lunedì 7 gennaio 2013

La concorrenza è sempre più strategica fra USA e Cina


### Cina: dribbla i dazi Usa producendo in Africa - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli *

Radiocor - Milano, 07 gen - In un tipico caso di eterogenesi dei fini, l'African Growth and Opportunity Act (AGOA) si sta rivelando un boomerang per gli Stati Uniti. L'accordo, siglato nel 2000 con le nazioni dell'Africa sub-sahariana, concede a queste ultime un trattamento preferenziale per l'esportazione di 4.000 prodotti verso gli USA. Non li sottopone dunque al sistema delle quote e non impone dazi sui manufatti. La concessione riguarda soprattutto i prodotti del settore tessile-abbigliamento, che tradizionalmente rappresenta la prima industrializzazione di un paese in arretrato. L'AGOA e' stato rinnovato 7 volte dalla Casa Bianca, sempre con l'accordo di una larga maggioranza bipartisan al Congresso di Washington. L'ambizione statunitense era di agevolare la crescita africana nel tentativo di aumentare l'influenza politica in un'area venata da tensioni e cambiamenti repentini di alleanze. Per gli Stati Uniti il rischio commerciale era marginale: piccole entita' economiche non potevano minacciare con prodotti a basso costo l'industria nazionale, peraltro gia' compromessa nella sua porzione labour intensive. La globalizzazione ha tuttavia messo in discussione la validita' di questo approccio perche' la Cina ha iniziato a delocalizzare la produzione di tessile-abbigliamento in Africa. L'operazione e' inserita nel piu' vasto trasferimento di impianti dove il costo della manodopera e' ormai sensibilmente inferiore a quello cinese. L'Africa offre un doppio vantaggio agli imprenditori del Dragone: consente risparmi sulla produzione e apre le porte di un mercato vasto e ricco come quello statunitense ai prodotti di largo consumo. La loro peculiarita' Made in Africa e' puramente geografica; riguarda la provenienza con la spedizione, non i capitali e le materie prime che sono quasi esclusivamente cinesi. I prodotti possono passare il vaglio delle dogane Usa senza che siano applicate sanzioni, quote, dazi o barriere non tariffarie. Le aziende cinesi aggirano le possibili imposizioni statunitensi, sempre possibili negli accordi bilaterali. La loro presenza infatti e' in continua crescita in Africa, soprattutto in Kenia, Lesotho e Madagascar. Da li' si esportano prodotti di abbigliamento che aggiungono valore ai $ 30 miliardi dello stesso settore che annualmente Pechino gia' esporta verso Washington. Si tratta comunque di iniziative in piena sintonia con gli accordi internazionali. All'Africa e' stata concessa nei fatti la piena applicazione dei principi del Wto, secondo i quali ogni ostacolo alla libera circolazione delle merci rappresenta una perdita economica complessiva, sia per i produttori che per i consumatori. E' un'ulteriore smentita dell'Accordo Multifibre che ha protetto per 10 anni (dopo la nascita del Wto) le industrie dei paesi piu' avanzati. Nella concorrenza globale le mosse cinesi rivelano un'astuzia forse smaccata negli intenti ma legittima nelle procedure. Per l'Africa rappresenta un'altra fonte di reddito e di occupazione, come la vendita di materie prime alla Cina. Probabilmente l'affermazione di uno sviluppo autonomo e stabile dovra' essere rinviata, ma la situazione disperata che ha a lungo accompagnato il continente non consentiva dibattiti troppi lunghi. Nel tentativo di sciogliere al piu' presto i nodi del sottosviluppo, Pechino offre soluzioni articolate, di breve respiro e certamente non disinteressate.

* presidente Osservatorio Asia

Red-

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