martedì 20 novembre 2012
FINANZA
Saccomanni: più imprese
italiane in Cina
di Sonia Montrella e Giandomenico Serrao
Roma, 20 nov. - Le imprese italiane devono cercare un modo per rafforzare la loro presenza in Cina attraverso sforzi coordinati e aiutati dalle banche. Lo sostiene il direttore generale della Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni, intervenuto alla tavola rotonda organizzata oggi a Roma dalla Fondazione Italia-Cina dal tema "Prospects for Financial Reforms and opining up of the Chinese Financial Sector: scenarios and opportunities".
"Le banche giocano un ruolo significativo nelle attività' estere delle aziende, mentre la rete di sussidiari degli istituti di credito rappresenta un grosso asset in questa prospettiva. Ciò è particolarmente importante per l'Italia data la significativa presenza di piccole aziende, sopratutto manifatturiere, tra gli esportatori" sostiene Saccomanni.
Se per le imprese Italiane, il discorso estero non può più essere rimandato, la Cina appare sempre di più come la terra promessa.
"Al momento la Cina investe il 50% del suo prodotto nazionale mentre il consumo domestico si attesta appena al 35%. Il 12esimo piano quinquennale punta allo slittamento da un'economia trainata dall'export a quella in cui il consumo interno la fa da padrone. Ma sopratutto a essere cosciente della necessità di una virata e' la nuova leadership, nominata la scorsa settimana e destinata a prendere il posto dell'amministrazione Hu-Wen a marzo prossimo". La Cina, osserva Saccomanni, ha saputo fornire una risposta pronta alla crisi finanziaria immettendo liquidità, una mossa che le ha permesso di reagire.
Tuttavia si ritrova ora di fronte a ben altri problemi. Il rapido sviluppo ha favorito ed evidenziato grossi divari tra ricchi e poveri, la politica del figlio unico sta causando un eccessivo invecchiamento della popolazione, che a sua volta riduce la percentuale di forza lavoro. "La nuova leadership ha inserito il ribilanciamento dell'economia tra le priorità del Paese" ha dichiarato il direttore di Banca Italia. "L'azione politica non fissa target a breve tempo, ma punta a contenere il rischio per l'economia cinese di cadere nella trappola del reddito medio, nonché a rafforzare la fiducia degli investitori". E in questa prospettiva, un ruolo chiave potrebbe essere ricoperto proprio dalla "riforma del sistema finanziario che potrebbe favorire la crescita della produttività attraverso una migliore gestione delle risorse".
"Il sistema finanziario cinese - continua Saccomanni - e' cresciuto in grandezza e complessità. Così come quello italiano, anche il sistema cinese e' dominato in gran parte dal settore bancario. In termini di capitalizzazione, quattro banche cinesi sono tra i top 20 intermediari finanziari mondiali. Di nuovo, come il sistema italiano passato, il settore bancario di Pechino e' regolato da poche banche nazionali".
Alcuni passi avanti sono già evidenti, sottolinea ancora il direttore della Banca d'Italia: il numero degli istituti di credito e' aumentato e con esso la presenza di banche cinesi all'estero. La via imboccata e' quella di un sistema più aperto e orientato al mercato.
"Il processo di riforma promosso dal governo e' un fattore chiave per l'internazionalizzazione del settore bancario e per quel ruolo attivo che si richiede a Pechino".
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