Il Sole 24 ORE - Radiocor 31/07/2013 - 14:36
###Ue-Cina: dazi sul solare tra protezionismo e arma a doppio taglio - TACCUINO DA SHANGAI
di Stefano Carpigiani*
Radiocor - Milano, 31 lug - L'accordo raggiunto questa settimana di fissare un prezzo minimo di 56 euro cents a Watt per i pannelli solari fino alla fine del 2015 dovrebbe essere ratificato il 2 agosto e diventare effettivo il 5. Gli stati membri voteranno per renderlo permanente o cancellarlo il 7 dicembre. Il caso e' iniziato lo scorso settembre su iniziativa di un gruppo di produttori europei guidato da Solarword AG, il piu' grande produttore di pannelli fotovoltaici europeo con la richiesta alla commissione europea di considerare dazi anti-sussidi e antidumping sulle importazioni cinesi di wafers, celle e pannelli fotovoltaici basati sul silicio. L'aumento dei prezzi dei pannelli fotovoltaici cinesi avra' un grande impatto nello sviluppo, o sarebbe meglio dire sul mancato sviluppo, di nuove istallazioni in Europa soprattutto legato alla riduzione degli schemi di incentivazione di tutti gli Stati europei che ha posto grande pressione negli ultimi anni alla riduzione dei costi di installazione comportando una riduzione dei prezzi dei moduli fotovoltaici. La scelta di imporre dazi all'importazione per i prodotti cinesi avra' sicuramente il pregio di poter dare una boccata d'aria ai produttori europei ma le conseguenze su un piu' ampio scenario di osservazione potrebbero essere tutt'altro che scontate. Inoltre, dicendolo con le parole di Paul Barwel, amministratore della Solar Trade Association del Regno Unito: 'L'accordo, in ultima istanza, avra' risultati ridotti, i produttori tedeschi difficilmente riusciranno a competere nel lungo termine con i giganti asiatici'. In un mercato europeo dominato dall'offerta a basso costo di pannelli cinesi con un ottimo rapporto in termini di qualita'/prezzo supportato da una capacita' produttiva che non ha eguali al mondo l'imposizione di dazi avra' l'immediato risultato di contrarre la domanda e di annullare, di fatto, la fattibilita' economica di molti progetti di gradi dimensioni, principalmente a terra, che sono in sviluppo o sono stati appena sviluppati. La stessa domanda di fotovoltaico residenziale avra' una riduzione in termini di nuovo installato con picchi maggiori in stati, quali l'Italia, dove gli schemi di incentivazione sono ormai esauriti o comunque agli sgoccioli ed il ritorno economico e' funzione rilevante dell'investimento iniziale piu' che della produzione annua. A fronte di una riduzione della domanda i primi a farne le spese saranno necessariamente le aziende installatrici e gli installatori, tipicamente locali, che si troveranno a non poter comprimere ulteriormente i costi della manodopera con il duplice risultato di aver meno installazioni e con minori margini date richieste di compensare, almeno in parte, l'aumento dei costi generali. Riduzione dei fatturati che, necessariamente, investira' anche i produttori di inverter, nella maggior parte europei, che vedranno il proprio mercato storico velocizzare la contrazione della domanda che si sta gia' registrando in questi ultimi anni e che ha portato il settore all'inizio del proprio periodo di consolidamento, non ultimo l'acquisto di Power-One da parte di ABB. A fronte quindi di un beneficio, tutto da quantificare, per i produttori europei di pannelli fotovoltaici, tra l'altro da condividere con i produttori di pannelli non europei e non cinesi siassistera' ad una contrazione del mercato e del settore che e' gia' in ginocchio dominato da una forte fase recessiva. In ultimo e' importante rilevare che la capacita' produttiva dei produttori cinesi si rivolgera' ai restanti mercati mondiali in termini di prodotti di qualita' ad un prezzo contenuto rendendo la concorrenza fuori europa ancora piu' feroce mentre in Europa si ricollochera' aggredendo anche i settori ad alto margine come ad esempio i progetti su tetto con il risultato di aggredire anche i segmenti che, fino ad ora, sono ancora dominati dai produttori locali. Sembra insomma che la scelta di imporre dazi sia molto simile alla chiusura della stalla quando i buoi sono gia' scappati.
*Osservatorio Asia
mercoledì 31 luglio 2013
Il Sole 24 ORE - Radiocor 30/07/2013 - 11:16
***Cina: Banca centrale inietta 2,8 mld euro in sistema bancario
Radiocor - Milano, 30 lug - La Banca centrale cinese ha iniettato nel sistema bancario 17 miliardi di yuan (2,8 miliardi di euro), prima operazione di questo tipo dalla scorso febbraio. La Pboc ha realizzato questa iniezione tramite pronti contro termine a sette giorni sui mercati monetari. Lo ha annunciato l'istituto in una nota.
red-rmi
domenica 28 luglio 2013
Don Cannavera in corsa per la Regione
La candidatura spacca il centrosinistra
Dopo l'annuncio della possibile candidatura di don Cannavera al ruolo di governatore, il centrosinistra si divide.
In un’intervista esclusiva al nostro giornale, don Ettore Cannavera, il prete degli ultimi, ha annunciato che potrebbe candidarsi alle prossime elezioni regionali. La notizia - in attesa che il Vaticano acconsenta a un'eventuale discesa in campo del sacerdote - alimenta il dibattito politico. A parte gli attestati di stima che in maniera pressoché unanime vengono rivolti a don Cannavera, alcuni manifestano perplessità. Le esprime Mario Bruno, vicepresidente del Consiglio regionale, Franco Marras, coordinatore della segreteria Pd, Roberto Capelli, deputato del Centro Democratico.
Don Cannavera governatore dei sardi? "E' una possibilità che non escludo" se pensa e fa il bene comune ai Sardi
La candidatura spacca il centrosinistra
Dopo l'annuncio della possibile candidatura di don Cannavera al ruolo di governatore, il centrosinistra si divide.
In un’intervista esclusiva al nostro giornale, don Ettore Cannavera, il prete degli ultimi, ha annunciato che potrebbe candidarsi alle prossime elezioni regionali. La notizia - in attesa che il Vaticano acconsenta a un'eventuale discesa in campo del sacerdote - alimenta il dibattito politico. A parte gli attestati di stima che in maniera pressoché unanime vengono rivolti a don Cannavera, alcuni manifestano perplessità. Le esprime Mario Bruno, vicepresidente del Consiglio regionale, Franco Marras, coordinatore della segreteria Pd, Roberto Capelli, deputato del Centro Democratico.
Don Cannavera governatore dei sardi? "E' una possibilità che non escludo" se pensa e fa il bene comune ai Sardi
giovedì 25 luglio 2013
Il Sole 24 ORE - Radiocor 25/07/2013 - 09:11
Cina: Governo dell'Annunciazione Riduzione Imposte Sulle pmi
e Apertura dei progetti ferroviari ai capitalizzazione privatizzazione
Radiocor - Roma, 25 LUG - Il Governo cinese ha Annunciato Una Riduzione dell'imposizione fiscale Sulle Piccole Imprese. Dal Prossimo Primo agosto le Imprese con UN fatturato mensile non superiore a 20mila yuan (2,450 €) avranno un'esenzione d'imposta sul giro d'affari e sull'iva. A beneficiare delle Nuove Misure, Secondo comunicato delle Nazioni Unite di Pechino, Saranno circa 6 milioni di pmi. Nelle stesse ore e 'Stato Annunciata un'altra Misura di Stimolo all'economia: l'Apertura del Mercato delle Infrastrutture ferroviarie ai capitalizzazione privatizzazione.
mercoledì 24 luglio 2013
###Cina: da un 'atterraggio morbido' un aiuto alle riforme - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*
Radiocor - Milano, 22 lug - Il precedente Governo di Pechino e' stato abile nel denunciare i rischi dell'economia senza farli deflagrare in crisi. Al contrario, il Pil del paese e' continuato a crescere a tassi superiori alle attese e comunque invidiabili in ogni angolo del mondo. Dal 2007, l'ex primo Ministro Wen Ja Bao ha ripetuto che la congiuntura cinese presentava quattro future trappole, quattro aggettivi che iniziano con il prefisso negativo 'un': unstable, unbalanced, uncoordinated, unsustainable. Non ha cessato di ripetere la litania prima di lasciare il suo ufficio al piu' giovane Li Keqiang. Denunciare i pericoli non e' equivalso a risolverli. Il Pil della Cina continuava a salire, senza che tuttavia i problemi ormai strutturali dell'economia fossero risolti. Le contraddizioni sono state invece esacerbate da un modello 'sviluppista', dove 'l'ossessione per la crescita' (secondo l'espressione del leader Xi Jin Ping) prevaleva su ogni altra priorita'. E' verosimile che l'economia della Cina rallentera'. E' relativamente secondario chiedersi di quanti decimi percentuali essa sara' composta. Appare invece piu' importante capire come l'economia globale sara' influenzata da questa frenata. Le previsioni sono pessimiste. La Cina e' diventata la prima potenza importatrice, destinazione dunque di merci e materie prime dagli altri paesi. Tecnologia e materie prime - con qualche timida presenza dei beni di consumo - sulla via di Pechino generano reddito e occupazione nei paesi di provenienza. Si tratta in prevalenza di territori colpiti dalla crisi che affidano a un mercato in crescita le loro speranze di ripresa. Nello stesso contesto internazionale, una flessione delle esportazioni di Pechino causerebbe una minore disponibilita' di beni a basso costo. Le multinazionali infine perderebbero una posizione concorrenziale se la Cina innalzasse i costi dei loro insediamenti nei suoi confini. Per ironia il Dragone si pone come possibile minaccia per gli altri paesi in caso di rallentamento. Al contrario, qualche anno fa l'attacco era condotto nel caso dell'espansione. In realta', la Cina si trova in una posizione migliore - soprattutto dell'Europa e deli Usa - perche' ha maggiori margini di manovra avendo un deficit fiscale del 2%, un rapporto debito/Pil di solo 45% e una posizione positiva netta sull'estero di $ 2,5 Mld. Sotto alcuni punti di vista, il suo atterraggio, se non violento, e' addirittura auspicabile. La politica economica tende a eliminare gli squilibri, anche a costo di rivedere i tassi di crescita. Le ultime decisioni sono inequivocabili. Le autorita' monetarie hanno ridotto la circolazione interbancaria, il private banking dei cittadini piu' ricchi, la gestione delle riserve monetarie, i prestiti non controllati dal sistema bancario di Pechino. La manovra ha lo scopo di evitare l'indirizzo del denaro verso esiti non graditi, comunque non nell'interesse del paese. Su tutto, rimane la questione macroeconomica piu' pressante: evitare l'ennesima impennata degli investimenti per timore che i loro incrementi decrescenti conducano il paese ad un incontrollato eccesso di offerta. L'indice Pmi di Hsbc (Purchasing Manager Index, che segnala l'andamento delle aziende) e' sceso sotto la soglia psicologica di 50, che segna il crinale tra aspettative di crescita o di rallentamento. Contemporaneamente sono diminuite le esportazioni, mentre il tentativo di far crescere i consumi a scapito degli investimenti ancora annaspa di fronte all'incertezza del futuro per i consumatori. E se gli investimenti vengono abbattuti anche il consumo ne soffre, per cui il famoso bilanciamento tra consumi e investimenti diventa una chimera inafferabile. E' possibile dunque che la contrazione del Pil sia piu' forte del previsto (i piu' pessimisti prevedono che la crescita scendera' al 4.5% nel 2014) e che quindi l'obiettivo del 7,5% annuo non sia raggiunto. Cio' potrebbe essere addirittura utile alla dirigenza per abbattere le resistenze alle riforme. Queste diventerebbero infatti ineludibili, a fronte della crisi di un modello trentennale di successi. La prossima riunione plenaria del Comitato Centrale, prevista per ottobre, potrebbe diventare un appuntamento storico. Tuttavia, e' possibile che questi sforzi si rivelino senza costrutto, che la restrizione monetaria provochi non un miglioramento, ma inneschi una spirale di sfiducia che farebbe precipitare la crescita del Pil a valori trascurabili, 4,5% appunto. Sarebbe un grave problema per la Cina, ma soprattutto per i paesi industrializzati, nel quadro ormai affermato di una globalizzazione inarrestabile.
* presidente di Osservatorio Asia
di Alberto Forchielli*
Radiocor - Milano, 22 lug - Il precedente Governo di Pechino e' stato abile nel denunciare i rischi dell'economia senza farli deflagrare in crisi. Al contrario, il Pil del paese e' continuato a crescere a tassi superiori alle attese e comunque invidiabili in ogni angolo del mondo. Dal 2007, l'ex primo Ministro Wen Ja Bao ha ripetuto che la congiuntura cinese presentava quattro future trappole, quattro aggettivi che iniziano con il prefisso negativo 'un': unstable, unbalanced, uncoordinated, unsustainable. Non ha cessato di ripetere la litania prima di lasciare il suo ufficio al piu' giovane Li Keqiang. Denunciare i pericoli non e' equivalso a risolverli. Il Pil della Cina continuava a salire, senza che tuttavia i problemi ormai strutturali dell'economia fossero risolti. Le contraddizioni sono state invece esacerbate da un modello 'sviluppista', dove 'l'ossessione per la crescita' (secondo l'espressione del leader Xi Jin Ping) prevaleva su ogni altra priorita'. E' verosimile che l'economia della Cina rallentera'. E' relativamente secondario chiedersi di quanti decimi percentuali essa sara' composta. Appare invece piu' importante capire come l'economia globale sara' influenzata da questa frenata. Le previsioni sono pessimiste. La Cina e' diventata la prima potenza importatrice, destinazione dunque di merci e materie prime dagli altri paesi. Tecnologia e materie prime - con qualche timida presenza dei beni di consumo - sulla via di Pechino generano reddito e occupazione nei paesi di provenienza. Si tratta in prevalenza di territori colpiti dalla crisi che affidano a un mercato in crescita le loro speranze di ripresa. Nello stesso contesto internazionale, una flessione delle esportazioni di Pechino causerebbe una minore disponibilita' di beni a basso costo. Le multinazionali infine perderebbero una posizione concorrenziale se la Cina innalzasse i costi dei loro insediamenti nei suoi confini. Per ironia il Dragone si pone come possibile minaccia per gli altri paesi in caso di rallentamento. Al contrario, qualche anno fa l'attacco era condotto nel caso dell'espansione. In realta', la Cina si trova in una posizione migliore - soprattutto dell'Europa e deli Usa - perche' ha maggiori margini di manovra avendo un deficit fiscale del 2%, un rapporto debito/Pil di solo 45% e una posizione positiva netta sull'estero di $ 2,5 Mld. Sotto alcuni punti di vista, il suo atterraggio, se non violento, e' addirittura auspicabile. La politica economica tende a eliminare gli squilibri, anche a costo di rivedere i tassi di crescita. Le ultime decisioni sono inequivocabili. Le autorita' monetarie hanno ridotto la circolazione interbancaria, il private banking dei cittadini piu' ricchi, la gestione delle riserve monetarie, i prestiti non controllati dal sistema bancario di Pechino. La manovra ha lo scopo di evitare l'indirizzo del denaro verso esiti non graditi, comunque non nell'interesse del paese. Su tutto, rimane la questione macroeconomica piu' pressante: evitare l'ennesima impennata degli investimenti per timore che i loro incrementi decrescenti conducano il paese ad un incontrollato eccesso di offerta. L'indice Pmi di Hsbc (Purchasing Manager Index, che segnala l'andamento delle aziende) e' sceso sotto la soglia psicologica di 50, che segna il crinale tra aspettative di crescita o di rallentamento. Contemporaneamente sono diminuite le esportazioni, mentre il tentativo di far crescere i consumi a scapito degli investimenti ancora annaspa di fronte all'incertezza del futuro per i consumatori. E se gli investimenti vengono abbattuti anche il consumo ne soffre, per cui il famoso bilanciamento tra consumi e investimenti diventa una chimera inafferabile. E' possibile dunque che la contrazione del Pil sia piu' forte del previsto (i piu' pessimisti prevedono che la crescita scendera' al 4.5% nel 2014) e che quindi l'obiettivo del 7,5% annuo non sia raggiunto. Cio' potrebbe essere addirittura utile alla dirigenza per abbattere le resistenze alle riforme. Queste diventerebbero infatti ineludibili, a fronte della crisi di un modello trentennale di successi. La prossima riunione plenaria del Comitato Centrale, prevista per ottobre, potrebbe diventare un appuntamento storico. Tuttavia, e' possibile che questi sforzi si rivelino senza costrutto, che la restrizione monetaria provochi non un miglioramento, ma inneschi una spirale di sfiducia che farebbe precipitare la crescita del Pil a valori trascurabili, 4,5% appunto. Sarebbe un grave problema per la Cina, ma soprattutto per i paesi industrializzati, nel quadro ormai affermato di una globalizzazione inarrestabile.
* presidente di Osservatorio Asia
Il Sole 24 ORE - Radiocor 22/07/2013 - 12:34
Glaxo: ammette possibile corruzione funzionari in Cina
Radiocor - Roma, 22 lug - Il gruppo farmaceutico britannico GlaxoSmithKline (Gsk) ha ammesso oggi la possibilita' che alcuni suoi funzionari in Cina possano aver infranto la legge cinese nell'ambito di un'inchiesta per corruzione nel paese asiatico.
Nei giorni scorsi le autorita' cinesi avevano accusato alcuni funzionari di Glaxo di aver versato fino a 500milioni di dollari di tangenti in Cina a dipendenti pubblici, ospedali e medici al fine di promuovere la vendite dei prodotti della societa'. Nelle stesse ore un altro grande gruppo farmaceutico britannico, AstraZeneca, ha annunciato che la polizia cinese ha visitato la sua sede di Shanghai per una questione di rappresentanza commerciale.
Glaxo: ammette possibile corruzione funzionari in Cina
Radiocor - Roma, 22 lug - Il gruppo farmaceutico britannico GlaxoSmithKline (Gsk) ha ammesso oggi la possibilita' che alcuni suoi funzionari in Cina possano aver infranto la legge cinese nell'ambito di un'inchiesta per corruzione nel paese asiatico.
Nei giorni scorsi le autorita' cinesi avevano accusato alcuni funzionari di Glaxo di aver versato fino a 500milioni di dollari di tangenti in Cina a dipendenti pubblici, ospedali e medici al fine di promuovere la vendite dei prodotti della societa'. Nelle stesse ore un altro grande gruppo farmaceutico britannico, AstraZeneca, ha annunciato che la polizia cinese ha visitato la sua sede di Shanghai per una questione di rappresentanza commerciale.
lunedì 22 luglio 2013
ULTIME NEWS
Cina. Risponde all’iPhone e resta fulminata, morta 23enne dello Xinjiang
15 luglio 2013 14.16
(ASCA-AFP) – Pechino, 15 lug – Una donna cinese e’ morta dopo essere rimasta fulminata quando ha risposto ad una chiamata sul suo iPhone 5 mentre il dispositivo era sotto carica. Ne ha dato notizia sul popolare social network asiatico Sina Weibo la sorella della vittima, che era orginaria dello Xinjiang.
Si chiamava Ma Ailun e aveva appena 23 anni, era un’assistente di volo della China Southern Airlines.
Apple non ha rilasciato commenti sulla vicenda, anche se la portavoce del centro Apple di Pechino ha assicurato che l’azienda “indaghera’ e collaborera’ con le autorita’” locali sul caso.
Cina. Risponde all’iPhone e resta fulminata, morta 23enne dello Xinjiang
15 luglio 2013 14.16
(ASCA-AFP) – Pechino, 15 lug – Una donna cinese e’ morta dopo essere rimasta fulminata quando ha risposto ad una chiamata sul suo iPhone 5 mentre il dispositivo era sotto carica. Ne ha dato notizia sul popolare social network asiatico Sina Weibo la sorella della vittima, che era orginaria dello Xinjiang.
Si chiamava Ma Ailun e aveva appena 23 anni, era un’assistente di volo della China Southern Airlines.
Apple non ha rilasciato commenti sulla vicenda, anche se la portavoce del centro Apple di Pechino ha assicurato che l’azienda “indaghera’ e collaborera’ con le autorita’” locali sul caso.
sabato 20 luglio 2013
Il Sole 24 ORE - Radiocor 19/07/2013 - 14:57
###Crisi: Cina meno preoccupata dell'Europa per rallentamento crescita - LETTERA DA BRUXELLES
di Antonio Pollio Salimbeni
Radiocor - Pechino, 19 lug - L' Europa sembra piu' preoccupata per il rallentamento della crescita economica cinese di quanto lo siano i cinesi. E' questa una delle impressioni piu' chiare che si ricava parlando con diversi rappresentanti dell'industria europea prevalente della piccola e media impresa e con i loro 'omologhi' cinesi. L'occasione per capirlo e' stata la 'due giorni' della missione della Commissione europea in Cina con l'obiettivo di promuovere la cooperazione tra le due aree sull'attivita' industriale eco-compatibile, un mercato in rapida espansione in Cina sul quale si sono avventati non solo gli europei, ma anche americani, giapponesi, coreani. Il governo aveva fissato a marzo un obiettivo del 7,5% nel 2013, nel primo semestre il pil e' cresciuto del 7,6% dopo un intero 2012 al 7,8%. Il messaggio del governo e' che la Cina puo' sopportare anche una crescita del 7%. La preoccupazione centrale per Pechino e' controllare il rallentamento, quella dell'Europa e' di perdere un motore esterno.
Aps-y-
###Crisi: Cina meno preoccupata dell'Europa per rallentamento crescita - LETTERA DA BRUXELLES -2-
Radiocor - Pechino, 19 lug - Le imprese europee censite dalla Camera di commercio Ue nella capitale cinese mettono proprio il rallentamento dell'economia in cima alla lista dei fattori critici. Un lunghissimo periodo di crescita a due cifre (il picco venne toccato proprio l'anno precedente l'inizio dell'ultima crisi, nel 2007 con un pil a +14,2%) ha compensato le difficolta' politiche, culturali, le interferenze istituzionali e affaristiche (corruzione), gli ostacoli all'accesso al business, la concorrenza sleale dei grandi agglomerati pubblici. Cio', pero', non fa cambiare strategie di fondo alle imprese, neppure alle piccole e medie presenti in Cina: decrescono le aspettative di profitto, ma il ritiro dal quel mercato non e' all'ordine del giorno. Anzi.
D'altra parte, la Cina deve accelerare quella che nei contatti di questi giorni e' stata chiamata la 'ricostruzione' di modello di crescita industriale all'insegna della eco-compatibilita': per quanto possa sembrare strano in una Europa in recessione e con una prospettiva di restare non molto lontano dalla semistagnazione ancora per molto tempo, in Cina fanno piu' paura le dimostrazioni popolari (effettive e potenziali) per i danni ambientali e contro il peggioramento delle condizioni sanitarie derivanti dall'inquinamento di aria e acqua ormai a livelli estremi, che non la disoccupazione. Tra le venti citta' piu' inquinate del mondo, sedici sono cinesi. Entro il 2020 la popolazione urbana passera' da 600 milioni a 1 miliardo. L'aria a Pechino e' pesantissima non solo per il caldo-umido stagionale. Sul cibo nessuno si fida di nessuno: non ci si fida dello Stato che dovrebbe controllare, non ci si fida del ristorante sotto casa o di chi vende la carne. Solo nei migliori ristoranti campeggiano grandi cartelli giallo-verdi con il giudizio di qualita': faccetta sorridente, faccetta un po' piu' seria, bocca giu'.
Aps-y-
###Crisi: Cina meno preoccupata dell'Europa per rallentamento crescita - LETTERA DA BRUXELLES -3-
Radiocor - Pechino, 19 lug -
Il Fondo monetario internazionale da' ragione ai cinesi: l'allarme sull'andamento dell'economia e' fuori luogo. Le ultime stime indicano 7,5% quest'anno nonostante il rallentamento dei primi sei mesi. Anche se la Cina non puo' dirsi al riparo di 'un possibile contagio' delle difficolta' economiche di Usa ed Europa, suoi principali partner commerciali. Appunto: il colpo di coda della crisi potrebbe arrivare dall'esterno, non dalla Cina. Per cui il problema principale non e' tanto sapere se la crescita e' di 0,1% sopra o 0,1% sotto, quanto sapere se c'e' il ischio di un 'atterraggio duro' o pilotabile.
Questa situazione indurisce pero' automaticamente i rapporti bilaterali, ne risentono le politiche commerciali. Non che prima fosse rose e fiori, tutt'altro. Ma i casi dell'acciaio e dei pannelli solari anno modificato il quadro. Anche perche questa volta la Ue ha agito con una particolare efficacia in difesa dei settori industriali, nonostante le manovre contrarie della Germania sui pannelli solari. Forzando sulle procedure all'Organizzazione mondiale del commercio per difendere l'acciaio europeo e decidendo dazi provvisori sui pannelli solari cinesi venduti sotto costo, la Ue ha preso i cinesi in contropiede. Semplicemente loro non se lo aspettavano. Questa 'sorpresa' e' emersa chiaramente nei contatti bilaterali di questi giorni del corso della missione Tajani. E non e' un caso che i toni 'costruttivi' siano stati particolarmente prolungati. Tanto che da giorni gira aria di accordo sui pannelli.
Aps-y-
###Crisi: Cina meno preoccupata dell'Europa per rallentamento crescita - LETTERA DA BRUXELLES
di Antonio Pollio Salimbeni
Radiocor - Pechino, 19 lug - L' Europa sembra piu' preoccupata per il rallentamento della crescita economica cinese di quanto lo siano i cinesi. E' questa una delle impressioni piu' chiare che si ricava parlando con diversi rappresentanti dell'industria europea prevalente della piccola e media impresa e con i loro 'omologhi' cinesi. L'occasione per capirlo e' stata la 'due giorni' della missione della Commissione europea in Cina con l'obiettivo di promuovere la cooperazione tra le due aree sull'attivita' industriale eco-compatibile, un mercato in rapida espansione in Cina sul quale si sono avventati non solo gli europei, ma anche americani, giapponesi, coreani. Il governo aveva fissato a marzo un obiettivo del 7,5% nel 2013, nel primo semestre il pil e' cresciuto del 7,6% dopo un intero 2012 al 7,8%. Il messaggio del governo e' che la Cina puo' sopportare anche una crescita del 7%. La preoccupazione centrale per Pechino e' controllare il rallentamento, quella dell'Europa e' di perdere un motore esterno.
Aps-y-
###Crisi: Cina meno preoccupata dell'Europa per rallentamento crescita - LETTERA DA BRUXELLES -2-
Radiocor - Pechino, 19 lug - Le imprese europee censite dalla Camera di commercio Ue nella capitale cinese mettono proprio il rallentamento dell'economia in cima alla lista dei fattori critici. Un lunghissimo periodo di crescita a due cifre (il picco venne toccato proprio l'anno precedente l'inizio dell'ultima crisi, nel 2007 con un pil a +14,2%) ha compensato le difficolta' politiche, culturali, le interferenze istituzionali e affaristiche (corruzione), gli ostacoli all'accesso al business, la concorrenza sleale dei grandi agglomerati pubblici. Cio', pero', non fa cambiare strategie di fondo alle imprese, neppure alle piccole e medie presenti in Cina: decrescono le aspettative di profitto, ma il ritiro dal quel mercato non e' all'ordine del giorno. Anzi.
D'altra parte, la Cina deve accelerare quella che nei contatti di questi giorni e' stata chiamata la 'ricostruzione' di modello di crescita industriale all'insegna della eco-compatibilita': per quanto possa sembrare strano in una Europa in recessione e con una prospettiva di restare non molto lontano dalla semistagnazione ancora per molto tempo, in Cina fanno piu' paura le dimostrazioni popolari (effettive e potenziali) per i danni ambientali e contro il peggioramento delle condizioni sanitarie derivanti dall'inquinamento di aria e acqua ormai a livelli estremi, che non la disoccupazione. Tra le venti citta' piu' inquinate del mondo, sedici sono cinesi. Entro il 2020 la popolazione urbana passera' da 600 milioni a 1 miliardo. L'aria a Pechino e' pesantissima non solo per il caldo-umido stagionale. Sul cibo nessuno si fida di nessuno: non ci si fida dello Stato che dovrebbe controllare, non ci si fida del ristorante sotto casa o di chi vende la carne. Solo nei migliori ristoranti campeggiano grandi cartelli giallo-verdi con il giudizio di qualita': faccetta sorridente, faccetta un po' piu' seria, bocca giu'.
Aps-y-
###Crisi: Cina meno preoccupata dell'Europa per rallentamento crescita - LETTERA DA BRUXELLES -3-
Radiocor - Pechino, 19 lug -
Il Fondo monetario internazionale da' ragione ai cinesi: l'allarme sull'andamento dell'economia e' fuori luogo. Le ultime stime indicano 7,5% quest'anno nonostante il rallentamento dei primi sei mesi. Anche se la Cina non puo' dirsi al riparo di 'un possibile contagio' delle difficolta' economiche di Usa ed Europa, suoi principali partner commerciali. Appunto: il colpo di coda della crisi potrebbe arrivare dall'esterno, non dalla Cina. Per cui il problema principale non e' tanto sapere se la crescita e' di 0,1% sopra o 0,1% sotto, quanto sapere se c'e' il ischio di un 'atterraggio duro' o pilotabile.
Questa situazione indurisce pero' automaticamente i rapporti bilaterali, ne risentono le politiche commerciali. Non che prima fosse rose e fiori, tutt'altro. Ma i casi dell'acciaio e dei pannelli solari anno modificato il quadro. Anche perche questa volta la Ue ha agito con una particolare efficacia in difesa dei settori industriali, nonostante le manovre contrarie della Germania sui pannelli solari. Forzando sulle procedure all'Organizzazione mondiale del commercio per difendere l'acciaio europeo e decidendo dazi provvisori sui pannelli solari cinesi venduti sotto costo, la Ue ha preso i cinesi in contropiede. Semplicemente loro non se lo aspettavano. Questa 'sorpresa' e' emersa chiaramente nei contatti bilaterali di questi giorni del corso della missione Tajani. E non e' un caso che i toni 'costruttivi' siano stati particolarmente prolungati. Tanto che da giorni gira aria di accordo sui pannelli.
Aps-y-
Il Sole 24 ORE - Radiocor 19/07/2013 - 14:50
*** Cina: Banca centrale liberalizza tassi su impieghi a clientela
Radiocor - Milano, 19 lug - La Banca centrale cinese (PBoC) ha annunciato, con una nota sul suo sito web, di aver cancellato i controlli sui tassi che le banche applicano sugli impieghi alla clientela. Questi saranno d'ora in avanti decisi liberamente dalle singole banche. La liberalizzazione si iscrive nel percorso verso un sistema finanziario piu' orientato al mercato e a sostegno della crescita. Con la riforma, attesa da tempo, si vuole contribuire ad abbassare i costi di finanziamento per le imprese, si legge nella nota. La nuova normativa, che entrera' in vigore da domani, rappresenta la prima importante riforma da parte del Governo del Presidente Xi Jinping entrato in carica nel marzo di quest'anno. A tutt'oggi, la PBoC dava alle banche l'indicazione di un tasso minimo per prestiti e depositi che poteva essere sforato fino a un massimo del 30%. Resterebbero ancora sottoposti al sistema di controllo i tassi sui depositi bancari e sui prestiti immobiliari.
red-mir-
*** Cina: Banca centrale liberalizza tassi su impieghi a clientela
Radiocor - Milano, 19 lug - La Banca centrale cinese (PBoC) ha annunciato, con una nota sul suo sito web, di aver cancellato i controlli sui tassi che le banche applicano sugli impieghi alla clientela. Questi saranno d'ora in avanti decisi liberamente dalle singole banche. La liberalizzazione si iscrive nel percorso verso un sistema finanziario piu' orientato al mercato e a sostegno della crescita. Con la riforma, attesa da tempo, si vuole contribuire ad abbassare i costi di finanziamento per le imprese, si legge nella nota. La nuova normativa, che entrera' in vigore da domani, rappresenta la prima importante riforma da parte del Governo del Presidente Xi Jinping entrato in carica nel marzo di quest'anno. A tutt'oggi, la PBoC dava alle banche l'indicazione di un tasso minimo per prestiti e depositi che poteva essere sforato fino a un massimo del 30%. Resterebbero ancora sottoposti al sistema di controllo i tassi sui depositi bancari e sui prestiti immobiliari.
red-mir-
Pmi: Ue, a Pechino 'speed-dating' fra eco-imprese
335 incontri di 30 minuti fra europei e cinesi
19 luglio, 15:50
(ANSA) - PECHINO, 19 LUG - Trenta minuti a disposizione per 335 incontri: questi i numeri del primo evento di 'matchmaking' organizzato oggi a Pechino dalla Commissione Ue per una sessantina di imprese europee, decise a sbarcare sul mercato cinese. In prima fila soprattutto tante Pmi con un'ecotecnologia innovativa da lanciare insieme ad un possibile partner locale. Come in uno 'speed-dating', ogni azienda ha incontrato 'faccia a faccia' diversi possibili partner, spostandosi fra 35 tavoli e con l'assistenza di venti interpreti.
''Le nostre porte sono aperte verso la Cina'' ha detto avviando gli incontri il commissario europeo all'industria, Antonio Tajani, alla guida della due giorni di missione 'per la crescita verde'. Obiettivo: creare nuove partnership fra imprese Ue e cinesi, soprattutto nei settori della green economy. Come quello della lotta all'inquinamento, un fronte su cui la Cina si sta muovendo adesso. Un possibile matrimonio l'hanno trovato Markky Rajala della Pegasor Oy, un'azienda finlandese leader in Europa per la produzione di sensori del particolato ultrafine (Pm 2.5) e Owen Xiao, l'ingegnere di un'impresa portoghese (Scale Biofuels Aps) che già lavora con le autorità di Pechino.
''Continueremo lunedì i nostri colloqui, ma penso che una partnership sia possibile'' ha detto Xiao. ''Per noi è importante che il partner possa testare la nostra tecnologia e garantire la sua qualità ai privati'' ha aggiunto Rajala. (ANSA)
335 incontri di 30 minuti fra europei e cinesi
19 luglio, 15:50
(ANSA) - PECHINO, 19 LUG - Trenta minuti a disposizione per 335 incontri: questi i numeri del primo evento di 'matchmaking' organizzato oggi a Pechino dalla Commissione Ue per una sessantina di imprese europee, decise a sbarcare sul mercato cinese. In prima fila soprattutto tante Pmi con un'ecotecnologia innovativa da lanciare insieme ad un possibile partner locale. Come in uno 'speed-dating', ogni azienda ha incontrato 'faccia a faccia' diversi possibili partner, spostandosi fra 35 tavoli e con l'assistenza di venti interpreti.
''Le nostre porte sono aperte verso la Cina'' ha detto avviando gli incontri il commissario europeo all'industria, Antonio Tajani, alla guida della due giorni di missione 'per la crescita verde'. Obiettivo: creare nuove partnership fra imprese Ue e cinesi, soprattutto nei settori della green economy. Come quello della lotta all'inquinamento, un fronte su cui la Cina si sta muovendo adesso. Un possibile matrimonio l'hanno trovato Markky Rajala della Pegasor Oy, un'azienda finlandese leader in Europa per la produzione di sensori del particolato ultrafine (Pm 2.5) e Owen Xiao, l'ingegnere di un'impresa portoghese (Scale Biofuels Aps) che già lavora con le autorità di Pechino.
''Continueremo lunedì i nostri colloqui, ma penso che una partnership sia possibile'' ha detto Xiao. ''Per noi è importante che il partner possa testare la nostra tecnologia e garantire la sua qualità ai privati'' ha aggiunto Rajala. (ANSA)
Ue-Cina: Tajani guida missione 'crescita verde'
Con Potocnik a Pechino per promuovere cooperazione
18 luglio, 00:52
BRUXELLES - Promuovere un'economia amica dell'ambiente e dare nuove opportunità di business alle imprese europee più avanzate sul fronte dell'eco-innovazione: sono le priorità della 'missione crescita verde' della Commissione Ue a Pechino che prende il via oggi e si concluderà venerdì. Una due giorni fitta di incontri con il mondo politico ed economico cinese per il vicepresidente, Antonio Tajani e il commissario Ue all'Ambiente, Janez Potocnik, insieme a 50 fra rappresentanti di industrie e associazioni di aziende europee.
Il viaggio cade però in un periodo delicato delle relazioni bilaterali, segnato dalla disputa sui dazi Ue sul fotovoltaico cinese che, in assenza di un accordo, il 6 agosto passeranno dell'11,8% a una media del 47,6%. La Cina oltre ad essere un grande produttore di pannelli solari è anche la prima fonte per le emissioni di gas serra del Pianeta, sempre più alla ricerca di partner tecnologici o commerciali per fare fronte alle sfide legate a inquinamento, emissioni di CO2, sicurezza ed efficienza energetica, acqua potabile e riduzione dei consumi di risorse. Il valore del mercato globale di prodotti e servizi verdi attualmente viene stimato in circa mille miliardi di euro l'anno, una cifra che potrebbe triplicare entro il 2020.
Quello fra Ue e Cina potrebbe essere quindi un matrimonio di interessi: l'Ue è già il principale partner commerciale della Cina, con scambi complessivi nel 2012 per 433,6 miliardi di euro, mentre il Paese del Dragone è il secondo partner commerciale dell'Ue dopo gli Usa. Per rispondere alle sfide di disoccupazione, sostenibilità e sviluppo demografico ''l'Europa deve porsi alla guida delle nuova rivoluzione industriale, verso tecniche di produzioni innovative, meno inquinanti e più efficienti dal punto di vista energetico'' spiega il commissario Ue all'Industria, Antonio Tajani.
Questo è il momento in cui il vecchio continente ''deve sfruttare la sua leadership in molte delle tecnologie di punta per aprirsi a nuovi mercati e opportunità di business'' aggiunge Tajani, per cui la missione a Pechino ''sara' un'occasione importante per facilitare l'accesso al mercato cinese delle imprese europee e aiutare questo Paese a migliorare la qualita' della vita e dell'ambiente''.''Discuteremo come realizzare la crescita verde in Europa e in Cina, ma anche a livello globale'' afferma Potocnik, secondo il quale ''Ue e Cina condividono l'idea che la tutela ambientale e la crescita economica non solo possono, ma devono andare mano nella mano. Entrambi riconosciamo che il nostro futuro economico debba essere verde e questo ci rende partner chiave anche nella cooperazione internazionale''.
Con Potocnik a Pechino per promuovere cooperazione
18 luglio, 00:52
BRUXELLES - Promuovere un'economia amica dell'ambiente e dare nuove opportunità di business alle imprese europee più avanzate sul fronte dell'eco-innovazione: sono le priorità della 'missione crescita verde' della Commissione Ue a Pechino che prende il via oggi e si concluderà venerdì. Una due giorni fitta di incontri con il mondo politico ed economico cinese per il vicepresidente, Antonio Tajani e il commissario Ue all'Ambiente, Janez Potocnik, insieme a 50 fra rappresentanti di industrie e associazioni di aziende europee.
Il viaggio cade però in un periodo delicato delle relazioni bilaterali, segnato dalla disputa sui dazi Ue sul fotovoltaico cinese che, in assenza di un accordo, il 6 agosto passeranno dell'11,8% a una media del 47,6%. La Cina oltre ad essere un grande produttore di pannelli solari è anche la prima fonte per le emissioni di gas serra del Pianeta, sempre più alla ricerca di partner tecnologici o commerciali per fare fronte alle sfide legate a inquinamento, emissioni di CO2, sicurezza ed efficienza energetica, acqua potabile e riduzione dei consumi di risorse. Il valore del mercato globale di prodotti e servizi verdi attualmente viene stimato in circa mille miliardi di euro l'anno, una cifra che potrebbe triplicare entro il 2020.
Quello fra Ue e Cina potrebbe essere quindi un matrimonio di interessi: l'Ue è già il principale partner commerciale della Cina, con scambi complessivi nel 2012 per 433,6 miliardi di euro, mentre il Paese del Dragone è il secondo partner commerciale dell'Ue dopo gli Usa. Per rispondere alle sfide di disoccupazione, sostenibilità e sviluppo demografico ''l'Europa deve porsi alla guida delle nuova rivoluzione industriale, verso tecniche di produzioni innovative, meno inquinanti e più efficienti dal punto di vista energetico'' spiega il commissario Ue all'Industria, Antonio Tajani.
Questo è il momento in cui il vecchio continente ''deve sfruttare la sua leadership in molte delle tecnologie di punta per aprirsi a nuovi mercati e opportunità di business'' aggiunge Tajani, per cui la missione a Pechino ''sara' un'occasione importante per facilitare l'accesso al mercato cinese delle imprese europee e aiutare questo Paese a migliorare la qualita' della vita e dell'ambiente''.''Discuteremo come realizzare la crescita verde in Europa e in Cina, ma anche a livello globale'' afferma Potocnik, secondo il quale ''Ue e Cina condividono l'idea che la tutela ambientale e la crescita economica non solo possono, ma devono andare mano nella mano. Entrambi riconosciamo che il nostro futuro economico debba essere verde e questo ci rende partner chiave anche nella cooperazione internazionale''.
Ue-Cina: Tajani firma accordo per cooperazione tra Pmi
Obiettivo convergenza, colloqui anche su spazio e clusters
18 luglio, 17:57
(ANSA) - PECHINO, 18 LUG - Scambiare informazioni su politiche industriali e buone pratiche, ma anche incoraggiare la convergenza di standard e regole tecniche per ridurre i costi delle aziende: questi alcuni punti dell'accordo firmato oggi a Pechino dal vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, con il ministro dell'industria, Miao Wei.
''Stiamo lavorando sulla reciprocità con l'interlocutore cinese'' ha spiegato oggi Tajani, impegnato nella prima missione per la 'crescita verde' Ue-Cina insieme ad oltre 50 aziende europee. Questo accordo, che rilancia il dialogo e la cooperazione già avviata a livello bilaterale ''e' importante anche per le materie prime e per le Pmi'' ha spiegato il commissario all'industria, che punta a far lavorare le imprese europee in Cina ''a parità di condizioni'' con la concorrenza locale. Nel lungo colloquio con il ministro dell'industria cinese, il vicepresidente della Commissione europea ha affrontato anche il tema spazio e i programmi Galileo, Egnos e Copernicus. ''Abbiamo deciso di andare avanti nella cooperazione e di rafforzare i collegamenti fra le nostre agenzie'' ha detto Tajani. Il commissario europeo all'industria ha inoltre invitato i partner cinesi a partecipare alla piattaforma di collaborazione sui distretti tecnologici ('clusters'), includendo aree di interesse strategico come le eco-tecnologie. (ANSA)
Obiettivo convergenza, colloqui anche su spazio e clusters
18 luglio, 17:57
(ANSA) - PECHINO, 18 LUG - Scambiare informazioni su politiche industriali e buone pratiche, ma anche incoraggiare la convergenza di standard e regole tecniche per ridurre i costi delle aziende: questi alcuni punti dell'accordo firmato oggi a Pechino dal vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, con il ministro dell'industria, Miao Wei.
''Stiamo lavorando sulla reciprocità con l'interlocutore cinese'' ha spiegato oggi Tajani, impegnato nella prima missione per la 'crescita verde' Ue-Cina insieme ad oltre 50 aziende europee. Questo accordo, che rilancia il dialogo e la cooperazione già avviata a livello bilaterale ''e' importante anche per le materie prime e per le Pmi'' ha spiegato il commissario all'industria, che punta a far lavorare le imprese europee in Cina ''a parità di condizioni'' con la concorrenza locale. Nel lungo colloquio con il ministro dell'industria cinese, il vicepresidente della Commissione europea ha affrontato anche il tema spazio e i programmi Galileo, Egnos e Copernicus. ''Abbiamo deciso di andare avanti nella cooperazione e di rafforzare i collegamenti fra le nostre agenzie'' ha detto Tajani. Il commissario europeo all'industria ha inoltre invitato i partner cinesi a partecipare alla piattaforma di collaborazione sui distretti tecnologici ('clusters'), includendo aree di interesse strategico come le eco-tecnologie. (ANSA)
Ue-Cina: Tajani, pronti a rispondere domanda eco-tecnologie
Economia verde Ue vale 400 mld e per cinesi è Sos inquinamento
18 luglio, 17:58
BRUXELLES - La Cina ha deciso di puntare sull'economia verde e l'Unione europea è pronta a rispondere all'appello. Tanto da inviare a Pechino un forte segnale politico: la sua prima 'missione per la crescita verde', guidata dal vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani insieme al commissario europeo all'ambiente, Janez Potocnik, e a più di una cinquantina di imprese 'verdi' europee.
''Il vicepremier Ma Kai è stato chiaro: vogliamo lavorare sull'economia verde'' spiega Antonio Tajani, commissario europeo all'industria, che in questo primo giorno di incontri ha registrato una accoglienza positiva da parte di Pechino, nonostante le dispute sull'acciaio e i pannelli solari siano ancora in attesa di una soluzione. ''La Cina vuole cooperare con noi, lavorare con noi che abbiamo il know how'' afferma Tajani, che può contare su un mercato dei servizi e dei prodotti verdi che in Europa ormai è un colosso: vale circa 400 miliardi di euro l'anno, ha più occupati dell'industria automobilistica e vale più dell'industria farmaceutica.
''In Cina sta crescendo la preoccupazione per l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e per i rifiuti ed è chiaro che la nuova leadership cinese sta ponendo questo tema fra le sue priorita' '' ha aggiunto Potocnik, che da tempo ha avviato un costante dialogo con i ministri cinesi sui temi ambientali. ''Questa missione prepara la strada per il prossimo summit Ue-Cina di novembre, che avrà come tema portante proprio l'economia verde'' hanno detto Tajani e Potocnik.
Economia verde Ue vale 400 mld e per cinesi è Sos inquinamento
18 luglio, 17:58
BRUXELLES - La Cina ha deciso di puntare sull'economia verde e l'Unione europea è pronta a rispondere all'appello. Tanto da inviare a Pechino un forte segnale politico: la sua prima 'missione per la crescita verde', guidata dal vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani insieme al commissario europeo all'ambiente, Janez Potocnik, e a più di una cinquantina di imprese 'verdi' europee.
''Il vicepremier Ma Kai è stato chiaro: vogliamo lavorare sull'economia verde'' spiega Antonio Tajani, commissario europeo all'industria, che in questo primo giorno di incontri ha registrato una accoglienza positiva da parte di Pechino, nonostante le dispute sull'acciaio e i pannelli solari siano ancora in attesa di una soluzione. ''La Cina vuole cooperare con noi, lavorare con noi che abbiamo il know how'' afferma Tajani, che può contare su un mercato dei servizi e dei prodotti verdi che in Europa ormai è un colosso: vale circa 400 miliardi di euro l'anno, ha più occupati dell'industria automobilistica e vale più dell'industria farmaceutica.
''In Cina sta crescendo la preoccupazione per l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e per i rifiuti ed è chiaro che la nuova leadership cinese sta ponendo questo tema fra le sue priorita' '' ha aggiunto Potocnik, che da tempo ha avviato un costante dialogo con i ministri cinesi sui temi ambientali. ''Questa missione prepara la strada per il prossimo summit Ue-Cina di novembre, che avrà come tema portante proprio l'economia verde'' hanno detto Tajani e Potocnik.
Ue-Cina: Tajani firma 3 accordi, da turismo a contraffazione
Commissario annuncia proposta per facilitazione visti a novembre
19 luglio, 18:56
Dal turismo fino alla standardizzazione e alla sicurezza dei prodotti sono tre gli accordi firmati a Pechino dal vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani. Una nuova base per rilanciare la cooperazione Ue-Cina, già avviata da Bruxelles su più fronti. Il primo accordo firmato è quello dedicato al turismo, che vede Ue e Cina decisi a conquistare più viaggiatori tramite nuovi scambi.
Le altre due intese importanti sia per imprese che per i consumatori sono sulla standardizzazione e sulla sicurezza dei prodotti. La prima prevede una maggiore collaborazione fra tecnici cinesi ed europei sugli standard da scegliere per prodotti di interesse comune, aprendo così maggiori opportunità di mercato alle imprese. L'altra ribadisce la collaborazione sulla sicurezza dei prodotti industriali e sulla tracciabilità, un aspetto chiave per la lotta alla contraffazione.
''L'80% dei prodotti contraffatti venduti in Usa e in Europa arriva dalla Cina'' spiega Armando Branchini, presidente dell'ECCIA, l'organizzazione che riunisce l'industria europea del lusso, dalla moda fino a nautica e alberghi. ''Le norme in Cina contro la contraffazione ci sono, il problema è l'applicazione'' riferisce Branchini, secondo cui l'accordo di oggi ''può essere utile, ma cruciale in Europa sarà la nuova legge Ue sulla sicurezza dei prodotti proposta da Tajani, che prevede l'obbligo di indicare il 'made in' sui prodotti in arrivo dall'estero''.
A NOVEMBRE PROPOSTA PER FACILITAZIONE VISTI - Regole più flessibili in vista per i cinesi che vorranno viaggiare nell'Ue. La Commissione europea presenterà il prossimo novembre una proposta ''per facilitare l'ingresso dei turisti, ma anche di studenti e uomini d'affari''. Lo ha annunciato oggi a Pechino il vicepresidente dell'esecutivo Ue responsabile per l'industria, Antonio Tajani, al termine della missione 'per la crescita verde'.
''Il lavoro con il commissario agli affari interni, Cecilia Malmstrom, è in corso, e presenteremo la nostra proposta a novembre'' ha detto Tajani. ''Vogliamo ridurre i tempi per il rilascio dei visti'' ha aggiunto il vicepresidente della Commissione Ue, che considera il comparto turismo ''molto importante'' per la ripresa economica dell'Ue. ''Stiamo studiando anche le decisioni adottate dagli Usa per i viaggiatori provenienti da Cina e Brasile'' ha spiegato Tajani.
''Per l'Europa come per la Cina - ha detto il commissario - è importante aumentare il numero di turisti''. I cinesi ormai sono diventati la maggiore fonte di profitto del turismo a livello mondiale: da soli nel 2012 hanno speso all'estero 79 miliardi di euro e in media, per una destinazione al di fuori del Paese, circa 809 euro a testa. Sempre nel 2012 si stima che i turisti cinesi abbiano speso 3.700 euro per ciascun viaggio in Europa e 4.900 euro per ogni viaggio negli Usa.
© Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati
Commissario annuncia proposta per facilitazione visti a novembre
19 luglio, 18:56
Dal turismo fino alla standardizzazione e alla sicurezza dei prodotti sono tre gli accordi firmati a Pechino dal vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani. Una nuova base per rilanciare la cooperazione Ue-Cina, già avviata da Bruxelles su più fronti. Il primo accordo firmato è quello dedicato al turismo, che vede Ue e Cina decisi a conquistare più viaggiatori tramite nuovi scambi.
Le altre due intese importanti sia per imprese che per i consumatori sono sulla standardizzazione e sulla sicurezza dei prodotti. La prima prevede una maggiore collaborazione fra tecnici cinesi ed europei sugli standard da scegliere per prodotti di interesse comune, aprendo così maggiori opportunità di mercato alle imprese. L'altra ribadisce la collaborazione sulla sicurezza dei prodotti industriali e sulla tracciabilità, un aspetto chiave per la lotta alla contraffazione.
''L'80% dei prodotti contraffatti venduti in Usa e in Europa arriva dalla Cina'' spiega Armando Branchini, presidente dell'ECCIA, l'organizzazione che riunisce l'industria europea del lusso, dalla moda fino a nautica e alberghi. ''Le norme in Cina contro la contraffazione ci sono, il problema è l'applicazione'' riferisce Branchini, secondo cui l'accordo di oggi ''può essere utile, ma cruciale in Europa sarà la nuova legge Ue sulla sicurezza dei prodotti proposta da Tajani, che prevede l'obbligo di indicare il 'made in' sui prodotti in arrivo dall'estero''.
A NOVEMBRE PROPOSTA PER FACILITAZIONE VISTI - Regole più flessibili in vista per i cinesi che vorranno viaggiare nell'Ue. La Commissione europea presenterà il prossimo novembre una proposta ''per facilitare l'ingresso dei turisti, ma anche di studenti e uomini d'affari''. Lo ha annunciato oggi a Pechino il vicepresidente dell'esecutivo Ue responsabile per l'industria, Antonio Tajani, al termine della missione 'per la crescita verde'.
''Il lavoro con il commissario agli affari interni, Cecilia Malmstrom, è in corso, e presenteremo la nostra proposta a novembre'' ha detto Tajani. ''Vogliamo ridurre i tempi per il rilascio dei visti'' ha aggiunto il vicepresidente della Commissione Ue, che considera il comparto turismo ''molto importante'' per la ripresa economica dell'Ue. ''Stiamo studiando anche le decisioni adottate dagli Usa per i viaggiatori provenienti da Cina e Brasile'' ha spiegato Tajani.
''Per l'Europa come per la Cina - ha detto il commissario - è importante aumentare il numero di turisti''. I cinesi ormai sono diventati la maggiore fonte di profitto del turismo a livello mondiale: da soli nel 2012 hanno speso all'estero 79 miliardi di euro e in media, per una destinazione al di fuori del Paese, circa 809 euro a testa. Sempre nel 2012 si stima che i turisti cinesi abbiano speso 3.700 euro per ciascun viaggio in Europa e 4.900 euro per ogni viaggio negli Usa.
© Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati
giovedì 18 luglio 2013
Il Sole 24 ORE - Radiocor 18/07/2013 - 15:58
###Cina: imprese europee meno ottimiste, ma non cambiano strategia - FOCUS
di Antonio Pollio Salimbeni
Radiocor - Pechino, 18 lug - Le imprese europee che hanno una ramificazione in Cina sono meno ottimiste, ma non mettono nel modo piu' assoluto in discussione le attuali strategie produttive o commerciali. I motivi del cambiamento di umore, non di valutazioni di fondo, sono diversi e tra questi anche l'indebolimento progressivo del ritmo di crescita economica che e' rallentata nel secondo trimestre al 7,5% dopo la caduta al 7,7% nel primo trimeste (nei primi sei mesi del 2013 la crescita del pil e' sata del 7,6%). Da una recente ricerca della Camera di commercio Ue sulla fiducia del 'business' europeo in Cina emerge che nel 2013 solo il 22% ritiene che aumentera' il fatturato rispetto al 2012, quando cosi' si pronuncio' il 35% delle imprese sondate, e che il 16% contro il 6% l'anno scorso dichiara che le entrate diminuiranno. Non c'entra pero' solo l'andamento del pil: tra gli ostacoli al business c'e' sempre la difficolta' di accesso ai mercati.
###Cina: imprese meno ottimiste ma non cambiano strategia - FOCUS -2-
Radiocor - Pechino, 18 lug - Il sondaggio si fonda sulla risposta di 526 imprese membri della Camera di commercio Ue. E' evidente che 'condizioni piu' difficili del business sia a livello globale che in Cina, hanno diminuito la performance finanziaria delle societa' europee in Cina negli ultimi anni'. La dg Jaspal Channa spiega che in linea generale sono tre le ragioni del cambiamento di fase rispetto al quale la Cina era considerata: 'Rallentamento della crescita sia nel mercato europeo che in quello cinese, costi del lavoro in aumento, concorrenza da parte delle imprese private controllate dai cinesi'. Altro fattore che ha indebolito i risultati finanziari il contesto di regolazione, che rappresenta per le imprese non cinesi, specie per quelli di minore dimensione, un vera e propria barriera alla realizzazione di un'attivita' imprenditoriale prevedibile.
In linea generale dal sondaggio emerge che sono calati gli ottimisti sulle prospettive dell'attivita' imprenditoriale in Cina da un anno all'altro: 71% contro il 76% del 2012, e sono aumentati i pessimismi: dal 18% al 22%. L'ottimismo sui profitti previsti e' passato dal 47% del 2008 al 29% quest'anno, i 'neutrali'dal 35% al 49%. Complessivamente il 52% ritiene che il problema dell'aumento del costo del lavoro e' quello fondamentale, per il 40% e' fondamentale l'indebolimento del settore immobiliare, per il 32% il rallentamento della crescita, il calo della domanda internazionale, per il 31% e' fondamentale la concorrenza delle aziende private cinesi. La questione delle barriere all'accesso al mercato cinese e alla trasparenza del business (un modo elegante che allude al peso della corruzione e delle tortuosita'' della burocrazia) viene giudicata in tutti i settori un problema 'storico' con il quale tutti devono quotidianamente 'battagliare'.
Detto questo non ci sono indicazioni dalle aziende europee presenti in Cina di una strategia del ritiro o quantomeno di una frenata: l'86% indica di voler espandere l'attivita'.
Aps-y-
###Cina: imprese europee meno ottimiste, ma non cambiano strategia - FOCUS
di Antonio Pollio Salimbeni
Radiocor - Pechino, 18 lug - Le imprese europee che hanno una ramificazione in Cina sono meno ottimiste, ma non mettono nel modo piu' assoluto in discussione le attuali strategie produttive o commerciali. I motivi del cambiamento di umore, non di valutazioni di fondo, sono diversi e tra questi anche l'indebolimento progressivo del ritmo di crescita economica che e' rallentata nel secondo trimestre al 7,5% dopo la caduta al 7,7% nel primo trimeste (nei primi sei mesi del 2013 la crescita del pil e' sata del 7,6%). Da una recente ricerca della Camera di commercio Ue sulla fiducia del 'business' europeo in Cina emerge che nel 2013 solo il 22% ritiene che aumentera' il fatturato rispetto al 2012, quando cosi' si pronuncio' il 35% delle imprese sondate, e che il 16% contro il 6% l'anno scorso dichiara che le entrate diminuiranno. Non c'entra pero' solo l'andamento del pil: tra gli ostacoli al business c'e' sempre la difficolta' di accesso ai mercati.
###Cina: imprese meno ottimiste ma non cambiano strategia - FOCUS -2-
Radiocor - Pechino, 18 lug - Il sondaggio si fonda sulla risposta di 526 imprese membri della Camera di commercio Ue. E' evidente che 'condizioni piu' difficili del business sia a livello globale che in Cina, hanno diminuito la performance finanziaria delle societa' europee in Cina negli ultimi anni'. La dg Jaspal Channa spiega che in linea generale sono tre le ragioni del cambiamento di fase rispetto al quale la Cina era considerata: 'Rallentamento della crescita sia nel mercato europeo che in quello cinese, costi del lavoro in aumento, concorrenza da parte delle imprese private controllate dai cinesi'. Altro fattore che ha indebolito i risultati finanziari il contesto di regolazione, che rappresenta per le imprese non cinesi, specie per quelli di minore dimensione, un vera e propria barriera alla realizzazione di un'attivita' imprenditoriale prevedibile.
In linea generale dal sondaggio emerge che sono calati gli ottimisti sulle prospettive dell'attivita' imprenditoriale in Cina da un anno all'altro: 71% contro il 76% del 2012, e sono aumentati i pessimismi: dal 18% al 22%. L'ottimismo sui profitti previsti e' passato dal 47% del 2008 al 29% quest'anno, i 'neutrali'dal 35% al 49%. Complessivamente il 52% ritiene che il problema dell'aumento del costo del lavoro e' quello fondamentale, per il 40% e' fondamentale l'indebolimento del settore immobiliare, per il 32% il rallentamento della crescita, il calo della domanda internazionale, per il 31% e' fondamentale la concorrenza delle aziende private cinesi. La questione delle barriere all'accesso al mercato cinese e alla trasparenza del business (un modo elegante che allude al peso della corruzione e delle tortuosita'' della burocrazia) viene giudicata in tutti i settori un problema 'storico' con il quale tutti devono quotidianamente 'battagliare'.
Detto questo non ci sono indicazioni dalle aziende europee presenti in Cina di una strategia del ritiro o quantomeno di una frenata: l'86% indica di voler espandere l'attivita'.
Aps-y-
Il Sole 24 ORE - Radiocor 18/07/2013 - 17:19
Usa: sondaggio Pew Research, la Cina superera' gli Stati Uniti come leader mondiale
Radiocor - New York, 18 lug - La Cina sostituira' gli Stati Uniti come prima potenza mondiale. Lo rivela un sondaggio del Pew Research Center di Washington svolto su 38.000 persone in 39 Paesi e rappresenta l'ultimo indicatore dell'impatto economico del governo di Pechino negli ultimi tre decenni. Gli intervistati pur essendo divisi credono che il leader del futuro sara' Pechino: il 33% sostiene che potrebbe accadere e il 13% pensa che sia gia' avvenuto. Il 33% invece dice che non succedera' mai. Tuttavia i cittadini americani e cinesi si guardano con crescente diffidenza: solo il 37% ha un'opinione favorevole della Cina, rispetto al 51% di due anni fa; una diffidenza contraccambiata dai cinesi, visto che i pareri favorevoli sugli americani sono scesi dal 58% al 40%. Secondo Pew il 47% degli americani credono che gli Usa continueranno ad essere leader mondiali, rispetto al 54% del 2008. Dall'altro lato due terzi dei cinesi pensano che il loro Paese abbia superato gli Stati Uniti, o li superera', e il 56% crede che la Cina debba essere piu' rispettata.
A24-Pau
Il Sole 24 ORE - Radiocor 18/07/2013 - 15:58
###Cina: imprese europee meno ottimiste, ma non cambiano strategia- FOCUS-1
di Antonio Pollio Salimbeni
Radiocor - Pechino, 18 lug - Le imprese europee che hanno una ramificazione in Cina sono meno ottimiste, ma non mettono nel modo piu' assoluto in discussione le attuali strategie produttive o commerciali. I motivi del cambiamento di umore, non di valutazioni di fondo, sono diversi e tra questi anche l'indebolimento progressivo del ritmo di crescita economica che e' rallentata nel secondo trimestre al 7,5% dopo la caduta al 7,7% nel primo trimeste (nei primi sei mesi del 2013 la crescita del pil e' sata del 7,6%). Da una recente ricerca della Camera di commercio Ue sulla fiducia del 'business' europeo in Cina emerge che nel 2013 solo il 22% ritiene che aumentera' il fatturato rispetto al 2012, quando cosi' si pronuncio' il 35% delle imprese sondate, e che il 16% contro il 6% l'anno scorso dichiara che le entrate diminuiranno. Non c'entra pero' solo l'andamento del pil: tra gli ostacoli al business c'e' sempre la difficolta' di accesso ai mercati.
Aps-y-
###Cina: imprese meno ottimiste ma non cambiano strategia - FOCUS -2-
Radiocor - Pechino, 18 lug - Il sondaggio si fonda sulla risposta di 526 imprese membri della Camera di commercio Ue. E' evidente che 'condizioni piu' difficili del business sia a livello globale che in Cina, hanno diminuito la performance finanziaria delle societa' europee in Cina negli ultimi anni'. La dg Jaspal Channa spiega che in linea generale sono tre le ragioni del cambiamento di fase rispetto al quale la Cina era considerata: 'Rallentamento della crescita sia nel mercato europeo che in quello cinese, costi del lavoro in aumento, concorrenza da parte delle imprese private controllate dai cinesi'. Altro fattore che ha indebolito i risultati finanziari il contesto di regolazione, che rappresenta per le imprese non cinesi, specie per quelli di minore dimensione, un vera e propria barriera alla realizzazione di un'attivita' imprenditoriale prevedibile.
In linea generale dal sondaggio emerge che sono calati gli ottimisti sulle prospettive dell'attivita' imprenditoriale in Cina da un anno all'altro: 71% contro il 76% del 2012, e sono aumentati i pessimismi: dal 18% al 22%. L'ottimismo sui profitti previsti e' passato dal 47% del 2008 al 29% quest'anno, i 'neutrali'dal 35% al 49%. Complessivamente il 52% ritiene che il problema dell'aumento del costo del lavoro e' quello fondamentale, per il 40% e' fondamentale l'indebolimento del settore immobiliare, per il 32% il rallentamento della crescita, il calo della domanda internazionale, per il 31% e' fondamentale la concorrenza delle aziende private cinesi. La questione delle barriere all'accesso al mercato cinese e alla trasparenza del business (un modo elegante che allude al peso della corruzione e delle tortuosita'' della burocrazia) viene giudicata in tutti i settori un problema 'storico' con il quale tutti devono quotidianamente 'battagliare'.
Detto questo non ci sono indicazioni dalle aziende europee presenti in Cina di una strategia del ritiro o quantomeno di una frenata: l'86% indica di voler espandere l'attivita'.
Aps-y-
###Cina: imprese europee meno ottimiste, ma non cambiano strategia- FOCUS-1
di Antonio Pollio Salimbeni
Radiocor - Pechino, 18 lug - Le imprese europee che hanno una ramificazione in Cina sono meno ottimiste, ma non mettono nel modo piu' assoluto in discussione le attuali strategie produttive o commerciali. I motivi del cambiamento di umore, non di valutazioni di fondo, sono diversi e tra questi anche l'indebolimento progressivo del ritmo di crescita economica che e' rallentata nel secondo trimestre al 7,5% dopo la caduta al 7,7% nel primo trimeste (nei primi sei mesi del 2013 la crescita del pil e' sata del 7,6%). Da una recente ricerca della Camera di commercio Ue sulla fiducia del 'business' europeo in Cina emerge che nel 2013 solo il 22% ritiene che aumentera' il fatturato rispetto al 2012, quando cosi' si pronuncio' il 35% delle imprese sondate, e che il 16% contro il 6% l'anno scorso dichiara che le entrate diminuiranno. Non c'entra pero' solo l'andamento del pil: tra gli ostacoli al business c'e' sempre la difficolta' di accesso ai mercati.
Aps-y-
###Cina: imprese meno ottimiste ma non cambiano strategia - FOCUS -2-
Radiocor - Pechino, 18 lug - Il sondaggio si fonda sulla risposta di 526 imprese membri della Camera di commercio Ue. E' evidente che 'condizioni piu' difficili del business sia a livello globale che in Cina, hanno diminuito la performance finanziaria delle societa' europee in Cina negli ultimi anni'. La dg Jaspal Channa spiega che in linea generale sono tre le ragioni del cambiamento di fase rispetto al quale la Cina era considerata: 'Rallentamento della crescita sia nel mercato europeo che in quello cinese, costi del lavoro in aumento, concorrenza da parte delle imprese private controllate dai cinesi'. Altro fattore che ha indebolito i risultati finanziari il contesto di regolazione, che rappresenta per le imprese non cinesi, specie per quelli di minore dimensione, un vera e propria barriera alla realizzazione di un'attivita' imprenditoriale prevedibile.
In linea generale dal sondaggio emerge che sono calati gli ottimisti sulle prospettive dell'attivita' imprenditoriale in Cina da un anno all'altro: 71% contro il 76% del 2012, e sono aumentati i pessimismi: dal 18% al 22%. L'ottimismo sui profitti previsti e' passato dal 47% del 2008 al 29% quest'anno, i 'neutrali'dal 35% al 49%. Complessivamente il 52% ritiene che il problema dell'aumento del costo del lavoro e' quello fondamentale, per il 40% e' fondamentale l'indebolimento del settore immobiliare, per il 32% il rallentamento della crescita, il calo della domanda internazionale, per il 31% e' fondamentale la concorrenza delle aziende private cinesi. La questione delle barriere all'accesso al mercato cinese e alla trasparenza del business (un modo elegante che allude al peso della corruzione e delle tortuosita'' della burocrazia) viene giudicata in tutti i settori un problema 'storico' con il quale tutti devono quotidianamente 'battagliare'.
Detto questo non ci sono indicazioni dalle aziende europee presenti in Cina di una strategia del ritiro o quantomeno di una frenata: l'86% indica di voler espandere l'attivita'.
Aps-y-
Il Sole 24 ORE - Radiocor 18/07/2013 - 15:02
Ue-Cina: l'Europa gioca la carta 'verde', corsa a battere Usa e Giappone- 1-
Nel 2020 il business globale raddoppiera' a 2400 miliardi
di Antonio Pollio Salimbeni
Radiocor - Pechino, 18 lug - Nonostante le forti tensioni per le dispute commerciali su acciaio e pannelli solari, l'Unione europea cerca di giocare al meglio la carta dell'economia verde. Una delegazione comunitaria con una settantina di rappresentanti di imprese guidata dal commissario all'industria Antonio Tajani (presente anche il collega responsabile dell'ambiente Janez Patocnik) e' a Pechino per approfondire dialogo e negoziati per promuovere le tecnologie di punta, i prodotti e i servizi per sostenibilita' ambientale, energie rinnovabili, efficienza energetica. Oggi il volume d'affari Ue in questo settore e' di circa 400 miliardi di euro. A livello globale e' di 1200 miliardi. Gli Usa sono al livello europeo, il Giappone poco sotto. Entro il 2020 si calcola che il mercato globale varra' almeno il doppio e una buona parte dell'aumento del business riguardera' proprio la Cina.
Ue-Cina: l'Europa gioca la carta 'verde', corsa a battere Usa e Giappone -2-
Tajani, fondamentale il rispetto delle regole commerciali
Radiocor - Pechino, 18 lug - La novita' dei colloqui in corso nella capitale cinese della delegazione europea, presenti anche i rappresentanti di imprese (Finmeccanica, Acquafil, Cappellotto, Is Tech, Pirelli, Versalis), studi professionali e istituzioni italiani, e' che in questi giorni viene firmata una serie di accordi con la Cina su standardizzazione in settori considerati dalla Ue decisivi dal punto di vista tecnico-procedurale: standardizzazione, pmi e accesso alle materie prime, proprieta' intellettuale, turismo, cooperazione industriale (continuo scambio di esperienze). Cose diverse che pero', stando alle valutazioni dei due commissari europei, indicano come la strategia del 'dialogo con la Cina non venga messa in discussione'. Il fatto che continui nonostante le controversie su acciaio e fotovoltaico, con procedure aperte e prospettive ancora incerte almeno per quanto riguarda l'acciaio (c'e' piu' ottimismo sui pannelli solari per i quali Pechino e' accusata di dumping), viene considerato molto importante. In qualche misura la missione di Tajani e Potocnik, che hanno incontrato diversi ministri dei vari settori, e il vicepremier Ma Kai, ha il compito di sondare l'umore politico delle autorita' cinesi per capire quali margini di manovra esistono per uscire dall'attuale difficile fase dei rapporti commerciali.
'Le relazioni tra aree economiche devono essere improntare al rispetto delle regole globali e alla parita' di condizioni: non si puo' giocare una partita di calcio a 11 a Parigi o Berlino e contro 13 a Pechino', dice il commissario Tajani. Cosi' la partita e' truccata. 'Il fatto che ci siano dei contrasti su settori importanti come acciaio e fotovoltaico non mette in discussione il fatto che sia la Ue che la Cina abbiano interesse ad avere un rapporto bilaterale costruttivo e la mia impressione che i cinesi abbiano in questo momento un atteggiamento costruttivo'. Occorre vedere se a tale impressione seguiranno i fatti. Negli ultimi giorni e' emerso che la Cina avrebbe capito di dover fare dei passi indietro sul fotovoltaico: vendono sottocosto i loro pannelli solari in Europa in cui controllano l'80% del mercato. Il prezzo ritenuto equo dalla Ue e' dell'88% superiore a al prezzo di vendita dei pannelli cinesi.
Ue-Cina: l'Europa gioca la carta 'verde', corsa a battere Usa e Giappone -3-
Radiocor - Pechino, 18 lug - La Cina e' ancora 'molto sorpresa' della 'svolta' europea nelle relazioni commerciali dimostrata nelle controversie su acciaio e fotovoltaico, indica una fonte Ue. Sull'acciaio e' aperta una decina di ricorsi all'Organizzazione mondiale del commercio. Il tema dell'interesse europeo ad avere relazioni commerciali 'pacifiche' con la Cina e' stato spesso sollevato da parte cinese fin dai primi incontri di questa 'missione per la crescita'.
La cosa certa' e che nei due casi la Ue ha dimostrato di saper parlare con una voce sola anche se per quanto riguarda i pannelli solari va ricordato come le critiche tedesche alla decisione della Commissione di imporre dazi provvisori sulle importazioni dalla Cina e alle aperture 'bilaterali' della cancelliera Angela Merkel ai vertici cinesi l'abbiamo indubbiamente indebolita in una fase molto delicata.
A Pechino in questi giorni Tajani e Potocnik cercano di far passare il messaggio che tutte la Ue difende la stessa posizione.
Nel caso delle tecnologie 'verdi' e dei servizi per il disinquinamento, la Cina ha la necessita' urgente di accelerare la riduzione dei livelli di inquinamento ambientale e in particolare dell'aria. Entro pochi anni la popolazione urbana passera' da 600 milioni a un miliardo. Nel mercato globale del settore (riciclaggio, trattamento dei rifiuti, processi industriali, aria e acqua) stanno emergendo niove potenze, Corea del Sud e la stessa Cina che vuole inseguire Usa, Ue e Giappone puntando a diventare 'leader delle soluzioni tecniche', indica una fonte comunitaria. In Europa e' un settore in cui la Germania fa tuttora la parte del leone.
Ue-Cina: l'Europa gioca la carta 'verde', corsa a battere Usa e Giappone- 1-
Nel 2020 il business globale raddoppiera' a 2400 miliardi
di Antonio Pollio Salimbeni
Radiocor - Pechino, 18 lug - Nonostante le forti tensioni per le dispute commerciali su acciaio e pannelli solari, l'Unione europea cerca di giocare al meglio la carta dell'economia verde. Una delegazione comunitaria con una settantina di rappresentanti di imprese guidata dal commissario all'industria Antonio Tajani (presente anche il collega responsabile dell'ambiente Janez Patocnik) e' a Pechino per approfondire dialogo e negoziati per promuovere le tecnologie di punta, i prodotti e i servizi per sostenibilita' ambientale, energie rinnovabili, efficienza energetica. Oggi il volume d'affari Ue in questo settore e' di circa 400 miliardi di euro. A livello globale e' di 1200 miliardi. Gli Usa sono al livello europeo, il Giappone poco sotto. Entro il 2020 si calcola che il mercato globale varra' almeno il doppio e una buona parte dell'aumento del business riguardera' proprio la Cina.
Ue-Cina: l'Europa gioca la carta 'verde', corsa a battere Usa e Giappone -2-
Tajani, fondamentale il rispetto delle regole commerciali
Radiocor - Pechino, 18 lug - La novita' dei colloqui in corso nella capitale cinese della delegazione europea, presenti anche i rappresentanti di imprese (Finmeccanica, Acquafil, Cappellotto, Is Tech, Pirelli, Versalis), studi professionali e istituzioni italiani, e' che in questi giorni viene firmata una serie di accordi con la Cina su standardizzazione in settori considerati dalla Ue decisivi dal punto di vista tecnico-procedurale: standardizzazione, pmi e accesso alle materie prime, proprieta' intellettuale, turismo, cooperazione industriale (continuo scambio di esperienze). Cose diverse che pero', stando alle valutazioni dei due commissari europei, indicano come la strategia del 'dialogo con la Cina non venga messa in discussione'. Il fatto che continui nonostante le controversie su acciaio e fotovoltaico, con procedure aperte e prospettive ancora incerte almeno per quanto riguarda l'acciaio (c'e' piu' ottimismo sui pannelli solari per i quali Pechino e' accusata di dumping), viene considerato molto importante. In qualche misura la missione di Tajani e Potocnik, che hanno incontrato diversi ministri dei vari settori, e il vicepremier Ma Kai, ha il compito di sondare l'umore politico delle autorita' cinesi per capire quali margini di manovra esistono per uscire dall'attuale difficile fase dei rapporti commerciali.
'Le relazioni tra aree economiche devono essere improntare al rispetto delle regole globali e alla parita' di condizioni: non si puo' giocare una partita di calcio a 11 a Parigi o Berlino e contro 13 a Pechino', dice il commissario Tajani. Cosi' la partita e' truccata. 'Il fatto che ci siano dei contrasti su settori importanti come acciaio e fotovoltaico non mette in discussione il fatto che sia la Ue che la Cina abbiano interesse ad avere un rapporto bilaterale costruttivo e la mia impressione che i cinesi abbiano in questo momento un atteggiamento costruttivo'. Occorre vedere se a tale impressione seguiranno i fatti. Negli ultimi giorni e' emerso che la Cina avrebbe capito di dover fare dei passi indietro sul fotovoltaico: vendono sottocosto i loro pannelli solari in Europa in cui controllano l'80% del mercato. Il prezzo ritenuto equo dalla Ue e' dell'88% superiore a al prezzo di vendita dei pannelli cinesi.
Ue-Cina: l'Europa gioca la carta 'verde', corsa a battere Usa e Giappone -3-
Radiocor - Pechino, 18 lug - La Cina e' ancora 'molto sorpresa' della 'svolta' europea nelle relazioni commerciali dimostrata nelle controversie su acciaio e fotovoltaico, indica una fonte Ue. Sull'acciaio e' aperta una decina di ricorsi all'Organizzazione mondiale del commercio. Il tema dell'interesse europeo ad avere relazioni commerciali 'pacifiche' con la Cina e' stato spesso sollevato da parte cinese fin dai primi incontri di questa 'missione per la crescita'.
La cosa certa' e che nei due casi la Ue ha dimostrato di saper parlare con una voce sola anche se per quanto riguarda i pannelli solari va ricordato come le critiche tedesche alla decisione della Commissione di imporre dazi provvisori sulle importazioni dalla Cina e alle aperture 'bilaterali' della cancelliera Angela Merkel ai vertici cinesi l'abbiamo indubbiamente indebolita in una fase molto delicata.
A Pechino in questi giorni Tajani e Potocnik cercano di far passare il messaggio che tutte la Ue difende la stessa posizione.
Nel caso delle tecnologie 'verdi' e dei servizi per il disinquinamento, la Cina ha la necessita' urgente di accelerare la riduzione dei livelli di inquinamento ambientale e in particolare dell'aria. Entro pochi anni la popolazione urbana passera' da 600 milioni a un miliardo. Nel mercato globale del settore (riciclaggio, trattamento dei rifiuti, processi industriali, aria e acqua) stanno emergendo niove potenze, Corea del Sud e la stessa Cina che vuole inseguire Usa, Ue e Giappone puntando a diventare 'leader delle soluzioni tecniche', indica una fonte comunitaria. In Europa e' un settore in cui la Germania fa tuttora la parte del leone.
martedì 16 luglio 2013
Il Sole 24 ORE - Radiocor 16/07/2013 - 08:49
Cina: Baidu acquista 91 Wireless Websoft per 1,9 miliardi di dollari
Radiocor - Roma, 16 lug - Il gruppo Internet cinese Baidu ha acquisito 91 Wireless Websoft, una societa' che opera nel settore dei download per i telefoni cellulari, per una cifra pari a 1,9 miliardi di dollari (1,45 miliardi di euro). In una nota Baidu ha annunciato di aver firmato un protocollo d'intesa con NetDragon - un gruppo quotato a Hong Kong, che opera nel settore dei giochi online e delle applicazioni per gli smartphone - per rilevare il 57,41% delle azioni 91 Wireless Websoft di sua proprieta'. Baidu ha anche annunciato l'intenzione di 'acquisire le rimanenti azioni di Wireless 91' non di proprieta' di NetDragon, con l'obiettivo di finalizzare l'operazione entro il 14 agosto.
Cina: Baidu acquista 91 Wireless Websoft per 1,9 miliardi di dollari
Radiocor - Roma, 16 lug - Il gruppo Internet cinese Baidu ha acquisito 91 Wireless Websoft, una societa' che opera nel settore dei download per i telefoni cellulari, per una cifra pari a 1,9 miliardi di dollari (1,45 miliardi di euro). In una nota Baidu ha annunciato di aver firmato un protocollo d'intesa con NetDragon - un gruppo quotato a Hong Kong, che opera nel settore dei giochi online e delle applicazioni per gli smartphone - per rilevare il 57,41% delle azioni 91 Wireless Websoft di sua proprieta'. Baidu ha anche annunciato l'intenzione di 'acquisire le rimanenti azioni di Wireless 91' non di proprieta' di NetDragon, con l'obiettivo di finalizzare l'operazione entro il 14 agosto.
Il Sole 24 ORE - Radiocor 15/07/2013 - 18:15
Cina: Pil rallenta verso un modello piu' sostenibile dell'economia - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*
Radiocor - Milano, 15 lug - E' sufficiente un battito di ali del Pil cinese,una diminuzione dello 0,2% per causare una tempesta nell'economia reale e finanziaria? Spiegare una tabella puo' determinare il caos? Se cio' e' possibile in via generale e nell'economia globalizzata, lo e' molto meno nel caso della Cina. Gli ultimi dati riportano una crescita nel secondo trimestre del 7,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Forse la previsione di un aumento annuale del 7,5% non sara' rispettata. L'allarme risuona nelle Cancellerie dei paesi industrializzati, nei centri studi, nelle redazioni. Ma a Pechino sono ugualmente preoccupati? Cio' che nel primo caso evoca concetti come 'rallentamento', 'hard landing', 'contagio', in Cina - e probabilmente dagli osservatori internazionali piu' lungimiranti - e' visto come 'maturita' dell'economia', 'stabilita', 'regolarita' della crescita'. In realta', lo scarto di due decimi percentuali non sposta il valore della performance, la sua differenza con la stagnazione degli altri paesi e' la costanza di uno straordinario successo. Molto piu' importante appare analizzare il perche' di questo rallentamento. Soltanto da un'analisi che valichi la minuta contabilita' nazionale e' possibile ricavare lumi sul futuro del paese. Esso si presenta, per la prima volta nella storia recente venato da contraddizioni la cui soluzione non puo' essere surrogata dalla semplice crescita del Pil. Forse la Cina paradossalmente cresce troppo, oppure torreggia in maniera sbilanciata, inclinando il proprio modello su versanti poi difficilmente correggibili. La frenata dell'economia potrebbe dunque essere auspicata dallo stesso governo, per assestarsi e togliere potere a chi trae vantaggio dal disequilibrio. In questa visuale va letto il recente credit crunch, la restrizione monetaria che rende piu' oneroso il finanziamento per le aziende e le istituzioni. Pechino sa bene che pompare liquidita' aumenta il flusso di denaro verso approdi indesiderati. L'opacita' del sistema bancario, la corruzione, il nepotismo, indirizzano i denaro verso le costruzioni, le Ipo gonfiate, i settori maturi, mentre le grandi aziende di stato non distribuiscono i loro profitti per mantenere il potere. Non manca la liquidita', e' soltanto allocata male e viene destinata senza pensare al bene collettivo. Ecco perche' il governo - in attesa di riforme radicali attese nel prossimo autunno - non e' preoccupato del rallentamento del Pil. Sa che interessi nascosti, consolidati, coalizzati, frenano le innovazioni. Le lobby sono difficili da combattere. Emblematico e' il caso della zona di libero scambio a Shanghai. Il Primo Ministro Li Keqiang vuole trasformarla in un hub produttivo e distributivo. Intende certificare l'evoluzione della Cina: non piu' magnete di investimenti per i bassi costi, ma centro mondiale, perno della catena del valore. Annunciata all'inizio di luglio dovra' avere requisiti per ora inimmaginabili per il resto della Cina: libera circolazione di merci e capitali al suo interno, convertibilita' totale delle principali valute, tassi d'interesse liberi di fluttuare sul mercato, speciali autorizzazioni per le banche straniere e per lo stoccaggio di materie prime. E' un esperimento che potrebbe rivelare presto la sua fertilita' nel resto del paese. Con imprevista schiettezza, si sono levate forti voci di dissenso al progetto. Gli interessi cristallizzati, minacciati da un semplice esperimento economico, si sono coalizzati contro il progetto. Le cronache riportano tensioni inevitabili, che sono arrivate a mettere in discussione l'autorevolezza del Primo Ministro. Si tratta dell'ultimo esempio, il piu' dirompente finora, della determinazione dell'esecutivo a procedere, piu' o meno timidamente, verso le riforme. Sara' una lunga guerra di posizione, con alternarsi di vittorie e cedimenti. Un intero sistema deve essere messo in discussione, e con esso gli spettacolari risultati di 35 anni di riforme e apertura. Di fronte all'impatto gigantesco che verra' prodotto, la riduzione di 0,2 punti percentuali del Pil in un trimestre diventa un episodio di cronaca, forse trascurabile, forse addirittura benvenuto.
* Presidente di Osservatorio Asia
Cina: Pil rallenta verso un modello piu' sostenibile dell'economia - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*
Radiocor - Milano, 15 lug - E' sufficiente un battito di ali del Pil cinese,una diminuzione dello 0,2% per causare una tempesta nell'economia reale e finanziaria? Spiegare una tabella puo' determinare il caos? Se cio' e' possibile in via generale e nell'economia globalizzata, lo e' molto meno nel caso della Cina. Gli ultimi dati riportano una crescita nel secondo trimestre del 7,5% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Forse la previsione di un aumento annuale del 7,5% non sara' rispettata. L'allarme risuona nelle Cancellerie dei paesi industrializzati, nei centri studi, nelle redazioni. Ma a Pechino sono ugualmente preoccupati? Cio' che nel primo caso evoca concetti come 'rallentamento', 'hard landing', 'contagio', in Cina - e probabilmente dagli osservatori internazionali piu' lungimiranti - e' visto come 'maturita' dell'economia', 'stabilita', 'regolarita' della crescita'. In realta', lo scarto di due decimi percentuali non sposta il valore della performance, la sua differenza con la stagnazione degli altri paesi e' la costanza di uno straordinario successo. Molto piu' importante appare analizzare il perche' di questo rallentamento. Soltanto da un'analisi che valichi la minuta contabilita' nazionale e' possibile ricavare lumi sul futuro del paese. Esso si presenta, per la prima volta nella storia recente venato da contraddizioni la cui soluzione non puo' essere surrogata dalla semplice crescita del Pil. Forse la Cina paradossalmente cresce troppo, oppure torreggia in maniera sbilanciata, inclinando il proprio modello su versanti poi difficilmente correggibili. La frenata dell'economia potrebbe dunque essere auspicata dallo stesso governo, per assestarsi e togliere potere a chi trae vantaggio dal disequilibrio. In questa visuale va letto il recente credit crunch, la restrizione monetaria che rende piu' oneroso il finanziamento per le aziende e le istituzioni. Pechino sa bene che pompare liquidita' aumenta il flusso di denaro verso approdi indesiderati. L'opacita' del sistema bancario, la corruzione, il nepotismo, indirizzano i denaro verso le costruzioni, le Ipo gonfiate, i settori maturi, mentre le grandi aziende di stato non distribuiscono i loro profitti per mantenere il potere. Non manca la liquidita', e' soltanto allocata male e viene destinata senza pensare al bene collettivo. Ecco perche' il governo - in attesa di riforme radicali attese nel prossimo autunno - non e' preoccupato del rallentamento del Pil. Sa che interessi nascosti, consolidati, coalizzati, frenano le innovazioni. Le lobby sono difficili da combattere. Emblematico e' il caso della zona di libero scambio a Shanghai. Il Primo Ministro Li Keqiang vuole trasformarla in un hub produttivo e distributivo. Intende certificare l'evoluzione della Cina: non piu' magnete di investimenti per i bassi costi, ma centro mondiale, perno della catena del valore. Annunciata all'inizio di luglio dovra' avere requisiti per ora inimmaginabili per il resto della Cina: libera circolazione di merci e capitali al suo interno, convertibilita' totale delle principali valute, tassi d'interesse liberi di fluttuare sul mercato, speciali autorizzazioni per le banche straniere e per lo stoccaggio di materie prime. E' un esperimento che potrebbe rivelare presto la sua fertilita' nel resto del paese. Con imprevista schiettezza, si sono levate forti voci di dissenso al progetto. Gli interessi cristallizzati, minacciati da un semplice esperimento economico, si sono coalizzati contro il progetto. Le cronache riportano tensioni inevitabili, che sono arrivate a mettere in discussione l'autorevolezza del Primo Ministro. Si tratta dell'ultimo esempio, il piu' dirompente finora, della determinazione dell'esecutivo a procedere, piu' o meno timidamente, verso le riforme. Sara' una lunga guerra di posizione, con alternarsi di vittorie e cedimenti. Un intero sistema deve essere messo in discussione, e con esso gli spettacolari risultati di 35 anni di riforme e apertura. Di fronte all'impatto gigantesco che verra' prodotto, la riduzione di 0,2 punti percentuali del Pil in un trimestre diventa un episodio di cronaca, forse trascurabile, forse addirittura benvenuto.
* Presidente di Osservatorio Asia
Il Sole 24 ORE - Radiocor 15/07/2013 - 13:56
Moleskine: apre primo 'concept store' a Pechino
Gia' 6 negozi in Cina, nuovo punto a Shanghai per fine agosto
Radiocor - Milano, 15 lug - Moleskine, confermando la propria strategia di crescere nel settore retail, ha annunciato l'apertura del primo 'concept store' a Pechino, all'interno di Sanlitun Taikoo Li, l'area commerciale sinonimo delle ultime tendenze del mondo della moda, del design e dell'architettura. La societa', tramite una nota, rivela che 'il progetto e' stato pensato per offrire una 'brand experience' unica che si sviluppera' e crescera' col tempo. Con la nuova apertura, il numero complessivo dei negozi mono-marca Moleskine sale a 18 unita' (dieci in Italia, sei in Cina, uno negli Stati Uniti e uno in Gran Bretagna). Dallo scorso maggio, la societa' ha aperto complessivamente cinque negozi (2 in Italia e 3 in Cina). L'apertura di un altro negozio a Shanghai, nell'area commerciale Iapm, e' in programma per fine agosto.
man-com-
Moleskine: apre primo 'concept store' a Pechino
Gia' 6 negozi in Cina, nuovo punto a Shanghai per fine agosto
Radiocor - Milano, 15 lug - Moleskine, confermando la propria strategia di crescere nel settore retail, ha annunciato l'apertura del primo 'concept store' a Pechino, all'interno di Sanlitun Taikoo Li, l'area commerciale sinonimo delle ultime tendenze del mondo della moda, del design e dell'architettura. La societa', tramite una nota, rivela che 'il progetto e' stato pensato per offrire una 'brand experience' unica che si sviluppera' e crescera' col tempo. Con la nuova apertura, il numero complessivo dei negozi mono-marca Moleskine sale a 18 unita' (dieci in Italia, sei in Cina, uno negli Stati Uniti e uno in Gran Bretagna). Dallo scorso maggio, la societa' ha aperto complessivamente cinque negozi (2 in Italia e 3 in Cina). L'apertura di un altro negozio a Shanghai, nell'area commerciale Iapm, e' in programma per fine agosto.
man-com-
Crescono le adesioni a
Basta depressione - L'Italia c'è
Basta con il pessimismo. In Italia il sistema produttivo è solido, il rapporto deficit/pil è sotto il 3%, la previdenza è tra le più solide d’Europa dopo la riforma, l’avanzo primario è del 2,5% del pil, tra i più alti in Europa, e il Paese non ha chiesto dilazioni sugli impegni presi. Inoltre il debito totale, che tiene conto anche della ricchezza privata, è tra i più bassi d’Europa. Insomma l’Italia continua a pagare un rischio-Paese ormai non più giustificato. Le va quindi riconosciuta più flessibilità nel valutare il peso degli investimenti sul deficit pur nel rispetto della disciplina di bilancio. Le imprese italiane, come dimostrano i bilanci delle quotate a Piazza Affari, sono cresciute malgrado la recessione e ora devono poter contare su una maggiore fiducia nel Paese. Già 64 tra imprenditori, finanzieri e consulenti hanno aderito all’appello lanciato da MF-Milano Finanza sabato 16 marzo.
Ecco la lista completa:
Paolo Ainio (ceo Banzai), Alberto Bartoli (ad Sabaf), Tommaso Beolchini (Montezemolo&Partners sgr), Gianluca Beschi (Sabaf), Giuseppe Bernoni (managing partner di Bernoni Grant Thornton), Paolo Alessandro Bonazzi (presidente Service Trade), Stefano Bongiovanni (amministratore unico FINCOS Spa), Giovanni Bossi (a.d. Banca Ifis), Antonio Bottillo (Natixis Gam Succursale Italiana), Massimo Caputi (presidente Feidos), Stefano Catalano (direttore finanza Dexia Crediop), Flavio Cattaneo (amministratore delegato Terna), Leo Civelli (ad di Reag), Paolo Clerici (Presidente Coeclerici Group), Roberto Colombo (presidente Acsm Agam spa), Pietro Colucci (presidente e ad di Kinexia), Luigi Consiglio (presidente Gea-Consuleti di Direzione), Matteo Cordero di Montezemolo (ad di Montezemolo&Partners sgr), Roberto Crapelli (ad Roland Berger Italia), Giancarlo Cremonesi (presidente Camera di Commercio di Roma), Brunello Cucinelli (presidente e ad di Brunello Cucinelli), Guido Damiani (presidente Damiani), Zeno D’Acquarone (Gwa Sim), Umberto D'Alessandro (vicepresidente Acsm Agam spa), Carlo Daveri (presidente Dvr Capital), Ambrogio Caccia Dominioni (presidente e ad di Tesmec), Luca Dondi (Nomisma), Massimo Ferrari (direttore generale Impregilo), Ennio Doris (presidente di Banca Mediolanum e amministratore delegato di Mediolanum), Massimo Ferretti (ceo e presidente di Aeffe), Alberto Franceschini (presidente Ambromobiliare), Guido Galimberti (presidente Opera Art Solutions), Furio Garbagnati (ceo Weber Shandwick), Anna Gervasoni (dg Aifi), Stefano Gianti (Cmc Markets), Renato Giallombardo (partner Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners), Paolo Gualtieri (studio Gualtieri&Associati), Luciano Jannelli (Mig Bank), Federico Imbert (ceo per l’Italia Credit Suisse), Giovanni La Croce (partner Studio La Croce), Giovanni Landi (Anthilia), Isidoro Lucciola (managing partner Lucciola & Partners), Riccardo Lupi (dg di Imprebanca), Vincenzo Manes (presidente e ad Intek), Raimondo Marcialis (consigliere delegato di Zenit), Giampiero Mazza (Cvc Capital Partners), Walter Mainetti (ad Sorgente sgr), Roberto Mazzei (presidente Principia sgr), Massimo Maurelli (partner di Mathema advisors), Domenico Menniti (amministratore delegato Harmont & Blaine), Flavia Daunia Minutillo (Studio Simonelli&Associati), Luigi Monti (ad Formia International), Fabrizio Montaruli (partner Kpmg), Giovanni Natali (ad ambromobiliare), Gianfranco Negri-Clementi (Negri-Clementi studio legale associato), Franco Carlo Papa (consulente aziendale), Fiorella Passoni (Edelman), Cosimo Pastore (Power Emprise), Ernesto Preatoni (imprenditore), Fabio Regolo (presidente di Ventuno group), Marco Rosati (ad Zenit sgr), Luca Sacilotto (dg gruppo Randazzo), Marco Samaja (ad Lazard Italia), Massimiliano Sandri (ad The Stealth Tee), Fabio Sattin (presidente di Private equity partners), Dario Scannapieco (vicepresidente Bei), Claudio Scardovi (Università Bocconi), Claudio Sposito (managing partner Clessidra sgr), Mario Spreafico (Schroder Private Banking), Maurizio Stirpe (Unindustria), Giovanni Tamburi (presidente e ad di Tamburi), Tomaso Tommasi di Vignano (presidente Hera), Cesare Vecchio (studio legale Vecchio), Gabriele Vedani (Fxcm Italia), Daniele Viganò (presidente di Ventuno group), Maurizia Villa (managing director Korn Ferry Italia), Paolo Zanetto (partner di Cattaneo&Zanetto).
PRIMO PIANO
La spirale dell'austerity ha condotto il paese in una situazione insostenibile
Gli italiani meritano la ripresa
I cittadini sono attanagliati dalla paura e l'economia rischia di avvitarsi ancora di più a causa della follia europea. Occorre rimettere subito denaro in circolo per finanziare innovazione e consumi di qualità
di Innocenzo Cipolletta*
L'Italia è precipitata in una crisi lunga e profonda, dalla quale non il Paese non riesce a uscire. Nel 2012 il pil è sceso del 2,4% E anche il 2013 è iniziato male: nel primo trimestre di quest'anno è già agli atti una riduzione dell'1% rispetto alla media dell'anno precedente.
In termini di reddito pro capite in valori reali, siamo tornati a prima del 2000, oltre 13 anni fa! La produzione industriale è sotto del 20% rispetto ai massimi precedenti. La disoccupazione ha raggiunto quasi il 12% della popolazione attiva: colpisce soprattutto i giovani e, se si considerano anche i lavoratori in cassa integrazione, si arriva a un tasso ben superiore.
Sembra un bollettino di guerra. La gente è smarrita e non crede più alla possibilità di un ritorno a una situazione normale. I risultati delle elezioni recenti hanno palesato lo sfogo di una rabbia a lungo repressa che si è tradotta in una situazione d'ingovernabilità del Paese. Rischiamo di avvitarci in una continua depressione e molte analisi accostano ormai l'Italia alla malattia del Giappone: un Paese che non cresce più da oltre 20 anni e che sta accumulando un debito pubblico spaventoso, ben superiore al nostro.
Eppure, se dalle cifre macroeconomiche, che ci spaventano, scendiamo a guardare alcuni aspetti microeconomici, l'Italia presenta ancora notevoli punti di forza. Le esportazioni continuano a crescere e difendono le quote di mercato, pur nel generale arretramento dei Paesi sviluppati a fronte dell'irrompere delle economie emergenti dell'Asia. I bilanci di molte imprese italiane, in particolare di quelle che esportano, sono solidi. Nel corso degli ultimi 15 anni le imprese hanno sviluppato un processo di sostanziale upgrading delle loro produzioni, sottraendosi così alla concorrenza dei Paesi emergenti. Il nostro sistema bancario resta solido, pur se risente del peso della congiuntura (le sofferenze) e delle follie europee che hanno fatto dubitare i mercati sulla tenuta dell'euro. Le famiglie italiane, così provate dalla recessione, sono comunque detentrici di una ricchezza elevata (8 volte il reddito disponibile, superiore a quello degli altri Paesi europei) basata su una diffusione importante della proprietà della casa (l'80% delle famiglie italiane ne possiede almeno una).
La prima condizione è uscire dalla spirale dell'austerità che ha compresso il reddito degli italiani e li ha sprofondati in una condizione di diffusa paura per il futuro. Non si tratta di prendere la via opposta della spesa pubblica in disavanzo. Ma occorre cambiare atteggiamento. In Europa e in Italia era prevalsa l'idea che bastasse mettere a posto i conti pubblici per riprendere a crescere. È stata un'illusione fatale. Con tutti i Paesi in Europa a perseguire politiche di austerità, siamo finiti per precipitare in una profonda depressione. E così non siamo riusciti neppure a rimettere in ordine i conti, oggi squilibrati dalla recessione che frena le entrate fiscali e origina nuova spesa pubblica. Non bastano le tanto osannate riforme. Non si risolvono i nostri problemi solo con il mettere ordine a casa propria. Ci vuole una politica orientata allo sviluppo.
In Italia è urgente rimettere soldi nell'economia. Come anche detto dal presidente Napolitano, dopo l'ok Ue occorre che lo Stato paghi i suoi debiti alle imprese, per allentare la morsa del credito sulle aziende e per ripristinare un più regolare flusso dei pagamenti, anche tra le società. Ma serve anche mettere soldi effettivi nelle tasche della gente. Dei 3 milioni di disoccupati italiani, ben pochi godono di assistenza. In tutti i Paesi civili la recessione è frenata dall'esistenza di ammortizzatori sociali che consentono, a chi ha perso il lavoro, di avere un reddito pur se limitato. In Italia solo chi beneficia della cig è protetto. E queste persone non figurano tra i disoccupati. Dobbiamo proteggere in qualche maniera i molti giovani lavoratori a tempo determinato che non hanno avuto il rinnovo del contratto e che oggi gravano sulle loro famiglie e rappresentano la principale fonte di paura sociale. Per non pesare eccessivamente sulle casse dello Stato, qui è necessaria un'operazione di redistribuzione del reddito. Un maggior prelievo fiscale sui redditi più elevati può finanziare questa forma di sussidio almeno fino a quando la recessione non sarà terminata.
Dobbiamo fare di tutto per uscire da questa recessione. E dobbiamo guardare al futuro con la voglia di crescere, senza farci prendere dallo sconforto e senza cedere alle tentazioni morbose di chi predica la decrescita, che non ha nulla di felice. Crescere, per un Paese maturo come il nostro, non significa banalmente consumare e investire di più quantitativamente; per un Paese maturo come l'Italia, la crescita è qualità, che genera anche quantità, intesa come maggior volume di pil. Non servono tanto nuove case per dare un rifugio a nuove famiglie; serve rimodernare il parco immobili per adattarlo alle nostre esigenze e per migliorarne la qualità in termini di conservazione dell'energia, di disponibilità di servizi telematici, di estetica. Un analogo ragionamento può essere fatto per l'acquisto di un bene durevole: noi non compriamo una nuova auto per aggiungerla a quella che già abbiamo, ma per sostituirla con una che dia prestazioni migliori, in termini di comfort, di sicurezza, di consumi energetici. Lo stesso vale per gli elettrodomestici, per i nostri abiti, ma anche per i servizi, come la ristorazione, i trasporti, la cura della propria salute, e altro. Lo stesso vale per le imprese che cambiano le linee di produzione e i macchinari per sostituirli con altri che sono più performanti.
Se questo è vero, allora dobbiamo domandarci: che cosa ci permetterà di avere consumi e investimenti di maggiore qualità, per poter crescere in un mondo dove le quantità sono diventate appannaggio dei Paesi emergenti? La via della qualità si chiama innovazione, che a sua volta richiede ricerca e applicazione della stessa. Viviamo un'epoca di grandi innovazioni e sta a noi saper cogliere le opportunità. Cogliere le opportunità, per le imprese, implica essere sufficientemente grandi e organizzate, sia per far nascere nuove attività innovative sia per dare a quelle esistenti quella dimensione di capitale, di organizzazioni e di persone capaci di consentire loro un proficuo rapporto con i processi innovativi. Intendiamoci, anche molte delle nostre piccole imprese sono capaci di innovare e di inserirsi nei processi tecnologici nuovi. Ma è certo che la dimensione di capitale e di organizzazione gioca un ruolo determinante nell'assimilazione dei processi innovativi, come dimostrato dai nostri Paesi concorrenti in Europa e fuori dal Vecchio continente.
*presidente Aifi - estratto dell'intervento in occasione del Convegno annuale dell'Associazione del 18 marzo 2013
Basta depressione - L'Italia c'è
Basta con il pessimismo. In Italia il sistema produttivo è solido, il rapporto deficit/pil è sotto il 3%, la previdenza è tra le più solide d’Europa dopo la riforma, l’avanzo primario è del 2,5% del pil, tra i più alti in Europa, e il Paese non ha chiesto dilazioni sugli impegni presi. Inoltre il debito totale, che tiene conto anche della ricchezza privata, è tra i più bassi d’Europa. Insomma l’Italia continua a pagare un rischio-Paese ormai non più giustificato. Le va quindi riconosciuta più flessibilità nel valutare il peso degli investimenti sul deficit pur nel rispetto della disciplina di bilancio. Le imprese italiane, come dimostrano i bilanci delle quotate a Piazza Affari, sono cresciute malgrado la recessione e ora devono poter contare su una maggiore fiducia nel Paese. Già 64 tra imprenditori, finanzieri e consulenti hanno aderito all’appello lanciato da MF-Milano Finanza sabato 16 marzo.
Ecco la lista completa:
Paolo Ainio (ceo Banzai), Alberto Bartoli (ad Sabaf), Tommaso Beolchini (Montezemolo&Partners sgr), Gianluca Beschi (Sabaf), Giuseppe Bernoni (managing partner di Bernoni Grant Thornton), Paolo Alessandro Bonazzi (presidente Service Trade), Stefano Bongiovanni (amministratore unico FINCOS Spa), Giovanni Bossi (a.d. Banca Ifis), Antonio Bottillo (Natixis Gam Succursale Italiana), Massimo Caputi (presidente Feidos), Stefano Catalano (direttore finanza Dexia Crediop), Flavio Cattaneo (amministratore delegato Terna), Leo Civelli (ad di Reag), Paolo Clerici (Presidente Coeclerici Group), Roberto Colombo (presidente Acsm Agam spa), Pietro Colucci (presidente e ad di Kinexia), Luigi Consiglio (presidente Gea-Consuleti di Direzione), Matteo Cordero di Montezemolo (ad di Montezemolo&Partners sgr), Roberto Crapelli (ad Roland Berger Italia), Giancarlo Cremonesi (presidente Camera di Commercio di Roma), Brunello Cucinelli (presidente e ad di Brunello Cucinelli), Guido Damiani (presidente Damiani), Zeno D’Acquarone (Gwa Sim), Umberto D'Alessandro (vicepresidente Acsm Agam spa), Carlo Daveri (presidente Dvr Capital), Ambrogio Caccia Dominioni (presidente e ad di Tesmec), Luca Dondi (Nomisma), Massimo Ferrari (direttore generale Impregilo), Ennio Doris (presidente di Banca Mediolanum e amministratore delegato di Mediolanum), Massimo Ferretti (ceo e presidente di Aeffe), Alberto Franceschini (presidente Ambromobiliare), Guido Galimberti (presidente Opera Art Solutions), Furio Garbagnati (ceo Weber Shandwick), Anna Gervasoni (dg Aifi), Stefano Gianti (Cmc Markets), Renato Giallombardo (partner Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners), Paolo Gualtieri (studio Gualtieri&Associati), Luciano Jannelli (Mig Bank), Federico Imbert (ceo per l’Italia Credit Suisse), Giovanni La Croce (partner Studio La Croce), Giovanni Landi (Anthilia), Isidoro Lucciola (managing partner Lucciola & Partners), Riccardo Lupi (dg di Imprebanca), Vincenzo Manes (presidente e ad Intek), Raimondo Marcialis (consigliere delegato di Zenit), Giampiero Mazza (Cvc Capital Partners), Walter Mainetti (ad Sorgente sgr), Roberto Mazzei (presidente Principia sgr), Massimo Maurelli (partner di Mathema advisors), Domenico Menniti (amministratore delegato Harmont & Blaine), Flavia Daunia Minutillo (Studio Simonelli&Associati), Luigi Monti (ad Formia International), Fabrizio Montaruli (partner Kpmg), Giovanni Natali (ad ambromobiliare), Gianfranco Negri-Clementi (Negri-Clementi studio legale associato), Franco Carlo Papa (consulente aziendale), Fiorella Passoni (Edelman), Cosimo Pastore (Power Emprise), Ernesto Preatoni (imprenditore), Fabio Regolo (presidente di Ventuno group), Marco Rosati (ad Zenit sgr), Luca Sacilotto (dg gruppo Randazzo), Marco Samaja (ad Lazard Italia), Massimiliano Sandri (ad The Stealth Tee), Fabio Sattin (presidente di Private equity partners), Dario Scannapieco (vicepresidente Bei), Claudio Scardovi (Università Bocconi), Claudio Sposito (managing partner Clessidra sgr), Mario Spreafico (Schroder Private Banking), Maurizio Stirpe (Unindustria), Giovanni Tamburi (presidente e ad di Tamburi), Tomaso Tommasi di Vignano (presidente Hera), Cesare Vecchio (studio legale Vecchio), Gabriele Vedani (Fxcm Italia), Daniele Viganò (presidente di Ventuno group), Maurizia Villa (managing director Korn Ferry Italia), Paolo Zanetto (partner di Cattaneo&Zanetto).
PRIMO PIANO
La spirale dell'austerity ha condotto il paese in una situazione insostenibile
Gli italiani meritano la ripresa
I cittadini sono attanagliati dalla paura e l'economia rischia di avvitarsi ancora di più a causa della follia europea. Occorre rimettere subito denaro in circolo per finanziare innovazione e consumi di qualità
di Innocenzo Cipolletta*
L'Italia è precipitata in una crisi lunga e profonda, dalla quale non il Paese non riesce a uscire. Nel 2012 il pil è sceso del 2,4% E anche il 2013 è iniziato male: nel primo trimestre di quest'anno è già agli atti una riduzione dell'1% rispetto alla media dell'anno precedente.
In termini di reddito pro capite in valori reali, siamo tornati a prima del 2000, oltre 13 anni fa! La produzione industriale è sotto del 20% rispetto ai massimi precedenti. La disoccupazione ha raggiunto quasi il 12% della popolazione attiva: colpisce soprattutto i giovani e, se si considerano anche i lavoratori in cassa integrazione, si arriva a un tasso ben superiore.
Sembra un bollettino di guerra. La gente è smarrita e non crede più alla possibilità di un ritorno a una situazione normale. I risultati delle elezioni recenti hanno palesato lo sfogo di una rabbia a lungo repressa che si è tradotta in una situazione d'ingovernabilità del Paese. Rischiamo di avvitarci in una continua depressione e molte analisi accostano ormai l'Italia alla malattia del Giappone: un Paese che non cresce più da oltre 20 anni e che sta accumulando un debito pubblico spaventoso, ben superiore al nostro.
Eppure, se dalle cifre macroeconomiche, che ci spaventano, scendiamo a guardare alcuni aspetti microeconomici, l'Italia presenta ancora notevoli punti di forza. Le esportazioni continuano a crescere e difendono le quote di mercato, pur nel generale arretramento dei Paesi sviluppati a fronte dell'irrompere delle economie emergenti dell'Asia. I bilanci di molte imprese italiane, in particolare di quelle che esportano, sono solidi. Nel corso degli ultimi 15 anni le imprese hanno sviluppato un processo di sostanziale upgrading delle loro produzioni, sottraendosi così alla concorrenza dei Paesi emergenti. Il nostro sistema bancario resta solido, pur se risente del peso della congiuntura (le sofferenze) e delle follie europee che hanno fatto dubitare i mercati sulla tenuta dell'euro. Le famiglie italiane, così provate dalla recessione, sono comunque detentrici di una ricchezza elevata (8 volte il reddito disponibile, superiore a quello degli altri Paesi europei) basata su una diffusione importante della proprietà della casa (l'80% delle famiglie italiane ne possiede almeno una).
La prima condizione è uscire dalla spirale dell'austerità che ha compresso il reddito degli italiani e li ha sprofondati in una condizione di diffusa paura per il futuro. Non si tratta di prendere la via opposta della spesa pubblica in disavanzo. Ma occorre cambiare atteggiamento. In Europa e in Italia era prevalsa l'idea che bastasse mettere a posto i conti pubblici per riprendere a crescere. È stata un'illusione fatale. Con tutti i Paesi in Europa a perseguire politiche di austerità, siamo finiti per precipitare in una profonda depressione. E così non siamo riusciti neppure a rimettere in ordine i conti, oggi squilibrati dalla recessione che frena le entrate fiscali e origina nuova spesa pubblica. Non bastano le tanto osannate riforme. Non si risolvono i nostri problemi solo con il mettere ordine a casa propria. Ci vuole una politica orientata allo sviluppo.
In Italia è urgente rimettere soldi nell'economia. Come anche detto dal presidente Napolitano, dopo l'ok Ue occorre che lo Stato paghi i suoi debiti alle imprese, per allentare la morsa del credito sulle aziende e per ripristinare un più regolare flusso dei pagamenti, anche tra le società. Ma serve anche mettere soldi effettivi nelle tasche della gente. Dei 3 milioni di disoccupati italiani, ben pochi godono di assistenza. In tutti i Paesi civili la recessione è frenata dall'esistenza di ammortizzatori sociali che consentono, a chi ha perso il lavoro, di avere un reddito pur se limitato. In Italia solo chi beneficia della cig è protetto. E queste persone non figurano tra i disoccupati. Dobbiamo proteggere in qualche maniera i molti giovani lavoratori a tempo determinato che non hanno avuto il rinnovo del contratto e che oggi gravano sulle loro famiglie e rappresentano la principale fonte di paura sociale. Per non pesare eccessivamente sulle casse dello Stato, qui è necessaria un'operazione di redistribuzione del reddito. Un maggior prelievo fiscale sui redditi più elevati può finanziare questa forma di sussidio almeno fino a quando la recessione non sarà terminata.
Dobbiamo fare di tutto per uscire da questa recessione. E dobbiamo guardare al futuro con la voglia di crescere, senza farci prendere dallo sconforto e senza cedere alle tentazioni morbose di chi predica la decrescita, che non ha nulla di felice. Crescere, per un Paese maturo come il nostro, non significa banalmente consumare e investire di più quantitativamente; per un Paese maturo come l'Italia, la crescita è qualità, che genera anche quantità, intesa come maggior volume di pil. Non servono tanto nuove case per dare un rifugio a nuove famiglie; serve rimodernare il parco immobili per adattarlo alle nostre esigenze e per migliorarne la qualità in termini di conservazione dell'energia, di disponibilità di servizi telematici, di estetica. Un analogo ragionamento può essere fatto per l'acquisto di un bene durevole: noi non compriamo una nuova auto per aggiungerla a quella che già abbiamo, ma per sostituirla con una che dia prestazioni migliori, in termini di comfort, di sicurezza, di consumi energetici. Lo stesso vale per gli elettrodomestici, per i nostri abiti, ma anche per i servizi, come la ristorazione, i trasporti, la cura della propria salute, e altro. Lo stesso vale per le imprese che cambiano le linee di produzione e i macchinari per sostituirli con altri che sono più performanti.
Se questo è vero, allora dobbiamo domandarci: che cosa ci permetterà di avere consumi e investimenti di maggiore qualità, per poter crescere in un mondo dove le quantità sono diventate appannaggio dei Paesi emergenti? La via della qualità si chiama innovazione, che a sua volta richiede ricerca e applicazione della stessa. Viviamo un'epoca di grandi innovazioni e sta a noi saper cogliere le opportunità. Cogliere le opportunità, per le imprese, implica essere sufficientemente grandi e organizzate, sia per far nascere nuove attività innovative sia per dare a quelle esistenti quella dimensione di capitale, di organizzazioni e di persone capaci di consentire loro un proficuo rapporto con i processi innovativi. Intendiamoci, anche molte delle nostre piccole imprese sono capaci di innovare e di inserirsi nei processi tecnologici nuovi. Ma è certo che la dimensione di capitale e di organizzazione gioca un ruolo determinante nell'assimilazione dei processi innovativi, come dimostrato dai nostri Paesi concorrenti in Europa e fuori dal Vecchio continente.
*presidente Aifi - estratto dell'intervento in occasione del Convegno annuale dell'Associazione del 18 marzo 2013
Da Professioni & Imprese
INTERVISTA. A colloquio con Antonio Polito, editorialista e saggista
Il tempo è scaduto
Siamo una grande realtà e un paese patrimonializzato. Abbiamo dunque le risorse e la storia industriale per ripartire, ma continuiamo ad avere una qualità pessima delle politiche pubbliche
A cura della Redazione | 15 luglio 2013
di Massimiliano Cannata. "Da Milano deve partire una nuova rivoluzione industriale. Il Governo Letta ha intrapreso la strada giusta per ridare centralità ai temi del lavoro, dell'occupazione giovanile, ma occorre maggiore incisività per creare un contesto veramente favorevole allo sviluppo delle imprese". Romano Ambrogi, presidente di Aldai ha aperto i lavori dell'Assemblea Annuale che si è tenuta a Milano lo scorso 18 giugno (v. articolo a pagina 89), lanciando una provocazione molto forte alla classe politica, sottolineando che imprese e manager non sono disposte ad ammettere indugi: il tempo è
scaduto. Ne parliamo con Antonio Polito giornalista e saggista, che da molti anni segue con attenzione lo sviluppo dell'universo manageriale in rapporto ai grandi temi della politica e del dibattito pubblico. Nel recente saggio Contro i papà, dietro l'analisi del difficile rapporto generazionale tra i padri e i figli, Polito fa intravedere tutti i guasti di un ricambio che continua a mancare nell'ambito dell'intera classe dirigente italiana, mentre nell'ultimo lavoro In fondo a destra emerge il fallimento politico della cosiddetta "seconda repubblica", che ha di fatto lasciato il paese "bloccato" nelle secche di una crisi più grave e più lunga del previsto.
Polito, come giudica questa presa di posizione del mondo imprenditoriale della Lombardia, in cui opera circa un terzo dei dirigenti industriali italiani rappresentati da Federmanager?
Bisogna guardare con apprezzamento, oltre che con interesse, alle iniziative che il mondo di Federamanger sta intraprendendo per riportare al centro dell'agenda l'emergenza lavoro a tutti i livelli. Basti ricordare, per esempio, quello che sta accadendo riguardo alla necessità della ripresa industriale da più parti invocata. Dirigenti, manager, imprenditori che operano nelle grandi industrie, ma anche nelle Pmi danno giustamente voce a delle richieste che poi coincidono con quelle che il mondo produttivo in generale rivolge al potere politico. Trovo dunque che sia un metodo efficace quello di occuparsi del bene comune da parte di una categoria che ha il know how per articolare un discorso pubblico, se non altro perché conosce l'andamento delle aziende italiane e dunque nella nostra economia. La recente nascita di Prioritalia (lo scorso 10 giugno è stato redatto l'atto formale di costituzione, ndr) – il think tank che di fatto si presenta come un punto di convergenza tra le realtà di Federmanager, Manager Italia e la Nuova Cida, che ha l'ambizione di sottoporre all'attenzione delle istituzioni un "Progetto-Paese" − conferma un orientamento che si è visto anche a Milano e che va nella direzione giusta.
Aldai ha suggerito la costituzione di un Tavolo di confronto con la Regione Lombardia che poggia su cinque proposte concrete, ma anche molto impegnative. Dove trovare le risorse per un progetto tanto ambizioso?
Difficile rispondere. Una cosa è certa: il nostro sistema industriale è messo alla prova. Particolarmente duri sono stati questi anni di recessione, che sono arrivati, peraltro, a seguito di un lungo declino. Non va dimenticato che ancor prima che la recessione facesse sentire i suoi effetti, abbiamo avuto un periodo di stagnazione, che perdura dalla metà degli anni Novanta. Quest'ultima è una delle ragioni per cui il nostro paese è rimasto più indietro rispetto ad altri contesti europei. Non dimentichiamo che il nostro reddito pro capite è tornato ai livelli della seconda metà degli anni Novanta, solo la Grecia ha fatto peggio di noi. In questo contesto, non certo roseo, la ripresa è una necessità, non una scelta astratta, perché di questo passo perdiamo il nostro posto nel mondo. Siamo pur sempre il secondo paese manifatturiero d'Europa e l'ottavo del mondo, siamo infatti capaci di esprimere il 3,3% del Pil mondiale nel settore. Siamo una grande realtà e un paese patrimonializzato con ancora grandi capacità di risparmio, che in Italia si calcola in circa quattro volte il livello del debito pubblico. Abbiamo dunque le risorse e la storia industriale per ripartire. Purtroppo continuiamo a registrare una qualità pessima delle politiche pubbliche. La giustizia, l'istruzione, il mercato del lavoro, la ricerca, sono ambiti che dobbiamo rilanciare. Capisco i manager che hanno deciso di rivolgere una pressione ai poteri pubblici perché venga dato effetto concreto alle tante promesse di riforma non mantenute.
Quali conseguenze ha la sfiducia delle Pmi lombarde, delle partite Iva e dell'artigianato locale nei confronti della leadership regionale?
Molte sono le leadership indebolite in questa fase. Alcune addirittura non esistono più. Il Pd è ancora alla ricerca di una guida, il Pdl sappiamo in quali difficoltà naviga a seguito dei guai giudiziari di Berlusconi. Se non altro Roberto Maroni esercita una leadership, anche se indebolita dal conflitto interno, conflitto che esiste anche all'interno dei 5stelle e del Pdl. È dunque l'intero sistema Italia in difficoltà. Quello che piuttosto va notato, relativamente alla Lombardia, è semmai che ha rappresentato l'immagine ideale del modello di sviluppo economico e sociale incarnato dal centro destra. Questa regione è stata, nell'ultimo ventennio, retta sempre dal centro destra, dando corpo politico a un'alleanza speciale tra Lega e Forza Italia. Ha dunque espresso una sintesi tra due aspetti del nordismo, soprattutto è stata presentata al paese come il paradigma che ci avrebbe portato fuori dalla crisi. L'idea era chiara: lasciamo correre il Nord, diminuiamo le tasse (cosa che non è mai avvenuta con nessuno dei governi che si sono alternati) e tutto il paese ripartirà. Questo modello è chiaramente in crisi. Per tornare alla sua domanda, il punto debole dell'esperienza Maroni sta proprio in questa crisi del modello lombardo, che non può essere neanche lontanamente pareggiato dall'ipotesi della macro regione, realtà di difficilissima realizzazione costituzionale e forse di dubbia utilità pratica.
Rimanendo sui temi politici. Il "decreto del fare" va interpretato come un "primo passo" positivo da parte del governo?
È divertente che in Italia si facciano decreti del fare, è un modo per dire che gli altri sono solo decreti del "chiacchierare". Dario Di Vico ha parlato sul "Corsera" della "politica del cacciavite". L'esecutivo sta intervenendo a raddrizzare le criticità più gravi, si potrebbe dire che è stata messa in campo una politica della microchirurgia, che riguarda aspetti molto specifici e particolari dell'intera attività economica e industriale. Certo alcune cose vanno nel segno giusto, ed erano lungamente attese, penso a certi limiti che andavano imposti a Equitalia, che ha assunto atteggiamenti sovente vessatori nei confronti del contribuente; allo stesso modo la possibilità di rateizzare più a lungo i debiti contratti con lo stato per le Pmi è un provvedimento necessario. Non credo, e lo sappiamo tutti, che basti per rilanciare l'economia. Paradossalmente sarebbe più efficace per la ripresa scongiurare l'aumento dell'Iva e l'abolizione dell'Imu. Servirebbero, almeno a livello macro-economico, il taglio della spesa pubblica attraverso la riduzione degli sprechi che ancora ci sono e, a livello europeo, una politica meno austera, in una parola, più proiettata alla crescita. Da questo punto di vista, le elezioni di settembre in Germania saranno decisive.
Proviamo a guardare oltreoceano, alla possibile intesa tra il nostro premier e Obama, che si è intravista nel corso dell'ultimo G8, su una nuova possibile stagione di grandi liberalizzazioni. Cosa c'è da aspettarsi?
Tenderei a non aspettarmi molto da quello che avviene all'estero. Letta si sta muovendo bene. Ha detto il giorno del suo insediamento: manteniamo gli impegni, non torniamo indietro. Abbiamo affrontato quattro anni di lacrime e sangue per rientrare dalla procedura di deficit eccessivo, adesso che finalmente siamo tornati tra i paesi virtuosi non buttiamo al vento quanto abbiamo fatto. Il risultato raggiunto ci darà una maggiore agibilità sul fronte della spesa, consentendoci di non sottostare ai diktat europei. Parallelamente il premier ha creato le condizioni per impegnare delle risorse cofinanziate dai progetti europei. Abbiamo 30 miliardi della Bei da impegnare per progetti di sviluppo, ognuno dei quali gode della metà del sostegno della Bei e in pari misura del finanziamento nazionale. L'idea su cui si sta lavorando è semplice: considerare queste risorse fuori dal patto di stabilità, in modo da poterne disporre senza limitazioni. Ho richiamato questo esempio per sostenere che si tratta di interventi utili, a patto di non dimenticare che la sostanza dei nostri problemi è indigena, e va ricercata nelle mancate riforme, che la politica non è stata in grado di fare nel momento giusto. Siamo
così fatalmente giunti al momento dell'auspicata ripresa appesantiti, stanchi, invecchiati, e con un sistema industriale sotto pressione.
INTERVISTA. A colloquio con Antonio Polito, editorialista e saggista
Il tempo è scaduto
Siamo una grande realtà e un paese patrimonializzato. Abbiamo dunque le risorse e la storia industriale per ripartire, ma continuiamo ad avere una qualità pessima delle politiche pubbliche
A cura della Redazione | 15 luglio 2013
di Massimiliano Cannata. "Da Milano deve partire una nuova rivoluzione industriale. Il Governo Letta ha intrapreso la strada giusta per ridare centralità ai temi del lavoro, dell'occupazione giovanile, ma occorre maggiore incisività per creare un contesto veramente favorevole allo sviluppo delle imprese". Romano Ambrogi, presidente di Aldai ha aperto i lavori dell'Assemblea Annuale che si è tenuta a Milano lo scorso 18 giugno (v. articolo a pagina 89), lanciando una provocazione molto forte alla classe politica, sottolineando che imprese e manager non sono disposte ad ammettere indugi: il tempo è
scaduto. Ne parliamo con Antonio Polito giornalista e saggista, che da molti anni segue con attenzione lo sviluppo dell'universo manageriale in rapporto ai grandi temi della politica e del dibattito pubblico. Nel recente saggio Contro i papà, dietro l'analisi del difficile rapporto generazionale tra i padri e i figli, Polito fa intravedere tutti i guasti di un ricambio che continua a mancare nell'ambito dell'intera classe dirigente italiana, mentre nell'ultimo lavoro In fondo a destra emerge il fallimento politico della cosiddetta "seconda repubblica", che ha di fatto lasciato il paese "bloccato" nelle secche di una crisi più grave e più lunga del previsto.
Polito, come giudica questa presa di posizione del mondo imprenditoriale della Lombardia, in cui opera circa un terzo dei dirigenti industriali italiani rappresentati da Federmanager?
Bisogna guardare con apprezzamento, oltre che con interesse, alle iniziative che il mondo di Federamanger sta intraprendendo per riportare al centro dell'agenda l'emergenza lavoro a tutti i livelli. Basti ricordare, per esempio, quello che sta accadendo riguardo alla necessità della ripresa industriale da più parti invocata. Dirigenti, manager, imprenditori che operano nelle grandi industrie, ma anche nelle Pmi danno giustamente voce a delle richieste che poi coincidono con quelle che il mondo produttivo in generale rivolge al potere politico. Trovo dunque che sia un metodo efficace quello di occuparsi del bene comune da parte di una categoria che ha il know how per articolare un discorso pubblico, se non altro perché conosce l'andamento delle aziende italiane e dunque nella nostra economia. La recente nascita di Prioritalia (lo scorso 10 giugno è stato redatto l'atto formale di costituzione, ndr) – il think tank che di fatto si presenta come un punto di convergenza tra le realtà di Federmanager, Manager Italia e la Nuova Cida, che ha l'ambizione di sottoporre all'attenzione delle istituzioni un "Progetto-Paese" − conferma un orientamento che si è visto anche a Milano e che va nella direzione giusta.
Aldai ha suggerito la costituzione di un Tavolo di confronto con la Regione Lombardia che poggia su cinque proposte concrete, ma anche molto impegnative. Dove trovare le risorse per un progetto tanto ambizioso?
Difficile rispondere. Una cosa è certa: il nostro sistema industriale è messo alla prova. Particolarmente duri sono stati questi anni di recessione, che sono arrivati, peraltro, a seguito di un lungo declino. Non va dimenticato che ancor prima che la recessione facesse sentire i suoi effetti, abbiamo avuto un periodo di stagnazione, che perdura dalla metà degli anni Novanta. Quest'ultima è una delle ragioni per cui il nostro paese è rimasto più indietro rispetto ad altri contesti europei. Non dimentichiamo che il nostro reddito pro capite è tornato ai livelli della seconda metà degli anni Novanta, solo la Grecia ha fatto peggio di noi. In questo contesto, non certo roseo, la ripresa è una necessità, non una scelta astratta, perché di questo passo perdiamo il nostro posto nel mondo. Siamo pur sempre il secondo paese manifatturiero d'Europa e l'ottavo del mondo, siamo infatti capaci di esprimere il 3,3% del Pil mondiale nel settore. Siamo una grande realtà e un paese patrimonializzato con ancora grandi capacità di risparmio, che in Italia si calcola in circa quattro volte il livello del debito pubblico. Abbiamo dunque le risorse e la storia industriale per ripartire. Purtroppo continuiamo a registrare una qualità pessima delle politiche pubbliche. La giustizia, l'istruzione, il mercato del lavoro, la ricerca, sono ambiti che dobbiamo rilanciare. Capisco i manager che hanno deciso di rivolgere una pressione ai poteri pubblici perché venga dato effetto concreto alle tante promesse di riforma non mantenute.
Quali conseguenze ha la sfiducia delle Pmi lombarde, delle partite Iva e dell'artigianato locale nei confronti della leadership regionale?
Molte sono le leadership indebolite in questa fase. Alcune addirittura non esistono più. Il Pd è ancora alla ricerca di una guida, il Pdl sappiamo in quali difficoltà naviga a seguito dei guai giudiziari di Berlusconi. Se non altro Roberto Maroni esercita una leadership, anche se indebolita dal conflitto interno, conflitto che esiste anche all'interno dei 5stelle e del Pdl. È dunque l'intero sistema Italia in difficoltà. Quello che piuttosto va notato, relativamente alla Lombardia, è semmai che ha rappresentato l'immagine ideale del modello di sviluppo economico e sociale incarnato dal centro destra. Questa regione è stata, nell'ultimo ventennio, retta sempre dal centro destra, dando corpo politico a un'alleanza speciale tra Lega e Forza Italia. Ha dunque espresso una sintesi tra due aspetti del nordismo, soprattutto è stata presentata al paese come il paradigma che ci avrebbe portato fuori dalla crisi. L'idea era chiara: lasciamo correre il Nord, diminuiamo le tasse (cosa che non è mai avvenuta con nessuno dei governi che si sono alternati) e tutto il paese ripartirà. Questo modello è chiaramente in crisi. Per tornare alla sua domanda, il punto debole dell'esperienza Maroni sta proprio in questa crisi del modello lombardo, che non può essere neanche lontanamente pareggiato dall'ipotesi della macro regione, realtà di difficilissima realizzazione costituzionale e forse di dubbia utilità pratica.
Rimanendo sui temi politici. Il "decreto del fare" va interpretato come un "primo passo" positivo da parte del governo?
È divertente che in Italia si facciano decreti del fare, è un modo per dire che gli altri sono solo decreti del "chiacchierare". Dario Di Vico ha parlato sul "Corsera" della "politica del cacciavite". L'esecutivo sta intervenendo a raddrizzare le criticità più gravi, si potrebbe dire che è stata messa in campo una politica della microchirurgia, che riguarda aspetti molto specifici e particolari dell'intera attività economica e industriale. Certo alcune cose vanno nel segno giusto, ed erano lungamente attese, penso a certi limiti che andavano imposti a Equitalia, che ha assunto atteggiamenti sovente vessatori nei confronti del contribuente; allo stesso modo la possibilità di rateizzare più a lungo i debiti contratti con lo stato per le Pmi è un provvedimento necessario. Non credo, e lo sappiamo tutti, che basti per rilanciare l'economia. Paradossalmente sarebbe più efficace per la ripresa scongiurare l'aumento dell'Iva e l'abolizione dell'Imu. Servirebbero, almeno a livello macro-economico, il taglio della spesa pubblica attraverso la riduzione degli sprechi che ancora ci sono e, a livello europeo, una politica meno austera, in una parola, più proiettata alla crescita. Da questo punto di vista, le elezioni di settembre in Germania saranno decisive.
Proviamo a guardare oltreoceano, alla possibile intesa tra il nostro premier e Obama, che si è intravista nel corso dell'ultimo G8, su una nuova possibile stagione di grandi liberalizzazioni. Cosa c'è da aspettarsi?
Tenderei a non aspettarmi molto da quello che avviene all'estero. Letta si sta muovendo bene. Ha detto il giorno del suo insediamento: manteniamo gli impegni, non torniamo indietro. Abbiamo affrontato quattro anni di lacrime e sangue per rientrare dalla procedura di deficit eccessivo, adesso che finalmente siamo tornati tra i paesi virtuosi non buttiamo al vento quanto abbiamo fatto. Il risultato raggiunto ci darà una maggiore agibilità sul fronte della spesa, consentendoci di non sottostare ai diktat europei. Parallelamente il premier ha creato le condizioni per impegnare delle risorse cofinanziate dai progetti europei. Abbiamo 30 miliardi della Bei da impegnare per progetti di sviluppo, ognuno dei quali gode della metà del sostegno della Bei e in pari misura del finanziamento nazionale. L'idea su cui si sta lavorando è semplice: considerare queste risorse fuori dal patto di stabilità, in modo da poterne disporre senza limitazioni. Ho richiamato questo esempio per sostenere che si tratta di interventi utili, a patto di non dimenticare che la sostanza dei nostri problemi è indigena, e va ricercata nelle mancate riforme, che la politica non è stata in grado di fare nel momento giusto. Siamo
così fatalmente giunti al momento dell'auspicata ripresa appesantiti, stanchi, invecchiati, e con un sistema industriale sotto pressione.
lunedì 15 luglio 2013
Da Rischio calcolato
11 Segni Che l’Italia Sta Finendo in una Depressione Economica
da Zerohedge
Quando si ha troppo debito, iniziano ad accadere cose davvero brutte. Purtroppo questo è esattamente ciò che sta accadendo in Italia in questo momento. Le dure misure di austerità stanno facendo rallentare l’economia italiana ancora più di prmia. Eppure, anche con tutte le misure di austerità, il governo italiano continua solo ad accumulare più debito. Questo è esattamente lo stesso percorso che ha intrapreso la Grecia.
L’austerità provoca un calo nelle entrate pubbliche, cosa che impedisce il raggiungimento degli obiettivi di riduzione del deficit, cosa che provoca ancora più misure di austerità. Ma se l’Italia crolla economicamente, sarà un affare molto più grande di quello che è stato in Grecia. L’Italia è la nona economia su tutto il pianeta. In realtà l’Italia era ottava, ma ora la Russia l’ha sorpassata.
Se l’Italia continuerà ad arrancare, anche India e Canada la sorpasseranno. E’ davvero una tragedia guardare ciò che sta accadendo in Italia, perché è davvero un posto meraviglioso. Quando ero bambino, mio padre era in marina e ho avuto l’opportunità di vivere lì per un po’. E’ una terra con un clima meraviglioso, ottimo cibo e ottimo calcio. La gente è cordiale e la cultura è assolutamente affascinante. Ma ora il paese sta cadendo a pezzi.
I seguenti sono gli 11 segni che l’Italia sta scendendo in una depressione economica in piena regola…
Il tasso di disoccupazione in Italia è salito al 12.2%. Questa è la cifra più alta da 35 anni a questa parte.
Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è salito al 38.5%, e nel sud Italia ha recentemente raggiunto la soglia del 50%.
Una media di 134 punti vendita stanno chiudendo in Italia ogni singolo giorno. Nel complesso, circa 224,000 esercizi al dettaglio hanno chiuso dal 2008.
L’economia italiana è in contrazione da sette trimestri consecutivi.
E’ stato proiettato che il PIL in Italia si ridurrà dell’1.8% quest’anno.
La produzione industriale in Italia è diminuita per 15 mesi di fila. Ora è scesa al livello più basso sin da 25 anni.
Nel complesso, la produzione industriale in Italia è diminuita di circa un quarto sin dal 2008.
A Maggio le vendite di automobili in Italia sono diminuite dell’8% rispetto all’anno precedente.
Il numero di persone che sono considerate “gravemente povere” in Italia è raddoppiato negli ultimi due anni.
L’Italia ora ha un rapporto tra debito/PIL del 130%.
E’ stato proiettato che l’Italia avrà bisogno di un grande piano di salvataggio dell’UE entro sei mesi.
A questo punto, l’Italia è al verde.
E a differenza degli Stati Uniti o del Giappone, l’Italia non può più controllare una banca centrale e fargli stampare una gran quantità di nuovo denaro con cui comprare titoli di stato. L’Italia è sposata con l’euro, e questo limita fortemente le sue opzioni. Purtroppo il denaro sta finendo rapidamente. Quello che segue è un estratto da un recente articolo di Wolf Richter…
Nella maggior parte dei paesi significherebbe avere una bella faccia tosta, o forse un’ostentazione di follia politica, ma in Italia lascia il tempo che trova: un funzionario del governo, nondimeno un ministro, può dichiarare tranquillamente che il paese non può saldare i suoi conti di lunga data, e non per un mese o due ma per il resto di quest’anno! A causa di problemi “tecnici.”
Il governo italiano è senza soldi. Non che il governo degli Stati Uniti o quello giapponese stiano meglio, ma hanno le banche centrali che stampano denaro a tavoletta. L’Italia no. Ha la BCE che è gestita da un italiano il quale l’anno scorso ha promesso che stamperà soldi per tenere l’Italia a galla. Ma questa promessa non è la stessa cosa dell’avere una banca centrale propria.
Il 4 Luglio in Italia è venuto alla luce l’ennesimo fiasco per quanto riguarda il bilancio. Devastata dalla falsa austerità, le spese sono aumentate dell’1.3% nel primo trimestre, mentre le entrate sono rimasti invariate. Quindi il deficit è salito al 7.3% del PIL, rispetto al 6.6% dello scorso anno, portando il debito pubblico al 130% del PIL. Debito e deficit da capogiro in un’economia in avvizzimento — l’Italia è in recessione sin dal quarto trimestre del 2011 — è una combinazione tossica nell’Eurozona.
Anche se questi numeri possono sembrare davvero brutti, la realtà è che le persone che soffrono di più sono i cittadini medi. Molti italiani sono stati completamente devastati da questa depressione economica ed i suicidi sono alle stelle…
In Italia le tragiche storie di suicidi legati alla profonda recessione stanno diventando troppo frequenti. Il mese scorso vicino a Torino si è impiccato un ex-operaio perché non riusciva a trovare lavoro. A Maggio un giovane di Roma si è suicidato poco dopo aver perso il lavoro. Il giorno successivo il presidente Giorgio Napolitano ha pregato il governo affinché presti “la massima attenzione per le situazioni di maggior disagio e necessità” in modo da aiutare a fermare l’ondata di suicidi.
E’ assolutamente tragico.
Ma sapete una cosa?
Gli Stati Uniti sono diretti lungo lo stesso percorso dell’Italia.
Nei prossimi anni anche qui la disoccupazione ed i suicidi saliranno alle stelle.
Quelli che stanno mettendo la testa sotto la sabbia in questo momento saranno colti di sorpresa da quello che sta arrivando. Ma quelli che capiscono ciò che si staglia all’orizzonte, e si preparano, avranno migliori possibilità per uscirne con meno danni possibili.
L’Italia è un po’ come la Torre di Pisa. Tutti sanno che cadrà alla fine, e quando accadrà sarà una vera catastrofe.
Quando il sistema finanziario dell’Italia imploderà, questo sarà il segno che la situazione inizierà a deteriorarsi più rapidamente. Aspettatevi che i vari pezzi del domino inizino a cadere molto più rapidamente in seguito.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
11 Segni Che l’Italia Sta Finendo in una Depressione Economica
da Zerohedge
Quando si ha troppo debito, iniziano ad accadere cose davvero brutte. Purtroppo questo è esattamente ciò che sta accadendo in Italia in questo momento. Le dure misure di austerità stanno facendo rallentare l’economia italiana ancora più di prmia. Eppure, anche con tutte le misure di austerità, il governo italiano continua solo ad accumulare più debito. Questo è esattamente lo stesso percorso che ha intrapreso la Grecia.
L’austerità provoca un calo nelle entrate pubbliche, cosa che impedisce il raggiungimento degli obiettivi di riduzione del deficit, cosa che provoca ancora più misure di austerità. Ma se l’Italia crolla economicamente, sarà un affare molto più grande di quello che è stato in Grecia. L’Italia è la nona economia su tutto il pianeta. In realtà l’Italia era ottava, ma ora la Russia l’ha sorpassata.
Se l’Italia continuerà ad arrancare, anche India e Canada la sorpasseranno. E’ davvero una tragedia guardare ciò che sta accadendo in Italia, perché è davvero un posto meraviglioso. Quando ero bambino, mio padre era in marina e ho avuto l’opportunità di vivere lì per un po’. E’ una terra con un clima meraviglioso, ottimo cibo e ottimo calcio. La gente è cordiale e la cultura è assolutamente affascinante. Ma ora il paese sta cadendo a pezzi.
I seguenti sono gli 11 segni che l’Italia sta scendendo in una depressione economica in piena regola…
Il tasso di disoccupazione in Italia è salito al 12.2%. Questa è la cifra più alta da 35 anni a questa parte.
Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è salito al 38.5%, e nel sud Italia ha recentemente raggiunto la soglia del 50%.
Una media di 134 punti vendita stanno chiudendo in Italia ogni singolo giorno. Nel complesso, circa 224,000 esercizi al dettaglio hanno chiuso dal 2008.
L’economia italiana è in contrazione da sette trimestri consecutivi.
E’ stato proiettato che il PIL in Italia si ridurrà dell’1.8% quest’anno.
La produzione industriale in Italia è diminuita per 15 mesi di fila. Ora è scesa al livello più basso sin da 25 anni.
Nel complesso, la produzione industriale in Italia è diminuita di circa un quarto sin dal 2008.
A Maggio le vendite di automobili in Italia sono diminuite dell’8% rispetto all’anno precedente.
Il numero di persone che sono considerate “gravemente povere” in Italia è raddoppiato negli ultimi due anni.
L’Italia ora ha un rapporto tra debito/PIL del 130%.
E’ stato proiettato che l’Italia avrà bisogno di un grande piano di salvataggio dell’UE entro sei mesi.
A questo punto, l’Italia è al verde.
E a differenza degli Stati Uniti o del Giappone, l’Italia non può più controllare una banca centrale e fargli stampare una gran quantità di nuovo denaro con cui comprare titoli di stato. L’Italia è sposata con l’euro, e questo limita fortemente le sue opzioni. Purtroppo il denaro sta finendo rapidamente. Quello che segue è un estratto da un recente articolo di Wolf Richter…
Nella maggior parte dei paesi significherebbe avere una bella faccia tosta, o forse un’ostentazione di follia politica, ma in Italia lascia il tempo che trova: un funzionario del governo, nondimeno un ministro, può dichiarare tranquillamente che il paese non può saldare i suoi conti di lunga data, e non per un mese o due ma per il resto di quest’anno! A causa di problemi “tecnici.”
Il governo italiano è senza soldi. Non che il governo degli Stati Uniti o quello giapponese stiano meglio, ma hanno le banche centrali che stampano denaro a tavoletta. L’Italia no. Ha la BCE che è gestita da un italiano il quale l’anno scorso ha promesso che stamperà soldi per tenere l’Italia a galla. Ma questa promessa non è la stessa cosa dell’avere una banca centrale propria.
Il 4 Luglio in Italia è venuto alla luce l’ennesimo fiasco per quanto riguarda il bilancio. Devastata dalla falsa austerità, le spese sono aumentate dell’1.3% nel primo trimestre, mentre le entrate sono rimasti invariate. Quindi il deficit è salito al 7.3% del PIL, rispetto al 6.6% dello scorso anno, portando il debito pubblico al 130% del PIL. Debito e deficit da capogiro in un’economia in avvizzimento — l’Italia è in recessione sin dal quarto trimestre del 2011 — è una combinazione tossica nell’Eurozona.
Anche se questi numeri possono sembrare davvero brutti, la realtà è che le persone che soffrono di più sono i cittadini medi. Molti italiani sono stati completamente devastati da questa depressione economica ed i suicidi sono alle stelle…
In Italia le tragiche storie di suicidi legati alla profonda recessione stanno diventando troppo frequenti. Il mese scorso vicino a Torino si è impiccato un ex-operaio perché non riusciva a trovare lavoro. A Maggio un giovane di Roma si è suicidato poco dopo aver perso il lavoro. Il giorno successivo il presidente Giorgio Napolitano ha pregato il governo affinché presti “la massima attenzione per le situazioni di maggior disagio e necessità” in modo da aiutare a fermare l’ondata di suicidi.
E’ assolutamente tragico.
Ma sapete una cosa?
Gli Stati Uniti sono diretti lungo lo stesso percorso dell’Italia.
Nei prossimi anni anche qui la disoccupazione ed i suicidi saliranno alle stelle.
Quelli che stanno mettendo la testa sotto la sabbia in questo momento saranno colti di sorpresa da quello che sta arrivando. Ma quelli che capiscono ciò che si staglia all’orizzonte, e si preparano, avranno migliori possibilità per uscirne con meno danni possibili.
L’Italia è un po’ come la Torre di Pisa. Tutti sanno che cadrà alla fine, e quando accadrà sarà una vera catastrofe.
Quando il sistema finanziario dell’Italia imploderà, questo sarà il segno che la situazione inizierà a deteriorarsi più rapidamente. Aspettatevi che i vari pezzi del domino inizino a cadere molto più rapidamente in seguito.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
Una rivoluzione democratica a guida massonica?
postato alle ore: 15:41
di Francesco Salistrari.
Leggendo l'ultimo articolo di Gioele Magaldi (qui), interessante dall'inizio alla fine, apprendiamo tante notizie “succose” dalle quali estrapolare un quadro molto più netto dell'attuale situazione politica ed economica italiana e non solo dell'Italia.
Inoltre leggendo l'articolo fino in fondo, con attenzione certosina, riusciamo a farci un'idea più chiara della massoneria e di come funzionano i circoli elitari (come il Bilderberg ad esempio) e del ruolo che al loro interno svolgono i personaggi della nostra politica, del mondo imprenditoriale e dei media.
Un articolo che consiglio di leggere, non fosse altro perchè il Magaldi, leader dell'ala democratica e progressista (Grande Oriente Democratico, GOD) del Grande Oriente d'Italia (GOI), ribadisce alcuni concetti sui quali molti stanno già discutendo da tempo, nell'assoluto silenzio e isolamento mediatico e politico.
Un passo molto interessante a questo riguardo è senz'altro questo:
“Tutto ciò giova a chi ha speculato per mesi e mesi sulle differenze tra i rendimenti dei vari titoli di stato delle nazioni europee (sarebbe bastato creare degli eurobond, cioè dei titoli di stato europei unificati, per far cessare all’istante qualsivoglia speculazione sul famigerato SPREAD); giova a chi ha i mezzi per acquisire aziende dei vari Paesi in crisi a prezzi di saldo; giova a chi si accinge ad acquistare a prezzi vantaggiosi e stracciati beni e aziende di Stato messi in vendita a quattro soldi per fare cassa e favorire amici e amici degli amici di amministratori pubblici corrotti e infingardi; giova a chi si accinge a speculare sulla privatizzazione di servizi pubblici essenziali per la vita quotidiana (privatizzazione motivata con le stesse pseudo-ragioni con cui si vorrebbe svendere il patrimonio immobiliare e aziendale statale e para-statale: bisogna fare cassa per diminuire il debito pubblico e poi lo Stato deve essere “minimo”, in omaggio ai principi della teologia dogmatica neoliberista); giova a chi desidera avere, nel cuore dell’Europa e dell’Occidente, una massa enorme di disoccupati disperati, rassegnati a costituire una manodopera a buon mercato per i nuovi padroni sovra-nazionali dei mezzi di produzione locali, acquisiti a prezzo di favore proprio grazie alla CRISI; giova a chi ha progettato una de-strutturazione sociale e politica delle lande europee, ri-trasformando i cittadini in sudditi con gli occhi rivolti al basso e solleciti soprattutto della propria sopravvivenza materiale, in modo tale che la sovranità, dal popolo, venga dirottata de facto (salvando le forme esteriori della democrazia, ma svuotandole di senso e contenuti) verso nuovi aristoi, padroni e sorveglianti elitari di un nuovo perimetro concreto del Potere, in cui la stessa politica rappresentativa dei partiti-movimenti sia decisamente subalterna ad ambienti altri, esterni e sopra-elevati rispetto ad essa”.
In queste poche righe, credo sia condensato tutto il senso delle politiche, altrimenti incomprensibili, che vengono portate avanti in Europa fin dall'inizio della crisi (per non considerare il lasso temporale precedente) e quali siano i reali obiettivi di chi queste politiche le vuole, le avalla e le implementa nei vari contesti nazionali.
Senza queste considerazioni, sarebbe impossibile comprendere, ad esempio, il senso del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio imposto costituzionalmente, del MES, della politica della BCE, dei sacrifici immani imposti ai popoli europei (soprattutto mediterranei) in nome di questa “benedetta” austerità che a detta di tutti, premi nobel dell'economia compresi, è assolutamente controproducente per la ripresa economica del continente.
Sentir dire, da parte mia, ad un personaggio tanto informato, tanto addentro alle dinamiche politiche del nostro paese, profondo conoscitore dei meandri della massoneria italiana e internazionale, cose che da anni vado vaticinando nei miei articoli, nei miei scritti, nelle discussioni che intrattengo quotidianamente, non è certo consolante, ma, non nascondo, mi permette di restare più sereno. Perchè, in fondo, mi dico, “forse non sono pazzo”. Perché nell'assoluto silenzio politico e mediatico, nell'inconcludenza delle discussioni di partiti e movimenti, nella distrazione di massa che viviamo riguardo a questi temi, pensare determinate cose, non è facile, anzi, ti porta a considerare la possibilità che tu stia vivendo una sorta di allucinazione cognitiva, un abbandono della realtà, incapace ormai di inquadrare gli eventi e di capire le dinamiche di questo mondo moderno, così follemente lanciato verso il baratro.
Dunque, dopo aver ascoltato e riascoltato l'intervista a Nino Galloni che, tra le altre cose, parla della deindustrializzazione del nostro paese (qui), un'altra voce importante ci lascia intravedere sprazzi di un disegno razionale di indebolimento del nostro paese nel novero europeo e di fronte al mondo, vale a dire una precisa volontà politica che mira a demolire l'ordine democratico ed economico europeo, in nome di interessi multimiliardari di imprese multinazionali, banche e finanza speculativa e che sottintende un nuovo cambio sistemico da parte del capitalismo mondiale.
Come dicevo in altri miei interventi, anche pubblici, la democrazia rappresentativa ha smesso di essere funzionale alla stabilità politica ed economica dell'Occidente e quindi le forze che governano il mondo (il Potere) lavorano e operano per eliminare questo “fastidioso impedimento” che rallenta e ostacola il raggiungimento dei propri fini. Lo svuotamento sostanziale per via tecno-economica della democrazia occidentale, dunque, non è un fine, ma un mezzo. E' il mezzo attraverso il quale i potentati mondiali (e mondialisti) mirano all'instaurazione di un nuovo ordine autocratico, una sorta di neo-aristocrazia politica ed economica per completare l'assoggettamento dei popoli e lo svuotamento dei diritti, processo iniziato negli anni '70, dopo il riflusso delle lotte operaie e studentesche, e scientificamente portato avanti (e a compimento?) ai giorni nostri.
Neo-aristocrazia, per usare proprio un termine che il Gioele Magaldi ha più volte usato nei suoi interventi, pubblici e sul web. Un nuovo modello sociale e politico imposto dall'alto nel più completo e assoluto silenzio e senza la benché minima forma di resistenza sociale e politica.
Quando Magaldi, nel suo articolo, quasi “minaccia” le forze (oscure e palesi) che operano in questa direzione, di stare molto attente perché così come avvenne con la Rivoluzione Francese, il popolo, sotto la guida delle forze massoniche progressiste, potrebbe ribellarsi, mi verrebbe da chiedere: è possibile? E' concepibile che le forze massoniche progressiste, di cui egli è un esponente dichiarato e che si è messo in gioco, possano davvero diventare forza trainante di un blocco sociale di opposizione a questo disegno criminale? E' realmente auspicabile che la massoneria progressista riesca a diventare il traino di un “risveglio sociale” democratico capace di spezzare l'egemonia che le forze massoniche e para-massoniche reazionarie e conservatrici tutt'ora detengono? O sono solo vaticini isolati di un sincero massone?
E soprattutto: cosa stanno aspettando queste forze massoniche progressiste? Non sarebbe tempo di muoversi attivamente nella società al fine di creare una reale e concreta opposizione in accordo con tutte le altre forze democratiche, operaie, studentesche, della società civile non massonica?
Esiste davvero un modo per fermare questa gente?
Domande ingenue, probabilmente. Ma che meriterebbero comunque una risposta.
postato alle ore: 15:41
di Francesco Salistrari.
Leggendo l'ultimo articolo di Gioele Magaldi (qui), interessante dall'inizio alla fine, apprendiamo tante notizie “succose” dalle quali estrapolare un quadro molto più netto dell'attuale situazione politica ed economica italiana e non solo dell'Italia.
Inoltre leggendo l'articolo fino in fondo, con attenzione certosina, riusciamo a farci un'idea più chiara della massoneria e di come funzionano i circoli elitari (come il Bilderberg ad esempio) e del ruolo che al loro interno svolgono i personaggi della nostra politica, del mondo imprenditoriale e dei media.
Un articolo che consiglio di leggere, non fosse altro perchè il Magaldi, leader dell'ala democratica e progressista (Grande Oriente Democratico, GOD) del Grande Oriente d'Italia (GOI), ribadisce alcuni concetti sui quali molti stanno già discutendo da tempo, nell'assoluto silenzio e isolamento mediatico e politico.
Un passo molto interessante a questo riguardo è senz'altro questo:
“Tutto ciò giova a chi ha speculato per mesi e mesi sulle differenze tra i rendimenti dei vari titoli di stato delle nazioni europee (sarebbe bastato creare degli eurobond, cioè dei titoli di stato europei unificati, per far cessare all’istante qualsivoglia speculazione sul famigerato SPREAD); giova a chi ha i mezzi per acquisire aziende dei vari Paesi in crisi a prezzi di saldo; giova a chi si accinge ad acquistare a prezzi vantaggiosi e stracciati beni e aziende di Stato messi in vendita a quattro soldi per fare cassa e favorire amici e amici degli amici di amministratori pubblici corrotti e infingardi; giova a chi si accinge a speculare sulla privatizzazione di servizi pubblici essenziali per la vita quotidiana (privatizzazione motivata con le stesse pseudo-ragioni con cui si vorrebbe svendere il patrimonio immobiliare e aziendale statale e para-statale: bisogna fare cassa per diminuire il debito pubblico e poi lo Stato deve essere “minimo”, in omaggio ai principi della teologia dogmatica neoliberista); giova a chi desidera avere, nel cuore dell’Europa e dell’Occidente, una massa enorme di disoccupati disperati, rassegnati a costituire una manodopera a buon mercato per i nuovi padroni sovra-nazionali dei mezzi di produzione locali, acquisiti a prezzo di favore proprio grazie alla CRISI; giova a chi ha progettato una de-strutturazione sociale e politica delle lande europee, ri-trasformando i cittadini in sudditi con gli occhi rivolti al basso e solleciti soprattutto della propria sopravvivenza materiale, in modo tale che la sovranità, dal popolo, venga dirottata de facto (salvando le forme esteriori della democrazia, ma svuotandole di senso e contenuti) verso nuovi aristoi, padroni e sorveglianti elitari di un nuovo perimetro concreto del Potere, in cui la stessa politica rappresentativa dei partiti-movimenti sia decisamente subalterna ad ambienti altri, esterni e sopra-elevati rispetto ad essa”.
In queste poche righe, credo sia condensato tutto il senso delle politiche, altrimenti incomprensibili, che vengono portate avanti in Europa fin dall'inizio della crisi (per non considerare il lasso temporale precedente) e quali siano i reali obiettivi di chi queste politiche le vuole, le avalla e le implementa nei vari contesti nazionali.
Senza queste considerazioni, sarebbe impossibile comprendere, ad esempio, il senso del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio imposto costituzionalmente, del MES, della politica della BCE, dei sacrifici immani imposti ai popoli europei (soprattutto mediterranei) in nome di questa “benedetta” austerità che a detta di tutti, premi nobel dell'economia compresi, è assolutamente controproducente per la ripresa economica del continente.
Sentir dire, da parte mia, ad un personaggio tanto informato, tanto addentro alle dinamiche politiche del nostro paese, profondo conoscitore dei meandri della massoneria italiana e internazionale, cose che da anni vado vaticinando nei miei articoli, nei miei scritti, nelle discussioni che intrattengo quotidianamente, non è certo consolante, ma, non nascondo, mi permette di restare più sereno. Perchè, in fondo, mi dico, “forse non sono pazzo”. Perché nell'assoluto silenzio politico e mediatico, nell'inconcludenza delle discussioni di partiti e movimenti, nella distrazione di massa che viviamo riguardo a questi temi, pensare determinate cose, non è facile, anzi, ti porta a considerare la possibilità che tu stia vivendo una sorta di allucinazione cognitiva, un abbandono della realtà, incapace ormai di inquadrare gli eventi e di capire le dinamiche di questo mondo moderno, così follemente lanciato verso il baratro.
Dunque, dopo aver ascoltato e riascoltato l'intervista a Nino Galloni che, tra le altre cose, parla della deindustrializzazione del nostro paese (qui), un'altra voce importante ci lascia intravedere sprazzi di un disegno razionale di indebolimento del nostro paese nel novero europeo e di fronte al mondo, vale a dire una precisa volontà politica che mira a demolire l'ordine democratico ed economico europeo, in nome di interessi multimiliardari di imprese multinazionali, banche e finanza speculativa e che sottintende un nuovo cambio sistemico da parte del capitalismo mondiale.
Come dicevo in altri miei interventi, anche pubblici, la democrazia rappresentativa ha smesso di essere funzionale alla stabilità politica ed economica dell'Occidente e quindi le forze che governano il mondo (il Potere) lavorano e operano per eliminare questo “fastidioso impedimento” che rallenta e ostacola il raggiungimento dei propri fini. Lo svuotamento sostanziale per via tecno-economica della democrazia occidentale, dunque, non è un fine, ma un mezzo. E' il mezzo attraverso il quale i potentati mondiali (e mondialisti) mirano all'instaurazione di un nuovo ordine autocratico, una sorta di neo-aristocrazia politica ed economica per completare l'assoggettamento dei popoli e lo svuotamento dei diritti, processo iniziato negli anni '70, dopo il riflusso delle lotte operaie e studentesche, e scientificamente portato avanti (e a compimento?) ai giorni nostri.
Neo-aristocrazia, per usare proprio un termine che il Gioele Magaldi ha più volte usato nei suoi interventi, pubblici e sul web. Un nuovo modello sociale e politico imposto dall'alto nel più completo e assoluto silenzio e senza la benché minima forma di resistenza sociale e politica.
Quando Magaldi, nel suo articolo, quasi “minaccia” le forze (oscure e palesi) che operano in questa direzione, di stare molto attente perché così come avvenne con la Rivoluzione Francese, il popolo, sotto la guida delle forze massoniche progressiste, potrebbe ribellarsi, mi verrebbe da chiedere: è possibile? E' concepibile che le forze massoniche progressiste, di cui egli è un esponente dichiarato e che si è messo in gioco, possano davvero diventare forza trainante di un blocco sociale di opposizione a questo disegno criminale? E' realmente auspicabile che la massoneria progressista riesca a diventare il traino di un “risveglio sociale” democratico capace di spezzare l'egemonia che le forze massoniche e para-massoniche reazionarie e conservatrici tutt'ora detengono? O sono solo vaticini isolati di un sincero massone?
E soprattutto: cosa stanno aspettando queste forze massoniche progressiste? Non sarebbe tempo di muoversi attivamente nella società al fine di creare una reale e concreta opposizione in accordo con tutte le altre forze democratiche, operaie, studentesche, della società civile non massonica?
Esiste davvero un modo per fermare questa gente?
Domande ingenue, probabilmente. Ma che meriterebbero comunque una risposta.
AAA ITALIA SVENDESI 14 Luglio 2013
di Valerio Lo Monaco
Quasi oscurata dalle altre notizie che hanno occupato le prime pagine dei giornali la settimana scorsa, la tematica più importante è un’altra: il nostro Paese si prepara a svendere immobili e altri gioielli di famiglia, oltre a varare nuove norme, per un totale, parziale quanto si vuole eppure niente affatto modesto, di 400 miliardi.
Lo scenario è pertanto inequivocabile: come era facile prevedere stiamo entrando in una nuova fase dello smantellamento del nostro Stato. Dopo l’ondata delle misure di austerità imposte da Monti, una delle ultime importanti cose che il governo del professore del Bilderberg e di Goldman Sachs non aveva fatto in tempo a mettere in pratica è ora nelle mani di Enrico Letta, anch’egli, come sappiamo, degli ambienti del “Gruppo”.
Stiamo parlando delle privatizzazioni e della messa all’asta di ciò che è nostro onde far fronte ai debiti accumulati nel tempo.
Il governo vorrebbe, con questa operazione, tagliare appunto 400 miliardi di debito pubblico, facendo fede così al Fiscal Compact in “partenza” dal 2015. Secondo Brunetta, 100 miliardi arriverebbero dalla vendita dei beni pubblici, 40-50 dalla costituzione e cessione di società per le concessioni demaniali (chi saranno i proprietari di tali società?), 25-35 miliardi dalla tassazione ordinaria delle attività finanziarie detenute in Svizzera (come se la cosa fosse facile da applicare…) e ulteriori 215-235 miliardi da questa “operazione choc” di svendita. Appunto.
Operazione choc: già la si chiama nel modo adatto a farla digerire all’opinione pubblica come una cosa indispensabile, necessaria, e non procrastinabile. “L’Europa ce lo chiede”, ricordate?
Questa operazione, a quanto pare, dovrebbe essere confezionata nel modo seguente: si vuole individuare una porzione di beni patrimoniali e diritti dello Stato, sia a livello centrale sia a livello strategico, e venderli a una società di diritto privato di nuova costituzione. Questa – attenzione che si arriva facilmente al punto – sarebbe costituita e partecipata da Banche, Assicurazioni, fondi bancari e altri soggetti. Ripetiamo: banche, assicurazioni e fondi bancari, oltre a qualche soggetto privato evidentemente facoltoso. Chiaro il punto?
Ma non solo: tale società emetterebbe obbligazioni a 15-20 anni garantite dai beni. E siccome si tratta di un soggetto privato, questi titoli non andrebbero a ingrassare il debito pubblico. Lo Stato incasserebbe il corrispettivo e lo porterebbe a riduzione del debito. Ma i beni, ovviamente, non sarebbero più “nostri”.
Si tratta, con tutta evidenza, di un furto in piena regola. Con una aggravante decisiva: chi sarà in grado di andare a comperare i nostri immobili e i nostri terreni è lo stesso soggetto che attraverso la speculazione e la crisi ci ha indotto a metterli in vendita. Anzi in svendita.
Il processo è certamente chiaro a tutti i lettori del Ribelle. Se dai primi anni ottanta siamo stati costretti – per via delle leggi che i politici italiani hanno approvato senza che nessuno di noi, ipnotizzato negli anni del boom economico se ne rendesse pienamente conto – a offrire nelle mani della speculazione internazionale il finanziamento dei nostri titoli di Stato, è esattamente da allora che abbiamo iniziato ad accumulare debito pubblico in maniera abnorme. Conti alla mano, la cosa non è in discussione. Sino a un anno addietro eravamo “appena” al doppio di allora, cioè a circa il 120 per cento. Complici la crisi indotta dalla finanza sovranazionale e i governi che attraverso tale crisi ci hanno imposto le misure che non hanno fatto che aggravarla ulteriormente ai nostri danni, oggi siamo arrivati, in tema di debito pubblico, a circa il 130 per cento. E probabilmente a fine anno si andrà ben oltre. Per risolvere la situazione, visto che con le misure adottate non si può che continuare a farla incancrenire, adesso si arriva dunque alla svendita di noi stessi. Cioè del nostro patrimonio pubblico.
Chi ha guadagnato da tutta l’operazione mediante i tassi di interesse crescenti che siamo stati costretti a pagare e che saremo costretti a pagare anche in futuro si trova dunque oggi con un gruzzolo cospicuo in tasca. E questo, sempre da parte degli stessi soggetti, sarà dunque utilizzato, a breve, per venire a fare spese in casa nostra. A prezzi di realizzo, ovviamente. E con un allibratore di provata fiducia, visto che Letta proviene dagli stessi ambienti.
Prima ci hanno “creato” il debito, poi ci hanno fatto aumentare i tassi di interesse, quindi ci hanno imposto le condizioni per ripagarlo, e adesso ci requisiscono il patrimonio a prezzi da “monte dei pegni”. Una operazione di strozzinaggio legalizzato insomma.
La lista degli immobili e del patrimonio in svendita non è ancora completa. E si tratta, ribadiamo, di una lista parziale ancora da approvare. Ma è certo che verso quella direzione si sta andando e che quella si proseguirà. Come peraltro già avvenuto in altri Paesi, vedi ad esempio la Grecia e la svendita di aziende pubbliche quando di non vere e proprie isole. Per ora la Banca d’Italia, dalla quale è necessaria l’autorizzazione (che ovviamente non mancherà, visto che è di proprietà delle Banche e dunque dei banksters stessi) ha inviato una prima lista di 350 immobili per un valore di un miliardo e mezzo.
A fronte di questo, il peggio è però l’aspetto che riguarda lo scenario nel suo complesso, cioè europeo e mondiale. Che non sta cambiando di un millimetro se non in peggioramento. La seconda ondata di crisi, ampiamente prevista anche nei tempi, cioè per il tardo autunno di quest’anno, inizia ad arrivare. La situazione di Portogallo e Grecia sta nuovamente avendo una nuova fase di peggioramenti. E anche le notizie in merito a queste due situazioni sono state nascoste dietro i fatti d’Egitto nei giorni scorsi.
Mario Draghi ha dichiarato che la Bce continuerà a intervenire e che non pensa affatto, come invece si suppone stia facendo la Fed dopo le parole di Ben Bernanke delle settimane passate, a una exit strategy. Ma non è una buona notizia: perché se da un lato la cosa ci evita il tracollo totale e repentino, dall’altro non fa che spostare in avanti i termini di una questione già scritta. Peraltro, prendendo tempo, consente alla deriva predatoria dei mercati di continuare ad andare avanti e a percorrere i propri scopi. La svendita dell’Italia della quale abbiamo parlato è una ulteriore tappa di tale percorso.
fonte: www.ilribelle.com
Il Sole 24 ORE - Radiocor 15/07/2013 - 09:18
Borsa: avvio in rialzo dopo dati macro cinesi, Ftse Mib +0,62%
Radiocor - Milano, 15 lug - Avvio in leggero rialzo per Piazza Affari sulla scia dei dati macroeconomici in linea con le attese provenienti dalla Cina dove il prodotto interno lordo e' cresciuto al ritmo del 7,5% annuo nel secondo trimestre contro il +7,7% dei primi tre mesi dell'anno. In avvio a Piazza Affari l'indice Ftse Mib guadagna lo 0,62% mentre il Ftse All Share sale dello 0,59%. Bene anche le altre principali piazze europee che guadagnano tutte lo 0,30% circa, inclusa Parigi che sembra non risentire dunque del downgrade ricevuto venerdi' da Fitch che ha deciso di levarle il rating di tripla A. In precedenza tuttavia misure analoghe erano state annunciate da Moody's e S&P e dunque l'impatto emotivo di questo ultimo taglio e' stato minore. A Milano scattano bene dai blocchi di partenza Ansaldo Sts (+3,8%) e Mediaset (+3,35%) mentre la galassia Fiat e' in rialzo dell'1%. Contrastata la performance del comparto bancario che risente delle persistenti tensioni sul mercato del debito secondario, dove lo spread dei Btp a 10 anni rimane vicino alla soglia dei 300 punti base. Nel settore sono in rialzo Banco Popolare (+0,51%), Mps (+0,24%), Unicredit (+0,62%) e Intesa Sanpaolo (+0,40%) mentre sono in calo Bpm (-1,35%), Mediobanca (-0,32%) e Bper (-0,42%). Sul mercato valutario l'euro tratta a 1,3053 nei confronti del dollaro e a 129,81 yen. Dollaro/yen a 99,46. Un barile di greggio Wti infine viene scambiato a 106,16 dollari
Il Sole 24 ORE - Radiocor 15/07/2013 - 09:49
Borsa: avvio in rialzo dopo dati macro cinesi, Ftse Mib +0,62% -2-
Radiocor - Milano, 15 lug - I mercati seguiranno con attenzione l'esito dell'asta francese i cui risultati dovrebbero essere annunciati nel primo pomeriggio. Il Tesoro mira a collocare tra i 6,8 e gli 8 miliardi di euro e sara' importante vedere in che misura il downgrade di Fitch incide sui rendimenti. L'impatto sul mercato secondario del debito francese intanto appare modesto. Tornando a Piazza Affari, da segnalare l'avvio positivo di Atlanta (+1,14%), Azimut (+1,15%), Campari (+1%), Diasorin (+1,02%), Luxottica (+0,88%), Prysmian (+1,51%) e Ferragamo (+1,39%) e St Microelectronics (+1,02%). In salita invece la partenza di Telecom Italia (-0,51%), Parmalat (-0,65%) e Finmeccanica (-0,21%). Nel complesso tuttavia sul listino milanese prevale nettamente il segno positivo. Fra i titoli quotati sulla altre principali piazze europee, da segnalare i rialzi a Londra dei colossi delle materie prime che dipendono strettamente dalla congiuntura cinese: Glencore Xstrata guadagna l'1,73% mentre Rio Tinto sale dell'1,18%. a' 2.832 pence). Bene anche a Lloyds Banking Group e Barclays che guadagnano oltre l'1% cosi' come il gruppo del lusso Burberry. A Parigi buona la partenza del gruppo bancario nonostante Fitch: bene in particolare Bnp Paribas (+1,69%), Credit Agricole (+1,21%) e Societe Generale (+1,52%).
Borsa: avvio in rialzo dopo dati macro cinesi, Ftse Mib +0,62% -2-
Radiocor - Milano, 15 lug - I mercati seguiranno con attenzione l'esito dell'asta francese i cui risultati dovrebbero essere annunciati nel primo pomeriggio. Il Tesoro mira a collocare tra i 6,8 e gli 8 miliardi di euro e sara' importante vedere in che misura il downgrade di Fitch incide sui rendimenti. L'impatto sul mercato secondario del debito francese intanto appare modesto. Tornando a Piazza Affari, da segnalare l'avvio positivo di Atlanta (+1,14%), Azimut (+1,15%), Campari (+1%), Diasorin (+1,02%), Luxottica (+0,88%), Prysmian (+1,51%) e Ferragamo (+1,39%) e St Microelectronics (+1,02%). In salita invece la partenza di Telecom Italia (-0,51%), Parmalat (-0,65%) e Finmeccanica (-0,21%). Nel complesso tuttavia sul listino milanese prevale nettamente il segno positivo. Fra i titoli quotati sulla altre principali piazze europee, da segnalare i rialzi a Londra dei colossi delle materie prime che dipendono strettamente dalla congiuntura cinese: Glencore Xstrata guadagna l'1,73% mentre Rio Tinto sale dell'1,18%. a' 2.832 pence). Bene anche a Lloyds Banking Group e Barclays che guadagnano oltre l'1% cosi' come il gruppo del lusso Burberry. A Parigi buona la partenza del gruppo bancario nonostante Fitch: bene in particolare Bnp Paribas (+1,69%), Credit Agricole (+1,21%) e Societe Generale (+1,52%).
Da R.it Economia & Finanza
L'economia cinese spinge le Borse Ue.
Spread a 290 punti, bene Piazza Affari
Il Pil dell'ex impero celeste cresce nel secondo trimestre dell'anno del 7,5%, un rallentamento previsto dal governo. Chiusa Tokyo per festività, acquisti sui principali listini del Vecchio continente, ma in Italia resta alta la tensione sul debito pubblico
di GIULIANO BALESTRERI
L'economia cinese spinge le Borse Ue. Spread a 290 punti, bene Piazza Affari
APPROFONDIMENTI
Il Pil cinese rallenta a +7,5%
ma non preoccupa Pechino
TAG borse europee, borse asiatiche, spread, euro, federal reserve, oro, petrolio, btp, Piazza Affari, Giuliano Balestreri MILANO - Ore 11. L'economia cinese mantiene le promesse e sostiene i mercati asiatici. Pechino ha annunciato che il Pil, nel secondo trimestre dell'anno, è cresciuto del 7,5% contro il 7,7% dei primi tre mesi: si tratta della nona frenata in 10 trimestri, ma è anche un rallentamento atteso dagli analisti e preannunciato dal governo dell'ex Impero celeste. Peraltro il rallentamento dell'economia asiatica, sommato alle nubi che tornano ad addensarsi sugli Stati Uniti, allontana lo spettro dei tagli agli stimoli monetari della Federal Reserve. La Banca centrale americana inietta nell'economia Usa 85 miliardi di dollari al mese attraverso l'acquisto di bond e titoli tossici: una ripresa solida - aveva detto il governatore Ben Bernanke - avrebbe convinto i banchieri a ridurre gli interventi.
Le Borse europee, sostenute da questi dati in linea con le attese, cercano quindi il rimbalzo dopo la difficile seduta di venerdì condizionata dalla tensioni politiche in Italia e in Portogallo. A Milano Piazza Affari si muove in rialzo dello 0,7%, in linea con i principali listini del Vecchio continente: Londra sale dello 0,7%, Parigi dello 0,8%, mentre Francoforte recupera lo 0,6%. Tra i singoli titoli del listino italiano, gli acquisti premiano Mediaset: il timido recupero della pubblicità e le strategie votate all'estero hanno spinto il biscione a un rally a doppia cifra nell'ultimo mese.
Non si allenta, invece, la morsa sul debito pubblico italiano. Nonostante il buon esito delle due aste di settimana scorsa, lo spread rimane in tensione: dopo essersi leggermente allargato, si stabilizza in area 290 punti base con i Btp che sul mercato secondario rendono il 4,45%. Gli investitori internazionali guardano con sospetto alle tensioni all'interno del governo, soprattutto sul fronte economico, dove pare che la maggioranza delle larghe intese fatichi a trovare un accordo tra tagli alla spese e tagli ai tassi. L'euro è stabile sul dollaro: la moneta unica europea viene scambiata a 1,3071 sulla divisa americana rispetto alla quotazione di 1,3070 della chiusura venerdì a New York.
Con la Borsa di Tokyo chiusa per festività, i listini dell'estremo oriente hanno guadagnato mediamente uno 0,3% (indice Msci): a guidare i rialzi sono state proprio le Borse cinesi con Shangai che ha guadagnato quasi un punto percentuale (+0,89%). Venerdì sera, invece, Wall Street ha registrato la terza settimana di rialzi consecutivi con S&P e Dow su nuovi massimi storici e aumenti settimanali del 2,17% e del 2,96% rispettivamente. La performance migliore però è stata quella del Nasdaq che, sebbene non abbia segnato nuovi record, ha chiuso la settimana in aumento del 3,47%.
Sul fronte delle materie prime, le quotazioni del petrolio sono rialzo: il contratto sul greggio con consegna ad agosto viene scambiato a 105,97 dollari al barile, mentre il Brent passa di mano a 108,84 dollari. In rialzo l'oro poco sotto la soglia di 1.290 dollari l'oncia.
(15 luglio 2013) © RIPRODUZIONE RISERVAT
L'economia cinese spinge le Borse Ue.
Spread a 290 punti, bene Piazza Affari
Il Pil dell'ex impero celeste cresce nel secondo trimestre dell'anno del 7,5%, un rallentamento previsto dal governo. Chiusa Tokyo per festività, acquisti sui principali listini del Vecchio continente, ma in Italia resta alta la tensione sul debito pubblico
di GIULIANO BALESTRERI
L'economia cinese spinge le Borse Ue. Spread a 290 punti, bene Piazza Affari
APPROFONDIMENTI
Il Pil cinese rallenta a +7,5%
ma non preoccupa Pechino
TAG borse europee, borse asiatiche, spread, euro, federal reserve, oro, petrolio, btp, Piazza Affari, Giuliano Balestreri MILANO - Ore 11. L'economia cinese mantiene le promesse e sostiene i mercati asiatici. Pechino ha annunciato che il Pil, nel secondo trimestre dell'anno, è cresciuto del 7,5% contro il 7,7% dei primi tre mesi: si tratta della nona frenata in 10 trimestri, ma è anche un rallentamento atteso dagli analisti e preannunciato dal governo dell'ex Impero celeste. Peraltro il rallentamento dell'economia asiatica, sommato alle nubi che tornano ad addensarsi sugli Stati Uniti, allontana lo spettro dei tagli agli stimoli monetari della Federal Reserve. La Banca centrale americana inietta nell'economia Usa 85 miliardi di dollari al mese attraverso l'acquisto di bond e titoli tossici: una ripresa solida - aveva detto il governatore Ben Bernanke - avrebbe convinto i banchieri a ridurre gli interventi.
Le Borse europee, sostenute da questi dati in linea con le attese, cercano quindi il rimbalzo dopo la difficile seduta di venerdì condizionata dalla tensioni politiche in Italia e in Portogallo. A Milano Piazza Affari si muove in rialzo dello 0,7%, in linea con i principali listini del Vecchio continente: Londra sale dello 0,7%, Parigi dello 0,8%, mentre Francoforte recupera lo 0,6%. Tra i singoli titoli del listino italiano, gli acquisti premiano Mediaset: il timido recupero della pubblicità e le strategie votate all'estero hanno spinto il biscione a un rally a doppia cifra nell'ultimo mese.
Non si allenta, invece, la morsa sul debito pubblico italiano. Nonostante il buon esito delle due aste di settimana scorsa, lo spread rimane in tensione: dopo essersi leggermente allargato, si stabilizza in area 290 punti base con i Btp che sul mercato secondario rendono il 4,45%. Gli investitori internazionali guardano con sospetto alle tensioni all'interno del governo, soprattutto sul fronte economico, dove pare che la maggioranza delle larghe intese fatichi a trovare un accordo tra tagli alla spese e tagli ai tassi. L'euro è stabile sul dollaro: la moneta unica europea viene scambiata a 1,3071 sulla divisa americana rispetto alla quotazione di 1,3070 della chiusura venerdì a New York.
Con la Borsa di Tokyo chiusa per festività, i listini dell'estremo oriente hanno guadagnato mediamente uno 0,3% (indice Msci): a guidare i rialzi sono state proprio le Borse cinesi con Shangai che ha guadagnato quasi un punto percentuale (+0,89%). Venerdì sera, invece, Wall Street ha registrato la terza settimana di rialzi consecutivi con S&P e Dow su nuovi massimi storici e aumenti settimanali del 2,17% e del 2,96% rispettivamente. La performance migliore però è stata quella del Nasdaq che, sebbene non abbia segnato nuovi record, ha chiuso la settimana in aumento del 3,47%.
Sul fronte delle materie prime, le quotazioni del petrolio sono rialzo: il contratto sul greggio con consegna ad agosto viene scambiato a 105,97 dollari al barile, mentre il Brent passa di mano a 108,84 dollari. In rialzo l'oro poco sotto la soglia di 1.290 dollari l'oncia.
(15 luglio 2013) © RIPRODUZIONE RISERVAT
Iscriviti a:
Post (Atom)