domenica 27 gennaio 2013

e noi continuiamo sempre a guardare la pagliuzza per non vedere la trave. Crisi in Cina è sopratutto opportunità anche se il primo carattere significa pericolo


MERCATI 
VINO: IL ROSSO 
CHE PIACE AI CINESI



di Nataly Ada Rivera

Roma, 25 gen.- Sono passati 121 anni da quando, nel 1892, un intraprendente mercante cinese d’oltremare di nome Zhang Bishi decise di investire tre milioni di tael per fondare a Chefoo (antico nome della città di Yantai nello Shandong),  la prima azienda vinicola nella storia cinese.
Oggi non sono necessarie presentazioni: la Changyu Pioneer Wine Company è al momento una delle più importanti aziende vinicole in Cina.

Attualmente il vino nel Gigante asiatico è un mercato emergente ma destinato a uno sviluppo rapido. Con l’assimilazione dei gusti e delle abitudini di vita occidentale da parte della classe media in rapida ascesa, bere vino sta diventando una abitudine sempre più diffusa a Shanghai,  Pechino, Guangzhou, Shenzhen ma anche in quelle di seconda fascia come Wuhan, Hangzhou, Dalian, Xiamen, etc.

La crescita del mercato del vino importato  è stata favorita negli ultimi anni dalla riduzione dei dazi doganali sui vini d’importazione (scesi dal 65% al 14%), in conformità agli accordi stipulati con il WTO, di cui la Cina è stato membro dal 2001.


PROSPETTIVE DI SVILUPPO

Secondo il rapporto 2012 dell’Istituto Britannico International Wine and Spirit Research (IWRS), la Cina, con i suoi 19 milioni di consumatori abituali, è il quinto consumatore di vino al mondo dopo Stati Uniti, Italia, Francia e Germania.

Il mercato del vino cinese è riuscito a mantenere una crescita costante nel corso del primo trimestre del 2012, con un fatturato di 9,875 miliardi di yuan (1190 miliardi circa di euro), in crescita del 9,92%  rispetto allo stesso periodo del 2011. L’espansione del mercato sale dunque a un ritmo del 20% annuo, pari a 14 milioni di ettolitri, tanto che per il 2014 si prevede addirittura il raddoppio.

Non solo. Sempre secondo il rapporto dell’istituto IWRS nel 2016 il Dragone consumerà 3 miliardi di bottiglie di vino annue, diventando così il primo mercato globale nel giro di 20 anni.
Nonostante la dimensione delle cifre bisogna comunque tenere in conto che il consumo annuale pro capite di vino nel paese (0,38 litri nella media nazionale e 0,7 litri nei centri urbani) è ancora basso se paragonato a quello di stati come la Francia (47,7 litri), l’Australia (23,7 litri) o il Regno Unito (20,6 litri).

Due le fasce principali per il commercio del  vino: la prima  è il mercato basato sulla vendita di vini di qualità inferiore, in cui i produttori nazionali sono imbattibili in termini di prezzo, la seconda è quella dell’alta qualità, guidata dal  Bordeaux francese e da altri vini costosi  ed importati.


SULLA STESSA BARCA

I produttori cinesi, colti alla sprovvista dall’arrivo dei concorrenti stranieri - oggi quasi un terzo del mercato - si stanno attrezzando per mantenere una quota importante in un mercato nel quale operano da una posizione privilegiata rispetto ai canali di vendita e distribuzione.

Per il 2013 il mercato cinese annuncia un cauto ottimismo. Nonostante le difficoltà nella produzione di qualità, gli ‘incidenti di percorso’ (ad agosto 2012 vennero trovati residui di pesticidi in alcune delle bottiglie di uno dei colossi cinesi nel vino) e la concorrenza dei vini importati, le entrate del settore e l’aumento dei profitti sono evidenti e il piano è quello di aumentare i vigneti ed espandere la produzione domestica.

I giganti del vino cinese (Changyu, Great Wall, Dinasty,etc.) stanno lavorando sodo per migliorarsi e nel farlo si avvalgono anche di joint ventures con aziende straniere (per lo più francesi) e della collaborazione di risorse estere come enologi, sommelier, apparecchiature all’avanguardia, etc.
Il detto cinese tong zhou gong ji “stare stretti insieme sulla stessa barca” sembra dunque la loro soluzione per affrontare insieme il nuovo mercato del vino, almeno nella fase iniziale.

Nella pratica questo “darsi la mano” è anche un modo per rispondere ad una domanda del nettare di Bacco superiore all’offerta domestica.

Un’altra strategia è quella di ricorrere agli acquisti direttamente all’estero. È questo il caso ad esempio dell’azienda Great Wall che ha acquisito la cilena Biscottes e il francese Château de Viaud creando il primo gruppo vinicolo internazionale cinese e sta inoltre pensando di acquisire altre note aziende della California e dell’Australia con lo scopo di innalzare la qualità internazionale dei propri vini.

Se in passato il governo si è mostrato poco attento al settore, ultimamente in Cina le cose sembrano prendere una nuova piega. Il ministero cinese dell'Industria e quello dell'Agricoltura il 1 luglio 2012 hanno pubblicato congiuntamente il 12 ° piano quinquennale per lo sviluppo del settore del vino cinese. L’obiettivo è quello di sostenere la creazione di aziende vinicole e l’innovazione tecnologica del settore, fornendo le clausole relative alla promozione del progresso tecnico e assicurando un sano sviluppo anche a livello ambientale.

Bisogna considerare che, paradossalmente, l’impegno delle aziende cinesi nella diffusione della bevanda e della sua cultura può rivelarsi un vantaggio per i vini importati.


I VINI ESTERI E IL TRICOLORE

L’import di vino dalla Ue è aumentato ad un tasso annuo del 68% per un valore di circa 1,7 milioni di ettolitri. Per quanto riguarda il vino italiano nel 2011 ha visto crescere le sua presenza del 68% in volume e del 99% in valore. Nei primi 9 mesi del 2012, le esportazioni dall’Italia verso la Cina sono cresciute arrivando a toccare i 73.7 milioni di USD, in aumento del 7.9% rispetto allo stesso periodo di gennaio-settembre 2011.

In base agli ultimi dati elaborati dall’ICE il paese asiatico, nel suo complesso, non rappresenta ancora un mercato maturo per i vini d’importazione; tuttavia il ritmo di crescita sostenuto degli  ultimi anni offre quindi interessanti opportunità commerciali nel medio - lungo termine.
Nonostante la qualità indiscussa e universalmente riconosciuta, in Cina la quota del nostro vino è ancora modesta, non oltre il 6%, al quinto posto dopo Francia (che detiene ben il 55%), Australia, Cile e Spagna.

Se l’Italia in generale si posiziona al 5° posto dopo Francia, Australia, Cile e Spagna, occupa invece il 3° posto per i vini in bottiglia, dopo la Francia e l’Australia, con una quota del 6,1%. Per i vini frizzanti (5.2 milioni di USD, +38.5%) si conferma un trend positivo e la seconda posizione dell’Italia dopo la Francia, anche se i valori restano modesti.
Buona  parte dei vini importati sono destinati al canale HoReCa (hotel, ristoranti, caffetterie, catering), mentre la parte per la grande distribuzione è ancora modesta.


PROFILO DEL CONSUMATORE CINESE

Il numero attuale dei consumatori abituali di vino in Cina supera i 10 milioni, mentre 20 milioni sono i consumatori occasionali. E le stime prevedono una sensibile crescita nei prossimi anni, secondo le previsioni sul  rapporto di IWSR infatti nel 2015 il consumo pro capite di vino in Cina salirà a 1,9-2 litri.
Il consumatore cinese è solitamente maschio - anche se negli ultimi tempi stanno aumentando le donne - con un livello d’istruzione universitario e una fascia di età compresa tra i 25 e i 50 anni.
Le occasioni in cui si consuma il vino sono per lo più legate al business (regali aziendali o cene d’affari) o a festività come Capodanno cinese o matrimoni. Quasi mai viene acquistato per il consumo personale.

Negli ultimi anni nelle città di prima fascia sta crescendo il numero di negozi specializzati nella vendita di vini (wine shop), in cui si organizzano corsi e degustazioni. E i cinesi si mostrano sempre più interessati ad approfondire la conoscenza  del vino partecipando a eventi, corsi e  degustazioni organizzati nei grandi centri stimolano un passaggio  dal “bere “ al “degustare”. Al momento  il consumatore tipo beve vino per il suo valore di status symbol e lo sceglie in base al brand, alla regione di provenienza e al prezzo.

Può capitare inoltre che la bottiglia venga portata a tavola con il prezzo in bella vista, tuttavia quello che a noi può sembrare ostentazione di dubbio gusto in realtà in Cina serve ad identificare il prodotto, infatti non conoscendo bene il vino, spesso l’unico modo che il cliente ha per giudicarlo è il costo.  Chi non sceglie il vino per lo status symbol, ma come bevanda per accompagnare il pasto o festeggiare di solito è sensibile al fattore prezzo.

Le vendite in Cina dipendono oggi per il 40% in valore dall’acquisto di vini costosi da parte del 22% dei bevitori, soprattutto uomini d’affari, mentre il segmento numericamente più importante dei consumatori, il 50%, acquista solo per un terzo in valore delle vendite.
È questa tuttavia la categoria su cui sarebbe necessario puntare per garantire uno sviluppo del mercato del vino a lungo termine.

I vini  italiani più apprezzati e diffusi al momento sono quelli piemontesi e toscani con le loro diverse varietà di rosso: Barbaresco, Barolo, Chianti, Brunello di Montalcino. Se i consumatori di sesso maschile preferiscono un vino rosso, a bassa acidità, con pochi tannini, morbido e semplice da bere, alle donne aggrada quello  più dolce, oppure fruttato e con un basso grado di acidità.
Il vino rosso, con percentuali di consumo del 85-90 %, è il vino più consumato e ricercato e viene considerato un’alternativa “sana” ai superalcolici e una scelta più sofisticata rispetto alla birra.


OSTACOLI E STRATEGIE

Se per i francesi il mercato cinese è già un territorio conquistato,  per gli italiani questo presenta ancora una serie di ostacoli e sfide che partono da uno scarso grado di conoscenza del mercato in relazione alle difficoltà di comunicazione, di una cultura e di una società totalmente differenti dalle nostre e non ultimo da abitudini completamente diverse da quelle occidentali.
Affrontare il mercato cinese senza le adeguate conoscenze può risultare un errore per le aziende in conseguenza di un sistema distributivo diverso da quello italiano e di una superficiale conoscenza delle barriere all'entrata, aspetti che gestiti senza consapevolezza possono creare problemi e ostacoli per le cantine che adottano una strategia di penetrazione.
Il maggiore ostacolo alla diffusione dei vini italiani, oltre agli scarsi investimenti promozionali ed alla  ridotta dimensione delle nostre aziende, risiede nella distribuzione. Ad esclusione di Hong Kong, vero e proprio fulcro strategico per la distribuzione e il commercio del vino importato in Asia, ottima vetrina di lancio e sede delle aste più importanti del vino davanti New York e Londra, nella Cina continentale i canali nazionali di distribuzione dei vini d’importazione sono ancora ad uno stadio iniziale.
Per lo più l’importatore (ed in rari casi il produttore) e’ direttamente coinvolto nell’attività concreta di vendita, dislocando sul territorio un team di specialisti che lavori a contatto con i distributori locali.
I distributori cinesi perciò fungono principalmente da magazzinieri e da agenti per la fatturazione e impegnano con riluttanza le proprie risorse per sviluppare e incrementare la clientela dei prodotti importati.

Per conquistare i cinesi occorre dunque infondere loro un grado di fiducia a lungo termine, è imprescindibile evitare i viaggi mordi e fuggi ed affacciarsi sul mercato basandosi su un intermediario di fiducia in loco.

La conoscenza della cultura degli alcolici cinesi e del mercato target è un aspetto importantissimo per entrare in un mercato così vasto e complesso come quello cinese.

Sebastiano Ramello, consulente internazionale e brand export manager per conto di diverse aziende vinicole italiane nel mondo, lo dice chiaro e tondo: la base di tutto per qualsiasi lavoro è la conoscenza del posto. Bisogna evitare di fare viaggi spot di pochi giorni, è necessario “metterci la faccia”, seguire i progetti e spendere tempo sul territorio, capendo e studiando in loco i gusti e i comportamenti dei cinesi.
Nonostante la viticoltura e il vino facciano parte da sempre della nostra storia, rispetto ai vini francesi quelli italiani non sono così famosi in Cina.

Per la maggior parte dei consumatori cinesi di oggi, il vino è prima di tutto immagine, origine e prezzo, queste caratteristiche corrispondono a un unico modello: Francia, rosso, Bordeaux.
La qualità non è ancora percepita e i gusti non si sono ancora raffinati, per ora le nuove classi emergenti amano identificarsi con le grandi vecchie famiglie, i castelli della Loira rappresentano le culle del vino e l’immagine di un sogno.
Il nostro punto di forza principale rispetto ai francesi è sicuramente la qualità rapportata al prezzo e l’unicità dei nostri vini.


STORIE DI VINI

Se c’è una cosa che colpisce il consumatore cinese è una bottiglia pesante, con un fondo di vetro spesso, il tappo di sughero ed un etichetta ad effetto con una traduzione cinese semplice e facile da ricordare e pronunciare. Se poi si scelgono caratteri con connotazioni di buon auspicio ancora meglio.

Il nostro vino va “raccontato”  agli acquirenti e ai traders. Bisogna parlare della famiglia che ha fondato l’azienda, della società, della storia della regione; sarebbe riduttivo proporre soltanto una degustazione. In quest’ottica si inserisce anche la promozione di un turismo del gusto in loco, per fare gustare ed apprezzare  in prima persona ai consumatori quello che si cela dietro una buona bottiglia di rosso italiano, l’import dei nostri vini in Cina infatti può anche giovare di un successo “di ritorno”.

Bisogna inoltre  sapere che la cultura del cibo cinese è molto radicata  oltre che antichissima ed è quasi impossibile convincere i cinesi ad affiancare i nostri vini a prodotti classici come salumi,formaggi, piatti di pasta, etc.
Come raccontatomi durante un intervista da Michele Chiarlo, importante produttore piemontese, alle degustazioni a cui ha presenziato ha notato ad esempio che i cinesi lasciavano quasi sempre da parte il formaggio.

Se il cibo occidentale può essere un consumo occasionale e alla moda nelle grandi città, la vera sfida per la crescita del nostro mercato è conciliare il nettare di Bacco con il cibo cinese a cui i consumatori asiatici sono molto legati, e non solo per semplice abitudine.
Se vogliamo diffondere la nostra presenza sulle tavole cinesi è necessario capire che le bevande alcoliche in Cina, oltre ad avere origini antichissime, tradizionalmente non sono considerate solo delle bevande, possiedono infatti forti implicazioni sociali, servono a intrattenere rapporti, a fare amicizia, etc.
La sfida più grande che la vendita del vino in Cina ha di fronte è come entrare a far parte delle bevande consumate durante i pasti, per ora le bevande più diffuse e consumate a tavola sono il tè, la birra e il baijiu, distillato cinese solitamente a base di sorgo.

Ciò che rende  i francesi i leader nel mercato cinese del vino di alta qualità, oltre agli ottimi vini e alla presenza come pionieri è  anche il frutto di un ottimo marketing e di anni di comunicazione efficace oltre che di partenariati strategici con i produttori locali.
Il nostro vino, pur essendo di indiscutibile qualità, necessita anche di una buona promozione per uscire allo scoperto, aumentare la riconoscibilità dei propri marchi e, di conseguenza, costruire la propria reputazione.

Come ha detto il ministro Passera in occasione del progetto “Vini in Cina” inaugurato il 26 novembre a Pechino dal ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera e promosso e finanziato dal Ministero, attraverso la Direzione Generale per l’Internazionalizzazione: "Al momento la Cina e' il primo importatore mondiale di vini, ma l'Italia non e' il primo esportatore. Il vino e' un prodotto italiano per eccellenza, e bisogna insistere su questo punto".


PROMOZIONE E DISTRIBUZIONE: LE ARMI VINCENTI

Le armi principali su cui puntare per colmare il gap che penalizza la percezione del nostro vino come vino di qualità, appaiono essere investimenti nella promozione unificata, nella formazione e ricerca di canali di distribuzione alternativi. È proprio in questo ambito che si inserisce strumentalmente il progetto governativo “Vini in Cina”. Il progetto, suddiviso in tre tappe della durata di un anno tra Italia e Cina, nasce da una Convenzione sottoscritta con Federvini e Unione Italiana Vini (UIV) per la promozione della filiera allargata del vino italiano nel mercato cinese e sarà realizzato dall’Ente Autonomo Mostra mercato Enoteca Italiana, scelto come soggetto attuatore. L’obiettivo è promuovere la conoscenza delle principali denominazioni enologiche italiane, facendo leva sul legame con il territorio, la storia e le tradizioni e coinvolgendo anche le associazioni che riuniscono le eccellenze nella costruzione di macchinari automatici per imballaggio, confezionamento e imbottigliamento di prodotti enogastronomici.

Per quanto concerne i canali distributivi si è pensato di prendere contatti con la Metro di Colonia, che essendo una società tedesca non ha interessi nazionali da difendere come invece la Auchan o la Carrefour francesi.
L’esperienza diretta di chi è nel settore insegna che per esportare in Cina occorre un approccio olistico, armonizzarsi con la loro cultura, rispettandone l’etichetta, coltivando relazioni personali che corrispondano alle loro aspettative, rispettare l’anzianità come un valore, avere scambi di business a livello orizzontale senza scavalcare le gerarchie.

Per entrare in Cina e restarvi stabilmente, bisogna anche farsi conoscere e desiderare in particolare dai trend setter e dagli opinion leader, un ristretto gruppo di popolazione che influenza i gusti di massa e la domanda interna, operando spesso online sui social network, blog e forum. In questo contesto di internazionalizzazione non bisogna inoltre sottovalutare che in Italia per molte piccole - medie aziende vinicole ci sono ostacoli di comunicazione di base per intraprendere un business internazionale, sia a livello informatico di base che nella conoscenza dell’inglese, figuriamoci del cinese. Come riferito dal consulente Ramello durante l’intervista, spesso proprio queste aziende sono scoraggiate dai tempi di attesa necessari in seguito all’avvio delle trattative.
Finora gli italiani si sono mossi in ordine sparso, come singole aziende, singoli privati, tante piccole/medie associazioni separate l’una dall’altra.
È necessario, al contrario, combattere questa frammentarietà, formando consorzi o stringendo alleanze per far fronte alla concorrenza crescente dei vini provenienti da Paesi del Nuovo Mondo come America, Australia e Sud Africa.

Come dice un importante produttore toscano “il made in Italy, anche nel vino, pensa di più a conservare che a crescere. Si dovrebbero sfruttare appieno le nostre potenzialità nel contesto globale. Restare fermi a causa dell’allarme per il calo dei consumi interni, è più un guardare la pagliuzza per non vedere la trave.”
Forse dovremmo cominciare a vedere di più  la crisi come la definiscono i cinesi. Infatti la parola nella lingua mandarina si compone di due caratteri: il primo significa “pericolo” e il secondo “opportunità”. A buon intenditor…



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