lunedì 8 aprile 2013
Con la Cina ci vuole costanza e buone relazioni con le persone giuste
BREMBO: CONTRAFFAZIONE,
"CINA NON E' UN PERICOLO"
di Emma Lupano
twitter@lupemma
Milano, 15 gen.- Un centro di ricerca e sviluppo dove studiare prodotti capaci di rispondere alle esigenze specifiche del mercato cinese. È questo l'ultimo progetto messo in cantiere da Brembo, il gruppo con base a Bergamo che nella Repubblica popolare è presente già da 12 anni. Obiettivo dell'iniziativa, ha spiegato Umberto Simonelli, general counsel dell'azienda, è «consolidare i risultati raggiunti e affermarsi definitivamente nel mercato». Perché se la Cina «non è più la fabbrica del mondo, ed è sempre meno competitiva come base per l'export», allora «bisogna lavorare apposta per questo mercato e non sottovalutare il fattore culturale cinese, nemmeno nella gestione del business», ha spiegato Simonelli durante la China week, all'Università Bocconi.
Il centro di ricerca affiancherà così le attività del polo tecnologico che Brembo ha creato a Nanchino, dove produce sistemi frenanti per veicoli destinati al mercato cinese. Il polo è frutto di 60 milioni di euro investiti dall'azienda fin dal suo approdo in Cina, ma è anche il risultato, secondo Simonelli, di strategie e atteggiamenti vincenti. Come «la costanza, cioè la nostra capacità di costruire e mantenere nel tempo i rapporti, facendo sì che i nostri partner si fidassero di noi», o come «la capacità di negoziare con il partner cinese e di farlo continuamente, anche quando siamo diventati soci di maggioranza della joint-venture, portando avanti le decisioni sempre con il consenso del nostro partner, cercando di "dare faccia" al nostro socio».
Vincente è stata anche «la scelta non di delocalizzare, ma di produrre a Nanchino per il mercato cinese e di puntare tutto sulla qualità. Oggi abbiamo 80 milioni di fatturato in Cina e tra i nostri clienti principali a livello locale ci sono BMW, Mitsubishi, Volvo, Volkswagen».
Per lavorare bene in Cina, però, secondo Simonelli bisogna innanzi tutto capire con chi si ha a che fare. Avere per esempio «la consapevolezza che la Cina è fatta di tante realtà diverse», distinguibili a seconda dell'area geografica, ma anche delle generazioni con cui si dialoga: «Un conto è parlare con un cinese di 20 anni, un conto con uno di 40 o 50 anni, la generazione che ha vissuto la rivoluzione culturale e che ha un approccio al business assai diverso». Il fattore culturale, inoltre «era e rimane centrale anche nella gestione del business. All'inizio avevamo sottovalutato questo fattore e approcciavamo i partner con mentalità occidentale, di fatto imponendo il nostro modello culturale. Quando abbiamo capito il nostro errore, ci siamo avvicinati al nostro socio e ai clienti con un mix tra la nostra cultura e la loro. È a quel punto che siamo riusciti a ottenere risultati».
Allo stesso modo, secondo il general counsel di Brembo bisogna tenere presente il peso che hanno le istituzioni locali nel funzionamento dell'economia in Cina. «In un mercato regolamentato come quello cinese, il ruolo del governo e delle istituzioni è molto importante. Noi cerchiamo di capire il trend dettato dalle istituzioni, per esempio abbiamo preso molto sul serio il nuovo piano quinquennale, che per l'automotive parla di innovazione, di veicoli elettrici, di rispetto dell'ambiente».
La sfida che ora attende le aziende italiane, quelle già presenti in Cina ma anche quelle che ancora devono approdare, è, secondo Simonelli, quella di «mettere da parte l'idea che la Cina sia un pericolo in termini di contraffazione. Il numero di brevetti depositati in Cina da aziende cinesi supera infatti quelli depositati da tutte le altre aziende del mondo. La Cina sta puntando sull'innovazione e in pochi anni ci troveremo di fronte prodotti cinesi all'avanguardia, a cui dovremo saper contrapporre prodotti altrettanto validi».
Nel frattempo, Brembo ha un paio di altri progetti a cui pensare: l'acquisizione dell'ultimo 30 per cento della joint-venture e un'espansione territoriale: «I distretti dell'auto in Cina non sono solo a Nanchino, per questo abbiamo intenzione di creare altri quattro o cinque poli produttivi in distretti diversi da quello in cui ci troviamo ora. Per i prossimi cinque anni, la Cina rappresenta per noi uno dei mercati di sbocco principali».
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