lunedì 8 aprile 2013
COREE: LA POSIZIONE DI PECHINO
COREA DEL NORD, CINA FRUSTRATA E IRRITATA
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 8 apr. - "L'ingrediente più importante e nuovo nella crisi nord-coreana è il riconoscimento della Cina che l'approccio usato finora nei confronti della Corea del Nord non sta portando frutti". Parola di Kurt Campbell, che fino ad alcune settimane fa era stato il funzionario del dipartimento di Stato statunitense incaricato dell'Asia. Una dichiarazione, questa, che riassume l'atteggiamento di Pechino nei confronti del regime di Kim Jong-un, diviso tra una crescente irritazione e una montante frustrazione per il corso che hanno preso gli eventi. E' sempre più chiaro al Dragone che "ciò che Pyongyang sta facendo sta mettendo a repentaglio la sicurezza cinese" ha affermato Campbell giovedì scorso durante un discorso alla Scuola di Studi Internazionali della John Hopkins University. Inevitabile, allora, che sia in corso "un sottile spostamento nella politica estera cinese" verso un progressivo allontanamento da Pyongyang. Il segnale più chiaro in tal senso è stato il rifiuto di Pechino di mandare un inviato in Corea del Nord per ripristinare buoni rapporti tra i due Paesi. Secondo il quotidiano sud-coreano JoongAng Ilbo, che per primo ne ha dato notizia, la Cina avrebbe risposto alla richiesta di Pyongyang dicendo che se volevano un inviato da Pechino, prima dovevano essere loro a mandare un inviato in Cina, cosa che non era poi avvenuta.
Finora la presa di posizione ufficiale del governo cinese è stata improntata alla ricerca del dialogo tra "tutte le parti coinvolte": i diversi appelli non sono però serviti a fermare la crisi che da giorni tormenta la penisola. Il ministero degli Esteri cinese, tramite il portavoce Hong Lei, ha invitato nei giorni scorsi più volte alla calma e a tenere presente l'obiettivo finale della pace e della stabilità nella penisola, ma il richiamo all'importanza della denuclearizzazione della penisola è arrivato a poche ore dalla decisione di Pyongyang di riaprire l'impianto nucleare di Yongbyon, chiuso nel 2007 dopo i negoziati per il disarmo nucleare nord-coreano.
La frustrazione per l'escalation della crisi si è fatta più palpabile dopo i comunicati delle ultime ore. "Ci opponiamo a parole e atti provocatori provenienti da qualsiasi parte nella regione e non permetteremo situazioni problematiche a un passo dalla Cina" aveva dichiarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi in un comunicato comparso sul sito del ministero. In una telefonata con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, Wang aveva poi dichiarato che la crisi deve essere risolta con il dialogo "nonostante l'evolversi della situazione". Alla "grave preoccupazione" manifestata dal ministero degli Esteri hanno poi fatto seguito le parole di ieri di Xi Jinping al discorso di apertura del forum di Boao che si tiene in queste ore sull'isola di Hainan. "Nessuno dovrebbe permettersi di gettare la regione e perfino il mondo intero nel caos per il proprio tornaconto" aveva dichiarato Xi, senza fare riferimento ad alcun Paese in particolare: il suo messaggio è subito stato interpretato dagli esperti come un moto di ostilità nei confronti del regime di Kim Jong-un. La nuova leadership cinese, con Xi Jinping in testa, secondo alcuni non proverebbe nessun particolare affetto nei confronti di Pyongyang, al contrario della classe dirigente che l'ha preceduta. Una disaffezione che trova riscontro anche nel fatto che Kim Jong-un non si è mai recato in visita ufficiale a Pechino da quando, nel dicembre 2011, ha preso il posto di suo padre, Kim Jong-Il, alla guida del Nord.
L'atteggiamento cinese nei confronti di Pyongyang si era fatto sempre più critico dalla fine del 2012, quando Pechino aveva criticato l'ultimo test missilistico nord-coreano, e si era trasformato in una "risoluta opposizione" il 12 febbraio scorso dopo il terzo test nucleare sotterraneo. Da allora i rapporti si erano raffreddati, anche se inizialmente sembrava escluso un peggioramento nei rapporti. Pechino aveva poi appoggiato assieme al resto della comunità internazionale le nuove sanzioni Onu alla Corea del Nord, atto che Pyongyang aveva rigettato formalmente a distanza di poche ore. L'escalation della tensione, aveva poi fatto il resto, segnando sempre più la distanza tra la Corea del Nord e la sua migliore alleata. E partner commerciale: nella prima metà del 2012 gli interscambi tra i due Paesi ammontavano a 3,14 miliardi di dollari, il 24,7% in più rispetto allo stesso periodo del 2011.
A Pechino, con il progredire dell'escalation, sono sempre di più gli intellettuali che manifestano insofferenza verso lo storico alleato: le posizioni vanno da una generica pressione del Dragone sul suo vicino per l'abbandono del proprio programma nucleare a un deciso taglio dei rapporti. Scaricare, insomma, la Corea del Nord, come vorrebbero i sostenitori della linea dura. Tra loro si può annoverare a buon diritto, Xie Tao, professore associato presso la Foreign Studies University di Pechino, che nei giorni scorsi si era espresso duramente contro il supporto cinese alla dittatura della famiglia Kim in un articolo comparso sul sito web di un think tank cinese. "La Cina deve incolpare se stessa" aveva dichiarato giovedì scorso ad Agi China 24, con riferimento al mancato disarmo nucleare di Pyongyang. La situazione si è ormai deteriorata, secondo lo studioso. "C'è poco che la Cina possa fare in questo momento".
L'indecisione di Pechino verso Pyongyang è legata anche al ruolo della Corea del Nord come argine asiatico all'influenza statunitense nella regione. Un eventuale collasso del regime porterebbe le truppe americane al confine con la Repubblica Popolare e milioni di profughi si riverserebbero nel Dragone. Proprio per evitare questo scenario Pechino ha ammassato da giorni le sue truppe al confine con il Nord. Nonostante gli esperti non ritengano probabile un attacco nord-coreano le date da tenere d'occhio sono due: la prima è il 10 aprile, la data che vertici di Pyongyang avevano comunicato alle rappresentanze diplomatiche presenti nella capitale nord-coreana come termine per lasciare il Paese; la seconda, il 15 aprile, è tradizionalmente una data sensibile per la Corea del Nord, perché è l'anniversario della nascita di Kim Il-sung, fondatore del Paese e nonno dell'attuale leader, che a soli trenta anni sta facendo tremare la Cina (e non solo) con il suo comportamento irriverente.
La possibilità che il suo sia un atteggiamento spaccone sembra implicitamente confermata dai media nord-coreani, che negli scorsi giorni mettevano in risalto sulle prime pagine l'importanza dello sviluppo economico e nucleare del Paese senza però i riferimenti bellicosi dei dispacci della KCNA. Tra i segnali che si possono interpretare in maniera positiva c'è stato il cambio al vertice di uno dei massimi quotidiani di Pyongyang, Il Rodong Shinmun ("Quotidiano dei Lavoratori") e soprattutto la nomina a primo ministro di Pak Pong-ju, alleato dello zio di Kim e promotore delle riforme economiche su stile cinese, che Pechino chiede da anni al Paese. Una mossa che assomiglia a una parziale e piccola apertura verso il potente vicino che Pyongyang non può permettersi di irritare più di quanto non abbia già fatto finora.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento