martedì 16 luglio 2013

Crescono le adesioni a
Basta depressione - L'Italia c'è

Basta con il pessimismo. In Italia il sistema produttivo è solido, il rapporto deficit/pil è sotto il 3%, la previdenza è tra le più solide d’Europa dopo la riforma, l’avanzo primario è del 2,5% del pil, tra i più alti in Europa, e il Paese non ha chiesto dilazioni sugli impegni presi. Inoltre il debito totale, che tiene conto anche della ricchezza privata, è tra i più bassi d’Europa. Insomma l’Italia continua a pagare un rischio-Paese ormai non più giustificato. Le va quindi riconosciuta più flessibilità nel valutare il peso degli investimenti sul deficit pur nel rispetto della disciplina di bilancio. Le imprese italiane, come dimostrano i bilanci delle quotate a Piazza Affari, sono cresciute malgrado la recessione e ora devono poter contare su una maggiore fiducia nel Paese. Già 64 tra imprenditori, finanzieri e consulenti hanno aderito all’appello lanciato da MF-Milano Finanza sabato 16 marzo.
Ecco la lista completa:

Paolo Ainio (ceo Banzai), Alberto Bartoli (ad Sabaf), Tommaso Beolchini (Montezemolo&Partners sgr), Gianluca Beschi (Sabaf), Giuseppe Bernoni (managing partner di Bernoni Grant Thornton), Paolo Alessandro Bonazzi (presidente Service Trade), Stefano Bongiovanni (amministratore unico FINCOS Spa), Giovanni Bossi (a.d. Banca Ifis), Antonio Bottillo (Natixis Gam Succursale Italiana), Massimo Caputi (presidente Feidos), Stefano Catalano (direttore finanza Dexia Crediop), Flavio Cattaneo (amministratore delegato Terna), Leo Civelli (ad di Reag), Paolo Clerici (Presidente Coeclerici Group), Roberto Colombo (presidente Acsm Agam spa), Pietro Colucci (presidente e ad di Kinexia), Luigi Consiglio (presidente Gea-Consuleti di Direzione), Matteo Cordero di Montezemolo (ad di Montezemolo&Partners sgr), Roberto Crapelli (ad Roland Berger Italia), Giancarlo Cremonesi (presidente Camera di Commercio di Roma), Brunello Cucinelli (presidente e ad di Brunello Cucinelli), Guido Damiani (presidente Damiani), Zeno D’Acquarone (Gwa Sim), Umberto D'Alessandro (vicepresidente Acsm Agam spa), Carlo Daveri (presidente Dvr Capital), Ambrogio Caccia Dominioni (presidente e ad di Tesmec), Luca Dondi (Nomisma), Massimo Ferrari (direttore generale Impregilo), Ennio Doris (presidente di Banca Mediolanum e amministratore delegato di Mediolanum), Massimo Ferretti (ceo e presidente di Aeffe), Alberto Franceschini (presidente Ambromobiliare), Guido Galimberti (presidente Opera Art Solutions), Furio Garbagnati (ceo Weber Shandwick), Anna Gervasoni (dg Aifi), Stefano Gianti (Cmc Markets), Renato Giallombardo (partner Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners), Paolo Gualtieri (studio Gualtieri&Associati), Luciano Jannelli (Mig Bank), Federico Imbert (ceo per l’Italia Credit Suisse), Giovanni La Croce (partner Studio La Croce), Giovanni Landi (Anthilia), Isidoro Lucciola (managing partner Lucciola & Partners), Riccardo Lupi (dg di Imprebanca), Vincenzo Manes (presidente e ad Intek), Raimondo Marcialis (consigliere delegato di Zenit), Giampiero Mazza (Cvc Capital Partners), Walter Mainetti (ad Sorgente sgr), Roberto Mazzei (presidente Principia sgr), Massimo Maurelli (partner di Mathema advisors), Domenico Menniti (amministratore delegato Harmont & Blaine), Flavia Daunia Minutillo (Studio Simonelli&Associati), Luigi Monti (ad Formia International), Fabrizio Montaruli (partner Kpmg), Giovanni Natali (ad ambromobiliare), Gianfranco Negri-Clementi (Negri-Clementi studio legale associato), Franco Carlo Papa (consulente aziendale), Fiorella Passoni (Edelman), Cosimo Pastore (Power Emprise), Ernesto Preatoni (imprenditore), Fabio Regolo (presidente di Ventuno group), Marco Rosati (ad Zenit sgr), Luca Sacilotto (dg gruppo Randazzo), Marco Samaja (ad Lazard Italia), Massimiliano Sandri (ad The Stealth Tee), Fabio Sattin (presidente di Private equity partners), Dario Scannapieco (vicepresidente Bei), Claudio Scardovi (Università Bocconi), Claudio Sposito (managing partner Clessidra sgr), Mario Spreafico (Schroder Private Banking), Maurizio Stirpe (Unindustria), Giovanni Tamburi (presidente e ad di Tamburi), Tomaso Tommasi di Vignano (presidente Hera), Cesare Vecchio (studio legale Vecchio), Gabriele Vedani (Fxcm Italia), Daniele Viganò (presidente di Ventuno group), Maurizia Villa (managing director Korn Ferry Italia), Paolo Zanetto (partner di Cattaneo&Zanetto).

PRIMO PIANO
La spirale dell'austerity ha condotto il paese in una situazione insostenibile
Gli italiani meritano la ripresa
I cittadini sono attanagliati dalla paura e l'economia rischia di avvitarsi ancora di più a causa della follia europea. Occorre rimettere subito denaro in circolo per finanziare innovazione e consumi di qualità
di Innocenzo Cipolletta*
L'Italia è precipitata in una crisi lunga e profonda, dalla quale non il Paese non riesce a uscire. Nel 2012 il pil è sceso del 2,4% E anche il 2013 è iniziato male: nel primo trimestre di quest'anno è già agli atti una riduzione dell'1% rispetto alla media dell'anno precedente.


In termini di reddito pro capite in valori reali, siamo tornati a prima del 2000, oltre 13 anni fa! La produzione industriale è sotto del 20% rispetto ai massimi precedenti. La disoccupazione ha raggiunto quasi il 12% della popolazione attiva: colpisce soprattutto i giovani e, se si considerano anche i lavoratori in cassa integrazione, si arriva a un tasso ben superiore.

Sembra un bollettino di guerra. La gente è smarrita e non crede più alla possibilità di un ritorno a una situazione normale. I risultati delle elezioni recenti hanno palesato lo sfogo di una rabbia a lungo repressa che si è tradotta in una situazione d'ingovernabilità del Paese. Rischiamo di avvitarci in una continua depressione e molte analisi accostano ormai l'Italia alla malattia del Giappone: un Paese che non cresce più da oltre 20 anni e che sta accumulando un debito pubblico spaventoso, ben superiore al nostro.

Eppure, se dalle cifre macroeconomiche, che ci spaventano, scendiamo a guardare alcuni aspetti microeconomici, l'Italia presenta ancora notevoli punti di forza. Le esportazioni continuano a crescere e difendono le quote di mercato, pur nel generale arretramento dei Paesi sviluppati a fronte dell'irrompere delle economie emergenti dell'Asia. I bilanci di molte imprese italiane, in particolare di quelle che esportano, sono solidi. Nel corso degli ultimi 15 anni le imprese hanno sviluppato un processo di sostanziale upgrading delle loro produzioni, sottraendosi così alla concorrenza dei Paesi emergenti. Il nostro sistema bancario resta solido, pur se risente del peso della congiuntura (le sofferenze) e delle follie europee che hanno fatto dubitare i mercati sulla tenuta dell'euro. Le famiglie italiane, così provate dalla recessione, sono comunque detentrici di una ricchezza elevata (8 volte il reddito disponibile, superiore a quello degli altri Paesi europei) basata su una diffusione importante della proprietà della casa (l'80% delle famiglie italiane ne possiede almeno una).

La prima condizione è uscire dalla spirale dell'austerità che ha compresso il reddito degli italiani e li ha sprofondati in una condizione di diffusa paura per il futuro. Non si tratta di prendere la via opposta della spesa pubblica in disavanzo. Ma occorre cambiare atteggiamento. In Europa e in Italia era prevalsa l'idea che bastasse mettere a posto i conti pubblici per riprendere a crescere. È stata un'illusione fatale. Con tutti i Paesi in Europa a perseguire politiche di austerità, siamo finiti per precipitare in una profonda depressione. E così non siamo riusciti neppure a rimettere in ordine i conti, oggi squilibrati dalla recessione che frena le entrate fiscali e origina nuova spesa pubblica. Non bastano le tanto osannate riforme. Non si risolvono i nostri problemi solo con il mettere ordine a casa propria. Ci vuole una politica orientata allo sviluppo.

In Italia è urgente rimettere soldi nell'economia. Come anche detto dal presidente Napolitano, dopo l'ok Ue occorre che lo Stato paghi i suoi debiti alle imprese, per allentare la morsa del credito sulle aziende e per ripristinare un più regolare flusso dei pagamenti, anche tra le società. Ma serve anche mettere soldi effettivi nelle tasche della gente. Dei 3 milioni di disoccupati italiani, ben pochi godono di assistenza. In tutti i Paesi civili la recessione è frenata dall'esistenza di ammortizzatori sociali che consentono, a chi ha perso il lavoro, di avere un reddito pur se limitato. In Italia solo chi beneficia della cig è protetto. E queste persone non figurano tra i disoccupati. Dobbiamo proteggere in qualche maniera i molti giovani lavoratori a tempo determinato che non hanno avuto il rinnovo del contratto e che oggi gravano sulle loro famiglie e rappresentano la principale fonte di paura sociale. Per non pesare eccessivamente sulle casse dello Stato, qui è necessaria un'operazione di redistribuzione del reddito. Un maggior prelievo fiscale sui redditi più elevati può finanziare questa forma di sussidio almeno fino a quando la recessione non sarà terminata.

Dobbiamo fare di tutto per uscire da questa recessione. E dobbiamo guardare al futuro con la voglia di crescere, senza farci prendere dallo sconforto e senza cedere alle tentazioni morbose di chi predica la decrescita, che non ha nulla di felice. Crescere, per un Paese maturo come il nostro, non significa banalmente consumare e investire di più quantitativamente; per un Paese maturo come l'Italia, la crescita è qualità, che genera anche quantità, intesa come maggior volume di pil. Non servono tanto nuove case per dare un rifugio a nuove famiglie; serve rimodernare il parco immobili per adattarlo alle nostre esigenze e per migliorarne la qualità in termini di conservazione dell'energia, di disponibilità di servizi telematici, di estetica. Un analogo ragionamento può essere fatto per l'acquisto di un bene durevole: noi non compriamo una nuova auto per aggiungerla a quella che già abbiamo, ma per sostituirla con una che dia prestazioni migliori, in termini di comfort, di sicurezza, di consumi energetici. Lo stesso vale per gli elettrodomestici, per i nostri abiti, ma anche per i servizi, come la ristorazione, i trasporti, la cura della propria salute, e altro. Lo stesso vale per le imprese che cambiano le linee di produzione e i macchinari per sostituirli con altri che sono più performanti.

Se questo è vero, allora dobbiamo domandarci: che cosa ci permetterà di avere consumi e investimenti di maggiore qualità, per poter crescere in un mondo dove le quantità sono diventate appannaggio dei Paesi emergenti? La via della qualità si chiama innovazione, che a sua volta richiede ricerca e applicazione della stessa. Viviamo un'epoca di grandi innovazioni e sta a noi saper cogliere le opportunità. Cogliere le opportunità, per le imprese, implica essere sufficientemente grandi e organizzate, sia per far nascere nuove attività innovative sia per dare a quelle esistenti quella dimensione di capitale, di organizzazioni e di persone capaci di consentire loro un proficuo rapporto con i processi innovativi. Intendiamoci, anche molte delle nostre piccole imprese sono capaci di innovare e di inserirsi nei processi tecnologici nuovi. Ma è certo che la dimensione di capitale e di organizzazione gioca un ruolo determinante nell'assimilazione dei processi innovativi, come dimostrato dai nostri Paesi concorrenti in Europa e fuori dal Vecchio continente.

*presidente Aifi - estratto dell'intervento in occasione del Convegno annuale dell'Associazione del 18 marzo 2013

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