Il Sole 24 ORE - Radiocor 03/06/2013 - 16:49
###Lavoro: Cina nuova destinazione dei cervelli in fuga made in Italy - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*
Radiocor - Milano, 03 giu - Sempre di piu' i giovani italiani bussano alle porte della Cina per trovare lavoro, oppure semplicemente per essere occupati, fare esperienza, anche senza remunerazione. E' sufficiente imparare, immettere lo stage nel curriculum per un futuro impiego. Anche ad Osservatorio Asia e al Fondo Mandarin arrivano richieste, sempre piu' numerose e qualificate. Giovani italiani, seri e preparati, sono disposti a lavorare in un paese lontano, difficile ed esposto alla concorrenza come la Cina. Cercare non solo reddito, ma anche il dinamismo di una societa' in crescita rispetto al torpore e alla decadenza europea. Si stima che ci siano almeno 9.000 giovani italiani nella Cina continentale, escluso Hong Kong, triplicati nel giro degli ultimi anni, che recentemente hanno creato l'Associazione giovani italiani in Cina. Sono frammenti di un fenomeno molto piu' vasto e terribile. Le ultime stime dell'Istat sono impietose: la disoccupazione giovanile ha superato il 40%. E' un'emergenza nell'emergenza. Per molti di questi giovani e' stato coniato un nuovo termine: sono Neet, 'not in employment, education or training'. In altre e piu' crude parole: non hanno nulla da fare, anche se sarebbe piu' preciso affermare che non viene loro offerto nulla da fare. Il fenomeno non investe solo l'Italia: gli ingegneri spagnoli cercano lavoro in Messico, quelli portoghesi in Brasile e in Angola. I cervelli italiani piu' preparati e disponibili ambiscono alle Universita' statunitensi, ma non disdegnano lavori sottopagati a New York, Londra o Berlino. Si uniscono all'esercito di lavoratori umili e volenterosi che ha lasciato l'Italia per avere un'occupazione, per immaginare un futuro e dare dignita' al presente. I grandi resort internazionali e i moltissimi ristoranti italiani in Cina sono pieni di personale italiano. I governi italiani avrebbero potuto evitare prima o alleviare dopo questo problema. Le loro responsabilita' partono dagli anni Settanta, ma anche economisti, sindacalisti, banchieri hanno, con responsabilita' diverse, fallito questo obiettivo. La spesa pubblica e' stata la copertura velenosa delle incapacita'. Basti pensare alle baby pensioni, alle spese improduttive al Sud, all'aumento incontrollato del pubblico impiego ed alla sua difficile gestione. La ricompensa per la classe politica e' stata la bassissima stima di cui gode nel corpo della societa'. Per riscattarsi potrebbe ora offrire un barlume di speranza: chiedere scusa ai giovani e aiutarli a trovare lavoro all'estero, non in Italia dove sara' impossibile per decenni a venire. Quel che si puo' fare e' forse piuttosto creare agenzie private di collocamento del nostro lavoro su scala internazionale che favoriscano l'uscita dei nostri giovani. Saranno utili gli strumenti della rete e degli accordi inter governativi. I paesi emergenti hanno bisogno di professionalita', quelli industrializzati di cervelli, individualita', buona volonta'. In Italia non mancano ma non sono valorizzati. Non si tratta soltanto di lavoratori intellettuali, dei quali Almalaurea dell'Universita' di Bologna ha gia' un utilissimo data base con milioni di nomi. L'opportunita' va offerta a tutti, dai camerieri (i migliori al mondo) ai cuochi, dagli operai edili ai sommellier. Queste agenzie, se nascessero sancirebbero il fallimento passato. L'intervento pubblico deve smetterla con la retorica perche' l'attendibilita' delle dichiarazioni ha raggiunto il punto piu' basso. Dovrebbe piuttosto negoziare con gli altri governi un sistema complesso, fatto di opportunita' nascoste, settori in crescita, tutela dei nostri giovani all'estero.
* Presidente di Osservatorio Asia
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