sabato 29 giugno 2013


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Lo spazio pubblico nelle citta' italiane
di Simone D'Antonio
Negli ultimi anni l’utilizzo degli spazi pubblici è diventato una delle sfide più significative per le amministrazioni locali che, seguendo l’esempio di grandi città europee e mondiali come Barcellona, Londra e New York, si trovano a dover mediare tra gli interessi di soggetti pubblici e privati, associazioni e rappresentanze dei residenti per migliorare la qualità dei luoghi di vita urbani.
Amministratori locali, urbanisti e organizzatori di comunità sono alcuni dei playmaker di queste nuove forme di cambiamento urbano che emergono dal basso, grazie ad un confronto costante con le esigenze del territorio che spinge ad una rimodulazione di spazi e strutture pubbliche ridando così nuova vita ad interi pezzi di città. Al tema dello spazio pubblico sono dedicati un numero sempre maggiore di eventi internazionali e nazionali, come dello spazio pubblico organizzata dall’Istituto nazionale di Urbanistica a metà maggio a Roma, con l’obiettivo di rilanciare approcci di pianificazione partecipata da condividere con i diversi stakeholder coinvolti nei processi di ridefinizione degli spazi.

Spazio pubblico: un tentativo di definizione
Lo spazio pubblico è definibile come ogni luogo di proprietà pubblica o di uso pubblico accessibile e fruibile a tutti gratuitamente e senza scopi di lucro. In quanto dotati di specifiche caratteristiche spaziali, storiche, ambientali, sociali ed economiche,  gli spazi pubblici rappresentano i luoghi della vita collettiva delle comunità e un elemento decisivo per il benessere individuale e sociale. E’ possibile dividere gli spazi pubblici essenzialmente in due categorie: gli spazi aperti (strade, marciapiedi, piazze, giardini) e quelli coperti, creati senza scopo di lucro e a beneficio di tutti (tra cui biblioteche e musei). Per propria natura, gli spazi pubblici non sono tutti quanti pubblici ma questi ultimi offrono garanzie più durature sulla loro accessibilità e fruibilità nel corso del tempo. Le aree di proprietà pubblica non ancora accessibili al pubblico sono considerate “potenziali spazi pubblici” e rappresentano una risorsa importante per il miglioramento della qualità urbana. Secondo dello spazio pubblico, documento elaborato in seguito ad un processo condiviso che ha visto la partecipazione di urbanisti, architetti e rappresentanze urbane in collaborazione con l’Agenzia Onu per gli insediamenti umani UN-Habitat, gli spazi pubblici sono luoghi multifunzionali da cui dipende il funzionamento delle città: ospitano attività di mercato, offrono opportunità di istruzione e cultura, sono luoghi della memoria collettiva e sono parte integrante dell’architettura e del paesaggio urbano, con un ruolo determinante sull’immagine complessiva della città. In quanto principale risorsa a disposizione delle amministrazioni pubbliche per realizzare politiche integrate e di riqualificazione morfologica e funzionale dei tessuti urbani, gli spazi pubblici vanno adeguatamente progettati come sistemi continui, articolati e integrati, grazie anche allo sviluppo di processi partecipativi che rappresentano un vero e proprio diritto della cittadinanza.
I governi locali sono chiamati a dotarsi di strategie specifiche per la riqualificazione degli spazi pubblici, da intendersi anche come strumento per il rilancio delle periferie e delle zone suburbane e per la riduzione dei fenomeni di esclusione sociale. L’eliminazione delle barriere fisiche che limitano l’accesso ad alcune categorie di utenti è la priorità numero uno per le amministrazioni locali che hanno il compito di agire da pionieri per diffondere non solo in Italia e in Europa ma anche nei paesi in via di sviluppo (dove si registrano i processi di urbanizzazione più rapidi negli ultimi vent’anni) dei processi positivi di riconversione degli spazi pubblici, elemento-chiave per ogni tipo di cooperazione su scala urbana. Tra le sfide principalmente affrontate dalle amministrazioni locali figura la manutenzione e la gestione degli spazi esistenti ma anche la riconversione del patrimonio pubblico dismesso, per la quale è necessario tenere in conto le esigenze ambientali e socio-economiche dei contesti considerati.  Numerosi sono però ancora gli ostacoli che permangono alla creazione e alla gestione di spazi pubblici di qualità: tra i principali figurano la diminuzione delle risorse disponibili per la manutenzione, la difficoltà di molti enti locali ad assumere un ruolo efficace di regia pubblica, la situazione di insicurezza reale è percepita con effetti di abbandono e degrado ma anche la mercificazione della socialità urbana, con la proliferazione di poli specializzati per lo shopping e il tempo libero.
A livello amministrativo locale, la realizzazione di spazi pubblici migliori interseca una serie di politiche in diversi settori a partire dalla mobilità, visto che la riduzione del traffico automobilistico e la promozione di forme di mobilità leggera (come la pedonalità e la ciclabilità) rappresentano condizioni ambientali fondamentali per  rendere più vivibili gli spazi pubblici. La regolamentazione edilizia in fase di costruzione o riqualificazione, con indicazioni e previsioni sulla manutenzione di luoghi e attrezzature, è un altro elemento importante al pari della previsione di un’adeguata programmazione culturale e di eventi per favorire l’utilizzo degli spazi da parte di cittadini e associazioni. La collaborazione positiva con i privati in un’ottica di coinvolgimento sin dalla fase di progettazione degli spazi contribuisce a prevenire gli effetti deteriori della privatizzazione degli spazi pubblici, in taluni casi svenduti per esigenze di bilancio o a causa della pressione di lobby e gruppi di interesse.
Mettere i cittadini al centro di ogni processo di riqualificazione degli spazi è l’esigenza richiamata dalla Carta, che riafferma “il diritto di tutti ad accedervi ed usarlo in piena libertà, nel rispetto delle regole della convivenza civile”. In particolare, nei contesti caratterizzati da povertà urbana e limitate risorse pubbliche, la gestione condivisa e regolamentata degli spazi può costituire un utile supporto alle politiche di welfare a patto che tali interventi non si caratterizzino per la loro estemporaneità ma si inseriscano in strategie di medio-lungo periodo capaci “di attribuire senso e qualità a spazi in attesa in tempi brevi, con bassi costi ed un forte coinvolgimento della comunità”.

La valorizzazione dello spazio pubblico e l’impegno delle imprese in Italia: l’esperienza di UrbanPro
La diffusa carenza di qualità rappresenta uno dei fattori di principale insoddisfazione dei residenti urbani, oltre a costituire un segnale visibile della disgregazione delle città, caratterizzate sempre di più dall’assenza di servizi e luoghi di aggregazione. L’indagine Ance-Censis del 2012 rileva che l’insoddisfazione verso la propria città colpisce dal 30 al 50 per cento delle famiglie, a seconda del fattore preso in considerazione, mentre le problematicità più forti si riscontrano nei centri di dimensione superiore ai 50mila abitanti e a quelli posti all’interno delle aree metropolitane. La frammentazione del tessuto relazionale, il degrado territoriale e la debolezza delle risposte e dell’azione pubblica di contrasto sono alcuni dei fattori che caratterizzano maggiormente il senso di insicurezza, tutti elementi più o meno legati all’esistenza di spazi pubblici di qualità, sempre più marginalizzati rispetto a grandi tendenze in atto nell’ultimo decennio come l’espansione di nuove grandi strutture di vendita e intrattenimento nelle periferie urbane. Nel quinquennio 2005-2010 la superficie degli ipermercati  è aumentata del 33,1%, passando dai per abitante, mentre il numero di multiplex è aumentato del 26,9%, passando da 2 schermi per 100mila abitanti. Questi nuove e deteriori declinazioni dello spazio pubblico si pongono in diretta contraddizione, sia economica che sociale, con il rilancio dei quartieri urbani e dei centri storici che devono progressivamente ridefinire le proprie funzioni per inseguire funzionalità e senso di sicurezza riscontrati in maniera maggiore dai cittadini-utenti in centri commerciali e grandi strutture poste nelle periferie. Conseguenza di questo processo inarrestato negli ultimi anni è la trasformazione delle piazze centrali in ritrovati luoghi di socialità, per le quali è ancora forte il bisogno soprattutto tra le fasce deboli (in particolare gli anziani) ma anche il progressivo abbandono delle piazze semicentrali o di periferie, diventate sostanzialmente luoghi di scambio di flussi o di traffico veicolare più che luoghi di incontro. Secondo l’indagine, gli spazi pubblici hanno un ruolo decisivo per il recupero di forme di vita comunitaria, la promozione dell’offerta culturale delle città e la riappropriazione degli spazi da parte dei residenti ma c’è bisogno di interventi forti da parte di enti pubblici e privati per contrastare i fenomeni di desertificazione urbana. Tra questi, figura la promozione dei cosiddetti “centri commerciali naturali”, che coniugano rivitalizzazione economica e sociale degli spazi urbani, ma anche il miglioramento dei collegamenti infrastrutturali e del patrimonio edilizio. Si lega a questa priorità il Patto per le città, siglato da Confcommercio, Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, Unioncamere e Associazione nazionale costruttori edili, che punta a favorire la sottoscrizione di Contratti di valorizzazione urbana attraverso Urban Pro, un incubatore di facilitazione delle trasformazioni urbane che ha l’obiettivo di interagire con governo e ministeri per la definizione di regole, modelli e strumenti che sostengano i processi di trasformazione e ottimizzazione delle risorse.  Sostenere l’attuazione dei progetti approvati nell’ambito del Piano nazionale per le città 2012-2017 è l’obiettivo dell’iniziativa che mira a favorire una corretta collaborazione tra pubblico e privato per la realizzazione di interventi di rigenerazione urbana e di housing sociale con i fondi del Piano che ha già stanziato un totale di 314 milioni di euro.
Sul fronte dei comuni, è invece la Fondazione Patrimonio Comune dell’ANCI a sostenere e supportare le città italiane per l’avvio di ampi processi di riqualificazione urbana sfruttando la leva degli immobili pubblici. Su questa tema si innestano diverse azioni che vanno dal federalismo demaniale, ad interventi di efficienza energetica e di riqualificazione ambientale.

Valorizzazione del patrimonio pubblico dismesso: le esperienze di Roma e Genova
Più articolato invece il discorso che riguarda la valorizzazione del patrimonio dismesso da altri enti pubblici, grazie a processi che hanno favorito la partecipazione dei cittadini nella definizione di nuove modalità d’uso degli spazi pubblici in questione. È il caso dell’ex deposito Atac Vittoria di Roma, al centro di un’esperienza laboratoriale di progettazione partecipata,   che ha coinvolto studenti e residenti nell’elaborazione di linee guida per il recupero e il riuso degli spazi dell’ex deposito e nello sviluppo di proposte progettuali esemplificative per dimostrare la fattibilità economica e finanziaria dei progetti elaborati. Attraverso strumenti di mappatura dei bisogni e delle possibili visioni future dello spazio in questione, si è attivato un processo di coinvolgimento capace di rallentare, fino a bloccare definitivamente, l’iter che prevedeva una cementificazione dell’area con la realizzazione di negozi e abitazioni di pregio. A Genova, l’ex ospedale psichiatrico di Quarto è stato salvato dall’abbandono grazie alla riconversione in aggregatore di eventi e manifestazioni culturali, gestite da una pluralità di associazioni attive sul territorio. Particolarmente significativa l’esperienza di Museattivo Claudio Costa, istituto ospitato nella struttura dedicato allo studio delle “materie e forme inconsapevoli” e intitolato al pittore genovese morto nel 1995, che ha ampiamente contribuito all’attivazione di laboratori e iniziative di arte-terapia per i pazienti dell’ospedale psichiatrico, costituendo così  un supporto importante per le attività del Centro Basaglia della ASL 3 Liguria tramite la costruzione di reti sociali e culturali e un interscambio continuo tra mondo dell’arte e del disagio mentale.

Il recupero dei centri storici: i casi di Morano Calabro, Falerna, Artena e Minori
E’ soprattutto nei centri storici minori che viene messa alla prova l’abilità di amministrazioni comunali e associazioni di residenti di creare dinamiche virtuose di collaborazione, capaci di rilanciare il senso di appartenenza, il dialogo tra diverse generazioni e la dimensione economica, sociale e turistica dei piccoli centri.  È il caso di Falerna, piccolo comune in provincia di Cosenza che ha varato un piano di recupero degli immobili del centro storico per favorire l’ospitalità diffusa. Quattro immobili sono stati riconvertiti in strutture d’accoglienza grazie alla collaborazione di tutta la comunità locale, che ha dato vita ad un percorso partecipato di valorizzazione di cultura, tradizioni e risorse locali. Ad Artena, piccolo centro dei Castelli romani a meno di mezz’ora dalla Capitale, è stata realizzate una delle prime sperimentazioni in Italia dei principi della bio-urbanistica, capace di coniugare sostenibilità strutturale, cambiamento e partecipazione sociale attraverso il coinvolgimento attivo dei giovani del territorio, che hanno dato vita a innovative start-up nel settore turistico in un dialogo costante con i residenti del borgo medievale.   A Maiori, in provincia di Salerno, il Piano di recupero è intervenuto in maniera mirata sugli edifici del centro storico per migliorare la qualità abitativa e la fruizione degli spazi urbani in una logica integrata e sistemica che ha condotto all’individuazione di undici aree strategiche, per ricucire al meglio il tessuto urbano alla celeberrima area turistica costiera circostante. A Morano Calabro si è sfruttato invece l’intricata rete di stradine strette tra case rurali, chiese e palazzi storici per favorire l’aggregazione sociale e il miglioramento della qualità della vita per i residenti. La strategia che coniuga rigenerazione degli spazi pubblici, miglioramento delle dotazioni infrastrutturali e potenziamento delle attività economiche e culturali ha condotto alla realizzazione di un contratto di valorizzazione urbana, che ha puntato su spazi verdi e orti urbani per migliorare il centro storico partendo dalle sue vocazioni più autentiche.

I luoghi del sapere: biblioteche e scuole aperte a Roma, Nonantola e Palermo
Nei quartieri delle grandi città come nei centri di piccole e medie dimensioni, biblioteche pubbliche e scuole rappresentano presidi culturali e luoghi di socialità diffusi, capaci di aggregare diverse generazioni e sviluppare una molteplicità di iniziative grazie anche all’integrazione con social network e forme di comunicazione innovative. A Palermo, nei pressi del mercato Ballarò, ha sede la biblioteca per bambini e ragazzi Le Balate, che offre un servizio innovativo ai più piccoli e alle loro famiglie in uno dei quartieri più difficili del capoluogo siciliano, con forte presenza di famiglie povere e migranti. Nata grazie alla collaborazione con la Diocesi palermitana e le associazioni del territorio, la biblioteca ha sede presso la chiesetta sconsacrata settecentesca della Santissima Annunziata delle Balate e ospita un vasto calendario di eventi di promozione letteraria, favorendo così il coinvolgimento del quartiere ma anche di studenti e tirocinanti dell’Università cittadina, in qualità di tutor.
A Nonantola, in seguito al terremoto, l’amministrazione locale ha invece scelto di portare la biblioteca in piazza, ospitando all’interno di una tendostruttura diventata nel giro di pochi mesi il centro di un originale percorso partecipativo con gli altri servizi culturali del territorio. La messa in comune di risorse e competenze ha favorito la realizzazione di una serie di iniziative capaci di tenere vivo il tessuto sociale nonostante la situazione di precarietà seguita al terremoto e avvicinare in maniera più che simbolica i luoghi della cultura ai cittadini.
A Roma invece il modello delle “scuole aperte” ha favorito una reinterpretazione creativa dello spazio scolastico e una riappropriazione da parte di studenti e famiglie di luoghi normalmente inutilizzati al di fuori dell’orario delle lezioni. Associazioni di genitori hanno scelto una serie di attività capaci di favorire l’integrazione e sopperire ai bisogni di conoscenza del territorio, completando così la funzione educativa dell’istituzione scolastica. E’ il caso del plesso Di Donato dell’istituto comprensivo Manin, situato nel cuore del rione Esquilino, cuore multietnico della capitale, dove dal 2003 un gruppo di genitori ha iniziato un’azione di volontariato per il ripristino e l’utilizzo degli spazi sotterranei della scuola e del cortile, vivacizzati da attività sportive, artistiche e ricreative che hanno reso la scuola un punto di riferimento culturale e di aggregazione per l’intero rione.

Articolo tratto dalla rivista "Diritto e pratica amministrativa"

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