai quali si aggiungeranno, a regime, 60 ulteriori posti di lavoro, mentre sono circa 15 quelli impiegati nella parte della manutenzione e gestione delle 134 serre, per un totale di oltre 84.000 pannelli al silicio policristallino e destinate al momento a 12 colture tra orticole e floricole di qualita': cavolfiore, lattuga lollo, peperone, sedano, radicchio, pomodoro, melanzana, lattuga, finocchio, favino, rose da bacca, rose da reciso. A regime, si stima un valore della produttivita' agricola che sfiorera' i 2 milioni di euro.(ANSA).

venerdì 7 dicembre 2012

Che balzo la Germania !!!

Il Sole 24 ORE - Radiocor 06/12/2012 - 15:32

Bmw: +62% le vendite in Cina a novembre, + 38% negli 11 mesi
Radiocor - Moanco, 06 dic - A novembre le vendite del gruppo Bmw sono balzate del 62% in Cina verso un anno prima a 31.090 unita'. In particolare per il brand Bmw l'incremento e' del 62% a 29.005. Lo comunica la casa tedesca, che nei primi undici mesi dell'anno ha registrato nel Paese asiatico un progresso delle vendite del 38% a 295.974.

Red-pal

Anche la moda.....

Il Sole 24 ORE - Radiocor 06/12/2012 - 15:13

### Moda: il baricentro del Made in Italy sempre piu' in Asia - LUSSO A SHANGHAI
di Lelio Gavazza e Beatrice Spagnoli*

Radiocor - Milano, 06 dic - Il vento del Far East spira sempre piu' forte sul patinato mondo della moda europea. La crisi economica che sta investendo l'Europa e l'Italia, sembra sorprendentemente non toccare il settore moda & lusso. Che, stando agli ultimi dati, pare godere una relativa buona salute. Va pero' considerato il trend sempre piu' evidente, nel corso di quest'anno che sta volgendo al termine: molteplici e sempre piu' espliciti sono stati i segnali che le prospettive di questo importante comparto sono destinate a legarsi sempre di piu' alle fortune della Cina e delle altre Tigri Asiatiche. Paesi che, pur non trainando piu' l'economia con una forte espansione come quella dello scorso anno, dovrebbero tuttavia continuare a contribuire con un incremento 'single digit' alla crescita dei prossimi anni, ristabilendo quindi una situazione di mera normalita', e rivelando ora piu' che mai alle griffe occidentali la possibilita' di rimpiazzare il business perso in Europa con i nuovi e piu' promettenti e numerosi consumatori asiatici. Nel Far East, oggi non solo si concentra oggi la maggior crescita dei consumi al mondo in questo comparto, ma in quest'area, e soprattutto in Cina, iniziano a svilupparsi anche gusti e tendenze sempre piu' sofisticati. Questa realta' e' ormai chiara sia ai grandi gruppi del lusso che nel corso del 2012 hanno evidenziato l'obiettivo di spostare il baricentro delle proprie attivita' sul mercato cinese ed asiatico. Tra tanti, un esempio emblematico del vento che sta soffiando ora sulla moda italiana, e' l'opening di 'Milano Unica' a Shanghai un paio di mesi fa. Occasione in cui, con il supporto di Franca Sozzani ('Vogue Italia'), a sfilare in passerella sono stati i capi degli stilisti emergenti cinesi insieme ai nuovi designer italiani, nel contesto di una serata dedicata alla moda e all'arte cinese. Evento, questo, poi rafforzato e sottolineato da una edizione di 'Vogue Uomo' dedicato alle nuove icone del Paese del Dragone. Nel corso di quest'anno, a dar lezione di internazionalizzazione e' stato proprio il re della moda italiana, Giorgio Armani, che lo scorso 2 giugno ha incantato Pechino portando in scena nel distretto artistico '798' un grande defile' delle sue linee, con oltre 180 capi delle collezioni autunno-inverno 2012/13 uomo e donna. Che Armani faccia sul serio, lo dimostra il progetto annunciato di aprire in Cina 80/100 nuovi store nel prossimo triennio. Non e' da meno 'Gucci', che quest'anno ha puntato le sue carte su una nuova campagna pubblicitaria visibile solo ai consumatori della Greater China, utilizzando come brand ambassador la famosa attrice Li Bing Bing, nuova donna-immagine per borse, anelli e orologi dell'ultima collezione. E, via di questo passo, si sta allungando la lista dei brand del lusso convertiti al Paese del Dragone. Burberry e Christian Dior seguono ora la strada aperta da Fendi, che nel 2007 fece sfilare i suoi capi sulla Muraglia cinese, e da Ermenegildo Zegna che nel 2010 dedico' la sfilata autunno inverno 2011 esclusivamente ai colori e alle tendenze del mercato cinese. Occorre poi evidenziare un altro dato emblematico, che lascia intravvedere un nuovo scenario nel settore moda e lusso. Il Paese del Dragone, infatti, non assiste certo passivamente ai benefici economici che il settore produrra' per le grandi case di moda occidentali nei prossimi anni. La Cina, infatti, attraverso le proprie scuole di design ha iniziato a sfornare i primi stilisti autoctoni in grado di iniziare a competere con il design europeo. Saranno molti, i giovani destinati a seguire le orme di Uma Wang o Adrian Cheng, il miliardario a capo del brand di gioielli 'Chow Tai Fook', i quali hanno recentemente debuttato sulle passerelle di Parigi. E altrettanti quelli che giocheranno invece in casa per rafforzare il concetto di patriottismo cinese imitando Alex Wang, designer di haute couture con base a Pechino, che veste con i suoi meravigliosi abiti le piu' famose attrici locali. Nella moda, quindi, la partita del futuro economico si gioca ormai sul terreno della Grande Cina.

*Osservatorio Asia