domenica 18 novembre 2012

Conservare o riformare

Dal Sole 24 Ore

un delicato equilibrio tra conservatori e riformisti

di Francesco Sisci
Ieri la seconda superpotenza del mondo ha presentato al Paese e al mondo i leader che ha scelto per contribuire al governo globale. Il cuore di questa presentazione non è tanto nel segretario del partito Xi Jinping, che si confronterà con il presidente americano Barack Obama, ma nel significato politico complessivo di questa transizione.
Il 18° Congresso del Partito si è chiuso marcando un netto passaggio di potere alla nuova generazione. Diversamente da quanto accaduto 10 anni fa, quando il segretario uscente Jiang Zemin era rimasto presidente della potente Commissione militare centrale, stavolta Hu Jintao, il presidente uscente, si è dimesso da tutti gli incarichi. Xi dovrebbe quindi poter governare da solo, senza l'ombra della vecchia generazione di leader alle spalle.
Questa ombra è stata negli ultimi dieci anni un elemento importante che ha spesso reso troppo macchinose le decisioni di lungo termine o il varo delle riforme. Tale nuova agilità e potenziamento della capacità decisionale è confermata dal restringimento del vertice del potere, il Comitato permanente del Politburo, passato da nove a sette membri.
Questo passaggio è avvenuto con un prezzo. I cinque nuovi membri del vertice sono tutti veterani del Politburo allargato e più vecchi di Xi e del suo vice, Li Keqiang. Questo sarà un freno oggettivo a Xi. Inoltre, secondo le voci incontrollate di Pechino, molti dei cinque sarebbero leali a Jiang mentre i rinnovatori sarebbero fedeli a Hu.
A guardare poi il Politburo allargato si vedono molte facce nuove. Vi approdano Sun Zhengcai e Hu Chunhua, classe 1963, probabili capi della dirigenza cinese a partire dal 2022. L'onda del rinnovamento diventa quasi uno tsunami se si guarda il Comitato centrale, dove l'80% dei 205 membri è nato dopo il 1950, nove sono nati dopo il 1960.
Si vede quindi uno spirito di "avanti ma con prudenza", che poi è anche lo spirito del discorso inaugurale di Xi. Lui ha ringraziato i giornalisti, ha spiegato quanto in futuro sia importante per la Cina capire il mondo e per il mondo capire la Cina, e ha sottolineato come l'ambizione dei cinesi sia quella di avere una vita migliore, ergo non fare la guerra o ficcarsi in confronti internazionali.
Parole tutte rassicuranti, ma senza un accenno al tema più atteso di questo Congresso: quello della riforma politica. Questo il punto scottante per una minoranza in Cina, e per una maggioranza fuori dalla Cina.
Il processo politico rimane infatti ancora molto opaco. Non si sa come viene scelta la dirigenza e - al di là del voto cerimoniale del Congresso - se invece ci sono grandi elettori che votano o fanno votare da propri seguaci. Non si sa come si vota, chi vota e per chi o cosa.
Le voci di Pechino hanno raccontato della grande influenza di Jiang Zemin e degli uomini della sua generazione, la televisione ha mostrato il vetusto Song Ping, 95 anni, unico al congresso con la giacca di Mao, ma il futuro non è chiaro. Dopo il pensionamento di Hu, Jiang e gli altri avranno ancora influenza? Quanta nel caso? Il sistema di selezione dei leader cambierà e come?
Queste sono tutte domande, senza risposte, che vanno direttamente sul tavolo dei grandi strateghi americani. Obama potrebbe ridefinire la sua politica verso la Cina accelerando o rallentando il riorientamento politico militare verso l'Asia già in corso, e un elemento importante di valutazione è la trasparenza del sistema politico cinese.
Il suo sistema imperial-leninista di segreti coltivati con cura quanto potrà resistere alla spettacolarizzazione globale della politica? L'attenta catena dei compromessi interni, da una generazione all'altra, l'equilibrio tra correnti di riformatori e conservatori potrebbe spezzarsi o strangolare la crescita cinese. È questa la più grande sfida di Xi.

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