sabato 20 aprile 2013

In Cina la decrescita rende felici ....


DECRESCITA "FELICE" 
L'economia rallenta: Pechino cosa fa?

di Eugenio Buzzetti e Alessandra Spalletta

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Pechino, 19 apr. - Consumo è la nuova parla d'ordine della Cina. Si può applicare a tutti gli strati dell'economia. Dai dati macro-economici, alla vita quotidiana dei singoli. Dalle statistiche ufficiali che lunedì scorso hanno fatto sobbalzare gli analisti per quel 7,7% di crescita al di sotto delle previsioni, ai giovani impiegati urbani che non salvano uno yuan dei loro stipendi e comprano come se non ci fosse un domani. Ha un effetto quasi comico la dichiarazione rilasciata alla Reuters da una giovane impiegata urbana "colpevole" di spendere praticamente tutto lo stipendio in vestiti e di non risparmiare nulla. Attingendo talvolta alle risorse del padre, per discolparsi dal suo stile rilassato nei costumi dichiara: "A volte mi sento in colpa a usare il suo denaro, così gli compro qualche vestito". L'immagine stereotipata di una Cina dedita a risparmiare anche un solo yuan in più non calza più, almeno non a quella fascia di cittadini tra i 18 e i 35 anni che sono cresciuti nell'era del boom.

Un atteggiamento, questo, naturale per chi non ha conosciuto le asprezze della povertà, dei tempi bui. Incoraggiato, sui grandi numeri, anche dalla classe dirigente, che vuole passare da un modello economico fondato su investimenti ed esportazioni a uno trainato dai consumi interni. Un processo che il governo promuove da tempo, e di cui la nuova classe dirigente vorrebbe farsi interprete. Il mese scorso, durante i lavori dell'Assemblea Nazionale del Popolo, che in Cina fa le veci del parlamento, era stato svelato il piano decennale di urbanizzazione che prevede il ricollocamento nelle città di seconda e terza fascia di 400 milioni di cittadini con un maxi-investimento di 40mila miliardi di yuan. Cifre enormi, presentate così. A mente fredda, le cose stanno un po' diversamente. L'enigma è il più vecchio del mondo, sintetizzabile nel popolare adagio: "viene prima l'uovo o la gallina?". Tradotto: sono gli individui che basano le proprie scelte sui fattori economici del momento, o è l'economia ad adattarsi ai nuovi costumi?

Anche solo osservando più da vicino i dati del primo trimestre di quest'anno gli economisti hanno notato alcuni elementi: per esempio, una forte espansione del credito negli ultimi mesi (a cominciare dagli ultimi tre mesi del 2012) con un'iniezione di liquidità da diecimila miliardi di yuan in nuovi prestiti, afferma Patrick Chovanec. Solo da gennaio a marzo, più di seimila miliardi di yuan: una cifra superiore a quella di inizio 2009, quando l'economia risentiva degli effetti del maxi-pacchetto di stimoli anti-crisi varato dal governo a fine 2008. Con il problema che oggi, a fare la parte del leone è il sistema bancario ombra (che ha portato Fitch settimana scorsa a declassare il debito a lunga scadenza in yuan per la prima volta dal 1999). E questi soldi assumono la forma del famigerato "schema di Ponzi", anticamera della truffa e del crac finanziario. Più morbido, invece, il giudizio di un altro esperto, Damien Ma, che vede nel tasso di crescita al di sotto delle aspettative l'affermarsi della linea già promossa allo scorso Congresso del Partito della "società moderatamente prospera" e ribadita in più occasioni anche dal primo ministro Li Keqiang. Insomma, l'economia cinese sta cercando un nuovo equilibrio, e il Prodotto Interno Lordo è destinato a scendere ulteriormente, fino al 6,8%, spiega l'analista a China File, un sito d'informazione del New York Times. Anche la decisione di oggi della Banca Centrale di ampliare la banda di oscillazione in cui fluttua lo yuan sembra andare nella direzione delle riforme finanziarie di cui tanto si è parlato nei mesi scorsi.

L'adagio dell'8% come soglia psicologica sotto la quale non scendere nella crescita, è ormai superato. Il numero singolo non basta più: a marzo scorso, per il secondo anno consecutivo, il governo cinese ha stabilito nel 7,5% il tasso di crescita annuo da raggiungere. Ma mentre la disoccupazione avanza, con sempre più neo-laureati che faticano a trovare il primo impiego, e il risparmio eroso dal surriscaldato settore immobiliare, la Cina deve adeguarsi alle nuove istanze sociali. E mettere in pratica quella policy del "Go west, young men" di cui si parla da anni. L'ovest cinese, per il momento, si ferma alla prima fascia di province subito a ridosso di quelle costiere, che hanno vissuto il boom degli anni Novanta (l'attuale presidente Xi Jinping è stato ai vertici di Fujian e Zhejiang in quel periodo, quando il Pil di queste province era stabilmente a due cifre). Le elenca alla Reuters Jeff Walters, analista di Boston Consulting Group a Pechino: Jiangxi, Henan, Anhui saranno le nuove Guangdong e Zhejiang. Le città di seconda fascia come Zhengzhou, Chengdu e Chongqing vedranno uno sviluppo prima appannaggio delle città costiere.

Non è un previsione: sta già accadendo. Un'inchiesta condotta dal The Atlantic cita qualche caso, e alcuni numeri che fanno pensare. Nei primi due mesi dell'anno, la località costiera di Xiamen ha perso 36200 lavoratori migranti. Con buona probabilità non torneranno più: "La pressione è troppa" aveva postato su Weibo uno di loro. Neppure le grandi metropoli come Pechino sfuggono a questa regola. Il traffico insostenibile, i prezzi degli immobili alle stelle e la recente "air-pocalypse" che ha reso per settimane il cielo grigio di smog contribuiscono alla decisione di molti di abbandonare la capitale. Una coppia di lavoratori migranti provenienti da Chengdu, con una bambina piccola, racconta di come molti loro conoscenti nelle stesse condizioni hanno deciso di tornare a casa, nonostante Pechino avesse migliori strutture per l'infanzia e l'educazione. Rinunciano al salario più alto della capitale e a migliori strutture scolastiche per i figli in nome di un unico fattore: l'hukou, il sistema di registrazione familiare che vincola i cittadini al luogo d'origine e toglie ai migranti interni alcuni diritti basilari, come quello dell'istruzione gratuita per i figli. A più riprese definito " discriminatorio" e perfino "infame" l'hukou dovrebbe andare incontro a una revisione per permettere il ricollocamento nelle città di seconda fascia di milioni di persone, ma per ora rimane inalterato.

L'ondata di ritorni a casa era cominciata già nel 2009, e sta subendo adesso un'accelerazione sotto la pressione delle nuove condizioni economiche: la provincia dello Henan a fine 2011 registrava una crescita del'11,6%; nel Sichuan, qualche mese fa, durante quattro job fair, sono stati firmati oltre tremila nuovi contratti di lavoro. Il "Go west" sta prendendo la forma di un "come back home". E le imprese più attente, come quelle attive nel settore dell'e-commerce, che vive oggi un boom senza precedenti in Cina, sanno di dovere puntare proprio su queste città di seconda e terza fascia per trovare nuovi acquirenti, ora che Pechino e Shanghai sono sature. Intanto, però, i dati economici indicano un rallentamento nella crescita, che ha preoccupato anche i mercati mondiali nei giorni scorsi. Ma è un male? "Se la Cina rallenta per le ragioni giuste -spiega Chovanec- con una maggiore oculatezza negli investimenti e muovendosi verso un maggiore consumo interno, il rallentamento potrebbe anche essere una buona cosa" permettendo al Paese di gestire meglio alcuni problemi ormai cronici, come le ineguaglianze sociali e il degrado dell'ambiente. Il vero spauracchio per Pechino  è la disoccupazione, che potrebbe causare rivolte sociali. Andare verso ovest, e quindi, per molti, tornare a casa, potrebbe essere una soluzione praticabile e capace di portare, sotto la guida del governo, un nuovo sviluppo in aree del Paese che ne erano rimaste finora parzialmente (o completamente) escluse.

Ma l'indovinello iniziale non è ancora risolto: "viene prima l'uovo o la gallina?". E' lo sviluppo a seguire i costumi o viceversa? Non sembra avere dubbi Zhang Jun, direttore del centro di studi economici dell'università Fudan di Shanghai. "Quello che conta per garantire la crescita economica -spiega l'economista- non è che il sistema sia il "migliore" ma che sia in grado adattarsi a una nuova fase di sviluppo". La domanda che lascia molti analisti perplessi è se Pechino sarà in grado di portare avanti le riforme economiche. Molti segnali sembrano indicare un guado dove le riforme tendono ad arenarsi. Il debito delle amministrazioni locali, la bolla immobiliare, il malcontento sociale, le lobby che bloccano il sistema. Ma come scrive il Foreign Affairs in un articolo ("The rise of China's reformers") il cambiamento è alle porte. I dirigenti cinesi sono a un bivio: devono fare le riforme per eliminare le cause del malcontento sociale che provoca centomila proteste all'anno, ma devono stare attenti a non riformare troppo per evitare nuove proteste.

La Cina non vuole fare la fine del Giappone, che è cresciuto per oltre venti anni e poi è entrato in una fase di stagnazione. Lo scenario non dovrebbe ripetersi: il Giappone era un Paese ad alto reddito, mentre il reddito pro capite cinese è solo il 20% di quello statunitense. La trappola, semmai, è quella del paese a reddito medio, che il Paese potrebbe comunque evitare se attuasse le riforme già tracciate nel rapporto China 2030 della Banca Mondiale  che ha trovato l'appoggio degli ambienti vicini al Partito. Secondo Zhang Jun, la Cina potrebbe sfuggire alle trappole insite nello sviluppo con il rinnovamento istituzionale, di cui sarebbe capace, sostiene. L'ostacolo maggiore viene da quelle lobby che bloccano lo sviluppo e incidono sulla classe politica. Ma c'è anche un altro fattore, storico, a rendere possibile una riforma del sistema verso un modello economico più in linea con i bisogni e le richieste dei cittadini: la sua genesi risale agli anni Novanta, quando l'amministrazione Jiang Zemin-Zhu Rongji aveva dato alla Cina gli anni di maggiore crescita economica. Quel periodo ha dimostrato che per fare le riforme in patria occorrono tre condizioni: "una crisi di credibilità all'interno; una crisi finanziaria esterna, e una leadership abbastanza saggia da riconoscere la necessità del cambiamento". Tutte caratteristiche (ahinoi, per la seconda di queste) già presenti oggi, che potrebbero sciogliere l'enigma e trovare il giusto equilibrio tra le scelte individuali e i grandi numeri dell'economia. E anche se il prodotto interno lordo della Cina dovesse calare, la Cina dei prossimi anni potrà permetterselo.

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