giovedì 31 ottobre 2013



Sono sei le persone ferite, non gravemente, trasportate in ospedale dal 118 di Roma a seguito degli scontri alla manifestazione dei movimenti per la casa nella Capitale. Quattro carabinieri e una manifestante sono stati portati all'ospedale Santo Spirito mentre un'altra manifestante all'Umberto I. Una decina di persone, soprattutto delle forze dell'ordine, sono state medicate sul posto. Gli operatori del 118 sono intervenuti rapidamente nonostante le difficoltà per l'improvviso scatenarsi delle tensioni

Il corteo ha toccato anche Piazza Montecitorio, blindata da diverse camionette delle forze del'ordine. Le centinaia di manifestanti intonano lo slogan 'Tutti liberi'. "Devono rilasciare immediatamente i nostri nove fratelli e sorelle che hanno fermato" è l'ultimatum di uno dei leader della protesta, Paolo Di Vetta, rivolgendosi alla folla in assemblea. "La manifestazione di oggi è stata organizzata per chiedere al ministro Lupi e alla Conferenza di mostrarci qualcosa di importante, e in cambio hanno tirato fuori scudi e manganelli", dice Di Vetta. "Quella di oggi è solo una tappa del grande assedio permanente cominciato il 19 ottobre (con il corteo e la successiva occupazione di Porta Pia, ndr) - sottolinea uno dei manifestanti nel suo discorso alla piazza - e l'inizio di una nuova storia. Vogliamo cambiare tutto nel Paese. Costruiremo noi la nostra alternativa".

Tra i commercianti del centro storico interessati dal passaggio del corteo dei movimenti per la casa,  C'è chi si è barricato dentro abbassando la serranda, chi si è messo davanti alle vetrine per impedire l'accesso nei locali e chi ha raccolto la merce ed è scappato. Alla Galleria Colonna la guardia giurata ha chiuso per 10 minuti gli accessi per impedire che i manifestanti entrassero nei negozi e spaventassero i clienti. In via dei Crociferi molti hanno abbassato le serrande, altri che hanno la merce esposta fuori si sono preoccupati di ritirare gli espositori. In un bar di via dei Crociferi clienti, camerieri e gestori hanno fatto una specie di scudo umano per evitare che fossero rovinate le vetrine.  Molti turisti sono rimasti attoniti nel vedere un gruppo di manifestanti scappare verso Fontana di Trevi, dove il trantran di foto e lancio di monetine è stato interrotto dalla corsa di decine di persone che tentavano di scappare dai fumogeni della polizia.
Scontri in centro a Roma. Lanciati fumogeni, 6 feriti
Assaltato un blindato, in piazza manifestanti dei movimenti per la casa. Indentificati in otto
31 ottobre, 17:07
In precedenza, alcuni manifestanti hanno assaltato un blindato delle forze dell'ordine in via del Tritone, nel centro di Roma durante la manifestazione  indetta in occasione della conferenza Stato-Regioni che si sta svolgendo nella Capitale. Alcuni dei manifestanti sono saliti sopra il mezzo militare e le forze dell'ordine hanno cercato di farli scendere e alla loro resistenza ci sono stati degli scontri. Imanifestanti, nel tentativo di sfondare il cordone delle forze dell'ordine, hanno spruzzato spray urticante contro gli agenti in via del Tritone. Le forze dell'ordine, per disperdere i manifestanti ed allentare la pressione contro il cordone, hanno risposto con dei lacrimogeni.

Le forze dell'ordine si sono schierate con due cordoni di blindati a protezione di Palazzo Chigi, bloccando l'accesso dei manifestanti. Un gruppo di manifestanti che cercava di raggiungere Palazzo Chigi è stato dissuaso dalle forze dell'ordine a procedere verso l'obiettivo. Il gruppo, circa un centinaio, mescolato ai tanti turisti è ora fermo tra piazza Fontana di Trevi e la Galleria Colonna. Una manifestante nella calca ha anche avuto un malore.

Frutta, bandiere ed altri oggetti sono stati lanciati contro il cordone delle forze dell'ordine dal corteo dei manifestanti dei movimenti di lotta per la Casa e degli immigrati,  disposto su via del Tritone. I manifestanti hanno anche acceso e lanciato contro la polizia alcuni fumogeni.

Ad aprire il corteo, lo striscione "Una sola grande opera. Casa e reddito per tutti". Sventolano bandiere dei movimenti per la casa ed alcune dei No Tav. La zona è presidiata da carabinieri e polizia.

"Vergogna, vergogna" gli slogan urlati dagli attivisti, che sventolano bandiere con scritto "stop sfratti, sgomberi e pignoramenti". Alcuni manifestanti stanno ora parlando con alcuni funzionari delle forze dell'ordine per capire se c'è la possibilità di continuare il corteo, partito da Montecitorio, dove alcuni manifestanti hanno lanciato uova. I negozi lungo via del Tritone hanno tutti chiuso

'Se questi qui non si spostano tra cinque minuti noi scateniamo la guerra''. Così uno dei manifestanti dal megafono si è rivolto alla folla degli attivisti dei movimenti per la casa che sono stati bloccati su via del Tritone da un cordone di polizia e carabinieri, che stanno presidiando la strada in tenuta antisommossa e con l'ausilio di alcuni blindati. Nei confronti delle forze dell'ordine continua il lancio di uova, frutta e oggetti.

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Breaking News 24 31/10/2013 - 10:29
NOTIZIARIO ASIA
SoftBank: +84% a 395 miliardi di yen (3 mld euro) nel primo semestre
Radiocor - Roma, 31 ott - Il gruppo di tlc giapponese SoftBank, nel primo semestre dell'esercizio 2013-2014, ha messo a segno un rialzo dell'utile netto dell'84% a 394,9 miliardi di yen (3 miliardi di euro). Anche il giro d'affari ha raggiunto livelli record grazie all'ingresso nel gruppo americano Sprint Nextel e alla solida performance di SoftBank Mobile in Giappone.

red-sal
Disoccupazione record a settembre 3,2 mln
Istat: -80 mila occupati su agosto, -490 mila su anno
Ancora dati drammatici sulla disoccupazione in Italia.

Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a settembre registra un altro record, salendo al 40,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali su agosto e di 4,4 su base annua. Lo rileva l'Istat (dati provvisori). E' il valore più alto dall'inizio sia delle serie mensili, gennaio 2004, sia delle trimestrali, primo trimestre 1977. A settembre il tasso di occupazione giovanile (15-24 anni) scende al 16,1%, in calo di 0,5 punti percentuali su agosto e di 2,1 su base annua. Lo rileva l'Istat (dati provvisori). E' un valore che eguaglia il minimo storico. Quindi a settembre sono occupati meno di due giovani su dieci, anche se tra gli under 25 vanno contati anche gli studenti. Sono 654 mila i giovani disoccupati a settembre, in calo dell'1,5% su agosto (-10 mila) ma in aumento del 5,4% rispetto a dodici mesi prima (+34 mila). Lo rileva l'Istat (dati provvisori e destagionalizzati), spiegando che nell'ultimo mese la crescita del tasso di disoccupazione a fronte del calo dell'incidenza dei giovani disoccupati sulla popolazione (da 11,1% a 10,9%) deriva dalla diminuzione del numero di occupati, più forte del calo dei disoccupati. A settembre, infatti, è salito il numero di giovani inattivi.

Il tasso di disoccupazione a settembre segna un nuovo record, salendo al 12,5%, in rialzo di 0,1 punti percentuali su agosto e di 1,6 punti su base annua. Lo rileva l'Istat (dati provvisori). E' il valore più alto dall'inizio sia delle serie mensili, gennaio 2004, sia delle trimestrali, primo trimestre 1977. Complessivamente il numero di disoccupati a settembre arriva a toccare quota 3 milioni 194 mila. Lo rileva l'Istat (dati provvisori), registrando così un aumento dello 0,9% su agosto, corrispondente a un rialzo di 29 mila disoccupati, e del 14% su base annua, vale a dire di 391 mila unità. settembre -80 mila occupati, -490 mila su anno Tasso occupazione giù a 55,4% torna a livelli 13 anni fa. A settembre 2013 gli occupati sono 22 milioni 349 mila, in diminuzione dello 0,4% rispetto al mese precedente, ovvero di 80 mila unità, e del 2,1% su base annua, corrispondenti a 490 mila occupati. Lo rileva l'Istat (dati provvisori). Il tasso di occupazione, pari al 55,4%, torna ai livelli di tredici anni fa, diminuendo di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 1,2 punti rispetto a dodici mesi prima. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Breaking News 24 30/10/2013 - 14:04
NOTIZIARIO ASIA
Borsa Mumbai: chiude ai massimi dal 2010, a 21.033,97 punti
Radiocor - Roma, 30 ott - La Borsa di Mumbai ha chiuso ai massimi, superando il precedente record di novembre 2010, grazie a un afflusso di capitali esteri e alle attese sull'iniezione di liquidita' sul mercato da parte della Fed, che decidera' nel pomeriggio. L'indice Sensex ha terminato gli scambi guadagnando lo 0,50% a 21.033,97 punti. Il mercato indiano ha scontato tra primavera e l'estate un deflusso di capitali esteri, allontanati dai timori di un cambio di politica della Fed, dal rallentamento della crescita dell'India e dalla debolezza della rupia. Fugati parzialmente questi timori, la Borsa ha beneficiato di un ritorno dei capitali, stimati in 2,38 miliardi di dollari nel mese di ottobre, secondo statistiche ufficiali. Inoltre, l'arrivo alla guida della Banca centrale indiana di Raghuram Rajan, capo economista del Fondo monetario internazionale, ha ridato fiducia agli investitori.
Breaking News 24 31/10/2013 - 12:42
NOTIZIARIO ASIA
Volkswagen: nuovo impianto nel Sudest della Cina, capacita' annua 300mila unita'
Saranno creati 5.700 posti di lavoro

Radiocor - Wolfsburg, 31 ott - Nell'ambito della sua espansione in Cina il gruppo Volkswagen (Vw) ha inaugurato un nuovo impianto nel sudest del Paese a Ningbo. Si tratta del 16esimo nell'ex Celeste Impero e del 105esimo a livello mondiale per la casa di Wolfsburg. La capacita' produttiva e' pari a 300mila unita' tra Volkswagen e Skoda. Il ceo Martin Winterkorn ha affermato che 'questo nuovo impianto all'avanguardia e' una ulteriore prova del totale impegno del gruppo Volkswagen in Cina. Questo nuovo impianto da' alle marche del Gruppo un ulteriore slancio per attingere pienamente al massimo potenziale di mercato nell'area sudovest di Shanghai'. Jochem Heizmann, responsabile di Vw Group in Cina, ha aggiunto: 'il periodo di costruzione inferiore ai due anni sottolinea la valida cooperazione con i nostri partner cinesi. Ora, con il nuovo impianto di Ningbo, possiamo offrire ancora piu' velocemente nuovi prodotti basati sulla piattaforma modulare MQB. Non solo, Ningbo e' uno degli stabilimenti piu' rispettosi dell'ambiente di tutto il gruppo'. La produzione dell'impianto, che creera' 5.700 nuovi posti di lavoro, ha preso il via con la nuova Skoda Superb. Altri modelli Volkswagen e Skoda basati sulla piattaforma modulare MQB saranno realizzati in una fase successiva. La Cina rappresenta il principale mercato di Vw, che nel 2012 con i partner commerciali Volkswagen-Shanghai e FAW-Volkswagen ha consegnato nella regione 2,81 milioni di vetture. Nei primi nove mesi di quest'anno le vendite del gruppo sono aumentate del 18% in Cina rispetto all'anno precedente (2,36 milioni di unita'). Vw intende aumentare la propria capacita' produttiva annuale nel Regno di Mezzo a circa 4 milioni di vetture entro il 2018.

com-pal-
Breaking News 24 31/10/2013 - 09:14
NOTIZIARIO ASIA
Panasonic: raddoppia le stime di utile per intero anno a 100 mld yen
Radiocor - Milano, 31 ott - Panasonic ha alzato le stime di utile per l'itnero anno fiscale che chiude a marzo 2014 grazie alla debolezza dello yen che spinge le esportazione e in virtu' della forte crescita della vendita di batterie. L'utile netto, afferma la societa' in una nota, raggiungera' probabilmente i 100 miliardi di yen (1 miliardo di dollari) contro stime precedenti di 50 miliardi di yen.

red-lod
Breaking News 24 31/10/2013 - 08:23
NOTIZIARIO ASIA
Sony: perde 123 mln di euro nel primo semestre e riduce stime su anno
Radiocor - Roma, 31 ott - Sony ha registrato una perdita netta di 15,8 miliardi di yen (123 milioni di euro) nel primo semestre dell'anno fiscale 2013-2014 (aprile-settembre 2013), malgrado il miglioramento delle performance operative e l'indebolimento dello yen. Il passivo e' comunque piu' contenuto rispetto a quello dello stesso periodo dell'anno precedente. La societa', sulla base dei dati del primo semestre, ha abbassato le stime di vendite e profitti per l'anno in corso.

red-sal
E.On valuta la cessione della centrale di Fiume Santo
Si è tenuto ieri a Roma l’incontro tra i vertici di E.On e il primo ministro Enrico Letta. La società tedesca sarebbe disposta a prendere in esame la proposta di cessione di asset, a cominciare dalla centrale di Fiume Santo
di Gianni Bazzoni

SASSARI. E.On sarebbe pronta a prendere in esame la proposta di cessione di asset, a cominciare dalla centrale di Fiume Santo, dove la permanenza dei tedeschi continua a essere segnata da forti conflittualità con il territorio e le istituzioni. E’ questa l’indiscrezione che, a tarda serata, rimbalza da Roma, anche se Palazzo Chigi smentisce che ci sia stato un incontro bilaterale. La notizia ufficiale è che l’amministratore delegato di E.On Johannes Teyssen e il presidente e Ad di E.On Italia Miguel Antonanzas sono arrivati a Palazzo Chigi per incontrare il premier Enrico Letta insieme ad altri 10 manager dei principali gruppi energetici europei. Tema, la politica energetica e la competitività. Il giorno prima, da quelle parti era passato il ministro degli Esteri cinese Wang Li (e non è un mistero che gruppi cinesi stiano puntando all’acquisto del polo energetico sardo).
Niente Fiume Santo, dunque, e neppure l’intricata vicenda del rigassificatore di Livorno, dove E.On sta chiedendo un sistema di garanzie per fronteggiare costi gestionali non di poco conto (e dove è in atto lo scontro anche con uno dei soci di minoranza, Olt Energy Toscana della famiglia Belleli). A giocare un brutto tiro ai piani di E.On, probabilmente, sono state le prese di posizione dell’assessore regionale Antonello Liori, del sindaco Gianfranco Ganau, del presidente della Provincia Alessandra Giudici e del senatore Silvio Lai. Tutti avevano chiesto di essere invitati al tavolo del confronto. Alla fine, l’informazione è affidata al consulente politico del premier, il deputato Francesco Sanna: «Non era l’occasione per parlare di questioni singole, tra l’altro in presenza di gruppi concorrenti – dice – certo è che la presidenza del consiglio ha sollecitato il ministero dello Sviluppo economico affinchè venga ripreso il tema di Fiume Santo». La posizione ufficiale di Palazzo Chigi, però, non spegne le indiscrezioni circolate in ambienti istituzionali e sindacali. La vertenza Fiume Santo assume toni sempre più pesanti, specie dopo le indagini dei carabinieri del Noe e l’inchiesta della procura della Repubblica: situazioni gravi che non consentono atteggiamenti finalizzati a rimandare gli investimenti per la tutela ambientale, la sicurezza e la salvaguardia dei livelli occupazionali in un territorio devastato dalla crisi. E se il presidente del consiglio Enrico Letta ha sollecitato il ministero dello Sviluppo economico a seguire meglio la vicenda, qualcosa vorrà pur dire. . Si capirà meglio nei prossimi giorni se il segnale è arrivato. E.On - tra l’altro - ha messo sul tavolo del Governo anche la vicenda del rigassificatore di Livorno: un investimento da 850 milioni di euro per un’opera che la multinazionale ha chiesto formalmente venga inserita tra quelle di “interesse strategico nazionale” per essere ammessa a un sistema di garanzie «che addosserebbe – come sostiene il socio di minoranza Olt – l’onere gestionale con un aggravio tariffario».
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Alla Camera stipendi allineati. Verso l’alto
Indennità e rivalutazioni. Diminuisce la distanza tra dirigenti e base IL BILANCIO ANNUALE DELLE SPESE DI MONTECITORIO
136mila euro agli elettricisti, 358 mila ai consiglieri

Esplora il significato del termine: I conti li ha fatti «United for a fair economy», organizzazione che da Boston si batte contro la diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Dice una loro ricerca che se nel 1940 un amministratore delegato guadagnava 14 volte un lavoratore medio, oggi la proporzione è salita a 531 contro 1. E ci sono casi dove la distanza tra la base e il vertice di un’azienda è ancora maggiore: come per la Fiat, dove Sergio Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente medio. Un’esagerazione, la naturale evoluzione del capitalismo, oppure la giusta distanza? In ogni caso l’esatto opposto di quello che viene fuori sfogliando le tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati, in questi giorni all’esame dall’Aula. La distanza fra base e vertice è minima, la piramide delle busta paga si schiaccia come nemmeno negli Stati Uniti del 1940. E non perché la retribuzione dei vertici sia bassa, ma perché quella della base è molto elevata.
Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione. Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato. Gli operatori tecnici - categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio - vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.I conti li ha fatti «United for a fair economy», organizzazione che da Boston si batte contro la diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Dice una loro ricerca che se nel 1940 un amministratore delegato guadagnava 14 volte un lavoratore medio, oggi la proporzione è salita a 531 contro 1. E ci sono casi dove la distanza tra la base e il vertice di un’azienda è ancora maggiore: come per la Fiat, dove Sergio Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente medio. Un’esagerazione, la naturale evoluzione del capitalismo, oppure la giusta distanza? In ogni caso l’esatto opposto di quello che viene fuori sfogliando le tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati, in questi giorni all’esame dall’Aula. La distanza fra base e vertice è minima, la piramide delle busta paga si schiaccia come nemmeno negli Stati Uniti del 1940. E non perché la retribuzione dei vertici sia bassa, ma perché quella della base è molto elevata.
Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione. Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato. Gli operatori tecnici - categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio - vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.
Una piramide schiacciata verso l’alto, appunto. E una fotografia che ha davvero poco a che fare con le busta paga del resto dei lavoratori, sia del settore privato che di quello pubblico. Per capire: il reddito medio degli italiani, al netto della nostra evasione fiscale record, si ferma di poco sotto i 20 mila euro lordi l’anno. Quasi la metà di un centralinista della Camera dei deputati ad inizio carriera. E di esempi possibili ce ne sono altri ancora. Gli oltre 400 assistenti parlamentari, cioè i commessi di Montecitorio, guadagnano in media come il direttore di una filiale di banca, eppure in generale non svolgono compiti molto diversi dagli uscieri di altri simili uffici pubblici. Inoltre, sono numerosissimi: 0,7 per ogni deputato, dopo il taglio voluto dall’attuale segretario generale, mentre dieci anni fa il rapporto era addirittura 1 a 1. La busta paga degli oltre 170 «consiglieri parlamentari» ha in media lo stesso peso di quella di un primario ospedaliero, ma a fine carriera supera i 350 mila euro l’anno. Mentre il primario ha la responsabilità di un reparto, i consiglieri si limitano a svolgere attività di studio e ricerca, o di assistenza giuridico legale e amministrativa. Tutto bene così?

In realtà a complicare i conteggi c’è anche quella selva di indennità che si aggiungono allo stipendio minimo e che riguardano tutti i livelli dell’amministrazione: dai 662 euro netti mensili riservati al segretario generale giù fino ai 108,97 euro, sempre netti e al mese, per gli autisti parcheggiatori, passando per gli 85 riservati a chi lavora in cucina e per i 108 incassati dagli addetti al recapito della corrispondenza.
Ma, pur con la sua piramide schiacciata verso l’alto, la Camera almeno un merito ce l’ha. L’approvazione del bilancio arriva dopo che già quest’estate i dati sugli stipendi dei dipendenti erano stati resi pubblici: un file scaricabile direttamente dal sito internet conferma quelli che per anni erano stati solo sussurri e pettegolezzi. Un’operazione trasparenza, che al Senato non si è ancora vista. Da settimane si dice che gli stessi dati dovrebbero essere pubblicati a breve da Palazzo Madama. Anche quella è una piramide schiacciata, anche quella verso l’alto, probabilmente un po’ più in alto rispetto alla Camera. Ma per il momento bisogna accontentarsi di qualche vecchio dato e di qualche nuovo sussurro.

31 ottobre 2013
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STRETTA SU AUTO BLU E CONSULENZE
È legge il decreto che taglia e razionalizza P.A.
Il decreto sulla Pubblica amministrazione, convertito ieri in via definitiva in legge dal Senato (in terza lettura con 174 sì, 53 no), punta a razionalizzare i meccanismi delle assunzioni, favorire la mobilità e garantire gli standard e i livelli di efficienza. Obiettivo considerato un ulteriore passo verso la revisione della spesa pubblica. Ecco i punti principali della legge, approvata in prima lettura dal Senato il 10 ottobre, emendata dalla Camera il 24 ottobre e convertita in legge un giorno prima della sua scadenza.

ILVA-RIVA ACCIAI: in caso di sequestro di società, beni o quote il custode giudiziario ne può consentire l'uso agli organi societari per garantire la continuità aziendale. Si tratta di un emendamento che consente la continuità di produzione messo a punto dopo le vicende della Riva Acciai.

AUTO BLU-CONSULENZE: Il tetto di spesa per le auto blu scende dall'80% al 60%, con un ulteriore giro di vite del 10% sulle consulenze esterne il cui tetto di spesa per il 2014 passa al 75%.

BUONUSCITE D'ORO: Freno alle buonuscite d'oro di dirigenti di società partecipate dalle amministrazioni pubbliche. Le società controllate, in assenza di preventiva autorizzazione, non possono inserire clausole al momento della cessazione del rapporto di lavoro che prevedono "benefici economici superiori a quelli derivanti dal contratto collettivo di lavoro".

STIPENDI RAI: è esteso anche alla società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo l'obbligo di comunicare alla presidenza del Consiglio e al ministero dell' Economia il costo annuale del personale, relativamente ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo. È così confermato l'emendamento, inserito dalla Lega alla Camera, sulla pubblicità degli stipendi Rai.

CIVIT: la Commissione indipendente per la valutazione e la trasparenza diventa un'agenzia senza scorpori ma con rafforzamenti dell'organico e assume la denominazione di Anac, Autorità nazionale anticorruzione.

TESTIMONI DI GIUSTIZIA: estesa la possibilità di inserimento nella Pubblica amministrazione anche a chi è uscito dal programma di protezione.

LAVORO FLESSIBILE: è consentito solo per esigenze temporanee ed eccezionali.

CONCORSI: Viene sanzionata la stipulazione di contratti che eludono l'obbligo di reclutamento tramite concorso. Non più fino al 31 dicembre 2015, ma anche per tutto il 2016 le Pubbliche amministrazioni potranno effettuare assunzioni utilizzando solamente le proprie graduatorie di vincitori e idonei ancora in vita. E i nuovi concorsi (sempre fino al 31 dicembre 2016 e non più fino al 2015) saranno riservati "esclusivamente" ai precari con tre anni di servizio nelle Pa negli ultimi cinque, sempre tenuto conto del turnover. Inoltre, precari e vincitori di concorso avranno priorità nelle assunzioni pubbliche fino al 2016.

VIGILI DEL FUOCO: si incrementa di mille unità l'organico, prorogando la validità delle graduatorie di concorsi pubblici.

CROCE ROSSA: I Comitati locali e provinciali della Croce Rossa italiana esistenti al 31 dicembre 2013 acquisteranno la personalità giuridica di diritto privato e saranno iscritti di diritto ai registri provinciali delle Associazioni di promozione sociale.

SISTRI: Per quanto riguarda il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, alcune categorie vengono escluse dalla tenuta dei registri di carico e scarico, tra queste le aziende agricole. C'è una proroga per le sanzioni, che si applicano a decorrere dalla scadenza di 90 giorni dopo la data di avvio dell'operatività del Sistri.

ISTITUTI SCOLASTICI ALL'ESTERO: non c'è più l'assunzione di personale in loco per gli istituti scolastici all'estero e si stabilisce il raccordo agli ordinamenti delle scuole statali in territorio nazionale. Finora era prevista l'assunzione di supplenti con contratti locali.
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VITTORIA DEL CORAGGIO / L'UNGHERIA AUMENTA LE PENSIONI! (DOPO AVER CACCIATO L'FMI E PAGATI I DEBITI INTERNAZIONALI)
martedì 29 ottobre 2013
Budapest - Mentre il governo sta massacrando e impoverendo gli italiani con misure lacrime e sangue l'Ungheria sta andando nella direzione opposta grazie alla messa in atto di misure aventi lo scopo di aiutare le fasce deboli e rilanciare l'economia.

Questa rivoluzione e' iniziata alcuni mesi fa quando il governo ungherese, con una mossa a sorpresa, ha deciso di estinguere con due anni di anticipo il debito contratto col Fondo Monetario Internazionale e chiesto ai suoi funzionari di chiudere il loro ufficio e lasciare il paese.

Una volta libero da pressioni ricattatorie l'esecutivo ungherese ha iniziato ad adottare una serie di misure volte a stimolare i consumi e incrementare il reddito delle famiglie  quali la riduzione del 10% dei prezzi di gas naturale, luce e riscaldamento centralizzato,  acqua, nettezza urbana, raccolta di rifiuti e rimozione scarti e dal primo Novembre sarà effettivo un taglio ulteriore dell'11,1% su luce, gas e riscaldamento.

Inoltre il governo aumenterà le pensioni del 2,4% allo scopo di preservarne il potere di acquisto (il settimo ritocco al rialzo delle pensioni in tre anni e mezzo), una modifica che inciderà sulle tasche di 2,8 milioni di persone.

Quello che sta accadendo in Ungheria dimostra i vantaggi di avere un governo che non e' schiavo dei poteri forti e il silenzio dei mezzi di informazione la dice lunga sugli effetti nefasti che tali organizzazioni hanno sul nostro paese nonche' sul servilismo di molti giornalai di regime.

GIUSEPPE DE SANTIS
Fassina, buonsenso rinvio norme contante
Commenta auspicio Pdl per non introdurre limitazioni

30 ottobre, 16:59

(ANSA) - ROMA, 30 OTT - "Sono parole di buonsenso": così il viceministro all'Economia Stefano Fassina replica a chi, a margine dei lavori della commissione Bilancio in Senato, gli chiede di commentare l'auspicio del Pdl di non introdurre misure sul contante nella Legge di Stabilità.
Banche: 15 mln italiani senza conto

Bortolussi, da obbligo tracciabilità pagamenti nuovi problemi
30 ottobre, 16:35
(ANSA) - VENEZIA, 30 OTT - Quasi 15 milioni di italiani non tengono i propri risparmi presso un istituto di credito.
In Europa, fa notare la Cgia, nessun altro Paese conta un numero così elevato di cittadini che non possiede un conto corrente in una banca. "Con quasi 15 milioni di unbanked - dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia - introdurre l'obbligo della tracciabilità dei pagamenti potrebbe dar luogo a parecchi problemi".


Autorità Nazionale Palestinese: critica nuovi insediamenti: Israele distrugge processo pace
(ASI) Ramallah - "Nuovi insediamenti israeliani a Gerusalemme Est distruggono il processo di pace e sono una dimostrazione del fatto che Israele non rispetta le leggi internazionali". Lo ha detto il portavoce dell'Autorita' Nazionale palestinese (Anp), Nabil Abu Rudeina, criticando duramente la decisione presa dal regime di Netanyahu di costruire 1.500 nuove case per i coloni a Gerusalemme est. "Tutte le attivita' di colonizzazione sono illegali e nessun insediamento deve rimanere sul territorio palestinese''.
Agenzia Stampa Italia
Fonte: Irib
Ungheria. La Banca Centrale caccia il FMI
(ASI) "Grazie per l’aiuto ma ora non abbiamo più bisogno di voi. Potete anche chiudere bottega". Firmato, l’Ungheria. Destinatario, il Fondo Monetario Internazionale. Il quale, ora, dovrà chiudere gli uffici di Budapest, dopo che nel 2008 aiutò il Paese magiaro a risolvere la situazione difficile dovuta all'insolvenza.
In una lettera indirizzata al numero uno Christine Lagarde, il governatore della banca centrale ungherese György Matolcsy ha affermato che il Paese restituirà in anticipo le ultime tranche del prestito contratto dopo la crisi finanziaria del 2008. "Dal momento che i termini stabiliti dall'accoro stretto tra l'Ungheria e le autorità internazionali sta per garantire aiuti esterni allo Stato dell'Est Europa, siamo arrivati alla conclusione che non è più necessario mantenere un ufficio di rappresentanza dell'FMI", ha scritto Matolcsy.
Il Governo Orban tenta così di riacquisire un altro importante tassello della propria sovranità nazionale.
Redazione Agenzia Stampa Italia
Venerdì 19 Luglio 2013 07:43

mercoledì 30 ottobre 2013

L’EURO VICINO A QUOTA 1,40 COL DOLLARO
Doveva rompersi, ora è troppo forte L’EURO VICINO A QUOTA 1,40 COL DOLLARO

La famosa «maledizione dell’euro» colpisce ancora. Nonostante la ripresa della sua economia sia fragile e il Fondo monetario internazionale preveda un ben magro tasso di crescita annuale del Pil - meno 0,4 per cento nel 2013 e più 1 per cento nel 2014 contro l’1,6 e il 2,6 per gli Stati Uniti - l’euro ha raggiunto il picco degli ultimi due anni contro il dollaro e si è rivalutato di circa il 10 per cento rispetto alle valute dell’insieme dei suoi partner commerciali.

Le ragioni sono molte. In parte, ma non solo, spiegate dalla incertezza sul futuro dell’economia Usa, provocata dalla caotica discussione sul debito pubblico negli Stati Uniti e dalla aggressività della politica monetaria giapponese. Ma la verità è che, qualsiasi cosa succeda altrove, appena la situazione comincia a migliorare la nostra moneta si apprezza. E infatti, nonostante le nostre prospettive di crescita siano modeste, il peggio sembra essere passato e, dalla seconda meta di quest’anno, i segnali di ripresa sono emersi in modo sempre piu convincente sia nel Sud sia nel Nord della zona euro.
Con una moneta forte le nostre merci all’estero sono più care (a meno che non si compensi l’effetto cambio con un taglio dei costi). Questo implica una perdita di competitività nel breve-medio periodo che potrebbe rallentare la crescita delle nostre esportazioni fuori dell’area euro, cioè in quelle economie che mostrano un maggiore vigore della domanda.

C’è chi obbietta a questa osservazione che la competitività di un Paese non si gioca sul cambio, ma sulla produttività, l’innovazione, la capacità di conquistare nuovi mercati e che l’euro forte non ha impedito ai Paesi membri, Spagna e Irlanda per esempio, di passare da un grande deficit della bilancia commerciale a un surplus.
I Paesi della moneta unica hanno risposto alla crisi contraendo la domanda interna e, con più o meno successo, accrescendo la quota delle esportazioni sul Prodotto interno lordo (Pil). Nel 2013 il Fondo monetario stima che la zona euro nel suo insieme raggiungerà un surplus del 2,5 per cento del Pil. Chi ce l’ha fatta ha ottenuto risultati scommettendo sui mercati esteri, in particolare sui Paesi emergenti.

Nonostante queste osservazioni, un euro che a questo punto della congiuntura europea si rafforza ulteriormente è un fattore preoccupante che potrebbe mettere a rischio la ripresa. Le ragioni sono due.
La prima: il surplus della bilancia commerciale in Paesi come Italia e Spagna è finanziato da un eccesso di risparmio nel settore privato in una situazione in cui la domanda di consumo e investimento è debole. Le banche, nonostante il buon andamento dei depositi, non prestano sia perché devono aggiustare i loro bilanci, sia perché la domanda è debole. D’altro canto lo Stato - indebitato - deve piazzare i suoi titoli pubblici e questi vengono comprati dalle banche. Nello stesso tempo le imprese, complessivamente, hanno un eccesso di liquidità.

Questo meccanismo ha reso Paesi come Spagna e Italia meno vulnerabili alla volatilità degli investitori esteri poiché il debito pubblico è sempre più in mani domestiche, ma ha «imbastito» l’economia. Con una domanda interna debole che con ogni probabilità rimarrà tale anche con la ripresa, il fattore trainante della crescita sono le esportazioni e in particolare quelle al di là dei confini dell’eurozona. Colpirle ora significa correre il rischio di perdere il treno della ripresa dell’economia mondiale e rendere molto più doloroso l’aggiustamento necessario all’assorbimento del debito. La seconda ragione è dovuta al fatto che l’euro forte esercita una pressione al ribasso sui prezzi in un contesto in cui l’inflazione, all’1,1 per cento, è così contenuta da far temere l’entrata in un regime di deflazione simile a quello vissuto dal Giappone negli ultimi vent’anni. La deflazione (la generale diminuzione di prezzi) agisce negativamente sul consumo: chi spende oggi se ci si aspetta che i costi saranno più bassi domani? Inoltre, accresce il peso reale del debito che, insieme alla bassa crescita, è un fattore di rischio per la sua sostenibilità. Come il Giappone insegna, una volta che la deflazione si innesta, è molto difficile liberarsene. Essa modifica i comportamenti dei consumatori e spinge l’economia verso la stagnazione.

Mario Draghi ha recentemente dichiarato di guardare con preoccupazione alla rivalutazione dell’euro, non tanto per i suoi effetti diretti sull’export ma per quelli indiretti su Pil e inflazione. La Banca centrale europea, come la Federal reserve, non ha un target esplicito sul tasso di cambio, ma deve agire con forza se la dinamica di quest’ultimo dovesse avere l’effetto sui prezzi che è ragionevole prevedere. Ci auguriamo che lo faccia con forza, utilizzando le cartucce che ha ancora a disposizion e .
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30 ottobre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATALa famosa «maledizione dell’euro» colpisce ancora. Nonostante la ripresa della sua economia sia fragile e il Fondo monetario internazionale preveda un ben magro tasso di crescita annuale del Pil - meno 0,4 per cento nel 2013 e più 1 per cento nel 2014 contro l’1,6 e il 2,6 per gli Stati Uniti - l’euro ha raggiunto il picco degli ultimi due anni contro il dollaro e si è rivalutato di circa il 10 per cento rispetto alle valute dell’insieme dei suoi partner commerciali.

Le ragioni sono molte. In parte, ma non solo, spiegate dalla incertezza sul futuro dell’economia Usa, provocata dalla caotica discussione sul debito pubblico negli Stati Uniti e dalla aggressività della politica monetaria giapponese. Ma la verità è che, qualsiasi cosa succeda altrove, appena la situazione comincia a migliorare la nostra moneta si apprezza. E infatti, nonostante le nostre prospettive di crescita siano modeste, il peggio sembra essere passato e, dalla seconda meta di quest’anno, i segnali di ripresa sono emersi in modo sempre piu convincente sia nel Sud sia nel Nord della zona euro.
Con una moneta forte le nostre merci all’estero sono più care (a meno che non si compensi l’effetto cambio con un taglio dei costi). Questo implica una perdita di competitività nel breve-medio periodo che potrebbe rallentare la crescita delle nostre esportazioni fuori dell’area euro, cioè in quelle economie che mostrano un maggiore vigore della domanda.

C’è chi obbietta a questa osservazione che la competitività di un Paese non si gioca sul cambio, ma sulla produttività, l’innovazione, la capacità di conquistare nuovi mercati e che l’euro forte non ha impedito ai Paesi membri, Spagna e Irlanda per esempio, di passare da un grande deficit della bilancia commerciale a un surplus.
I Paesi della moneta unica hanno risposto alla crisi contraendo la domanda interna e, con più o meno successo, accrescendo la quota delle esportazioni sul Prodotto interno lordo (Pil). Nel 2013 il Fondo monetario stima che la zona euro nel suo insieme raggiungerà un surplus del 2,5 per cento del Pil. Chi ce l’ha fatta ha ottenuto risultati scommettendo sui mercati esteri, in particolare sui Paesi emergenti.

Nonostante queste osservazioni, un euro che a questo punto della congiuntura europea si rafforza ulteriormente è un fattore preoccupante che potrebbe mettere a rischio la ripresa. Le ragioni sono due.
La prima: il surplus della bilancia commerciale in Paesi come Italia e Spagna è finanziato da un eccesso di risparmio nel settore privato in una situazione in cui la domanda di consumo e investimento è debole. Le banche, nonostante il buon andamento dei depositi, non prestano sia perché devono aggiustare i loro bilanci, sia perché la domanda è debole. D’altro canto lo Stato - indebitato - deve piazzare i suoi titoli pubblici e questi vengono comprati dalle banche. Nello stesso tempo le imprese, complessivamente, hanno un eccesso di liquidità.

Questo meccanismo ha reso Paesi come Spagna e Italia meno vulnerabili alla volatilità degli investitori esteri poiché il debito pubblico è sempre più in mani domestiche, ma ha «imbastito» l’economia. Con una domanda interna debole che con ogni probabilità rimarrà tale anche con la ripresa, il fattore trainante della crescita sono le esportazioni e in particolare quelle al di là dei confini dell’eurozona. Colpirle ora significa correre il rischio di perdere il treno della ripresa dell’economia mondiale e rendere molto più doloroso l’aggiustamento necessario all’assorbimento del debito. La seconda ragione è dovuta al fatto che l’euro forte esercita una pressione al ribasso sui prezzi in un contesto in cui l’inflazione, all’1,1 per cento, è così contenuta da far temere l’entrata in un regime di deflazione simile a quello vissuto dal Giappone negli ultimi vent’anni. La deflazione (la generale diminuzione di prezzi) agisce negativamente sul consumo: chi spende oggi se ci si aspetta che i costi saranno più bassi domani? Inoltre, accresce il peso reale del debito che, insieme alla bassa crescita, è un fattore di rischio per la sua sostenibilità. Come il Giappone insegna, una volta che la deflazione si innesta, è molto difficile liberarsene. Essa modifica i comportamenti dei consumatori e spinge l’economia verso la stagnazione.

Mario Draghi ha recentemente dichiarato di guardare con preoccupazione alla rivalutazione dell’euro, non tanto per i suoi effetti diretti sull’export ma per quelli indiretti su Pil e inflazione. La Banca centrale europea, come la Federal reserve, non ha un target esplicito sul tasso di cambio, ma deve agire con forza se la dinamica di quest’ultimo dovesse avere l’effetto sui prezzi che è ragionevole prevedere. Ci auguriamo che lo faccia con forza, utilizzando le cartucce che ha ancora a disposizion e .
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30 ottobre 2013
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PRIMA 29 Ottobre 2013 Il Sole 24 Ore
CINA/ LE DIFFICILI RIFORME
Le fiamme a Tiananmen bruciano i privilegi di Stato
Francesco Sisci

È come se fosse scoppiata una bomba a San Pietro prima di un Conclave. Questo è ora per la Cina quell'auto scaraventata a piazza Tiananmen ieri a mezzogiorno, nell'imminenza dell'apertura di un Plenum del partito, previsto per il 2 novembre, che annuncia riforme straordinarie. Il veicolo si è incendiato, ha ucciso i tre passeggeri a bordo e altre due persone e ne ha ferite decine tra poliziotti di guardia e turisti di passaggio. Molte ore dopo l'evento, non si sa ancora se sia stato un incidente o un attentato. Alcuni testimoni dicono di avere sentito uno scoppio, ma potrebbe essere stato solo il fracasso della carrozzeria contro i pesanti guardrail di metallo ai bordi della piazza. Altri riferiscono che il veicolo correva già da molti metri vicino al marciapiede, ma forse l'autista non si era sentito bene.


In ogni caso l'evento non ha precedenti nella storia cinese e, azione pianificata o caso che sia, pare simboleggiare oggi tutta la drammaticità delle grandi riforme economiche spinte dal presidente Xi Jinping. Che dovrebbero finalmente azzoppare le grandi e inefficienti imprese di Stato, che inquinano e distorcono il mercato, e dovrebbero dare invece condizioni davvero eque alle imprese private, da sempre traino dello sviluppo nazionale ma ufficialmente solo cenerentole alla corte dello Stato cinese.
Tiananmen è infatti luogo simbolico e sacro per la Repubblica popolare. La piazza fu pensata da Mao che voleva uno spazio più grande della piazza Rossa di Mosca. Doveva essere teatro di adunate oceaniche che avrebbero dovuto fare impallidire quelle sovietiche. Qui nel 1966 il Grande Timoniere lanciò la feroce Rivoluzione Culturale davanti a milioni di giovani guardie rosse fatte confluire da ogni angolo del Paese. Qui Mao finì di fatto il suo regno dieci anni più tardi, quando a migliaia inondarono la piazza per celebrare la recente scomparsa del premier Zhou Enlai in un gesto di sfida proprio contro la Rivoluzione Culturale.
Qui ancora nel 1989 insorsero gli studenti che volevano democrazia subito, e qui tentarono di bruciarsi nel 2000 alcuni attivisti della setta messa fuorilegge dei Falun Gong. Dall'89 la piazza è proibita a manifestazioni e dal 2000 in ogni angolo ci sono estintori e poliziotti in borghese pronti a intervenire contro ogni gesto di protesta. Ma non si poteva prevedere l'auto lanciata contro il guardrail.
Da domani di certo la sicurezza sarà raddoppiata, nuove misure di prevenzioni introdotte. Ma resta il fatto che il controllo totale non è immaginabile. Così anche senza pensare a proteste politiche è impossibile prevenire le azioni di un matto o di qualcuno impazzito quando ci si siede tra circa 1,4 miliardi di cittadini cinesi.
Paradossalmente solo maggiore apertura e trasparenza possono permettere se non la prevenzione almeno una gestione positiva del dopo, eventuale, incidente. Silenzi imbarazzati di ore, difficoltà a comunicare, come è successo in questo caso, rendono solo molto difficile capire cosa è accaduto e credere alla versione ufficiale, qualunque essa sia. Resta poi il simbolo. Il presidente Xi, dopo 30 anni di riforme che avevano dapprima introdotto timidamente l'impresa privata, si appresta a un passaggio rivoluzionario.
Accordare eguaglianza di accesso al mercato per inefficienti imprese statali ed efficienti imprese private significa condannare le imprese statali a un ruolo che dovrebbe diventare minore. Xi ha fatto sapere che le aziende di Stato perderanno i privilegi dei vari monopoli che ora detengono, il loro speciale accesso al credito e più competizione verrà introdotta in molti settori del mercato.
Questo passaggio è cruciale per garantire che la crescita cinese proceda in maniera veloce nei prossimi decenni e non si areni intorno al 2020. Solo che queste riforme stanno già creando eserciti di nemici a Xi. Stuoli di boiardi di Stato, grandi e piccoli, temono giustamente nella riduzione del loro potere e delle loro prebende. Per questo si oppongono da mesi alle riforme sventolando la bandiera ideologica del maoismo e agitando lo spettro dei pochi malvagi imprenditori privati contro la folla di quelli rimasti in fondo alla scala sociale dello sviluppo. Ma riconoscere apertamente questa opposizione sarebbe darle legittimità e forza, ostacolando le riforme stesse. Quindi Xi deve usare la bandiera del maoismo per sottrarla ai suoi nemici e mettere il bavaglio all'opinione pubblica per evitare una coalizione di forze contro le riforme in corso.
L'auto in fiamme a Tiananmen diventa il vero o accidentale gesto di protesta contro le riforme, è il simbolo delle tante e grandi difficoltà che Xi ha incontrato e incontrerà nel riformare la struttura economica profonda del Paese.
Per la Cina si preparano anni di difficile lotta politica. Se Xi e la sua economia privata ed efficiente vincerà, in dieci anni il Paese potrebbe avere una moneta pienamente convertibile (come dovrebbe annunciare il Plenum) e dopo anche una qualche forma di democrazia politica, mentre lo sviluppo potrebbe continuare a ritmi sostenuti fino a oltre la metà del secolo. Se Xi invece verrà sconfitto, la strada dell'involuzione di tipo sovietico è già tracciata politicamente ed economicamente.
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Breaking News 24  29/10/2013 - 12:10
Morellato: Sace garantisce 8mln credito per 600 negozi in Cina e Hong Kong
Finanziamenti da Intesa Sanpaolo e UniCredit

Radiocor - Roma, 29 ott - Sace ha garantito due linee di credito del valore complessivo di 8 milioni per sostenere l'espansione in Cina di Morellato, il marchio padovano simbolo del lusso accessibile Made in Italy attivo nei settori della gioielleria e dell'orologeria. I finanziamenti, erogati in parti uguali da Intesa Sanpaolo e UniCredit, sono destinati a sostenere le spese di apertura di 600 nuovi punti vendita in Cina e Hong Kong, le esigenze di capitale circolante per far fronte all'aumento delle forniture in Asia e i costi per le attivita' promozionali e pubblicitarie. 'La Cina rappresenta una grande sfida per la gioielleria italiana - dichiara Massimo Carraro, amministratore delegato di Morellato - e stiamo avviando un ambizioso piano di crescita nel Paese'.
Breaking News 24 28/10/2013 - 10:32
### Cina: nel 2013 supera gli Usa nella spesa online - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*

Radiocor - Milano, 28 ott - Nel 2013 la spesa online dei consumatori cinesi superera' quella statunitense. Il sorpasso e' contabile e psicologico, la popolazione cinese e' infatti quattro volte quella degli Usa.

Ma e' significativa e' la speditezza del sorpasso: Bain ha rilevato che negli ultimi 3 anni l'incremento medio in Cina e' stato del 71% e Li&Fung rileva valori ancora piu' alti. I tassi di crescita sono ovviamente destinati a diminuire, ma il valore assoluto delle transazioni non subira' flessioni. E' previsto che alla fine del 2016 l'e-tail, sintesi tra la vendita con canali elettronici e la contrazione di retail rappresentera' il 10,6% delle vendite al dettaglio, a fronte di una percentuale del 6,2% nel 2012. Questa ascesa vertiginosa e' andata al di la' delle previsioni e deriva dalla piu' grande popolazione di internauti al mondo (piu' di 600 milioni) e da una vocazione al consumo che solo da alcuni anni, con il miglioramento dei redditi disponibili, ha assunto valori che si avvicinano a quelli delle societa' industrializzate. Il tessuto commerciale tradizionale non e' stato tuttavia penalizzato dall'on-line shopping, certamente non l'ha soppiantato. Rimangono i negozi tipici delle citta' cinesi, cosi' come continuano a progredire i supermercati e la grande distribuzione. La grande maggioranza degli acquisti on-line avviene attraverso piattaforme elettroniche specializzate e indipendenti, che funzionano come intermediari. L'azienda piu' famosa, simbolo della moderna imprenditoria cinese, e' Alibaba. Fondata dal tycoon Jack Ma a Hangzhou nel 1999, e' riuscita a intercettare le aspirazioni di ceti sociali nascenti con le possibilita' offerte dalla rete e dall'elettronica. Non sorprende che l'azienda tenti di aggredire il mercato statunitense ed ha gia' anticipato i piani per lanciare l'Ipo a Wall Street. L'affermazione di Alibaba conferma che le vendite al dettaglio, anche di produttori di medie dimensioni, sono ancora insufficienti rispetto alle richieste del mercato. E' questo un terreno nel quale i limiti del marketing cinese trovano conferma. Gli addetti non godono della necessaria combinazione tra padronanza digitale e capacita' comunicativa. Preparare un sito e' diverso da allestire le vetrine di un negozio. I cataloghi online sono frammentati, pieni di immagini, per assecondare il desiderio dei visitatori di percepire un catalogo reale. Non tutti hanno le capacita' logistiche degli intermediari e solo poche aziende hanno i mezzi e la capacita' di costruire piattaforme sofisticate. Il Governo ha varato norme che incoraggiano l'e-commerce, nella speranza di stimolare i consumi interni. Ma la sfida piu' immediata sara' sostituire la supremazia del servizio rispetto al prezzo. Gli acquirenti sono inondati da beni di consumo a prezzi irrisori, sostituirli con un'eccellenza nelle consegne, nel credito e nella sicurezza sara' un'altra delle prove di maturita' alle quali il paese e' chiamato.

* Presidente di Osservatorio Asia
Studiosi stranieri a Tuvixeddu: “Sito inestimabile, perché è abbandonato?”
Un patrimonio culturale e storico dal potenziale inestimabile, un unicum in tutto il Mediterraneo che il mondo ci invidia. La reazione dei 35 studiosi internazionali davanti allo scenario di Tuvixeddu, immensa necropoli fenicio-punica nel cuore di Cagliari, non poteva che essere di stupore durante la visita organizzata sabato scorso nell’ambito dell’VIII Congresso internazionale di studi fenicio-punici coordinato da Piero Bartoloni, professore di archeologia presso l’Università di Sassari: gli specialisti di storia antica in arrivo da Spagna, Francia, Tunisia, Marocco, Germania, Giappone, Brasile, Belgio, Grecia, Malta e Italia sono stati accompagnati sul colle da Vincenzo Tiana, presidente di Legambiente Sardegna, dall’archeologo Alfonso Stiglitz ed altri esperti di Legambiente .

“Studio Tuvixeddu da più di 35 anni – sottolinea Alfonso Stiglitz – e capisco perfettamente la reazione di meraviglia da parte degli specialisti arrivati qui da tutto il mondo: si sono trovati davanti al sito archeologico più importante della Sardegna, un’area immensa con oltre 1500 tombe fenicio- puniche seconda per importanza ed estensione solo a quella di Cartagine”.

“È la seconda volta – la prima è stata con la delegazione della Rotta dei Fenici, itinerario riconosciuto dal Consiglio d’Europa – che osserviamo un tale riscontro, che va dalla meraviglia per questo straordinario patrimonio nel cuore della città di Cagliari allo stupore che non sia ancora una tappa riconosciuta del turismo internazionale. E oggi che si parla di Cagliari Capitale Europea Della Cultura ci sembra ancora più grave che non sia stato ancora stato realizzato un grande parco archeologico-paesaggistico”, hanno dichiarato Vincenzo Tiana e Roberta Sanna.

L’area è occupata ininterrottamente dal Neolitico recente fino ai giorni nostri, e se pure ha resistito al passaggio dei millenni non sembra potrà reggere ancora per molto: gli ultimi dieci anni per il colle cittadino sono trascorsi tra interventi di edilizia, processi e accuse tra privati, il contenzioso infinito tra Regione, Comune e la società Coimpresa di Gualtiero Cualbu, vincoli ambientali e culturali approvati e poi annullati. L’ultima puntata, il lodo con cui la Regione è stata condannata a versare nelle casse di Coimpresa un indennizzo di 70 milioni di euro.

Sul versante processuale, l’unico condannato, al momento, è Vincenzo Santoni, ex Soprintendente ai Beni Archeologici di Cagliari e Oristano: un anno di reclusione per falso e abuso d’ufficio, avrebbe dato il via libera ai lavori sul colle affermando che da tempo non c’erano stati ritrovamenti archeologici significativi al di fuori dell’area già tutelata. E, accusa non secondaria, non si sarebbe astenuto dall’intervenire nella Commissione Paesaggio che decideva sull’area nonostante sua figlia, Valeria Santoni, lavorasse nell’impresa costruttrice di Cualbu.

Il grande complesso residenziale tra Tuvixeddu e Tuvumannu avviato grazie a un accordo di programma tra Regione e Comune fu bloccato nel 2008 da una sentenza del Consiglio di Stato e del Tar. Da allora la città attende ancora il grande parco archeologico e naturalistico annunciato tanti anni fa e mai realizzato, ad eccezione dell’area di cinque ettari a ridosso di via Falzarego  che presto sarà aperta al pubblico grazie a un cantiere comunale.  Il portale tematico della Regione Sardegna dedicato a Tuvixeddu, voluto dalla giunta Soru, non viene aggiornato dal dicembre 2008. “Manca totalmente un progetto omogeneo e lungimirante sull’area – sottolinea Vincenzo Tiana – il degrado oggi è sotto gli occhi di tutti”.

Il colle di Tuvixeddu e il vicino Tuvumannu non sono solo tesori di archeologia: alla necropoli con tombe ipogeiche di età punica e alle tombe monumentali romane si affiancano un sistema minerario attivo dalla preistoria, le postazioni antiaeree della seconda guerra mondiale, le architetture liberty e una grande area verde: sessanta ettari di storia antica al centro della città, un caso unico nel Mediterraneo.

L’immenso valore del sito è noto sin dalla fine dell’Ottocento con le notizie pubblicate da Giovanni Spano e dai primi scavi di Antonio Taramelli, Soprintendente ai Beni Culturali a partire dai primi del Novecento. Dagli anni Sessanta furono scoperte e scavate le tombe più ricche, quella di Sid e quella dell’Ureo, con le splendide pitture in stile egizio. Molti dati su Tuvixeddu sono andati perduti (insieme a tantissimi gioielli e corredi funerari dispersi nel mercato clandestino) ma non c’è dubbio che la necropoli fosse la più imponente ed estesa del Mediterraneo.

Eppure, nonostante l’immenso patrimonio che Cagliari conserva da millenni, oggi il sito è chiuso al pubblico, minacciato da degrado, incuria e inerzia nonostante appelli e raccolte di firme da parte di Legambiente. E gli studiosi da tutto il mondo si chiedono perché.

Francesca Mulas

domenica 27 ottobre 2013

Centenari, in città l’elisir di lunga vita
Dai dati dell’anagrafe emerge che sono diciassette i nonni residenti nella Riviera del Corallo ad aver superato il secolo
di Gianni Olandi
ALGHERO. La longevità nella Riviera del Corallo non è da Guiness dei Primati come quella dell’Ogliastra - Villanova Strisaili in particolare nel 2014 sarà inserita nel famoso libro dei record - ma anche da queste parti gli ultracentenari si difendono bene: sono 17 , dei quali 6 uomini e ben 11 nonnine. In cima alla graduatoria c'è Erminia Ljubenko, 106 anni compiuti il 4 maggio scorso, che però il 3 di novembre sarà raggiunta da Enrichetta Sanna. La prima vive in via Einaudi, la seconda nel quartiere della Pietraia. Tra i 17 centenari ce ne sono ben 5 che quest’anno hanno superato il secolo di vita. Quattro sono a quota 101 (un uomo o e tre donne), mentre a 102 sono in tre (2 maschi e una femmina), a 104 in 2 (un maschio e una femmina), e a 105 due nonnine, una delle quali, come già detto, spegnerà 106 candeline tra qualche giorno.
Va ricordato che è nata da queste parti anche la seconda donna più anziana della Sardegna, Filomena Marongiu, di 109 anni, originaria di Villanova Monteleone. Il record nell’isola appartiene a una maddalenina, Giuseppina Projetto, di 111 anni, che in campo nazionale occupa la 26esima posizione. Tornando agli ultra centenari in terra catalana, va detto nella maggior parte vivono tutti in casa con le loro famiglie e che, compatibilmente con l’età, le loro condizioni di salute vengono definite buone. In qualche caso le centenarie di sesso femminile sono autonome al punto da pretendere di continuare a cucinare il loro pranzo e farsi il caffè con la vecchia e irrinunciabile napoletana.
Una delle nonnine, ludicissima e con una memoria di ferro, legge ancora il giornale e quando i figli non lo portano di primissima mattina, infastidita per il ritardo, se ne lamenta in modo piuttosto burbero.
Raccontano i figli di una nonnina che spesso debbono fare fatica a trattenerla a casa perché vuole andare al mercato a fare la spesa. Un’altra ha chiesto che gli venisse acquistato, dai soldi della sua pensione, un telefonino, per chiamare i nipoti.
Un numero così alto di centenari rispetto alla popolazione residente viene definito dai ricercatori e dagli studiosi un elemento di buona vivibilità, di una situazione ambientale complessivamente gradevole, e naturalmente di una alimentazione sana. Tra i 17 centenari catalani non ci sono coppie , nonnine e nonnini sono ormai tutti single.
In passato l’amministrazione comunale aveva adottato l’iniziativa: di celebrare ogni compleanno dei centenaricon una cerimonia in famiglia, nel corso della quale veniva consegnata al festeggiato una targa ricordo. Una attenzione piuttosto gradita con qualche curiosa e simpatica situazione: in più di un caso qualcuno dei festeggiati di targhe ne ha messo da parte diverse. L’occasione del compleanno con tanto di cerimonia ufficiale alla presenza del sindaco aumentava l’interesse intorno al festeggiato, che si vedeva circondato oltre che da diverse generazioni di figli, nipoti e pronipoti, anche dagli amministratori della sua città.
©RIPRODUZIONE RISERVATA                                                                              26 ottobre 2013

sabato 26 ottobre 2013

Rai, la babele dei compensi
Vespa porta a casa 6,3 milioni
Brunetta a Gubitosi: metti tutti gli stipendi su Internet
di ALDO FONTANAROSA
ROMA - Il nemico degli sprechi Rai, il parlamentare che duella con Fazio per il suo compenso (in diretta tv) e che contesta l'approdo milionario di Crozza al servizio pubblico, proprio lui, Renato Brunetta del Pdl, dimentica di mettere il naso in un altro contratto da record.

In queste ore, la tv di Stato sta completando i bonifici in favore di Bruno Vespa per il suo contratto triennale come "conduttore, consulente esperto, ideatore, autore di testi". Tra settembre 2010 e agosto 2013, il mattatore di Porta a Porta può contare intanto su 4 milioni e mezzo. Un minimo garantito, chiamiamolo così. Ma il contratto prevede un primo extra per le puntate di Porta a Porta - tutte già in palinsesto - oltre la centesima. In tre stagioni tv, queste puntate ulteriori (pagate ognuna 12 mila euro) procurano a Vespa un surplus di 901 mila euro.

Poi ci sono gli "speciali". Elezioni Americane? Arrivano altri 43 mila euro. Speciale Elezioni? Ancora 43 mila euro. Alla fine dei conti - tra prestazioni ordinarie e straordinarie - il giornalista porta a casa 6 milioni 320 mila euro lordi nei tre anni. Ed ora Viale Mazzini rinnova il contratto di Vespa per un'altra stagione "alle medesime condizioni economiche e normative" - scrive sempre il capo del Personale - "con l'eccezione di una piccola riduzione del compenso unitario per le puntate di Porta a Porta eccedenti la centesima".

Letta: abbiamo i numeri lo sa anche il Cavaliere
Per Palazzo Chigi il garante è Angelino Alfano
«La maggioranza abbia una piattaforma europea». Il premier a Bruxelles: noi per un’Europa dei popoli e il Ppe è in questa logica
BRUXELLES - Con molto rispetto osserva l’evoluzione del dibattito nel Pdl, nel quale non vuole entrare. La sua certezza, lo ripete qui nella capitale belga, è che dal 2 ottobre esiste una rinnovata maggioranza, dove per il Pdl l’interlocutore in qualche modo unico, garante dell’equilibrio raggiunto, è Angelino Alfano. Sia che resti formalmente a capo del suo partito sia venga in qualche modo retrocesso. Al termine del Consiglio europeo, Enrico Letta dedica alla situazione politica italiana solo poche parole e molto distacco: «Non è un tema del Consiglio, mi sono concentrato sui lavori di questo vertice». Il sorriso è eloquente, come la determinazione nel non aggiungere un solo concetto in più. Le nuove fibrillazioni del partito del Cavaliere sono per il presidente del Consiglio atti interni di un partito che non è il suo, che sta conoscendo una naturale evoluzione dopo la spaccatura del Senato di qualche settimana fa: «Non entro minimamente nelle discussioni di queste ore».
L’unica cosa che preme in questo momento, e in questa sede, al capo del governo è che la maggioranza resti con le stesse qualità che ha ora, profondamente europeista nel senso migliore del termine: «È importante che arrivi alle prossime elezioni con una piattaforma pienamente europea». Una constatazione, un auspicio ma anche una sorta di avvertimento. Letta guida oggi un governo di coalizione che ha in Bruxelles, comunque, un punto di riferimento; se nel Pdl cambiassero le cose la condizione del premier è che oltre ai numeri non si mettano in discussione i capisaldi dell’attuale quadro dell’Unione. Con Roma i contatti avvengono nel viaggio fra la capitale belga e quella francese, dove il premier si sposta nel pomeriggio, per discutere con il primo ministro Jean-Marc Ayrault dei dossier bilaterali e in primo luogo di Alitalia, della possibilità, più concreta ieri pomeriggio, che la nostra compagnia venga cooptata nell’alleanza internazionale che vede Air France come capofila.
Ed è la stessa giornata di Letta a scandire la distanza dalle fibrillazioni del Pdl: al Consiglio europeo ha ottenuto, senza trionfalismo, «un risultato importante sul dramma dell’immigrazione clandestina, l’Europa ha accettato pienamente il concetto di solidarietà, da oggi il tema è di tutta la Ue e a dicembre arriveranno delle decisioni concrete». E poi Datagate, dove si schiera a fianco di Hollande e Merkel senza sfumature, ma rimarca che occorrono «forme di pulizia a tutti i livelli, anche dentro l’Europa», dunque fra alleati. Unione bancaria discussa nella notte alla presenza di Mario Draghi. Oggi un intervento alla Sorbona di Parigi, dopo il dibattito in Consiglio sull’evoluzione delle Tlc in Europa, che «forse produrrà atti concreti, come la fine del roaming e della frammentazione degli operatori nella Ue, entro la fine di questa legislatura europea». Fin troppo forse, o sicuramente, per non mostrarsi assolutamente sereno e distaccato rispetto alla spaccatura del Pdl.
Dal 2 ottobre Letta è convinto che Alfano gli garantisca i numeri sufficienti e un quadro politico stabile, per andare avanti. «E lo sa anche Berlusconi» si ascolta nel suo staff, convinti che il Cavaliere non abbia più carte sufficienti per la partita del governo, semmai solo per mandare segnali politici che non dovrebbero mettere a repentaglio il prossimo anno di legislatura. Del resto Letta ha già detto due volte che il ventennio di Berlusconi è concluso, lo ha ribadito pochi giorni fa, convinto evidentemente che i numeri del Senato, sui quali può contare la compagine governativa del Pdl, non cambieranno più. Con un corollario: «Le prossime elezioni europee saranno un bel confronto fra chi vuole un’Europa dei popoli, noi, e chi una dei populismo. Il Ppe è pienamente nella prima logica». Un altro messaggio a chi è tentato in Italia di scommettere contro questo governo pur restando ancorato al Ppe.

26 ottobre 2013
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giovedì 24 ottobre 2013

NOTIZIARIO ASIA  24/10/2013 - 08:29
Cina: accelera la produzione manifatturiera a ottobre (Hsbc)
Radiocor - Roma, 24 ott - L'industria manifatturiera cinese ha mostrato segni positivi a ottobre, i piu' robusti da sette mesi, cosi' come i nuovi ordinativi e ordini all'export. L'occupazione e' scesa, ma non cosi' rapidamente come nel mese precedente. L'indice Hsbc China Manufacturing Purchasing Managers preliminare e' salito al 50,9 in ottobre rispetto al 50,2 di settembre.
C’era una volta il box auto: prezzi e affitti in picchiata
Crisi dell’auto e costi eccessivi della gestione paralizzano il mercato e fanno crollare i valori

Box auto ma quanto mi costi? In un Paese dove l’automobile ha sempre rappresentato una delle certezze irrinunciabili del cosiddetto cittadino medio, la domanda appare tutt’altro che banale. Soprattutto se si pensa, stando al meno ai dati forniti da Immobiliare.it (www.immobiliare.it), che in tutte le città d’Italia l’offerta dei box è cresciuta in questi anni con percentuali fino al 6% per la vendita e al 9% per gli affitti. Di conseguenza è calata la domanda, facendo abbassare i prezzi fino al 5% per la vendita e fino al 12% per la locazione.

«Complice la crisi economica: non solo molti italiani hanno rinunciato alla propria auto, ma anche i veicoli circolanti sono mediamente più vecchi che in passato – dichiarano a Immobiliare.it – e raramente ha senso custodirli in un box privato. Gli effetti di questo ragionamento sono ormai visibili nelle dinamiche del mercato, soprattutto nei grandi centri urbani».

Sono molti i fattori che hanno portato i prezzi di compravendita del mercato dei box a diminuire in maniera così netta. Oltre alla crisi economica di cui si è detto, va considerato che le nuove costruzioni prevedono obbligatoriamente un garage per ciascuna unità abitativa e che nei centri urbani, sempre più spesso caratterizzati da Zone a Traffico Limitato o con accesso a pagamento, si usano sempre meno le automobili private, preferendo i mezzi pubblici o quelli di condivisione come il bike o car sharing.

Le maggiori oscillazioni

riguardano tuttavia le grandi città, con Milano in testa che ha visto crescere più di tutte l’offerta, segnando un +5,7% di box in vendita e un +9,3% di affitti. A Roma il trend è lo stesso: il mercato dei box auto offre in vendita il 5,3% di immobili in più rispetto al 2012 (mentre i prezzi si sono abbassati del 4,3%); addirittura il 7,2% in più riguardo all’offerta di box in affitto, con prezzi più bassi di oltre l’8%.

Caso a sé è rappresentato dai garage che si trovano in vie o in stabili prestigiosi: nonostante il calo generalizzato, mantengono costi fino a tre volte superiori alla media. Anche Torino e Bologna registrano l’aumento dell’offerta, rispettivamente del 4,5% e del 4,8% per la vendita e del 6% e del 5,8% per l’affitto.

Per quel che concerne infine i prezzi, i cambiamenti più evidenti si registrano a Genova, dove gli affitti sono scesi del 12,2%, e a Bologna, del 10,9%.

24 OTTOBRE 2013 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Porte Aperte: l'Italia si salverà solo con gli stranieri
"Accogliamoli tutti", il pamphlet di Manconi e Brinis.
Viaggio senza retorica nelle politiche dell'immigrazione

di GAD LERNER
Accogliamoli tutti, gli immigrati. Ma siamo matti? Il titolo del pamphlet di Luigi Manconi e Valentina Brinis a prima vista sembrerebbe un'astuzia dell'editore, escogitato per turbare i benpensanti: Accogliamoli tutti. Una ragionevole proposta per salvare l'Italia, gli italiani e gli immigrati (il Saggiatore, pagg. 115, euro 13).

Gli autori stessi, però, ci invitano a non cadere nella trappola. Accogliamoli tutti, con le dovute precauzioni, va preso alla lettera. La loro è tutt'altro che una provocazione estremista: si tratta di governare un flusso epocale, altrimenti lacerante. Tanto meno è un richiamo ai buoni sentimenti. Anzi. Se una precauzione innerva il saggio di Manconi e Brinis, non è certo quella di solleticare l'ostilità dei prevenuti, ma semmai di non figurare predicatori di bontà o, peggio, "buonisti": l'orrendo neologismo abusato da anni nel dibattito pubblico sull'immigrazione, funestato dalla diffidenza e dal rancore.

Manconi e Brinis enumerano le cifre avvilenti di una demografia che sembra destinare inevitabilmente l'Italia a trasformarsi in "una comunità sfilacciata e depressa, bolsa e senescente, incapace di innovazione e di invenzione". Fanno impressione, queste cifre: il censimento del 2011 registra circa 15.000 persone che si trovano nella fascia d'età 100-105 anni. Sono più di mezzo milione gli ultranovantenni. Complessivamente, gli italiani con più di 65 anni rasentano i 13 milioni. Invece i nostri vicini di casa, le popolazioni che abitano la sponda Sud del Mediterraneo, sono composte per quasi la metà di giovani al di sotto dei 25 anni. Prescindere da tale contrasto oggettivo sarebbe solo un'ingenua rimozione: qualsiasi modello di società futura implica un governo razionale dei flussi migratori, finalizzato, per quanto ciò sia possibile, a una loro ordinata integrazione.

Nessuna "mielosa retorica" dell'accoglienza, dunque. Anche perché gli immigrati "non mostrano alcuna voglia di correre in nostro soccorso". Gli ostacoli frapposti in Italia all'instaurazione di contratti di lavoro regolari, ai ricongiungimenti familiari e alla continuità dei permessi di soggiorno, perpetuano una condizione servile e ne scoraggiano la stabilizzazione. Li abbiamo incoraggiati a sentirsi estranei. Più realisticamente, si tratta quindi di disinnescare il cortocircuito tra lo stato di marginalità in cui sono ridotti troppi immigrati; e la reazione deviante, irregolare, talora criminale che questa loro marginalità provoca.

La ministra dell'integrazione Cécile Kyenge, che firma l'introduzione del pamphlet, trae la conseguenza politica di questo ragionamento: "Ai fini della sicurezza, fanno più i diritti della repressione". In altre parole, come scrivono Manconi e Brinis, "un'accoglienza dignitosa riduce significativamente insidie e minacce". Dunque è a fini utilitaristici - per il "nostro" bene - e non sulla base di un impulso di generica solidarietà, che va radicalmente capovolta la politica fin qui seguita in materia di immigrazione. Assumere come prima finalità dell'esecutivo il presidio delle frontiere, il respingimento o l'espulsione degli irregolari, è risultato miope oltre che velleitario. Ormai lo sappiamo. L'Italia, d'intesa con l'Unione Europea, deve pianificare con lungimiranza quegli ingressi che finora si è limitata a subire.

Da sei mesi Manconi è presidente della Commissione diritti umani del Senato, ma gli argomenti proposti sotto la voce Accogliamoli tutti sono di natura empirica, piuttosto che giuridica. Comunque mai ideologici. Qui si esprime il sociologo da vent'anni impegnato nella rilevazione dei comportamenti delle comunità locali costrette a fare i conti con l'immigrazione. Siamo un paese che già oggi non potrebbe fare a meno dei suoi quasi 5 milioni di stranieri residenti, l'8% della popolazione. Basti pensare che vengono dall'estero il 77,3% dei (delle) badanti. Più della metà degli addetti alle pulizie. Più di un quarto dei lavoratori edili. Quasi un terzo dei braccianti agricoli.

Se dunque possiamo considerare paradossali, retoriche, le domande poste da Manconi e Brinis - ci conviene espellerli? E se andassero via tutti? E se non venissero più? - ben più concreta appare l'incognita che pende sul nostro futuro: è proprio inevitabile che ha pagare il prezzo della faticosa integrazione degli stranieri debbano essere sempre e comunque i più poveri fra gli italiani?

Benché il libro sia disseminato di numerosi esempi di integrazione riuscita nelle comunità locali, avvenuta spontaneamente o più di rado guidata da amministratori capaci, non c'è dubbio che il non governo del flusso migratorio ha alimentato un contrasto fra svantaggiati. Risultato peraltro conveniente ai soliti ben noti attori politici. Né la legge Turco-Napolitano del 1998, né tanto meno la Bossi-Fini del 2002 hanno consentito la pianificazione armonica dei flussi d'ingresso, orientandoli nella ricerca di lavoro regolare e di soluzioni abitative razionali. Per questo Accogliamoli tutti si conclude proponendo non solo l'abrogazione del reato di clandestinità, ma anche l'introduzione del visto d'ingresso per ricerca di occupazione; in luogo dell'irrealistica pretesa della normativa vigente, secondo cui l'incontro fra domanda e offerta di lavoro dovrebbe realizzarsi (chissà come) nei paesi d'origine.

Nessuna faciloneria. Nessuna celebrazione delle virtù del multiculturalismo. Il libro prende in esame anche i nodi più difficili da sciogliere in materia giuridica, come la poligamia e la mutilazione genitale femminile. Fenomeni certo ultra minoritari che necessitano di una gestione coerente con il nostro diritto, ma al tempo stesso finalizzata alla riduzione del danno. Per esempio la Coop ha risolto il problema della macellazione rituale della carne halal dopo un confronto con la Lega italiana antivivisezione: d'intesa con le comunità islamiche, si procede allo stordimento elettrico preventivo dell'animale da macellare, garantendo così la "convivenza dei valori". Con la buona volontà, le mediazioni si trovano. Purché si riconosca che stiamo costruendo un nuovo modello sociale di cui l'immigrazione sarà componente vitale, non marginale.

Lo Stato moderno europeo costruì quattro secoli fa il suo apparato repressivo nella lotta al vagabondaggio e nel contenimento dei pericoli sociali della miseria. Ma la distinzione fondata allora fra i "nostri" poveri da segregare e/o proteggere, mentre i poveri "forestieri" erano semplicemente da cacciare, non regge più le dinamiche della geopolitica e della demografia. Ne consegue, come scrive la Kyenge, che l'immigrazione deve farsi "progetto"; perché senza di essa non c'è ripresa né "risorgimento".

Accogliamoli tutti è proposta che sgomenterà una classe politica sprovvista di visione storica, sballottata negli
anni scorsi nell'oscillazione fra la pietà e lo spavento delle emozioni popolari. Temo che non sia pronta a discutere queste ragionevoli proposte per salvare gli italiani e gli immigrati. Perfino dopo la tragedia di Lampedusa abbiamo sentito ministri riproporsi portavoce di una funzione di mero contenimento; fingendo di ignorare che, mentre loro facevano la faccia feroce, in Italia si estendevano aree di irregolarità e marginalità. Inutili sentinelle di guardia a un bidone.

martedì 22 ottobre 2013

NOTIZIARIO ASIA                                                                          21/10/2013 - 15:36
### Cina: la successione aziendale nell'era del figlio unico - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*

Radiocor - Milano, 21 ott - Se la demografia puo' essere una minaccia per la Cina, un suo effetto collaterale sara' la gestione degli affari secondo la linea generazionale. Il family business presenta in Cina novita' importanti, dimostrate da ricerche diverse che convergono su un aspetto inedito: non sempre i figli vogliono raccogliere il timone aziendale dei padri. La Cina rimane comunque una societa' conservatrice, per molti versi patriarcale, dove i vincoli di appartenenza svolgono un ruolo nettamente superiore a quello dei paesi industrializzati, soprattutto gli Stati Uniti. Il dinamismo sociale era ridotto e il destino dei figli era quasi sempre indirizzato dalle attivita' dei genitori. Pur confermando un tessuto sociale ancora peculiare, la Cina mostra pero' delle novita'. L'indipendenza dei figli e' imprevista, molto maggiore che in passato. E' uno degli effetti collaterali del cambio epocale del paese. La nuova classe imprenditoriale tra poco andra' in pensione. Nata con la riforma di Deng Xiao Ping negli anni '80 guarda al figlio - stavolta unico - per la successione. Glielo impongono la tradizione e la convenienza. Tuttavia i discendenti non appartengono allo stesso paese dei genitori. Spesso hanno studiato all'estero (proprio su obbligo familiare per rilevare l'azienda), ma li' hanno appreso o comunque sono venuti in contatto con altri stili di vita. Sono cresciuti nell'agiatezza e stanno sperimentando un diverso uso della liberta'. Conoscono la mobilita' in una societa' storicamente stanziale; non hanno in definitiva un destino segnato, seppure dal benessere. Questa novita' non colpisce solo la famiglia. Il valore economico delle aziende private e' infatti enorme, capace di generare il 60% del Pil cinese. Delle 762 aziende quotate nelle Borse di Shanghai e Shenzhen (le A shares) quasi il 40% sono a conduzione familiare. Appare chiaramente il rischio di una flessione economica generale se la transizione non avviene secondo criteri ragionati. Fino a qualche anno fa non esistevano dubbi sulla continuita'; ora la mancanza di una preparazione manageriale specifica - che affondi le radici nelle Universita' - acuisce le defezioni generazionali. Ovviamente la politica del figlio unico non aiuta la successione. E' uno dei numerosi effetti collaterali di questa legge draconiana che ha sconfitto il sottosviluppo ma ha posto serie ipoteche per il futuro. Ora le responsabilita' si addensano sul singolo discendente, sottoposto a pressioni familiare piu' forti in una societa' gia' altamente competitiva. Lo stesso problema non si e' posto per le aziende della diaspora cinese. La numerosita' della prole aveva lasciato libero il patriarca aziendale di scegliere il suo successore. Contemporaneamente il modello di business e' mantenuto tra costanti successi. Il controllo risiede sempre all'interno della famiglia e il Consiglio di Amministrazione e' incapace di prendere decisioni cruciali. La struttura organizzativa rimane semplice, con scarso accesso alle informazioni. Le decisioni importanti sono spesso prese informalmente, senza i crismi dei verbali delle riunioni. Prevale infine l'autofinanziamento, in una cornice di amministrazione che riporta direttamente al fondatore. Questo stile di conduzione degli affari si e' rivelato valido nel sud-est asiatico, dove minori erano le costrizioni e l'imprenditoria cinese poteva far valere le proprie qualita' in un terreno sostanzialmente libero. E' proprio la rimozione di alcuni vincoli che la Cina dovra' immaginare, per evitare che anche un problema generazionale possa diventare l'ennesimo bastone in una ruota che finora ha macinato crescita e sviluppo.

*presidente di Osservatorio Asia
ROMA: SONO MILIONI I DATI SENSIBILI IN MANO AGLI USA
Email, sms, conversazioni: intercettata anche l’Italia. Il Copasir vuole chiarezza
Domani il Comitato parlamentare sui servizi incontrerà il sottosegretario con delega ai servizi Minniti
ROMA - I controlli su telefonate e comunicazioni telematiche riguardano anche l’Italia. Chiamate, email, sms: dietro il paravento della sicurezza nazionale gli Stati Uniti hanno acquisito milioni di dati che riguardano nostri concittadini. La conferma è arrivata circa tre settimane fa, quando una delegazione di parlamentari del comitato di controllo sui servizi segreti è stata in missione negli Usa. In quei giorni, durante gli incontri con i direttore delle agenzie di intelligence e i presidenti delle commissioni del Congresso, si è avuta la certezza di un monitoraggio ad ampio spettro. E adesso il vertice del Copasir chiede chiarimenti al governo. L’occasione è già fissata per mercoledì pomeriggio quando a Palazzo San Macuto arriverà il sottosegretario delegato Marco Minniti.

Le informazioni acquisite dal Comitato si riferiscono al funzionamento del sistema di sorveglianza Prism, ma più in generale attengono ad un vero e proprio monitoraggio cominciato da anni e tuttora attivo. Una raccolta di dati sensibili che a questo punto anche i nostri Servizi segreti non possono più negare, sia pur ribadendo come si sia di fronte ad acquisizioni che «hanno come unico obiettivo l’attività dell’antiterrorismo». Tanto che una fonte dell’intelligence ribadisce: «Non abbiamo mai avuto alcuna evidenza che questo tipo di controllo abbia potuto riguardare lo spionaggio politico nei confronti di autorità o personalità italiane. Tutte le nostre verifiche su una simile eventualità hanno dato esito negativo».

È una posizione che lascia perplessi i parlamentari del Copasir. Lo dice senza mezzi termini Claudio Fava, di Sel, inserito nella «missione» statunitense, quando ricorda le parole del vicedirettore della National Secutiyi Agency (Nsa) sulla necessità di avere «un quadro completo delle comunicazioni da e per gli Stati Uniti». E aggiunge: «È un sistema di raccolta a strascico in base ad alcuni sensori. I vertici dei Servizi Usa ci hanno spiegato che il loro scrupolo principale è stato quello di rispettare le leggi americane sulla privacy e intervenire a tutela della sicurezza del Paese. Che tutto questo confligga con le leggi nazionali di Paesi alleati è un punto di vista che loro non hanno, ma che noi dovremmo avere».

Nei mesi scorsi si era parlato anche di spionaggio dell’ambasciata italiana a Washington e, sia pur in via ancora informale, gli 007 italiani smentiscono che questo sia mai avvenuto. Ma non basta, perché - come puntualizza il componente del Pd del Copasir, Felice Casson - «le risposte che abbiamo avuto dai vertici delle nostre strutture non sono affatto tranquillizzanti e l’audizione del sottosegretario Minniti dovrà servire proprio a pretendere maggiore chiarezza sulla posizione del nostro governo. Appare evidente che gli Stati Uniti abbiano acquisito informazioni su persone e autorità in tutta Europa. Quali elementi concreti esistono per escludere che questo non sia accaduto anche nei confronti dei politici e delle autorità del nostro Paese?».

Dalla direzione del Partito democratico è Ettore Rosato a chiedere chiarimenti al governo, «visto che nei mesi scorsi, quando arrivarono le prime rivelazioni sul “Datagate” sia il presidente Enrico Letta, sia il ministro degli Esteri Emma Bonino, mostrarono stupore per quanto era trapelato». La sensazione è che in realtà, sopratutto negli anni di massima collaborazione tra 007 italiani e statunitensi in materia di terrorismo, con la ricerca comune degli ostaggi occidentali nelle zone di guerra come l’Iraq e l’Afghanistan, e la condivisione delle comunicazioni attraverso il sistema di intercettazione Sigint, l’Italia sia stata informata di questa raccolta di dati. E poi sia stato dato per scontato il proseguimento di questa attività, senza sollevare questioni particolari sulla natura dei dati acquisiti.

Una prassi che,Una prassi che, dopo quanto sta accadendo in Francia, appare difficile da sostenere ulteriormente. Infatti, sarebbero già stati presi contatti informali tra le varie agenzie spionistiche proprio per verificare l’esistenza di casi particolarmente sensibili e quindi su possibili ulteriori ripercussioni della vicenda in tutta Europa.

22 ottobre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATAROMA - I controlli su telefonate e comunicazioni telematiche riguardano anche l’Italia. Chiamate, email, sms: dietro il paravento della sicurezza nazionale gli Stati Uniti hanno acquisito milioni di dati che riguardano nostri concittadini. La conferma è arrivata circa tre settimane fa, quando una delegazione di parlamentari del comitato di controllo sui servizi segreti è stata in missione negli Usa. In quei giorni, durante gli incontri con i direttore delle agenzie di intelligence e i presidenti delle commissioni del Congresso, si è avuta la certezza di un monitoraggio ad ampio spettro. E adesso il vertice del Copasir chiede chiarimenti al governo. L’occasione è già fissata per mercoledì pomeriggio quando a Palazzo San Macuto arriverà il sottosegretario delegato Marco Minniti.

Le informazioni acquisite dal Comitato si riferiscono al funzionamento del sistema di sorveglianza Prism, ma più in generale attengono ad un vero e proprio monitoraggio cominciato da anni e tuttora attivo. Una raccolta di dati sensibili che a questo punto anche i nostri Servizi segreti non possono più negare, sia pur ribadendo come si sia di fronte ad acquisizioni che «hanno come unico obiettivo l’attività dell’antiterrorismo». Tanto che una fonte dell’intelligence ribadisce: «Non abbiamo mai avuto alcuna evidenza che questo tipo di controllo abbia potuto riguardare lo spionaggio politico nei confronti di autorità o personalità italiane. Tutte le nostre verifiche su una simile eventualità hanno dato esito negativo».

È una posizione che lascia perplessi i parlamentari del Copasir. Lo dice senza mezzi termini Claudio Fava, di Sel, inserito nella «missione» statunitense, quando ricorda le parole del vicedirettore della National Secutiyi Agency (Nsa) sulla necessità di avere «un quadro completo delle comunicazioni da e per gli Stati Uniti». E aggiunge: «È un sistema di raccolta a strascico in base ad alcuni sensori. I vertici dei Servizi Usa ci hanno spiegato che il loro scrupolo principale è stato quello di rispettare le leggi americane sulla privacy e intervenire a tutela della sicurezza del Paese. Che tutto questo confligga con le leggi nazionali di Paesi alleati è un punto di vista che loro non hanno, ma che noi dovremmo avere».

Nei mesi scorsi si era parlato anche di spionaggio dell’ambasciata italiana a Washington e, sia pur in via ancora informale, gli 007 italiani smentiscono che questo sia mai avvenuto. Ma non basta, perché - come puntualizza il componente del Pd del Copasir, Felice Casson - «le risposte che abbiamo avuto dai vertici delle nostre strutture non sono affatto tranquillizzanti e l’audizione del sottosegretario Minniti dovrà servire proprio a pretendere maggiore chiarezza sulla posizione del nostro governo. Appare evidente che gli Stati Uniti abbiano acquisito informazioni su persone e autorità in tutta Europa. Quali elementi concreti esistono per escludere che questo non sia accaduto anche nei confronti dei politici e delle autorità del nostro Paese?».

Dalla direzione del Partito democratico è Ettore Rosato a chiedere chiarimenti al governo, «visto che nei mesi scorsi, quando arrivarono le prime rivelazioni sul “Datagate” sia il presidente Enrico Letta, sia il ministro degli Esteri Emma Bonino, mostrarono stupore per quanto era trapelato». La sensazione è che in realtà, sopratutto negli anni di massima collaborazione tra 007 italiani e statunitensi in materia di terrorismo, con la ricerca comune degli ostaggi occidentali nelle zone di guerra come l’Iraq e l’Afghanistan, e la condivisione delle comunicazioni attraverso il sistema di intercettazione Sigint, l’Italia sia stata informata di questa raccolta di dati. E poi sia stato dato per scontato il proseguimento di questa attività, senza sollevare questioni particolari sulla natura dei dati acquisiti.

Una prassi che,Una prassi che, dopo quanto sta accadendo in Francia, appare difficile da sostenere ulteriormente. Infatti, sarebbero già stati presi contatti informali tra le varie agenzie spionistiche proprio per verificare l’esistenza di casi particolarmente sensibili e quindi su possibili ulteriori ripercussioni della vicenda in tutta Europa.

22 ottobre 2013
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Sulcis, saldi industriali e sciacalli
Nel Sulcis sono iniziati i saldi di fine stagione, ma non delle scarpe o dei vestiti: dei macchinari e dei materiali delle fabbriche. Una volta erano gli strumenti del lavoro e quindi del sostentamento di centinaia di famiglie, oggi vengono smembrati e venduti a prezzi da fallimento.

L’ultima svendita in ordine di tempo riguarda la ex Sardal di Iglesias, piccola fabbrica gioiello di estrusi in alluminio per l’edilizia, già del patrimonio del gruppo Alumix, che dava lavoro a circa cento dipendenti . “L’azienda – ricorda Sandro Contini, ex membro della rappresentanza sindacale unitaria – nel 1996 passè all’Alcoa che la mantenne fino al 2001 quando decise di venderla sotto forma di cessione di ramo d’azienda. Subentrò la società Ali – Alluminio Italia facente capo al gruppo Aliseo Sud di Michael Bruschi che nel 2004 affondò affogato da dieci milioni. Nel 2005 la piccola fabbrica fu presa in affitto dalla Sms (Società Metallurgica Sarda) che richiamò dalla mobilità solo 20 dipendenti. Nel febbraio del 2010, oberata di debiti e senza coperture finanziarie, cessò definitivamente la produzione. L’anno dopo fu dichiarato il fallimento anche della Sms”.

Una lunga storia. “La novità di questi giorni – dice un altro ex della Rus, Bruno Bozzato – è che i Tir stanno facendo la spola per portare via tutto l’alluminio ancora presente nella fabbrica. Ufficialmente per metterlo al sicuro dal momento che non c’è più neppure la guardiania. Ma il sospetto è che siano iniziate le vendite al miglior offerente”.

Ma non solo l’alluminio, anche i macchinari sono in vendita a prezzi di realizzo. E i 18 operai, ormai in mobilità in deroga, vedono pezzo dopo pezzo andare via tutte le speranze di tornare al lavoro. La pressa, cioè il cuore della fabbrica, pare sia in procinto di essere acquistata dal fallimento Sms da un industriale di Brescia con una base d’asta pari a zero, ossia al miglior offerente. In pratica verrà acquistata per un pugno di denari. “Se questa notizia che circola con insistenza è vera, come purtroppo pare – commenta Contini – si può dire che la fabbrica è definitivamente defunta”.

Capannoni una volta frequentati da decine di donne e uomini operosi, che producevano, trasformavano e creavano ricchezza per tutta la zona, oggi sono diventati fantasmi, il silenzio è ovunque. Le zone industriali di Iglesias e Carbonia, le principali della provincia, sono diventati luoghi spettrali, vuoti, senza vita. Qualche cane randagio si aggira senza meta, indisturbato, nelle larghe strade ormai cosparse di erbacce, una volta percorse dai camion carichi di merci.

Quello della ex Sardal non è che l’ultimo caso. Le cronache nelle settimane scorse si sono occupate della svendita di macchinari e materiali in ambito Igea: mezzi meccanici, camion carichi di reti per recinzioni, pezzi di ricambio, il tutto a prezzi da ferro vecchio.

Lo smantellamento è in corso da tempo. Nell’ultimo periodo ha avuto un’accelerazione, ma i primi episodi risalgano a qualche anno fa. Clamoroso quello della Rockwool di Iglesias, la fabbrica di lana di roccia di Iglesias che fu smontata per intero nel giro di pochi mesi e trasferita nei paesi dell’Est. La reazione dei lavoratori fu durissima. “Inventarono” il Rockbus , un vecchio autobus in disuso che diventò la loro casa e il loro quartier generale per quasi un anno. Fu parcheggiato davanti all’ingresso della miniera di Campo Pisano, sede dell’Igea, la società in house della Regione nella quale gli operai chiedevano di essere riassunti e occuparono lo svincolo della statale che porta alla miniera in cui vi è un ponte. Per questo fu chiamata “l’occupazione del ponte”.

Il Sulcis assiste al degrado del suo territorio, alla perdita di centinaia di posti di lavoro, di tutto ciò che si è costruito in un intera vita di sacrifici. I sindacati sono concordi sull’analisi delle cause: la politica assente, una burocrazia contro il cittadino, inadeguatezza delle infrastrutture. Ma c’è anche chi, dall’altra parte, trae vantaggio dal degrado e dalla disperazione. Sono coloro che acquistano dalle vendite fallimentari, a prezzi irrisori, i frutti della disperazione. In genere personaggi che si celano dietro società anonime venute da lontano, a volte anche dall’estero. Ma talvolta sono imprenditori locali che acquistano per due soldi per fare affari nei paesi emergenti, Africa compresa.

E l’industria non è la sola vittima di questo ‘sciacallaggio. Sono anche in atto le svendite alle aste di tante aziende agricole, costruite col sudore di una vita, perché non si riesce più ad onorare i debiti. Emblematico il caso della famiglia Sairu, nella frazione di Terra Segada, a pochi chilometri da Carbonia, che si è vista pignorare dall’ufficiale giudiziario l’intera proprietà agricola, perché venduta all’asta, per un debito di banca non onorato. Un debito, va detto, generato da quel gran pasticcio della legge 44/88 che la comunità europea rimise in discussione cancellando i benefici previsti, creando situazioni da incubo. Risultato: un’intera famiglia spazzata via con tutto ciò che avevano creato dal nulla. La domanda è: a chi toccherà la prossima volta?

Anche nel caso delle aziende agricole, come per quelle industriali, il vero valore degli immobili, delle attrezzature, delle merci battute all’asta è infinitamente maggiore di quello pagato da chi frequenta i tribunali fallimentari. I nuovi affaristi, i profittatori dei saldi di fine stagione.

Carlo Martinelli

sabato 19 ottobre 2013

SANSONE E I FILISTEI
Una favola per adulti
Premessa
Più di tremila anni fa, in Palestina, prima ancora che si formasse tra gli ebrei l'istituzione della monarchia, durante quindi il regime dei Giudici (1200-1000 a.C.), le tribù conducevano un'esistenza sempre meno nomadica e pastorale e sempre più stanziale e agricola.
Pur avendo una comune stirpe, esse erano relativamente indipendenti tra loro e stavano molto a contatto con le popolazioni non ebraiche confinanti: p. es. i filistei a nord, i cananei al centro, i gebusei a sud.
Queste popolazioni, approfittando della debolezza politica ed economica delle tribù d'Israele, spesso riuscivano ad avere la meglio sul piano militare.
Una di queste tribù era quella di Dan, che dovette emigrare dalla regione della Giudea a causa delle pressioni da parte dei gebusei.
Ebbene la storia di Sansone nasce proprio dentro la tribù di Dan. A contatto con popolazioni straniere più evolute, gli ebrei rischiavano di perdere la loro identità. Sansone rappresenta appunto la gravità del pericolo che incombeva sui destini del popolo ebraico.
Nel libro dei Giudici la sua storia è narrata con particolare ampiezza. Il libro è stato scritto e riscritto più volte nel corso dei secoli: in origine le storie che racconta si tramandavano solo oralmente. La fusione di tutti i racconti fu fatta per la prima volta dopo la caduta del regno del nord (722 a.C.), all'epoca del re Ezechia, mentre l'ultima venne fatta all'epoca di Esdra (450 a.C.).
Un giorno un uomo dall'aspetto molto maestoso, ebbe una relazione con una donna ebrea sposata, che non aveva mai avuto figli dal proprio marito, e la mise incinta.
Quest'uomo impose alla donna di consacrare a dio con un voto di nazireato (Num 6,1-8) il bambino che avrebbe avuto: in tal modo non ci sarebbe stato bisogno di riconoscere il vero padre. Il suo unico vero padre sarebbe stato dio stesso. Insomma Sansone, il nome del bambino, era destinato a diventare una sorta di profeta.
L'uomo volle mantenere ufficialmente l'anonimato e nello stesso tempo aveva promesso che si sarebbe preso cura di Sansone. Chiese ovviamente ai due coniugi di non rivelare a nessuno la propria identità, altrimenti sarebbe stato costretto a ucciderli, ed essi mantennero la parola.
Divenuto adulto, Sansone s'innamorò di una ragazza filistea, contro il parere dei propri genitori, che non vedevano di buon occhio una relazione con una donna del popolo nemico, che aveva preso a estendersi oltre il proprio territorio, minacciando seriamente l'indipendenza di Israele. Ma Sansone la voleva addirittura sposare.
Per averla fece a pezzi un leone dimostrando la propria forza fisica e sottopose a un indovinello i parenti di lei, dimostrando così anche la propria intelligenza, ma la donna, che riuscì dopo molte insistenze a conoscere la risposta (Sansone aveva un debole per le donne), lo tradì, rivelandola ai parenti, che comunque avevano minacciato di morte sia lei che suo padre, se non avesse detto loro la soluzione. I filistei infatti non volevano assolutamente questo matrimonio.
Siccome era sicuro di vincere, poiché l'indovinello era davvero molto difficile, fu costretto a uccidere 30 persone pur di onorare l'impegno della promessa fatta se avesse perso (trenta tuniche e trenta mute di vesti). Dopodiché se ne ritornò dai suoi genitori, lasciando la donna da sola: il matrimonio era stato fatto, ma, avendo perso la scommessa e diffidando dei filistei, Sansone se ne andò mostrando d'essere molto adirato.
Dopo un po' di tempo andò di nuovo a trovare la sua donna, ma scoprì che il padre di lei, convinto che lui l'avesse ripudiata, l'aveva ceduta al compagno che gli aveva fatto da testimone alle nozze, sicché il padre gli propose di accettare la sorella minore.
Con fare provocatorio Sansone reagì a questo affronto procurando un grave danno materiale ai filistei: sentendosi offeso nella propria onorabilità, bruciò molti campi di grano, di vigne e di oliveti.
I filistei reagirono alla devastazione dei raccolti uccidendo sia la moglie di Sansone che il padre di lei. Sansone se la prese tantissimo e fece strage di molti filistei, dopodiché si nascose in una grotta.
Per tutta risposta i filistei attaccarono una città qualunque dei giudei, i quali, vista la sproporzione delle forze in campo, decisero non di uccidere Sansone ma di consegnarlo legato ai filistei, che ovviamente, in cambio della pace, accettarono ben volentieri l'offerta.
Senonché all'ultimo momento Sansone si liberò delle corde e, consapevole della propria forza, fece strage di altri filistei e pretese anche che i giudei lo riconoscessero come supremo capo (cosa che fecero per ben 20 anni).
Ma Sansone aveva un debole per le donne filistee e a Gaza giacque con una prostituta. Cercarono di catturarlo, ma invano.
Poi s'innamorò di un'altra filistea, Dalila, che accettò di essere ben pagata dai suoi compatrioti se fosse riuscita a farlo catturare.
Dopo vari tentativi (Sansone era molto furbo), finalmente vi riuscì. Aveva capito che Sansone non era solo un debole sessualmente, ma anche un po' spaccone, non avendo praticamente nemici in grado di sconfiggerlo.
Subito dopo averlo catturato, i filistei lo accecarono e, per burlarsi di lui, lo misero a far girare la macina del grano, come uno schiavo.
Sansone si pentì delle proprie debolezze e stette al gioco. Lui ch'era astuto con gli uomini e stupido con le donne, accettò di farsi sbeffeggiare nella festa del dio Dagon e facendo finta di nulla si vendicò.
Con la forza notevolissima che non l'aveva mai abbandonato, demolì le colonne portanti dell'edificio in cui, giocando come un buffone, avrebbe dovuto far divertire i filistei. Ne morirono tantissimi, compreso lui.
La favola c'insegna quattro cose: non solo quella più evidente, che una donna può circuire anche l'uomo fisicamente più forte del mondo; ma anche quella più nascosta, che riguarda i rapporti tra genitori e figli.
Sansone è la dimostrazione che una vocazione (in questo caso il "nazireato") non può essere imposta dai genitori ai figli, o comunque che una vocazione non può essere vissuta, da adulti, come una scelta scontata, solo perché essa è stata il frutto della volontà dei genitori. Un figlio ha il diritto e il dovere di chiedersi se il progetto che i genitori hanno su di lui sia proprio quello giusto. Non ci si può sentire in obbligo quando è in gioco la propria libertà personale, le proprie scelte di vita.
La povertà materiale dei propri genitori non è un motivo sufficiente per sentirsi obbligati nei loro confronti, soprattutto quando vanno prese decisioni per lo sviluppo della propria identità.
Sansone buttò via una vita di rinunce e di sacrifici proprio perché non aveva riflettuto adeguatamente sul significato del progetto che i genitori avevano su di lui, un progetto condizionato molto dalle circostanze della povertà materiale e che non poteva certo supplire alla colpa di un rapporto extraconiugale da parte della madre.
La terza cosa è l'aspetto politico del racconto: Sansone è un individualista, combatte da solo, fidando solo nella propria astuzia e nella propria forza, non cerca alleati, non riesce a organizzare una resistenza popolare, è costretto a sotterfugi di bassa lega per cercare di avere la meglio sui propri nemici. Non poteva che uscire sconfitto, anche se nel racconto viene detto il contrario, e la sua morte eroica non rende più convincente il suo operato, complessivamente inteso.
L'ultima cosa riguarda l'aspetto umano: Sansone è capace di ravvedimento, seppur alla fine della sua vita.