Giovani senzatetto, emergenza europea
Una ricerca fotografa l'aumento in tutto il continente, un fenomeno acuito dalla recessione: gli homeless sono almeno 50 mila nelle città per cui si hanno dati. In Italia sono triplicati. "Eppure la maggioranza si può reintegrare: ecco come"
di TITO BOERI
Fra una settimana inizierà il nostro turno di presidenza dell'Unione Europea e il primo luglio si riunirà per la prima volta il nuovo Parlamento europeo, uscito dalle urne un mese fa. Sarebbe bello che nei discorsi programmatici all'inizio del semestre italiano e, ancor di più, nei primi atti pubblici dell'organismo oggi più democratico di cui disponga l'Unione venisse dato un qualche segno di attenzione agli ultimi degli ultimi, a coloro che non sono registrati nei seggi elettorali semplicemente perché non hanno una residenza.
I senza dimora sono ormai come una città nella città, una popolazione di 50.000 persone nelle sole città europee su cui si hanno dati disponibili. Questi cittadini che dormono accampati in qualche modo nelle strade, anche nei mesi invernali, o trovano occasionalmente rifugio in qualche centro d'assistenza, sono aumentati in media in Europa del 45% durante la Grande Recessione. Non solo nei paesi della crisi del debito (in Italia sono triplicati), ma anche in Germania e nel nord-Europa. Cambia, tra il Nord e il Sud, ma anche tra Est e Ovest dell'Europa, la loro composizione. Più immigrati al Nord, più autoctoni, soprattutto giovani, al Sud dove è esplosa la disoccupazione giovanile. A Est sono soprattutto gli emigrati di ritorno a gonfiare le fila dei senza casa: avevano cercato fortuna in Spagna e Italia, ma la mancanza di lavoro li ha spinti a tornare a casa, più poveri di prima. Aumenta ovunque la percentuale di donne, una conseguenza dell'aumento del numero di famiglie monoparentali.
Sono questi alcuni dei principali risultati di uno studio, coordinato da Michela Braga per la fondazione Rodolfo Debenedetti, che verrà presentato venerdì prossimo a Roma. Si basa sulle ricerche di tre gruppi di studiosi, australiani, statunitensi ed europei, che da anni monitorano e analizzano il fenomeno dei senza casa, oltre che sui censimenti, organizzati dalla fondazione, in tre città italiane (Milano, Roma e Torino). Quello di Roma, i cui risultati verranno anticipati oggi in un incontro presso l'Aranciera di San Sito con le associazioni del volontariato che hanno contribuito a questa iniziativa, ha coinvolto più di 1.500 volontari che hanno per tre notti setacciato le strade all'interno del grande raccordo anulare, contando e intervistando i senza fissa dimora.
Perdita del lavoro e rottura del nucleo famigliare, due eventi tra di loro correlati perché lo stress legato alla perdita del lavoro deteriora le relazioni affettive, sono le cause maggiormente ricorrenti di questo stato. Tutto avviene nel volgere di pochi giorni e ci si ritrova, quasi senza accorgersene, senza casa e senza una famiglia cui fare riferimento. Si perdono pressoché del tutto i contatti umani, dato che ci si fida poco delle altre persone con cui si condivide questa esperienza. È una condizione che può durare a lungo, in media 3 anni a Milano e 6 anni a Roma. Contrariamente a credenze diffuse, non si tratta di persone destinate comunque alla marginalità perché alcoolizzate e comunque affette da gravi patologie psichiche, ma di persone in grado di reintegrarsi perfettamente nel tessuto sociale, una volta trovato un lavoro e, grazie a questo, una casa. Le politiche di prevenzione e di aiuto nella ricerca di lavoro, condotte nei loro confronti in paesi come la Finlandia e la Germania, hanno in queste realtà effettivamente portato al dimezzamento del loro numero dal 2000 al 2007, anche se poi la Grande Recessione e la crisi dell'Eurozona hanno nuovamente peggiorato la situazione.
Servono anche le politiche della casa. Noi abbiamo smesso di investire in edilizia sociale proprio quando i grandi flussi d'immigrazione cominciavano a prendere come obiettivo il nostro paese. Lo abbiamo fatto destinando al pagamento di pensioni, spesso a persone con meno di cinquant'anni e perfettamente in grado di lavorare, i contributi obbligatori originariamente devoluti alla Gescal, il fondo per l'edilizia popolare. E le Regioni, divenute titolari dal 1998 dei programmi di edilizia popolare, hanno pensato di vendere 150.000 alloggi (un terzo dello stock nel Nord-Italia) proprio mentre il numero di immigrati cresceva a tassi del 25 per cento all'anno.
Abbiamo così uno stock di alloggi di edilizia popolare e convenzionata pari a un quarto di quello di Francia e Regno Unito in rapporto al totale degli alloggi disponibili. Ci vogliono, così, mediamente 15 anni per avere un alloggio in una casa popolare, una volta maturati i requisiti. Se le Regioni manterranno le competenze in materia di edilizia popolare dopo la riforma del Titolo V, è bene che siano loro (e non i Comuni) a finanziare i centri di assistenza e i dormitori per i senza casa. Avranno così gli incentivi giusti per affrontare un problema che rischia di sfuggirci di mano, nonostante da noi le relazioni famigliari siano più forti che in altri paesi e contribuiscano a contenere il fenomeno, e nonostante lo straordinario contributo del volontariato nel gestire questa emergenza sociale.
martedì 24 giugno 2014
venerdì 20 giugno 2014
Rapporti commerciali Italia-Cina: delegazione ICFA in Sicilia in missione di sviluppo
Giovedì, 19 Giugno 2014 09:58
Di Francesco La Licata Categoria: Internazionalizzazione
Roma, il 18 Giugno 2014 – Nell’ambito delle attività di sviluppo e di relazioni internazionali della Confederazione, anche in prospettiva di EXPO 2015, la prossima settimana la CIFA, con la collaborazione dell’Associazione Physeon, supporterà una delegazione cinese in missione di cooperazione in Sicilia.
Infatti, la Signora Yan Wang (nella foto accanto al Presidente dell'Associazione Physeon Maria Moreni), Presidente dell’Associazione ICFA (Italy China Friendship Association), avvierà nell’isola una serie di incontri con imprenditori e con rappresentanti degli enti locali, finalizzati a promuovere la cooperazione bilaterale tra Italia e Cina, con particolare riguardo a settori di attività quali il turismo, l’artigianato di qualità, l’agroindustria.
L’associazione ICFA, che vanta tra l’altro l’affiliazione con un’istituzione cinese come la CPAFFC (The Chinese People’s Association for Friendship with Foreign Countries), presieduta da Li Xiaolin, figlia dell’ex presidente cinese, ha già avviato in Sicilia importanti relazioni a livello istituzionale, che hanno un unico obiettivo: facilitare la vicinanza tra gli operatori economici dei due Paesi, per stringere alleanze e rapporti di collaborazione tra imprese, a partire da un approfondimento della reciproca conoscenza delle culture dei popoli e dei valori delle tradizioni locali.
“La nostra presenza in Italia – dichiara Yan Wang – esprime il senso di vicinanza al popolo italiano, alla sua cultura, e conferma l’interesse a stringere per il futuro rapporti di partnership culturale ed economica sempre più forti: i nostri Paesi hanno tante potenzialità, ed offrono diverse opportunità per sviluppare business tra imprese cinesi ed italiane”.
Segnaliamo che nel contesto dei programmi mirati all'internazionalizzazione delle PMI, e del rapporto di collaborazione con ICFA, l'Associazione Physeon è promotrice del progetto High Quality Italy, che promuove le imprese italiane di eccellenza, integrandole nei circuiti internazionali di distribuzione e di commercializzazione.
“Si tratta di un’occasione importante per le nostre imprese siciliane – conferma Andrea Cafà (in foto), Presidente nazionale CIFA – di mostrare ai rappresentanti cinesi le nostre capacità, di mettere in evidenza le produzioni di eccellenza, che certamente troveranno in Cina la possibilità di trovare un nuovo mercato. E devo esprimere grande apprezzamento per la missione di sviluppo della delegazione ICFA, perché coniuga l’opportunità di approfondire i valori culturali di un territorio, con lo slancio a perseguire nuove strade per l’internazionalizzazione. Gli imprenditori che all’estero hanno avuto successo – conclude Cafà – sono quelli che hanno prima acquisito conoscenza e consapevolezza dei valori culturali e sociali dei Paesi verso i quali orientare gli investimenti”.
Giovedì, 19 Giugno 2014 09:58
Di Francesco La Licata Categoria: Internazionalizzazione
Roma, il 18 Giugno 2014 – Nell’ambito delle attività di sviluppo e di relazioni internazionali della Confederazione, anche in prospettiva di EXPO 2015, la prossima settimana la CIFA, con la collaborazione dell’Associazione Physeon, supporterà una delegazione cinese in missione di cooperazione in Sicilia.
Infatti, la Signora Yan Wang (nella foto accanto al Presidente dell'Associazione Physeon Maria Moreni), Presidente dell’Associazione ICFA (Italy China Friendship Association), avvierà nell’isola una serie di incontri con imprenditori e con rappresentanti degli enti locali, finalizzati a promuovere la cooperazione bilaterale tra Italia e Cina, con particolare riguardo a settori di attività quali il turismo, l’artigianato di qualità, l’agroindustria.
L’associazione ICFA, che vanta tra l’altro l’affiliazione con un’istituzione cinese come la CPAFFC (The Chinese People’s Association for Friendship with Foreign Countries), presieduta da Li Xiaolin, figlia dell’ex presidente cinese, ha già avviato in Sicilia importanti relazioni a livello istituzionale, che hanno un unico obiettivo: facilitare la vicinanza tra gli operatori economici dei due Paesi, per stringere alleanze e rapporti di collaborazione tra imprese, a partire da un approfondimento della reciproca conoscenza delle culture dei popoli e dei valori delle tradizioni locali.
“La nostra presenza in Italia – dichiara Yan Wang – esprime il senso di vicinanza al popolo italiano, alla sua cultura, e conferma l’interesse a stringere per il futuro rapporti di partnership culturale ed economica sempre più forti: i nostri Paesi hanno tante potenzialità, ed offrono diverse opportunità per sviluppare business tra imprese cinesi ed italiane”.
Segnaliamo che nel contesto dei programmi mirati all'internazionalizzazione delle PMI, e del rapporto di collaborazione con ICFA, l'Associazione Physeon è promotrice del progetto High Quality Italy, che promuove le imprese italiane di eccellenza, integrandole nei circuiti internazionali di distribuzione e di commercializzazione.
“Si tratta di un’occasione importante per le nostre imprese siciliane – conferma Andrea Cafà (in foto), Presidente nazionale CIFA – di mostrare ai rappresentanti cinesi le nostre capacità, di mettere in evidenza le produzioni di eccellenza, che certamente troveranno in Cina la possibilità di trovare un nuovo mercato. E devo esprimere grande apprezzamento per la missione di sviluppo della delegazione ICFA, perché coniuga l’opportunità di approfondire i valori culturali di un territorio, con lo slancio a perseguire nuove strade per l’internazionalizzazione. Gli imprenditori che all’estero hanno avuto successo – conclude Cafà – sono quelli che hanno prima acquisito conoscenza e consapevolezza dei valori culturali e sociali dei Paesi verso i quali orientare gli investimenti”.
Il grande spreco di Stato tra stampanti e scrivanie: 30 miliardi da risparmiare
Oggi ci sono 32 mila stazioni appaltanti, potrebbero ridursi a 40. Si può spendere fino all'80% in meno centralizzando gli acquisti
di FEDERICO FUBINI e ROBERTO MANIA
ROMA - È un segreto di Stato. Nessuno sa quali siano le regole da applicare nei contratti tra gli amministratori pubblici e i fornitori di beni e servizi. È un patchwork da quasi 130 miliardi l'anno con oltre 32 mila soggetti - stazioni appaltanti, in burocratese - che decidono con i soldi dei contribuenti. Se si limasse questa spesa del 10%, riducendo le "stazioni" a 30 o 40, azzerando la discrezionalità e le mediazioni politiche, si libererebbero più risorse di quelle necessarie per il bonus da 80 euro. C'è chi stima che si arriverebbe fino a 30 miliardi di risparmi.
Va alzato il velo sui dati, però. Questo dovrebbe diventare il cuore della prossima legge di Stabilità: tagli mirati, semplificando la giungla degli appalti dove tutto alla fine può succedere. Il ministero dell'Economia ha incaricato il Sose, una sua controllata, di collezionare i costi dei vari enti per gli stessi beni e servizi, di renderli comparabili e pubblici. Qualcosa però si può già capire dai dati del Tesoro sul 2012. Tavoli, sedie, stampanti, computer e programmi Microsoft vengono da pianeti diversi a seconda di chi li compra. E i ministeri sembrano appaltatori più incompetenti di comuni, provincie, regioni, università o aziende sanitarie.
Una "sedia operativa", cioè la sedia classica dell'impiegato, costa in media 90,09 euro se comprata da un'amministrazione centrale. Ma il prezzo scende a 78,14 euro, con un risparmio del 13,26 %, se l'acquisto avviene attraverso
la Consip, la società pubblica che centralizza in grandi contratti circa il 10% dei 130 miliardi spesi ogni anno in beni e servizi.
Ci sono anche casi estremi. Una stampante individuale costa 214,95 euro se acquistata fuori convenzione, prezzo che precipita a 39 euro quando la stampante è presa invece tramite Consip. Vuol dire una differenza dell'81,86%. Ma ci sono anche i 573,87 euro che le amministrazioni spendono in media per ciascun portatile fuori convenzione Consip, rispetto ai 483 con convenzione. E che dire del costo di un minuto al telefono fisso o cellulare?
Quando il contratto con l'operatore è concluso senza Consip, l'onere è di oltre il 70% più alto. E dell'57% più alto per ogni messaggio sul telefonino. Domenico Casalino, amministratore delegato di Consip, è convinto che i margini per tagliare la spesa siano ampi: "Dieci miliardi o più - dice - se si centralizzano gli acquisti per comparare e rendere trasparenti gli acquisti, affidandosi ai software e attenendosi ai costi standard".
L'Autorità di controllo sui contratti pubblici (Acvp), alla cui guida ieri è stato nominato Raffaele Cantone, stima che si avrebbero risparmi fino al 14,6% se nella Sanità ci si attenesse a una griglia di prezzi di riferimento sui servizi di lavanderia, ristorazione e pulizia. Per i farmaci, poi, la spesa si ridurrebbe del 7,4% e sui dispositivi medici del 26.
Anche la Corte dei conti, nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, nota incongruenze in quelle che chiama le "spese per gli organi istituzionali". Questi sono gli stessi ovunque, con gli stessi telefoni, sedie, tavoli, auto e la stessa benzina per farle andare. Ma nel 2012 il peso per abitante è stato di 10,5 euro nelle regioni del Centro, 11 euro al Nord e 24,9 euro al Sud. Ci sono poi disparità in cui a fare peggio sono le aree più ricche del Paese. I contratti di licenza e assistenza software costano 2,7 euro per abitante nelle regioni a statuto ordinario e 14,7 euro nelle aree autonome o a statuto speciale: in primo luogo Trento, Bolzano, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta. Per non parlare di "noleggi e locazioni", che in queste regioni e provincie dell'arco alpino costano per abitante cinque volte più che nei territori a statuto ordinario. E nel costo pro-capite delle utenze telefoniche pubbliche è il Nord-Ovest d'Italia a presentare le bollette più salate (in media 132 euro).
Difficile però distinguere l'incompetenza dal puro e semplice ladrocinio. Ci hanno provato tre economisti italiani, Oriana Bandiera, Andrea Prat e Tommaso Valletti, con un studio che è diventato un caso internazionale. Lo ha pubblicato l'American Economic Review, che non dà spazio quasi mai a articoli su un singolo Paese estero. Ha fatto un'eccezione per l'Italia, perché i numeri di Bandiera, Prat e Valletti sono eccezionali. I tre hanno lavorato con la banca dati Consip sugli scarti fra regioni o enti nell'acquisto di 21 articoli come benzina o stampanti. I loro risultati sono sorprendenti.
In primo luogo, hanno scoperto che se tutti gli uffici spendessero per gli stessi beni come il 10% più virtuoso, il risparmio sarebbe di 30 miliardi. Ma soprattutto lo studio dell'American Economic Review usa un modello matematico per dividere l'incompetenza dalla disonestà: secondo i tre economisti, l'83% è "spreco passivo", dovuto a inefficienza, mentre il 17% è "spreco attivo" da razzia e ruberie.
La corruzione trova terreno fertile nel percorso che si snoda dalle migliaia di stazioni appaltanti fino ai piccoli che vivono di subappalti. Accusa la Commissione europea: "In Italia la corruzione risulta particolarmente lucrativa nella fase successiva all'aggiudicazione, soprattutto nei controlli di qualità o di completamento dei contratti. La Corte dei conti ha più volte constatato la correttezza della gara, il rispetto delle procedure e l'aggiudicazione dell'appalto all'offerta più vantaggiosa, ma la qualità dei lavori è poi intenzionalmente compromessa nell'esecuzione".
Sembra di vedere il film dei lavori per l'Expo o per la Tav, perché è proprio nelle grandi opere pubbliche che la Corte dei conti stima il giro d'affari da corruzione intorno al 40% del valore dell'appalto. Sempre i magistrati contabili hanno calcolata che la corruzione vale 60 miliardi l'anno. Una cifra enorme, anche se alcuni economisti la considerano in difetto per eccesso. Di certo non molto lontano dalla realtà. D'altra parte, nota la Commissione Ue che l'alta velocità è costata in Italia 47,3 milioni di euro a chilometro sulla Roma-Napoli e 96,4 milioni tra Bologna e Firenze, mentre la Parigi-Lione è costata 10,2 milioni, e 9,3 milioni la Tokyo-Osaka.
La risposta del governo è chiara: disboscare le stazioni appaltanti. La scure è arrivata con il decreto Irpef ora all'esame della Camera: "Il numero complessivo dei soggetti aggregatori presenti sul territorio nazionale non può essere superiore a 35" (articolo 9, comma 5 del decreto numero 66).
La bozza della riforma per il codice degli appalti preparato dal viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini si muove nella stessa direzione. Ridurre le stazioni vuol dire ridimensionare le possibilità di corruzione e collusione. Quest'ultimo peraltro è un problema sempre più evidente: l'autorità Antitrust di recente ha aperto sette istruttorie per ipotesi di cartello fra imprese negli appalti anche se, guarda caso, gli enti segnalano sospetti o anomalie solo molto di rado.
Ma i risparmi, se e quando arriveranno, sono destinati a creare anche contraccolpi sull'economia. Gustavo Piga, economista ed ex presidente di Consip, avverte che un sistema basato sui grandi contratti può colpire migliaia di imprese familiari che oggi vivono di piccoli appalti. Questa riforma rischia di riscrivere la geografia dell'apparato produttivo italiano, lasciando fuori la stragrande maggioranza dei fornitori.
Sostengono i rappresentanti gli artigiani delle Cna e l'Ance, l'associazione dei costruttori, che così "si uccide un pezzo di economia locale". Già oggi le gare (quando ci sono) vengono vinte dai Consorzi industriali e dalle cooperative che - denuncia la Cna - prima affidavano i subappalti ai piccoli mentre ora accentrano tutto, fino ad assorbire la stessa manodopera locale.
Il Paese è dunque a un bivio: tagliare la spesa significa togliere ossigeno ai piccoli, proprio mentre invece le leggi e le mosse del governo incentivano le imprese a mantenere una taglia ridotta. Basti pensare alle misure sui mini bond, a quelli sulle garanzie creditizie o ai contratti di lavoro più flessibili quando l'impresa è sotto la soglia dei 15 addetti. Ma per il governo è tempo di scelte. E come diceva Milton Friedman, nessun pasto è gratis: anche, ma non solo, nelle mense pubbliche.
(15 giugno 2014)
Oggi ci sono 32 mila stazioni appaltanti, potrebbero ridursi a 40. Si può spendere fino all'80% in meno centralizzando gli acquisti
di FEDERICO FUBINI e ROBERTO MANIA
ROMA - È un segreto di Stato. Nessuno sa quali siano le regole da applicare nei contratti tra gli amministratori pubblici e i fornitori di beni e servizi. È un patchwork da quasi 130 miliardi l'anno con oltre 32 mila soggetti - stazioni appaltanti, in burocratese - che decidono con i soldi dei contribuenti. Se si limasse questa spesa del 10%, riducendo le "stazioni" a 30 o 40, azzerando la discrezionalità e le mediazioni politiche, si libererebbero più risorse di quelle necessarie per il bonus da 80 euro. C'è chi stima che si arriverebbe fino a 30 miliardi di risparmi.
Va alzato il velo sui dati, però. Questo dovrebbe diventare il cuore della prossima legge di Stabilità: tagli mirati, semplificando la giungla degli appalti dove tutto alla fine può succedere. Il ministero dell'Economia ha incaricato il Sose, una sua controllata, di collezionare i costi dei vari enti per gli stessi beni e servizi, di renderli comparabili e pubblici. Qualcosa però si può già capire dai dati del Tesoro sul 2012. Tavoli, sedie, stampanti, computer e programmi Microsoft vengono da pianeti diversi a seconda di chi li compra. E i ministeri sembrano appaltatori più incompetenti di comuni, provincie, regioni, università o aziende sanitarie.
Una "sedia operativa", cioè la sedia classica dell'impiegato, costa in media 90,09 euro se comprata da un'amministrazione centrale. Ma il prezzo scende a 78,14 euro, con un risparmio del 13,26 %, se l'acquisto avviene attraverso
la Consip, la società pubblica che centralizza in grandi contratti circa il 10% dei 130 miliardi spesi ogni anno in beni e servizi.
Ci sono anche casi estremi. Una stampante individuale costa 214,95 euro se acquistata fuori convenzione, prezzo che precipita a 39 euro quando la stampante è presa invece tramite Consip. Vuol dire una differenza dell'81,86%. Ma ci sono anche i 573,87 euro che le amministrazioni spendono in media per ciascun portatile fuori convenzione Consip, rispetto ai 483 con convenzione. E che dire del costo di un minuto al telefono fisso o cellulare?
Quando il contratto con l'operatore è concluso senza Consip, l'onere è di oltre il 70% più alto. E dell'57% più alto per ogni messaggio sul telefonino. Domenico Casalino, amministratore delegato di Consip, è convinto che i margini per tagliare la spesa siano ampi: "Dieci miliardi o più - dice - se si centralizzano gli acquisti per comparare e rendere trasparenti gli acquisti, affidandosi ai software e attenendosi ai costi standard".
L'Autorità di controllo sui contratti pubblici (Acvp), alla cui guida ieri è stato nominato Raffaele Cantone, stima che si avrebbero risparmi fino al 14,6% se nella Sanità ci si attenesse a una griglia di prezzi di riferimento sui servizi di lavanderia, ristorazione e pulizia. Per i farmaci, poi, la spesa si ridurrebbe del 7,4% e sui dispositivi medici del 26.
Anche la Corte dei conti, nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, nota incongruenze in quelle che chiama le "spese per gli organi istituzionali". Questi sono gli stessi ovunque, con gli stessi telefoni, sedie, tavoli, auto e la stessa benzina per farle andare. Ma nel 2012 il peso per abitante è stato di 10,5 euro nelle regioni del Centro, 11 euro al Nord e 24,9 euro al Sud. Ci sono poi disparità in cui a fare peggio sono le aree più ricche del Paese. I contratti di licenza e assistenza software costano 2,7 euro per abitante nelle regioni a statuto ordinario e 14,7 euro nelle aree autonome o a statuto speciale: in primo luogo Trento, Bolzano, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta. Per non parlare di "noleggi e locazioni", che in queste regioni e provincie dell'arco alpino costano per abitante cinque volte più che nei territori a statuto ordinario. E nel costo pro-capite delle utenze telefoniche pubbliche è il Nord-Ovest d'Italia a presentare le bollette più salate (in media 132 euro).
Difficile però distinguere l'incompetenza dal puro e semplice ladrocinio. Ci hanno provato tre economisti italiani, Oriana Bandiera, Andrea Prat e Tommaso Valletti, con un studio che è diventato un caso internazionale. Lo ha pubblicato l'American Economic Review, che non dà spazio quasi mai a articoli su un singolo Paese estero. Ha fatto un'eccezione per l'Italia, perché i numeri di Bandiera, Prat e Valletti sono eccezionali. I tre hanno lavorato con la banca dati Consip sugli scarti fra regioni o enti nell'acquisto di 21 articoli come benzina o stampanti. I loro risultati sono sorprendenti.
In primo luogo, hanno scoperto che se tutti gli uffici spendessero per gli stessi beni come il 10% più virtuoso, il risparmio sarebbe di 30 miliardi. Ma soprattutto lo studio dell'American Economic Review usa un modello matematico per dividere l'incompetenza dalla disonestà: secondo i tre economisti, l'83% è "spreco passivo", dovuto a inefficienza, mentre il 17% è "spreco attivo" da razzia e ruberie.
La corruzione trova terreno fertile nel percorso che si snoda dalle migliaia di stazioni appaltanti fino ai piccoli che vivono di subappalti. Accusa la Commissione europea: "In Italia la corruzione risulta particolarmente lucrativa nella fase successiva all'aggiudicazione, soprattutto nei controlli di qualità o di completamento dei contratti. La Corte dei conti ha più volte constatato la correttezza della gara, il rispetto delle procedure e l'aggiudicazione dell'appalto all'offerta più vantaggiosa, ma la qualità dei lavori è poi intenzionalmente compromessa nell'esecuzione".
Sembra di vedere il film dei lavori per l'Expo o per la Tav, perché è proprio nelle grandi opere pubbliche che la Corte dei conti stima il giro d'affari da corruzione intorno al 40% del valore dell'appalto. Sempre i magistrati contabili hanno calcolata che la corruzione vale 60 miliardi l'anno. Una cifra enorme, anche se alcuni economisti la considerano in difetto per eccesso. Di certo non molto lontano dalla realtà. D'altra parte, nota la Commissione Ue che l'alta velocità è costata in Italia 47,3 milioni di euro a chilometro sulla Roma-Napoli e 96,4 milioni tra Bologna e Firenze, mentre la Parigi-Lione è costata 10,2 milioni, e 9,3 milioni la Tokyo-Osaka.
La risposta del governo è chiara: disboscare le stazioni appaltanti. La scure è arrivata con il decreto Irpef ora all'esame della Camera: "Il numero complessivo dei soggetti aggregatori presenti sul territorio nazionale non può essere superiore a 35" (articolo 9, comma 5 del decreto numero 66).
La bozza della riforma per il codice degli appalti preparato dal viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini si muove nella stessa direzione. Ridurre le stazioni vuol dire ridimensionare le possibilità di corruzione e collusione. Quest'ultimo peraltro è un problema sempre più evidente: l'autorità Antitrust di recente ha aperto sette istruttorie per ipotesi di cartello fra imprese negli appalti anche se, guarda caso, gli enti segnalano sospetti o anomalie solo molto di rado.
Ma i risparmi, se e quando arriveranno, sono destinati a creare anche contraccolpi sull'economia. Gustavo Piga, economista ed ex presidente di Consip, avverte che un sistema basato sui grandi contratti può colpire migliaia di imprese familiari che oggi vivono di piccoli appalti. Questa riforma rischia di riscrivere la geografia dell'apparato produttivo italiano, lasciando fuori la stragrande maggioranza dei fornitori.
Sostengono i rappresentanti gli artigiani delle Cna e l'Ance, l'associazione dei costruttori, che così "si uccide un pezzo di economia locale". Già oggi le gare (quando ci sono) vengono vinte dai Consorzi industriali e dalle cooperative che - denuncia la Cna - prima affidavano i subappalti ai piccoli mentre ora accentrano tutto, fino ad assorbire la stessa manodopera locale.
Il Paese è dunque a un bivio: tagliare la spesa significa togliere ossigeno ai piccoli, proprio mentre invece le leggi e le mosse del governo incentivano le imprese a mantenere una taglia ridotta. Basti pensare alle misure sui mini bond, a quelli sulle garanzie creditizie o ai contratti di lavoro più flessibili quando l'impresa è sotto la soglia dei 15 addetti. Ma per il governo è tempo di scelte. E come diceva Milton Friedman, nessun pasto è gratis: anche, ma non solo, nelle mense pubbliche.
(15 giugno 2014)
domenica 15 giugno 2014
Expo: padiglione cinese
4.590ma ispirati all'armonia
Milano, 12 giugno. - Sara' il secondo padiglione piu' grande dopo quello della Germania con 4.590 mq; accogliera' i visitatori con il tema 'Terra di speranza, cibo per la vita'; con un design ispirato al concetto di 'armonia' provera' a raccontare la vasta cultura cinese e il suo "sforzo" per nutrire una popolazione di 1,3 miliardi nel rispetto della natura. La sfida cinese per lo sviluppo e la sua esperienza millenaria nel comparto dell'agricoltura entrano in pieno nella fase operativa in vista di Expo 2015: il padiglione del Paese - presentato oggi a Milano che sara' affiancato da alti due padiglioni corporate di due aziende - comincera' a nascere la prossima settima quando inizieranno gli scavi per le fondamenta.
E' al prima volta che la Cina partecipa ad un'Expo oltremare con un padiglione 'self-built' e ha deciso di farlo a Milano per dare una spinta alla collaborazione tra i due Paesi. Il progetto architettonico riproduce delle 'onde di grano' dove le forme di un paesaggio naturale si fondono a quelle di uno skyline urbano; il tetto sara' coperto di bambu' che produrra' un riflesso di colore oro nelle giornate di sole e lascera' filtrare la luce limitando al massimo l'illuminazione artificiale in linea con il messaggio di sviluppo sostenibile di Expo 2015.
Cinque le aree in cui sara' diviso il padiglione: una di attesa accogliera' i visitatori con schermi lcd; l'area 'cielo' raccontera' le 24 ricorrenze annuali del calendario lunare e i relativi cambiamenti dell'agricoltura; l'area 'uomini' sara' dedicata alla rappresentazione di 16 elementi tipici della tradizione cinese; nell'area 'terra' verranno presentati i paesaggi tipici attraverso tecnologie avanzate e nell'area 'armonia', infine, verra' raccontato lo "sforzo" cinese di coniugare lo sviluppo con la natura.
Il progetto di partecipazione cinese sara' corredato da un logo e due mascotte; mentre il padiglione sara' animato con un ricco calendario di eventi e iniziative funzionali soprattutto a far conoscere la Cina che arrivera' a Expo, e anche questa sara' una prima volta, con la maggior parte delle Province che la compongono. "C'e' volonta' di sviluppare la collaborazione tra i due Paesi - ha riferito il commissario cinese a Expo - cosi' come detto dal presidente Renzi nella sua visita. Faremo del nostro meglio per costruire questa piattaforma, vogliamo migliorare gli scambi e far nascere diversi progetti. Siamo fiduciosi - ha aggiunto - che con l'impegno del Governo italiano e il forte sostegno della comunita' internazionale, Expo Milano sara' un evento memorabile". "La Cina - ha detto l'ad di Expo Spa, Giuseppe Sala - si sta rivelando il nostro partner fondamentale, senza togliere nulla ad altri. E' il paese che ha fatto il maggior investimento, non soltanto in termini economici, ma anche culturali e di presenza con i suoi tre padiglioni. E' il segno che, oltre a vedere le difficolta' e a volte anche i limiti di Expo, non possiamo non vederne le grandi opportunita'".
VENDUTI GIA' 500MILA BIGLIETTI IN CINA,
OBIETTIVO 1 MLN
Sono gia' stati venduti 500mila biglietti per Expo 2015 ai tour operator in Cina e si guarda al traguardo del milione quando manca meno un evento a ll'Expo di Milan Il risultato e' stato reso noto dall'ad di Expo Spa, Giuseppe Sala, e dal commissario della Cina all'evento, Wang Jinzhen.
"E' un risultato importante - ha commentato Sala - e credo anche che sia importante dire che potenzialmente un milione di cinesi verra' in Italia perche', al di la' della logica dei visti, c'e' un tema legato ai voli e quindi poter dire alle compagnie aeree che c'e' questa opportunita' dara' un grande contributo".
Il commissario cinese, in occasione dell presentazione del padiglione con cui il Paese sara' presente all'Expo - oltre ad altri due corporate - ha reso noto che la Cina e' pronta a sostenere l'evento milanese anche con attivita' di promozione. A questo scopo, e' stato firmato un accordo e un road show partira' per le province cinesi a settembre, corredato da una motra che raccontera' cos'e' l'Expo e come sara' declinata la presenza cinese.
RENZI RIMONTA A PECHINO
TUTTI GLI ACCORDI FIRMATI
DURANTE LA VISITA DEL PREMIER
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 13 giu. - La visita ufficiale a Pechino del presidente del Consiglio Matteo Renzi è stato il momento in cui Italia e Cina hanno siglato gli accordi di partenariato tra aziende italiane e cinesi per la cooperazione nei settori di maggiore rilevanza per entrambi i Paesi. Renzi ha affrontato il viaggio conscio del forte squilibrio nella bilancia commerciale tra Cina e Italia, pari a 13 miliardi di euro. "Una sconfitta netta" ha commentato ieri il premier, che potrebbe essere ridimensionata dall'Expo di Milano del prossimo anno, per il quale, in Cina, sono forti le aspettative, aveva spiegato ieri Renzi ai suoi collaboratori. La Cina sarà presente a Milano con tre padiglioni: oltre a quello governativo, ci sarà il padiglione gestito dal gruppo immobiliare Vanke e quello di China Corporate United Pavillion, espressione dei grandi gruppi industriali cinesi. Nel suo discorso finale alla Grande Sala del Popolo di Pechino, assieme al primo ministro cinese, Li Keqiang, Renzi si è soffermato sull'importanza per l'Italia dei prossimi dodici mesi, che si apriranno con il semestre di presidenza Ue e si concluderanno proprio con l'evento di Milano. "E' l'anno in cui la nostra partnership può avere una svolta reale - ha detto il premier ieri - E vogliamo offire il segno della nostra collaborazione".
Sul piano politico, il business forum Italia-Cina, che cade nel decennale della partnership strategica tra i due Paesi, ha prodotto uno statuto istitutivo, un testo del piano d'azione adottato dai due premier, e il memorandum d'intesa tra il Ministero per lo Sviluppo Economico del governo italiano e il Ministero del Commercio cinese per il rafforzamento della collaborazione economico-commerciale in cinque aree di cooperazione, che sono quelle delle tecnologie verdi e dello sviluppo sostenibile, dell'agricoltura e sicurezza alimentare, dell'urbanizzazione sostenibile, della sanità e servizi sanitari, dell'aviazione e aerospazio.
Il business Forum Italia-Cina è stata l'occasione per i campioni dell'industria italiana di siglare accordi con i partner cinesi. Tra i grandi nomi del settore industriale, ci sono quelli di Enel e Finmeccanica. Il gruppo di distribuzione di energia elettrica italiano ha firmato accordi strategici con China Huaneng Group per lo sviluppo congiunto di tecnologie, di progetti elettrici da fonti convenzionali e rinnovabili, programmi di carbon strategy e di collaborazione accademica tra i rispettivi centri studi. Con China National Nuclear Corporation, Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale del gruppo, ha firmato unaccorod per la cooperazione el campo della costruzione e della gestione di centrali nucleari. "Gli accordi siglati oggi segnano l'inizio della collaborazione con aziende cinesi chiave in settori che saranno critici per vincere le nostre sfide energetiche di domani. Queste intese, inoltre - ha commentato Starace - danno atto del valore che Enel porta attraverso la sua tecnologia ed esperienza in molte aree del settore elettrico". Starace si è poi detto "fiducioso" che la cooperazione di Enel con i partner cinesi "porterà vantaggi per tutte le parti coinvolte".
Finmeccanica è stata protagonista con due accordi firmati durante il business forum. Il primo è il memorandum d'intesa del valore stimato in 500 milioni di euro di Agusta Westland che fornirà a Beijing Automotive Industrial Corporation 50 elicotteri "esclusivamente dedicati a compiti di pubblica utilità" spiega in una nota l'amministratore delegato e direttore generale del gruppo, Mauro Moretti. Un'altra società del gruppo Finmeccanica, Ansaldo STS, ha poi firmato un accordo per il valore di 36 milioni di euro con United Mechanical and Electrical Co. Ltd. per la realizzazione di impianti di sistemi di segnalamento sulle linee metropolitane di alcune città cinesi, della costa e del nord-est.
Tra gli altri accordi siglati in sede di business forum ci sono poi il memorandum d'intesa del valore di cinque milioni di euro tra Sogin e un altro gruppo del nucleare cinese, China General Nuclear Power, per lo smantellamento nucleare e la gestione dei rifiuti radioattivi, l'accordo di cooperazione tra Invitalia e la municipalità di Ningbo, nella Cina orientale, per l'avvio di una cooperazione strategica per la costituzione di un "Parco industriale Ningbo-Italia" e la formalizzazione degli accordi di Genova tra Ansaldo Energia e Shanghai Electric, per l'acquisto di quote del gruppo italiano da parte di Shanghai Electric e la costituzione di due joint-venture, per il valore stimato di circa 400 milioni di euro. Il govenro italiano, tramite il Ministero per lo Sviluppo Economico, ha poi firmato un memorandum d'intesa con il gruppo di e-commerce Alibaba per promuovere maggiori opportunità commerciali per le imprese che vogliono essere attive sulla piattaforma Tmall del gigante cinese dell'e-commerce.
RENZI, RECUPERARE POSIZIONI
E APRIRSI A INVESTIMENTI
"Sono 33 miliardi i denari di interscambio tra Italia e Cina, solo che sono squilibrati: 23-10. Noi dobbiamo recuperare posizioni: possiamo investire di più e aprirci a investimenti che siano produttivi per il nostro territorio, che vuole dire posti di lavoro". Questo il commento del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sul disavanzo commerciale tra Roma e Pechino, nelle ultime ore della sua tappa pechinese, terzo stop della sua missione asiatica che oggi continua in Kazakistan. "Tocca all'Italia smettere di dividersi e giocare finalmente in squadra, ma non a parole, giocare sul serio - spiega Renzi - Questo è il senso della visita: se è andata bene o no lo vedremo nei prossimi mesi, vedendo crescere o meno le percentuali di ricchezza e anche naturalmente di posti di lavoro".
Renzi, dal Kempisnki Hotel di Pechino, dove si è incontrato con i vertici di Huawei e con Jack Ma, fondatore del gruppo di e-commerce Alibaba, è poi tornato sul tema dell'internazionalizzazione delle imprese. "In molti dicono: uno va all'estero e porta via posti di lavoro in Italia. Non è così. Lo abbiamo visto in Vietnam: se la Piaggio è ancora aperta a Pontedera è perché ha avuto la possibilità di investire in Vietnam. E allo stesso modo tante aziende che qui vengono a investire non stanno delocalizzando, stanno internazionalizzando. La differenza è semplice: stanno facendo soldi per poi rilanciare l'Italia.
Dall'altro lato - continua il premier - gli investimenti cinesi in Italia sono ancora pochi. Dobbiamo essere aperti a ricevere il capitale straniero, perché l'investimento sia in Italia, che significa posti di lavoro".
Il premier ha poi riflettuto sulla situazione italiana e sul significato della visita a Pechino. "Quando hai una disoccupazione del 46% è naturale che il presidente del Consiglio debba muoversi, girare e cercare di portare un po' di risorse in Italia. E' quello che abbiamo fatto, accanto a una importante visita istituzionale". Renzi ricorda gli incontri di ieri con il presidente cinese Xi Jinping, e il primo ministro Li Keqiang, e quello con Zhang Dejiang, presidente della Assemblea Nazionale del Popolo, oltre a quello che ha avuto oggi con il governatore della People's Bank of China, la banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan. "L'obiettivo è molto chiaro - conclude Renzi - l'Italia a testa alta guarda al futuro con la decisione e la determinazione di chi sa che in Cina tanti amano il nostro Paese, tanti vorrebbero acquistare i nostri prodotti e condividere le nostre esperienze culturali".
TUTTI GLI ACCORDI FIRMATI
DURANTE LA VISITA DEL PREMIER
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 13 giu. - La visita ufficiale a Pechino del presidente del Consiglio Matteo Renzi è stato il momento in cui Italia e Cina hanno siglato gli accordi di partenariato tra aziende italiane e cinesi per la cooperazione nei settori di maggiore rilevanza per entrambi i Paesi. Renzi ha affrontato il viaggio conscio del forte squilibrio nella bilancia commerciale tra Cina e Italia, pari a 13 miliardi di euro. "Una sconfitta netta" ha commentato ieri il premier, che potrebbe essere ridimensionata dall'Expo di Milano del prossimo anno, per il quale, in Cina, sono forti le aspettative, aveva spiegato ieri Renzi ai suoi collaboratori. La Cina sarà presente a Milano con tre padiglioni: oltre a quello governativo, ci sarà il padiglione gestito dal gruppo immobiliare Vanke e quello di China Corporate United Pavillion, espressione dei grandi gruppi industriali cinesi. Nel suo discorso finale alla Grande Sala del Popolo di Pechino, assieme al primo ministro cinese, Li Keqiang, Renzi si è soffermato sull'importanza per l'Italia dei prossimi dodici mesi, che si apriranno con il semestre di presidenza Ue e si concluderanno proprio con l'evento di Milano. "E' l'anno in cui la nostra partnership può avere una svolta reale - ha detto il premier ieri - E vogliamo offire il segno della nostra collaborazione".
Sul piano politico, il business forum Italia-Cina, che cade nel decennale della partnership strategica tra i due Paesi, ha prodotto uno statuto istitutivo, un testo del piano d'azione adottato dai due premier, e il memorandum d'intesa tra il Ministero per lo Sviluppo Economico del governo italiano e il Ministero del Commercio cinese per il rafforzamento della collaborazione economico-commerciale in cinque aree di cooperazione, che sono quelle delle tecnologie verdi e dello sviluppo sostenibile, dell'agricoltura e sicurezza alimentare, dell'urbanizzazione sostenibile, della sanità e servizi sanitari, dell'aviazione e aerospazio.
Il business Forum Italia-Cina è stata l'occasione per i campioni dell'industria italiana di siglare accordi con i partner cinesi. Tra i grandi nomi del settore industriale, ci sono quelli di Enel e Finmeccanica. Il gruppo di distribuzione di energia elettrica italiano ha firmato accordi strategici con China Huaneng Group per lo sviluppo congiunto di tecnologie, di progetti elettrici da fonti convenzionali e rinnovabili, programmi di carbon strategy e di collaborazione accademica tra i rispettivi centri studi. Con China National Nuclear Corporation, Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale del gruppo, ha firmato unaccorod per la cooperazione el campo della costruzione e della gestione di centrali nucleari. "Gli accordi siglati oggi segnano l'inizio della collaborazione con aziende cinesi chiave in settori che saranno critici per vincere le nostre sfide energetiche di domani. Queste intese, inoltre - ha commentato Starace - danno atto del valore che Enel porta attraverso la sua tecnologia ed esperienza in molte aree del settore elettrico". Starace si è poi detto "fiducioso" che la cooperazione di Enel con i partner cinesi "porterà vantaggi per tutte le parti coinvolte".
Finmeccanica è stata protagonista con due accordi firmati durante il business forum. Il primo è il memorandum d'intesa del valore stimato in 500 milioni di euro di Agusta Westland che fornirà a Beijing Automotive Industrial Corporation 50 elicotteri "esclusivamente dedicati a compiti di pubblica utilità" spiega in una nota l'amministratore delegato e direttore generale del gruppo, Mauro Moretti. Un'altra società del gruppo Finmeccanica, Ansaldo STS, ha poi firmato un accordo per il valore di 36 milioni di euro con United Mechanical and Electrical Co. Ltd. per la realizzazione di impianti di sistemi di segnalamento sulle linee metropolitane di alcune città cinesi, della costa e del nord-est.
Tra gli altri accordi siglati in sede di business forum ci sono poi il memorandum d'intesa del valore di cinque milioni di euro tra Sogin e un altro gruppo del nucleare cinese, China General Nuclear Power, per lo smantellamento nucleare e la gestione dei rifiuti radioattivi, l'accordo di cooperazione tra Invitalia e la municipalità di Ningbo, nella Cina orientale, per l'avvio di una cooperazione strategica per la costituzione di un "Parco industriale Ningbo-Italia" e la formalizzazione degli accordi di Genova tra Ansaldo Energia e Shanghai Electric, per l'acquisto di quote del gruppo italiano da parte di Shanghai Electric e la costituzione di due joint-venture, per il valore stimato di circa 400 milioni di euro. Il govenro italiano, tramite il Ministero per lo Sviluppo Economico, ha poi firmato un memorandum d'intesa con il gruppo di e-commerce Alibaba per promuovere maggiori opportunità commerciali per le imprese che vogliono essere attive sulla piattaforma Tmall del gigante cinese dell'e-commerce.
RENZI, RECUPERARE POSIZIONI
E APRIRSI A INVESTIMENTI
"Sono 33 miliardi i denari di interscambio tra Italia e Cina, solo che sono squilibrati: 23-10. Noi dobbiamo recuperare posizioni: possiamo investire di più e aprirci a investimenti che siano produttivi per il nostro territorio, che vuole dire posti di lavoro". Questo il commento del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sul disavanzo commerciale tra Roma e Pechino, nelle ultime ore della sua tappa pechinese, terzo stop della sua missione asiatica che oggi continua in Kazakistan. "Tocca all'Italia smettere di dividersi e giocare finalmente in squadra, ma non a parole, giocare sul serio - spiega Renzi - Questo è il senso della visita: se è andata bene o no lo vedremo nei prossimi mesi, vedendo crescere o meno le percentuali di ricchezza e anche naturalmente di posti di lavoro".
Renzi, dal Kempisnki Hotel di Pechino, dove si è incontrato con i vertici di Huawei e con Jack Ma, fondatore del gruppo di e-commerce Alibaba, è poi tornato sul tema dell'internazionalizzazione delle imprese. "In molti dicono: uno va all'estero e porta via posti di lavoro in Italia. Non è così. Lo abbiamo visto in Vietnam: se la Piaggio è ancora aperta a Pontedera è perché ha avuto la possibilità di investire in Vietnam. E allo stesso modo tante aziende che qui vengono a investire non stanno delocalizzando, stanno internazionalizzando. La differenza è semplice: stanno facendo soldi per poi rilanciare l'Italia.
Dall'altro lato - continua il premier - gli investimenti cinesi in Italia sono ancora pochi. Dobbiamo essere aperti a ricevere il capitale straniero, perché l'investimento sia in Italia, che significa posti di lavoro".
Il premier ha poi riflettuto sulla situazione italiana e sul significato della visita a Pechino. "Quando hai una disoccupazione del 46% è naturale che il presidente del Consiglio debba muoversi, girare e cercare di portare un po' di risorse in Italia. E' quello che abbiamo fatto, accanto a una importante visita istituzionale". Renzi ricorda gli incontri di ieri con il presidente cinese Xi Jinping, e il primo ministro Li Keqiang, e quello con Zhang Dejiang, presidente della Assemblea Nazionale del Popolo, oltre a quello che ha avuto oggi con il governatore della People's Bank of China, la banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan. "L'obiettivo è molto chiaro - conclude Renzi - l'Italia a testa alta guarda al futuro con la decisione e la determinazione di chi sa che in Cina tanti amano il nostro Paese, tanti vorrebbero acquistare i nostri prodotti e condividere le nostre esperienze culturali".
RENZI IN CINA
L’ITALIA FORSE CAMBIA VERSO IN CINA
di Paolo Borzatta
Twitter@BorzattaP
dal suo blog SPECCHIO CINESE
Pechino, 11 giu. - Giornata clou del Presidente del Consiglio Matteo Renzi in Cina. Dopo una sosta in Vietnam (Prima visita di stato di un Presidente del Consiglio Italiano in quel Paese che sta diventando importante per le nostre aziende) e una tappa a Shanghai con incontro con la comunità italiana di quella città, oggi Renzi è arrivato a Pechino e dopo incontri di governo è venuto a chiudere insieme al Primo Ministro cinese Li Keqiang la riunione inaugurale del Business Forum Italia – Cina.
In questo mio commento, desidero solo descrivervi le mie impressioni da “old China hands” che di missioni in Cina del Governo Italiano ne ho viste molte.
La riunione con oltre 120 capi azienda arrivati dall’Italia, più quelli residenti e un numero molto alto di capi azienda cinesi è stata sicuramente un successo, soprattutto se confrontata a quelle del passato in cui quasi mai si erano visti capi azienda italiani di alto calibro (come: Moretti – Finmeccanica, Starace – Enel, Ghizzoni – Unicredito, Guerra – Luxottica, ecc.) e anche molti pari grado cinesi di grandissimi gruppi cinesi (Vanke, Avic, Shanghai Electric, ecc.). Quello che dà la misura del successo è il numero di Capi di grandi aziende cinesi che erano presenti e che sono rimasti per tutto il Business Forum.
A chiusura del Forum sono stati firmati un numero alto di importanti accordi e contratti. Date un’occhiata ai giornali che ne riportano lista e valore. Una lista che ero abituato a vedere al termine delle missioni tedesche, non delle nostre.
Ma il grande cambiamento è arrivato con il discorso di Renzi alla fine del Forum dopo quello di Li Keqiang. Il Primo Ministro cinese ha fatto un buon intervento classico, sottolineando i punti di forza della collaborazione dei due stati. Degna di nota l’apertura quando ha detto “Renzi è Presidente del Consiglio da tre mesi, ma è già stato capace di portare 300 aziende italiane a questo forum…!” (tradotto da me a braccio e a memoria).
Poi Renzi ha fatto un bellissimo intervento dicendo (in estrema sintesi) che l’Italia ha un background storico e culturale altrettanto lungo quanto quello della Cina e che proprio da ciò devono nascere le forze per la nostra partnership, ha poi detto che le aziende italiane vengono in Cina non per delocalizzare, ma perché hanno iniziato un forte ciclo di internazionalizzazione, che questo ciclo di internazionalizzazione lo possiamo fare insieme alle aziende cinesi, ha chiuso dicendo che Cina e Italia devono stare insieme come una tartaruga e un cavallo: per avere calma, pazienza, ponderazione al fine di correre (insieme) sempre più velocemente.
Al di là dei validi contenuti ho notato uno spirito e un atteggiamento diverso. Tutti i Presidenti del Consiglio italiani che ho sentito parlare di fronte a Primi Ministri cinesi hanno sempre avuto un tono dimesso e quasi di inferiorità psicologica nei confronti del collega cinese. Magari hanno fatto discorsi validi (a volte no), ma comunque si avvertiva (o meglio: io avvertivo) nelle parole, nei toni e negli atteggiamenti non verbali una sudditanza psicologica.
Renzi ha fatto esattamente il contrario e l’ha fatto da gran signore. Dando sempre – in modo sincero e credibile – riconoscimenti ai commenti del collega cinese che aveva parlato prima di lui, ma facendo capire in ogni istante che non c’era alcun timore e nessuna sudditanza psicologica, forse il contrario.
Il clou è stato quando Renzi ha ottenuto uno scrosciante applauso a scena aperta e non solo alla fine (Li Keqiang ha avuto un convinto applauso solo alla fine) e lo ha “girato” anche a Li Keqiang dicendo che era anche grazie alle parole precedenti del collega che lui aveva potuto dire la frase così apprezzata. Un gesto da grande leader! Nella sostanza e nei modi.
Questo mi ha anche fatto riconsiderare gli “errori” che gli esperti di Cina (incluso il sottoscritto sia pure non espertissimo come altri) stavano attribuendo a questo viaggio di Renzi. Lo stop in Vietnam (con cui la Cina ha attriti forti di carattere territoriale con recenti scontri violentissimi in Vietnam contro i cinesi che colà fanno affari o hanno aziende) e il passaggio da Shanghai prima di Pechino, mentre l’etichetta cinese prevedrebbe l’inizio di qualunque viaggio ufficiale dalla capitale. Forse, ha voluto dire: “noi veniamo in pace e vogliamo fare affari con voi, ma non siamo disposti a seguire le vostre regole su cose che non vi riguardano.”
Se lui, il Governo italiano e noi – imprenditori italiani – avremo la forza di realizzare tutto quello che lui promette e che noi da decenni diciamo di voler fare, beh … forse l’Italia sta cambiando verso anche in Cina.
Vi riporto, come nota finale, il fatto che per la prima volta, in decenni, ho sentito dire a voce alta a moltissimi partecipanti italiani: “siamo orgogliosi di essere italiani e per la prima volta non dobbiamo vergognarci!” La penso così anch’io.
11 giugno 2014
@ Riproduzione riservata
L’ITALIA FORSE CAMBIA VERSO IN CINA
di Paolo Borzatta
Twitter@BorzattaP
dal suo blog SPECCHIO CINESE
Pechino, 11 giu. - Giornata clou del Presidente del Consiglio Matteo Renzi in Cina. Dopo una sosta in Vietnam (Prima visita di stato di un Presidente del Consiglio Italiano in quel Paese che sta diventando importante per le nostre aziende) e una tappa a Shanghai con incontro con la comunità italiana di quella città, oggi Renzi è arrivato a Pechino e dopo incontri di governo è venuto a chiudere insieme al Primo Ministro cinese Li Keqiang la riunione inaugurale del Business Forum Italia – Cina.
In questo mio commento, desidero solo descrivervi le mie impressioni da “old China hands” che di missioni in Cina del Governo Italiano ne ho viste molte.
La riunione con oltre 120 capi azienda arrivati dall’Italia, più quelli residenti e un numero molto alto di capi azienda cinesi è stata sicuramente un successo, soprattutto se confrontata a quelle del passato in cui quasi mai si erano visti capi azienda italiani di alto calibro (come: Moretti – Finmeccanica, Starace – Enel, Ghizzoni – Unicredito, Guerra – Luxottica, ecc.) e anche molti pari grado cinesi di grandissimi gruppi cinesi (Vanke, Avic, Shanghai Electric, ecc.). Quello che dà la misura del successo è il numero di Capi di grandi aziende cinesi che erano presenti e che sono rimasti per tutto il Business Forum.
A chiusura del Forum sono stati firmati un numero alto di importanti accordi e contratti. Date un’occhiata ai giornali che ne riportano lista e valore. Una lista che ero abituato a vedere al termine delle missioni tedesche, non delle nostre.
Ma il grande cambiamento è arrivato con il discorso di Renzi alla fine del Forum dopo quello di Li Keqiang. Il Primo Ministro cinese ha fatto un buon intervento classico, sottolineando i punti di forza della collaborazione dei due stati. Degna di nota l’apertura quando ha detto “Renzi è Presidente del Consiglio da tre mesi, ma è già stato capace di portare 300 aziende italiane a questo forum…!” (tradotto da me a braccio e a memoria).
Poi Renzi ha fatto un bellissimo intervento dicendo (in estrema sintesi) che l’Italia ha un background storico e culturale altrettanto lungo quanto quello della Cina e che proprio da ciò devono nascere le forze per la nostra partnership, ha poi detto che le aziende italiane vengono in Cina non per delocalizzare, ma perché hanno iniziato un forte ciclo di internazionalizzazione, che questo ciclo di internazionalizzazione lo possiamo fare insieme alle aziende cinesi, ha chiuso dicendo che Cina e Italia devono stare insieme come una tartaruga e un cavallo: per avere calma, pazienza, ponderazione al fine di correre (insieme) sempre più velocemente.
Al di là dei validi contenuti ho notato uno spirito e un atteggiamento diverso. Tutti i Presidenti del Consiglio italiani che ho sentito parlare di fronte a Primi Ministri cinesi hanno sempre avuto un tono dimesso e quasi di inferiorità psicologica nei confronti del collega cinese. Magari hanno fatto discorsi validi (a volte no), ma comunque si avvertiva (o meglio: io avvertivo) nelle parole, nei toni e negli atteggiamenti non verbali una sudditanza psicologica.
Renzi ha fatto esattamente il contrario e l’ha fatto da gran signore. Dando sempre – in modo sincero e credibile – riconoscimenti ai commenti del collega cinese che aveva parlato prima di lui, ma facendo capire in ogni istante che non c’era alcun timore e nessuna sudditanza psicologica, forse il contrario.
Il clou è stato quando Renzi ha ottenuto uno scrosciante applauso a scena aperta e non solo alla fine (Li Keqiang ha avuto un convinto applauso solo alla fine) e lo ha “girato” anche a Li Keqiang dicendo che era anche grazie alle parole precedenti del collega che lui aveva potuto dire la frase così apprezzata. Un gesto da grande leader! Nella sostanza e nei modi.
Questo mi ha anche fatto riconsiderare gli “errori” che gli esperti di Cina (incluso il sottoscritto sia pure non espertissimo come altri) stavano attribuendo a questo viaggio di Renzi. Lo stop in Vietnam (con cui la Cina ha attriti forti di carattere territoriale con recenti scontri violentissimi in Vietnam contro i cinesi che colà fanno affari o hanno aziende) e il passaggio da Shanghai prima di Pechino, mentre l’etichetta cinese prevedrebbe l’inizio di qualunque viaggio ufficiale dalla capitale. Forse, ha voluto dire: “noi veniamo in pace e vogliamo fare affari con voi, ma non siamo disposti a seguire le vostre regole su cose che non vi riguardano.”
Se lui, il Governo italiano e noi – imprenditori italiani – avremo la forza di realizzare tutto quello che lui promette e che noi da decenni diciamo di voler fare, beh … forse l’Italia sta cambiando verso anche in Cina.
Vi riporto, come nota finale, il fatto che per la prima volta, in decenni, ho sentito dire a voce alta a moltissimi partecipanti italiani: “siamo orgogliosi di essere italiani e per la prima volta non dobbiamo vergognarci!” La penso così anch’io.
11 giugno 2014
@ Riproduzione riservata
venerdì 13 giugno 2014
12/06/2014
Accordo di Class Editori con la cinese Century Fortunet Limited per lo sviluppo in Italia della piattaforma di e-commerce B2B, CCIGMall
FTA Online News
Ieri a Pechino, in occasione del Business Forum sino –Italiano e alla presenza dei Primi ministri Matteo Renzi e Li Keqiang, sono stati firmati i dieci più' importanti contratti fra aziende italiane e cinesi.
Fra questi, è stato firmato il contratto tra Class Editori Spa (rappresentata dal vicepresidente e amministratore delegato Paolo Panerai) e il gruppo cinese Century Fortunet Limited (nella persona della chairperson Madam Guo Hong, presidente anche del Century International group: telecomunicazioni, cablature, satelliti), che ha come oggetto una serie di attività che Class Editori direttamente e attraverso sue controllate e collegate, condurrà in Italia per lo sviluppo di CCIGMall, la piattaforma di e-commerce B2B fondata da Century Fortunet Limited, e costruita congiuntamente da alcune dei maggiori gruppi e istituzioni straniere tra cui Bank of China, China Union Pay, China Telecom e il China Council for the promotion of international trade.
La piattaforma di e-commerce CCIGMall, che è in piena conformità con i principi del Wto di non discriminazione, commercio equo e trasparenza, prevede di favorire il commercio elettronico tra i dettaglianti cinesi, che già hanno aderito e che aderiranno alla piattaforma, permettendo loro l'accesso a oltre mille tipologie di prodotti scelti tra gli otto paesi europei e americani, tra cui l'Italia, primo paese estero scelto sia per il settore food sia per il settore fashion, shoes & luxury goods and design.
Per questi due settori Class Editori, attraverso collegate, svolgerà funzioni di main agent, selezionando aziende e prodotti.
Attraverso un innovativo modello di business-to-business basato su internet, sulle più recenti tecnologie di marketing online e una filiera commerciale e logistica di qualità che a regime punta ad arrivare a 3 milioni di retailers, CCIGMall Platform fornirà a partire dal prossimo ottobre un servizio completo per i dettaglianti, che va dall'ordinativo, al pagamento on-line, alla logistica e al credito finanziario e assicurativo, permettendo ai consumatori cinesi di poter acquistare prodotti italiani affidabili e di alta qualità a prezzi competitivi.
CCIGMall ha in progetto il raggiungimento di 150 miliardi di dollari di transazioni nei prossimi cinque anni, e prevede che più di 45 miliardi di euro di merci saranno acquistati in Italia e in altri paesi europei. Il secondo step, grazie al ruolo di China Telecom, sarà quello di diventare anche piattaforma B2C.
Sulla base della grande richiesta di prodotti italiani nel mercato cinese, e le politiche dal governo italiano a sostegno di una maggiore presenza delle piccole e medie imprese italiane sul mercato cinese, la piattaforma (alternativa ad Alibaba) consentirà quanto migliaia di Pmi desiderano da tempo, cioè avere la più capillare rete di distribuzione su tutto il territorio cinese senza dover fare investimenti fuori dalla loro portata.
Class Editori, oltre che main agent per i due settori principali del made in Italy, sarà direttamente agente esclusivo per l'Italia per la vendita della pubblicità sulla piattaforma CCIG Mall e per la produzione di contenuti relativi ai prodotti che saranno veicolati attraverso la piattaforma e che offriranno ai retailer cinesi tutte le informazioni necessarie per poter sviluppare i loro acquisti. Infine Class Editori assumerà il ruolo di coordinatore degli agent degli altri settori.
(GD)
Accordo di Class Editori con la cinese Century Fortunet Limited per lo sviluppo in Italia della piattaforma di e-commerce B2B, CCIGMall
FTA Online News
Ieri a Pechino, in occasione del Business Forum sino –Italiano e alla presenza dei Primi ministri Matteo Renzi e Li Keqiang, sono stati firmati i dieci più' importanti contratti fra aziende italiane e cinesi.
Fra questi, è stato firmato il contratto tra Class Editori Spa (rappresentata dal vicepresidente e amministratore delegato Paolo Panerai) e il gruppo cinese Century Fortunet Limited (nella persona della chairperson Madam Guo Hong, presidente anche del Century International group: telecomunicazioni, cablature, satelliti), che ha come oggetto una serie di attività che Class Editori direttamente e attraverso sue controllate e collegate, condurrà in Italia per lo sviluppo di CCIGMall, la piattaforma di e-commerce B2B fondata da Century Fortunet Limited, e costruita congiuntamente da alcune dei maggiori gruppi e istituzioni straniere tra cui Bank of China, China Union Pay, China Telecom e il China Council for the promotion of international trade.
La piattaforma di e-commerce CCIGMall, che è in piena conformità con i principi del Wto di non discriminazione, commercio equo e trasparenza, prevede di favorire il commercio elettronico tra i dettaglianti cinesi, che già hanno aderito e che aderiranno alla piattaforma, permettendo loro l'accesso a oltre mille tipologie di prodotti scelti tra gli otto paesi europei e americani, tra cui l'Italia, primo paese estero scelto sia per il settore food sia per il settore fashion, shoes & luxury goods and design.
Per questi due settori Class Editori, attraverso collegate, svolgerà funzioni di main agent, selezionando aziende e prodotti.
Attraverso un innovativo modello di business-to-business basato su internet, sulle più recenti tecnologie di marketing online e una filiera commerciale e logistica di qualità che a regime punta ad arrivare a 3 milioni di retailers, CCIGMall Platform fornirà a partire dal prossimo ottobre un servizio completo per i dettaglianti, che va dall'ordinativo, al pagamento on-line, alla logistica e al credito finanziario e assicurativo, permettendo ai consumatori cinesi di poter acquistare prodotti italiani affidabili e di alta qualità a prezzi competitivi.
CCIGMall ha in progetto il raggiungimento di 150 miliardi di dollari di transazioni nei prossimi cinque anni, e prevede che più di 45 miliardi di euro di merci saranno acquistati in Italia e in altri paesi europei. Il secondo step, grazie al ruolo di China Telecom, sarà quello di diventare anche piattaforma B2C.
Sulla base della grande richiesta di prodotti italiani nel mercato cinese, e le politiche dal governo italiano a sostegno di una maggiore presenza delle piccole e medie imprese italiane sul mercato cinese, la piattaforma (alternativa ad Alibaba) consentirà quanto migliaia di Pmi desiderano da tempo, cioè avere la più capillare rete di distribuzione su tutto il territorio cinese senza dover fare investimenti fuori dalla loro portata.
Class Editori, oltre che main agent per i due settori principali del made in Italy, sarà direttamente agente esclusivo per l'Italia per la vendita della pubblicità sulla piattaforma CCIG Mall e per la produzione di contenuti relativi ai prodotti che saranno veicolati attraverso la piattaforma e che offriranno ai retailer cinesi tutte le informazioni necessarie per poter sviluppare i loro acquisti. Infine Class Editori assumerà il ruolo di coordinatore degli agent degli altri settori.
(GD)
A NEW YORK PER RASSICURARE GLI INVESTITORI INTERNAZIONALI
La scommessa di Padoan:
«Renzi ce la farà, vedrete fra 6 mesi»
Il ministro dell’Economia: «Inizieranno a vedersi segnali tangibili di uscita da questa fase dura». «Per ridurre il debito pubblico la strada maestra è la crescita»
«Sul fatto che il governo Renzi non ce la farà invito a vedere cosa sarà successo nei prossimi sei mesi»: non ha dubbi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. L’Italia si riprenderà e sarà anche merito del premier e del suo governo. In un’intervista a RaiNews,il titolare del dicastero di via XX Settembre incalza: «Si cominceranno a vedere segni tangibili sempre più forti che l’economia italiana sta uscendo da una fase molto dura e cominceranno a esserci prospettive di occupazione e crescita».
«La strada maestra è la crescita»
«Il governo Renzi sta lavorando su più fronti, anche quello della corruzione che sta affrontando con efficacia e determinazione: vedrete, il problema della corruzione diventerà sempre meno un problema», dice il ministro.
Padoan riflette poi sulla via maestra per ridurre il debito pubblico italiano: «La strada è la crescita. Gli interessi sul debito stanno scendendo e dovrebbero rimanere bassi. Ma ci vuole soprattutto crescita, ecco perché ci vogliono le riforme. Se ci fosse un po’ più di crescita, e ci sarà, lo sforzo fiscale dell’Italia non ha paralleli in Europa: solo la Germania ha lo stesso sforzo fiscale mantenuto nel tempo».
«Gli interessi sul debito stanno scendendo e dovrebbero continuare rimanere bassi, ma soprattutto ci vuole crescita. Ecco perché ci vogliono le riforme, quelle che innalzano la crescita e il lavoro», mette ancora in evidenza Padoan, precisando che il «dilemma fra crescita e rigore è superato. Posso dire che l’Italia nella presidenza dell’Unione Europea metterà crescita e lavoro al primo posto».
Rassicurare gli investitori
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è a a New York in questi giorni per illustrare la ricetta del governo Renzi per l’Italia, rassicurando gli investitori e promuovendo il piano di privatizzazioni in cantiere, con Enav, Poste e Fincantieri in prima linea. Una girandola di appuntamenti a Wall Street, che prevede mercoledì anche l’incontro con Larry Fink, il numero uno di BlackRock, il fondo che vanta importanti partecipazioni in varie banche italiane. A Padoan, rinomato sulla scena internazionale per le passate esperienze al Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e all’Ocse, spetta il compito di promuovere il cantiere Italia e le sue riforme, essenziali - secondo il ministro dell’Economia - per avviare una fase di crescita sostenibile.
11 giugno 2014 | 08:44
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La scommessa di Padoan:
«Renzi ce la farà, vedrete fra 6 mesi»
Il ministro dell’Economia: «Inizieranno a vedersi segnali tangibili di uscita da questa fase dura». «Per ridurre il debito pubblico la strada maestra è la crescita»
«Sul fatto che il governo Renzi non ce la farà invito a vedere cosa sarà successo nei prossimi sei mesi»: non ha dubbi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. L’Italia si riprenderà e sarà anche merito del premier e del suo governo. In un’intervista a RaiNews,il titolare del dicastero di via XX Settembre incalza: «Si cominceranno a vedere segni tangibili sempre più forti che l’economia italiana sta uscendo da una fase molto dura e cominceranno a esserci prospettive di occupazione e crescita».
«La strada maestra è la crescita»
«Il governo Renzi sta lavorando su più fronti, anche quello della corruzione che sta affrontando con efficacia e determinazione: vedrete, il problema della corruzione diventerà sempre meno un problema», dice il ministro.
Padoan riflette poi sulla via maestra per ridurre il debito pubblico italiano: «La strada è la crescita. Gli interessi sul debito stanno scendendo e dovrebbero rimanere bassi. Ma ci vuole soprattutto crescita, ecco perché ci vogliono le riforme. Se ci fosse un po’ più di crescita, e ci sarà, lo sforzo fiscale dell’Italia non ha paralleli in Europa: solo la Germania ha lo stesso sforzo fiscale mantenuto nel tempo».
«Gli interessi sul debito stanno scendendo e dovrebbero continuare rimanere bassi, ma soprattutto ci vuole crescita. Ecco perché ci vogliono le riforme, quelle che innalzano la crescita e il lavoro», mette ancora in evidenza Padoan, precisando che il «dilemma fra crescita e rigore è superato. Posso dire che l’Italia nella presidenza dell’Unione Europea metterà crescita e lavoro al primo posto».
Rassicurare gli investitori
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è a a New York in questi giorni per illustrare la ricetta del governo Renzi per l’Italia, rassicurando gli investitori e promuovendo il piano di privatizzazioni in cantiere, con Enav, Poste e Fincantieri in prima linea. Una girandola di appuntamenti a Wall Street, che prevede mercoledì anche l’incontro con Larry Fink, il numero uno di BlackRock, il fondo che vanta importanti partecipazioni in varie banche italiane. A Padoan, rinomato sulla scena internazionale per le passate esperienze al Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e all’Ocse, spetta il compito di promuovere il cantiere Italia e le sue riforme, essenziali - secondo il ministro dell’Economia - per avviare una fase di crescita sostenibile.
11 giugno 2014 | 08:44
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mercoledì 11 giugno 2014
Alibaba buys mobile Internet business
BEIJING/HANGZHOU, June 11 (Xinhua) -- Alibaba Group, China's largest e-commerce company, on Wednesday announced it will purchase UCWeb, a provider of mobile Internet software and services.
Although the two sides did not reveal the value of the deal, the merger is expected to be the largest in China's Internet business.
The previous record was set last August when Nasdaq-listed Baidu Inc. closed a 1.9-billion-U.S.-dollar deal to acquire 91 Wireless Websoft, a major distributor of Chinese smartphone applications.
UCWeb board chairman Yu Yongfu, who will act as president of Alibaba's future UC mobile platform, said the valuation of the Alibaba-UCWeb merger far exceeds the one set by Baidu, China's most popular search engine.
The valuation of the deal will be largely determined by the stock value of Alibaba, which filed its IPO in the United States on May 6. It is expected to be the world's largest stock listing since Facebook's 16-billion-U.S.-dollar offering in 2012.
Alibaba currently holds 66 percent of UCWeb's stake with a total investment worth 686 million U.S. dollars.
Alibaba founder and chairman Jack Ma said in a letter to the company's staff on Wednesday that the merger deal was agreed because both Alibaba and UCWeb believe that the time of information technology is being replaced by the age of "data technology," which is inspired by activating creativity.
The merger is expected to present a challenge to Baidu, as UCWeb's UC Browser is the world's most popular mobile browser, boasting 5 million users. Founded in 2004, the company is one of China's earliest Internet firms specialized in mobile services.
The 15-year-old Alibaba is the world's largest online and mobile commerce company. It had a gross merchandise volume of 248 billion U.S. dollars in 2013 on its three major trading platforms.
In addition to the online retail and wholesale business, it provides cloud computing services, and is the world's largest payment processor with a payment volume of 519 billion U.S. dollars in 2013.
BEIJING/HANGZHOU, June 11 (Xinhua) -- Alibaba Group, China's largest e-commerce company, on Wednesday announced it will purchase UCWeb, a provider of mobile Internet software and services.
Although the two sides did not reveal the value of the deal, the merger is expected to be the largest in China's Internet business.
The previous record was set last August when Nasdaq-listed Baidu Inc. closed a 1.9-billion-U.S.-dollar deal to acquire 91 Wireless Websoft, a major distributor of Chinese smartphone applications.
UCWeb board chairman Yu Yongfu, who will act as president of Alibaba's future UC mobile platform, said the valuation of the Alibaba-UCWeb merger far exceeds the one set by Baidu, China's most popular search engine.
The valuation of the deal will be largely determined by the stock value of Alibaba, which filed its IPO in the United States on May 6. It is expected to be the world's largest stock listing since Facebook's 16-billion-U.S.-dollar offering in 2012.
Alibaba currently holds 66 percent of UCWeb's stake with a total investment worth 686 million U.S. dollars.
Alibaba founder and chairman Jack Ma said in a letter to the company's staff on Wednesday that the merger deal was agreed because both Alibaba and UCWeb believe that the time of information technology is being replaced by the age of "data technology," which is inspired by activating creativity.
The merger is expected to present a challenge to Baidu, as UCWeb's UC Browser is the world's most popular mobile browser, boasting 5 million users. Founded in 2004, the company is one of China's earliest Internet firms specialized in mobile services.
The 15-year-old Alibaba is the world's largest online and mobile commerce company. It had a gross merchandise volume of 248 billion U.S. dollars in 2013 on its three major trading platforms.
In addition to the online retail and wholesale business, it provides cloud computing services, and is the world's largest payment processor with a payment volume of 519 billion U.S. dollars in 2013.
SETTIMANA DELL'ITALIA LIFESTYLE
DA MODA A CIBO, MARCHI TOP A SHANGHAI
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Shanghai, 31 mag. - Moda, arte, lifestyle, turismo, food & beverage. Sono questi i temi della "Settimana dell'Italia Lifestyle" che si è aperta il 27 maggio scorso a Shanghai e continuerà fino al 4 giugno 2014, organizzata dal Consolato Generale d'Italia a Shanghai, in collaborazione con l'Ambasciata d'Italia in Cina per celebrare la festa nazionale della Repubblica del 2 giugno. Agli eventi che si susseguono in questi giorni hanno partecipato alcuni grandi nomi della moda e del comparto del lusso italiano, come Damiani, che qui a Shanghai ha celebrato i novanta anni di attività delle sue gioiellerie, Amaro Lucano, che ha annunciato il lancio dei propri prodotti in Cina, e Ferrari China. Per l'industria del fashion e del lifestyle cinese erano presenti nomi come Ne Tiger, Trendy, Elle China e Bosideng, casa di moda cinese che il 29 maggio scorso ha firmato per la propria partecipazione al progetto "The Fashion of Food" all'interno del terzo padiglione cinese che sarà presente a Expo Milano 2015, il China Corporate United Pavillion, che rappresenta i maggiori gruppi cinesi. Il 2 giugno prossimo verrà poi dato il via a una promozione di prodotti italiani, soprattutto del comparto food & beverage, sulla piattaforma Tmall di Alibaba, che proseguirà fino al 15 giugno prossimo, coprendo per intero le date della prevista visita in Cina del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che tra il 10 e il 12 giugno prossimi sarà a Shanghai e a Pechino.
"Nel settore moda l'Italia è qui il secondo Paese dopo la Francia e il mercato cinese apprezza i singoli brand - ha spiegato il Console Generale a Shanghai, Stefano Beltrame - ma l'immagine dell'Italia non è ancora nota come meriterebbe, per la sua storia, la sua arte, il design e tutto quello che ha da offrire sotto il profilo industriale e dello stile di vita". Durante la settimana del lifestyle si sono tenuti diversi eventi legati alla moda italiana, come il seminario "Fashion system - Strong ties between China and Italy" organizzato dalla scuola di moda Istituto Marangoni, che a Shanghai ha un training center per preparare i giovani stilisti e designer cinesi alla competizione a livello internazionale sulle grandi piazze europee, e in particolare su quella italiana. Il training center dell'Istituto Marangoni di Shanghai, spiega ad AgiChina Tim Borgmann, direttore del business development per il settore Asia Pacific dell'istituto di moda italiano, è la prima struttura di questo tipo ad avere ottenuto una licenza per operare su territorio cinese slegato da un'istituzione universitaria locale. Borgmann si sofferma sulla cooperazione tra Italia e Cina nel settore della moda. "Stiamo già assistendo a un'apertura delle aziende cinesi che stanno passando dalla sola produzione alla creazione di brand e non di rado prendono in prestito o creano identità volutamente non cinesi - spiega Borgmann, che è anche direttore del training Center di Shanghai - Sono molti i casi di investitori cinesi che incaricano designer italiani, qui, di creare brand dall'apparenza e dall'identità italiana, ma con l'investimento e la struttura tutta cinese". Sul versante del design, è poi stata inaugurata nel centro di Corso Como 10, sulla centralissima via Nanjing, la mostra di fotografie di Alfa Castaldi, fotografo scomparso nel 1995, e la mostra ""Hat-ology" dell'hat designer britannico Stephen Jones dedicata alla memoria dalla giornalista di moda Anna Piaggi, spentasi nel 2012 e nota per i suoi cappelli stravaganti.
Il mercato cinese è sempre più importante per i gruppi del food e del lusso italiano. "La Cina ha una grandissima tradizione alimentare e una cultura del cibo fortissima - ha ricordato il console Beltrame - e siamo estremamente orgogliosi del fatto che la cucina italiana, qui, si impone. In questo che è il più competitivo dei mercati, sotto il profilo del gusto alimentare, ci sono ristoratori italiani che fanno lo standard". Per Guido Grassi Damiani, ultimo erede della catena di gioiellerie fondata novanta anni fa dal nonno, Enrico, "la Cina è il mercato del futuro ma già oggi vediamo segnali incoraggianti. Quello cinese - spiega ad AgiChina il presidente e CEO di Damiani Group - è un grosso mercato, da cui i nostri competitor ricavano il 30-40% del proprio fatturato, e anche se siamo presenti da poco meno di due anni confidiamo anche noi di fare altrettanto". Damiani ha celebrato ieri il novantesimo anniversario dalla fondazione del brand a Shanghai assieme a star internazionali come le attrici Eva Longoria e Xin Tiandi.
Grandi aspettative dal mercato cinese anche per un altro nome noto del food & beverage italiano, come Amaro Lucano, che prevede anche l'apertura di shop tematici in Cina dedicati al brand. "Non escludiamo che nel futuro potremo vedere un bar Lucano o un Caffè Lucano - spiega Leonardo Vena, marketing manager di Lucano - Il nostro obiettivo non era quello di fare un lancio e poi lasciare che la macchina vada da sola. Volevamo fare un'operazione coerente con il territorio e cercare di fare conoscere alla cultura millenaria cinese la nostra ultra-centenaria cultura aziendale".
DA MODA A CIBO, MARCHI TOP A SHANGHAI
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Shanghai, 31 mag. - Moda, arte, lifestyle, turismo, food & beverage. Sono questi i temi della "Settimana dell'Italia Lifestyle" che si è aperta il 27 maggio scorso a Shanghai e continuerà fino al 4 giugno 2014, organizzata dal Consolato Generale d'Italia a Shanghai, in collaborazione con l'Ambasciata d'Italia in Cina per celebrare la festa nazionale della Repubblica del 2 giugno. Agli eventi che si susseguono in questi giorni hanno partecipato alcuni grandi nomi della moda e del comparto del lusso italiano, come Damiani, che qui a Shanghai ha celebrato i novanta anni di attività delle sue gioiellerie, Amaro Lucano, che ha annunciato il lancio dei propri prodotti in Cina, e Ferrari China. Per l'industria del fashion e del lifestyle cinese erano presenti nomi come Ne Tiger, Trendy, Elle China e Bosideng, casa di moda cinese che il 29 maggio scorso ha firmato per la propria partecipazione al progetto "The Fashion of Food" all'interno del terzo padiglione cinese che sarà presente a Expo Milano 2015, il China Corporate United Pavillion, che rappresenta i maggiori gruppi cinesi. Il 2 giugno prossimo verrà poi dato il via a una promozione di prodotti italiani, soprattutto del comparto food & beverage, sulla piattaforma Tmall di Alibaba, che proseguirà fino al 15 giugno prossimo, coprendo per intero le date della prevista visita in Cina del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che tra il 10 e il 12 giugno prossimi sarà a Shanghai e a Pechino.
"Nel settore moda l'Italia è qui il secondo Paese dopo la Francia e il mercato cinese apprezza i singoli brand - ha spiegato il Console Generale a Shanghai, Stefano Beltrame - ma l'immagine dell'Italia non è ancora nota come meriterebbe, per la sua storia, la sua arte, il design e tutto quello che ha da offrire sotto il profilo industriale e dello stile di vita". Durante la settimana del lifestyle si sono tenuti diversi eventi legati alla moda italiana, come il seminario "Fashion system - Strong ties between China and Italy" organizzato dalla scuola di moda Istituto Marangoni, che a Shanghai ha un training center per preparare i giovani stilisti e designer cinesi alla competizione a livello internazionale sulle grandi piazze europee, e in particolare su quella italiana. Il training center dell'Istituto Marangoni di Shanghai, spiega ad AgiChina Tim Borgmann, direttore del business development per il settore Asia Pacific dell'istituto di moda italiano, è la prima struttura di questo tipo ad avere ottenuto una licenza per operare su territorio cinese slegato da un'istituzione universitaria locale. Borgmann si sofferma sulla cooperazione tra Italia e Cina nel settore della moda. "Stiamo già assistendo a un'apertura delle aziende cinesi che stanno passando dalla sola produzione alla creazione di brand e non di rado prendono in prestito o creano identità volutamente non cinesi - spiega Borgmann, che è anche direttore del training Center di Shanghai - Sono molti i casi di investitori cinesi che incaricano designer italiani, qui, di creare brand dall'apparenza e dall'identità italiana, ma con l'investimento e la struttura tutta cinese". Sul versante del design, è poi stata inaugurata nel centro di Corso Como 10, sulla centralissima via Nanjing, la mostra di fotografie di Alfa Castaldi, fotografo scomparso nel 1995, e la mostra ""Hat-ology" dell'hat designer britannico Stephen Jones dedicata alla memoria dalla giornalista di moda Anna Piaggi, spentasi nel 2012 e nota per i suoi cappelli stravaganti.
Il mercato cinese è sempre più importante per i gruppi del food e del lusso italiano. "La Cina ha una grandissima tradizione alimentare e una cultura del cibo fortissima - ha ricordato il console Beltrame - e siamo estremamente orgogliosi del fatto che la cucina italiana, qui, si impone. In questo che è il più competitivo dei mercati, sotto il profilo del gusto alimentare, ci sono ristoratori italiani che fanno lo standard". Per Guido Grassi Damiani, ultimo erede della catena di gioiellerie fondata novanta anni fa dal nonno, Enrico, "la Cina è il mercato del futuro ma già oggi vediamo segnali incoraggianti. Quello cinese - spiega ad AgiChina il presidente e CEO di Damiani Group - è un grosso mercato, da cui i nostri competitor ricavano il 30-40% del proprio fatturato, e anche se siamo presenti da poco meno di due anni confidiamo anche noi di fare altrettanto". Damiani ha celebrato ieri il novantesimo anniversario dalla fondazione del brand a Shanghai assieme a star internazionali come le attrici Eva Longoria e Xin Tiandi.
Grandi aspettative dal mercato cinese anche per un altro nome noto del food & beverage italiano, come Amaro Lucano, che prevede anche l'apertura di shop tematici in Cina dedicati al brand. "Non escludiamo che nel futuro potremo vedere un bar Lucano o un Caffè Lucano - spiega Leonardo Vena, marketing manager di Lucano - Il nostro obiettivo non era quello di fare un lancio e poi lasciare che la macchina vada da sola. Volevamo fare un'operazione coerente con il territorio e cercare di fare conoscere alla cultura millenaria cinese la nostra ultra-centenaria cultura aziendale".
martedì 10 giugno 2014
Renzi in Cina: "Riforme per creare posti di lavoro
Matteo Renzi fa tappa in Cina. Dopo la visita in Vietnam il premier è a Shanghai e anche da lì ribadisce ancora una volta la necessità per l'Italia di fare le riforme. Servono "per creare posti di lavoro", ripete il presidente del Consiglio che ha parlato anche dell'importanza del Made in Italy. "Noi non siamo qui per riportare a casa le aziende, ma siamo qui per portare più Italia all'estero", le parole di Renzi. L'export è ancora troppo basso: "è segno - ha sottolineato il capo del governo - che qualcosa che non va da parte nostra".
Matteo Renzi fa tappa in Cina. Dopo la visita in Vietnam il premier è a Shanghai e anche da lì ribadisce ancora una volta la necessità per l'Italia di fare le riforme. Servono "per creare posti di lavoro", ripete il presidente del Consiglio che ha parlato anche dell'importanza del Made in Italy. "Noi non siamo qui per riportare a casa le aziende, ma siamo qui per portare più Italia all'estero", le parole di Renzi. L'export è ancora troppo basso: "è segno - ha sottolineato il capo del governo - che qualcosa che non va da parte nostra".
Pompei : Tour tra gli sprechi. Sei scempi per 20 milioni al vento
Antonio Irlando, dell’Osservatorio Patrimonio Culturale, ci guida tra le rovine dell’intervento pubblico.
di Antonio Castaldo > 9 giugno 2014 Corriere della sera
Il progetto Grande Pompei è una corsa contro il tempo: spendere 105 milioni per gli scavi archeologici, in larga parte fondi europei, entro fine 2015. Pena la perdita di finanziamenti essenziali per il sito minacciato da continui crolli e dalla chiusura sistematica di buona parte delle domus . Una vera e propria sfida, al punto che l’incarico è stato affidato ad un generale dei carabinieri noto per la sua efficienza. Ma, oltre che in fretta, i fondi andranno spesi bene. Ovvero in modo che lascino traccia di sé in modo duraturo. Nell’area degli scavi, e nelle immediate vicinanze, spuntano ovunque testimonianze di iniziative avviate negli anni passati e poi abbandonate all’oblio, strutture finite nel mirino della magistratura, cantieri inaugurati in pompa magna e poi lasciati in sospeso. In poche parole, al percorso delle domus, unico nel suo genere, si affianca un itinerario tra i monumenti allo spreco. In poco meno di una mezza giornata, con una guida esperta e aggiornata come Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio patrimonio culturale, è possibile visitarne alcuni. Basta poco per raggiungere la dignitosa cifra di 20 milioni di euro spesi per opere poco o mai utilizzate.
Il percorso degli sprechi
La nostra passeggiata comincia da porta Anfiteatro, a poche centinaia di metri dal Santuario che ogni anno è visitata da circa quattro milioni di pellegrini. Ai due lati del vialetto d’ingresso agli scavi sorge una struttura a nido d’uccello, che come ha scritto Enzo Esposito sul «Corriere del Mezzzogiorno», ricorda nell’architettura lo stadio nazionale di Pechino: «Doveva essere la nuova biglietteria - spiega il nostro Virgilio, Irlando - è stato completato anni fa ma non è mai stato inaugurato». Costo: 4,9 milioni di euro. Appena entrati negli scavi, alla sinistra del plesso di guardiania, sorge una piccola casetta di legno. Sulla porta è stampato il logo di Pompei bike, un percorso ciclabile con postazioni in varie aree del sito per depositare o prelevare le biciclette: «Si tratta di un’iniziativa lodevole, purtroppo durata non più di qualche mese - continua Irlando -. Poi le bici sono scomparse. E così anche le postazioni sono andate in abbandono». Nella relazione dell’allora commissario per l’emergenza di Pompei, Marcello Fiori, datata 10 novembre 2010, si parla di una spesa di circa 22 mila per i costi del personale: «In realtà tale cifra - aggiunge Irlando - arriva a sfiorare gli 80 mila euro considerando tutte le voci».
I cani randagi
Nella medesima relazione si annunciava che il progetto «Randagismo: campagna di adozione» sarebbe stato prorogato «visti i risultati positivi raggiunti». Già nel febbraio dell’anno scorso il «Corriere del Mezzogiorno» registrava che il censimento dei cani intercettati nell’area archeologica non era andato oltre quota 55 esemplari. Ventisei dei quali sono stati «adottati». Il tutto al costo di quasi 103mila euro, ovvero 3.690 euro a cane. «Terminato il progetto - chiosa Irlando - negli scavi sono rimaste le cucce vuote e i pannelli informativi ormai in disarmo».
L’ecomostro
Appena al di fuori delle mura pompeiane, in corrispondenza di Porta di Nola, sorge quello che fin dal primo «avvistamento» di un giornale locale è stato ribattezzato l’ecomostro di Pompei. Si tratta di un «bunker», almeno questa è l’idea che ispira ad una prima occhiata, tutto in cemento armato, mimetizzato alla vista del turista che percorre il circuito della visita agli Scavi, ma ben visibile dalla strada. Un’opera imponente, destinata con un bando d’appalto dell’agosto 2006 «ad ospitare nuovi depositi, uffici per il personale e magazzino archeologico». Doveva costare 3 milioni 796mila euro, ma il costo è lievitato fino a 4 milioni 906mila euro. «Per completarlo servirebbero diversi altri milioni - conclude Irlando - ed è forse per questo che da mesi i lavori sono sospesi». La visita tra gli sprechi ci porta quindi al teatro grande, il cui restauro costato circa 8 milioni, è stato oggetto di un’accurata indagine della Procura di Torre Annunziata. Un intervento paragonato da Gian Antonio Stella a uno «stupro». Solo nell’aprile scorso il monumentale teatro pompeiano è stato dissequestrato. «Ma ciò che resta è ai miei occhi di architetto specializzato in restauri conservativi uno scempio - aggiunge Irlando -. La memoria del passato è stata cancellata dal calcestruzzo. Solo per dare un’idea, hanno utilizzato per rifare la gradinate lo stesso tufo che si usa per le case di campagna. Il risultato è un’arena da villaggio turistico». L’ultima tappa di questo giro degli orrori è visibile da porta di Stabia, ma è collocato all’interno del perimetro degli scavi. Si tratta di un deposito che doveva essere provvisorio e che in realtà è ormai definitivo, ancorché non sia mai stato utilizzato. E tuttora appare arrugginito e spoglio. «Il tutto al costo di 2,6 milioni», conclude Irlando. Il totale supera, appunto, i 20 milioni. Una cifra che resta come un monito per le future spese. La visita termina qui. Quelle prese in esame sono eredità di precedenti gestioni, l’attuale Soprintendenza non ne ha alcuna colpa. Tuttavia sono nodi da affrontare e possibilmente sciogliere. Prima o poi.
Antonio Irlando, dell’Osservatorio Patrimonio Culturale, ci guida tra le rovine dell’intervento pubblico.
di Antonio Castaldo > 9 giugno 2014 Corriere della sera
Il progetto Grande Pompei è una corsa contro il tempo: spendere 105 milioni per gli scavi archeologici, in larga parte fondi europei, entro fine 2015. Pena la perdita di finanziamenti essenziali per il sito minacciato da continui crolli e dalla chiusura sistematica di buona parte delle domus . Una vera e propria sfida, al punto che l’incarico è stato affidato ad un generale dei carabinieri noto per la sua efficienza. Ma, oltre che in fretta, i fondi andranno spesi bene. Ovvero in modo che lascino traccia di sé in modo duraturo. Nell’area degli scavi, e nelle immediate vicinanze, spuntano ovunque testimonianze di iniziative avviate negli anni passati e poi abbandonate all’oblio, strutture finite nel mirino della magistratura, cantieri inaugurati in pompa magna e poi lasciati in sospeso. In poche parole, al percorso delle domus, unico nel suo genere, si affianca un itinerario tra i monumenti allo spreco. In poco meno di una mezza giornata, con una guida esperta e aggiornata come Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio patrimonio culturale, è possibile visitarne alcuni. Basta poco per raggiungere la dignitosa cifra di 20 milioni di euro spesi per opere poco o mai utilizzate.
Il percorso degli sprechi
La nostra passeggiata comincia da porta Anfiteatro, a poche centinaia di metri dal Santuario che ogni anno è visitata da circa quattro milioni di pellegrini. Ai due lati del vialetto d’ingresso agli scavi sorge una struttura a nido d’uccello, che come ha scritto Enzo Esposito sul «Corriere del Mezzzogiorno», ricorda nell’architettura lo stadio nazionale di Pechino: «Doveva essere la nuova biglietteria - spiega il nostro Virgilio, Irlando - è stato completato anni fa ma non è mai stato inaugurato». Costo: 4,9 milioni di euro. Appena entrati negli scavi, alla sinistra del plesso di guardiania, sorge una piccola casetta di legno. Sulla porta è stampato il logo di Pompei bike, un percorso ciclabile con postazioni in varie aree del sito per depositare o prelevare le biciclette: «Si tratta di un’iniziativa lodevole, purtroppo durata non più di qualche mese - continua Irlando -. Poi le bici sono scomparse. E così anche le postazioni sono andate in abbandono». Nella relazione dell’allora commissario per l’emergenza di Pompei, Marcello Fiori, datata 10 novembre 2010, si parla di una spesa di circa 22 mila per i costi del personale: «In realtà tale cifra - aggiunge Irlando - arriva a sfiorare gli 80 mila euro considerando tutte le voci».
I cani randagi
Nella medesima relazione si annunciava che il progetto «Randagismo: campagna di adozione» sarebbe stato prorogato «visti i risultati positivi raggiunti». Già nel febbraio dell’anno scorso il «Corriere del Mezzogiorno» registrava che il censimento dei cani intercettati nell’area archeologica non era andato oltre quota 55 esemplari. Ventisei dei quali sono stati «adottati». Il tutto al costo di quasi 103mila euro, ovvero 3.690 euro a cane. «Terminato il progetto - chiosa Irlando - negli scavi sono rimaste le cucce vuote e i pannelli informativi ormai in disarmo».
L’ecomostro
Appena al di fuori delle mura pompeiane, in corrispondenza di Porta di Nola, sorge quello che fin dal primo «avvistamento» di un giornale locale è stato ribattezzato l’ecomostro di Pompei. Si tratta di un «bunker», almeno questa è l’idea che ispira ad una prima occhiata, tutto in cemento armato, mimetizzato alla vista del turista che percorre il circuito della visita agli Scavi, ma ben visibile dalla strada. Un’opera imponente, destinata con un bando d’appalto dell’agosto 2006 «ad ospitare nuovi depositi, uffici per il personale e magazzino archeologico». Doveva costare 3 milioni 796mila euro, ma il costo è lievitato fino a 4 milioni 906mila euro. «Per completarlo servirebbero diversi altri milioni - conclude Irlando - ed è forse per questo che da mesi i lavori sono sospesi». La visita tra gli sprechi ci porta quindi al teatro grande, il cui restauro costato circa 8 milioni, è stato oggetto di un’accurata indagine della Procura di Torre Annunziata. Un intervento paragonato da Gian Antonio Stella a uno «stupro». Solo nell’aprile scorso il monumentale teatro pompeiano è stato dissequestrato. «Ma ciò che resta è ai miei occhi di architetto specializzato in restauri conservativi uno scempio - aggiunge Irlando -. La memoria del passato è stata cancellata dal calcestruzzo. Solo per dare un’idea, hanno utilizzato per rifare la gradinate lo stesso tufo che si usa per le case di campagna. Il risultato è un’arena da villaggio turistico». L’ultima tappa di questo giro degli orrori è visibile da porta di Stabia, ma è collocato all’interno del perimetro degli scavi. Si tratta di un deposito che doveva essere provvisorio e che in realtà è ormai definitivo, ancorché non sia mai stato utilizzato. E tuttora appare arrugginito e spoglio. «Il tutto al costo di 2,6 milioni», conclude Irlando. Il totale supera, appunto, i 20 milioni. Una cifra che resta come un monito per le future spese. La visita termina qui. Quelle prese in esame sono eredità di precedenti gestioni, l’attuale Soprintendenza non ne ha alcuna colpa. Tuttavia sono nodi da affrontare e possibilmente sciogliere. Prima o poi.
Agenzia Xinhua > Ansa di Pechino
CINA: SURPLUS COMMERCIALE +75% A MAGGIO, EXPORT +7%
Pechino, 8 giu. - Il surplus commerciale in Cina sale deo' 74,9% a maggio a 35,92 miliardi di dollari. In forte rialzo l'export che avanza del 7% a 195,47 miliardi di dollari, dopo il +0,9% di aprile. L'import cala dell'1,6% a 159,55 miliardi di dollari.
CINA: SURPLUS COMMERCIALE +75% A MAGGIO, EXPORT +7%
Pechino, 8 giu. - Il surplus commerciale in Cina sale deo' 74,9% a maggio a 35,92 miliardi di dollari. In forte rialzo l'export che avanza del 7% a 195,47 miliardi di dollari, dopo il +0,9% di aprile. L'import cala dell'1,6% a 159,55 miliardi di dollari.
Agenzia Xinhua > Ansa di Pechino
ALIBABA PUNTA A 8 AGOSTO COME DATA IPO: "E' NUMERO FORTUNATO"
Roma, 4 giu. - Il numero otto in Cina e' considerato il piu' fortunato e viene pronunciato 'ba', un suono che ricorda 'fa', ovvero 'prosperita'. Per questo Alibaba, il colosso cinese delle vendite online, avrebbe scelto l'8 agosto (8/8) come data per quello che a Wall Street sara' il debutto piu' atteso dell'anno. E' quanto scrive 'Bloomberg' citando fonti vicine alla compagnia, che nel nome di 'ba' ne ha ben due e vorrebbe pertanto che le fosse assegnato come codice 'BABA': doppio otto, doppia fortuna ('BA' e' invece gia' il codice delle azioni Boeing). E che non si parli di superstizione, dato che le Olimpiadi di Pechino, un indiscutibile successo, iniziarono l'8 agosto del 2008. Ne' Jack Ma e Joe Tsai, cofondatori di Alibaba, sono gli unici uomini d'affari orientali attenti al potere dei numeri. Per citare un esempio recente, il magnate thailandese (ma cinese di origini) Charoen Sirivadhanabhakdi, quando lo scorso febbraio tratto' l'acquisizione della singaporegna Fraser & Neave, pose come condizione del contratto che il prezzo fosse di 8,88 dollari per azione. Il collocamento in borsa di Alibaba, previsto entro la fine dell'anno, appare destinato a essere il maggiore della storia di Wall Street, con un flottante stimato sui 20 miliardi di dollari e una valutazione complessiva di mercato di 168 miliardi di dollari, cresciuta di oltre cinque volte in pochi anni. Le fonti citate da Bloomberg avvertono pero' che la data di agosto verra' sfruttata solo se le condizioni del mercato lo permetteranno, dato che si tratta di un mese caratterizzato da volumi di scambio molto bassi. Delle cento maggiori offerte pubbliche di azioni avvenute in Usa solo due, quella di Google e quella di Petroleo Brasileiro, avvennero infatti ad agosto. E' quindi probabile che Alibaba proroghi il debutto a Wall Street a settembre. Magari il 9 settembre. In Cina anche il nove e' infatti considerato un numero fortunato, dato che in mandarino suona come 'durevole'.
ALIBABA PUNTA A 8 AGOSTO COME DATA IPO: "E' NUMERO FORTUNATO"
Roma, 4 giu. - Il numero otto in Cina e' considerato il piu' fortunato e viene pronunciato 'ba', un suono che ricorda 'fa', ovvero 'prosperita'. Per questo Alibaba, il colosso cinese delle vendite online, avrebbe scelto l'8 agosto (8/8) come data per quello che a Wall Street sara' il debutto piu' atteso dell'anno. E' quanto scrive 'Bloomberg' citando fonti vicine alla compagnia, che nel nome di 'ba' ne ha ben due e vorrebbe pertanto che le fosse assegnato come codice 'BABA': doppio otto, doppia fortuna ('BA' e' invece gia' il codice delle azioni Boeing). E che non si parli di superstizione, dato che le Olimpiadi di Pechino, un indiscutibile successo, iniziarono l'8 agosto del 2008. Ne' Jack Ma e Joe Tsai, cofondatori di Alibaba, sono gli unici uomini d'affari orientali attenti al potere dei numeri. Per citare un esempio recente, il magnate thailandese (ma cinese di origini) Charoen Sirivadhanabhakdi, quando lo scorso febbraio tratto' l'acquisizione della singaporegna Fraser & Neave, pose come condizione del contratto che il prezzo fosse di 8,88 dollari per azione. Il collocamento in borsa di Alibaba, previsto entro la fine dell'anno, appare destinato a essere il maggiore della storia di Wall Street, con un flottante stimato sui 20 miliardi di dollari e una valutazione complessiva di mercato di 168 miliardi di dollari, cresciuta di oltre cinque volte in pochi anni. Le fonti citate da Bloomberg avvertono pero' che la data di agosto verra' sfruttata solo se le condizioni del mercato lo permetteranno, dato che si tratta di un mese caratterizzato da volumi di scambio molto bassi. Delle cento maggiori offerte pubbliche di azioni avvenute in Usa solo due, quella di Google e quella di Petroleo Brasileiro, avvennero infatti ad agosto. E' quindi probabile che Alibaba proroghi il debutto a Wall Street a settembre. Magari il 9 settembre. In Cina anche il nove e' infatti considerato un numero fortunato, dato che in mandarino suona come 'durevole'.
Agenzia Xinhua
SCOPERTI IN CINA I PANTALONI PIU ANTICHI AL MONDO
Pechino, 6 giu. Hanno 3.300 anni e sono i pantaloni più antichi al mondo. Il ritrovamento è avvenuto qualche settimana fa nelle regione autonoma cinese dello Xinjiang dove gli archeologi hanno rinvenuto due mummie identificate come due sciamani maschi sulla quarantina con indosso i pantaloni fatti di pelliccia animale. Un team internazionale sta ora lavorando per restaurare e conservare i due ritrovamenti, i più vecchi mai scoperti con una evidente somiglianza a quelli moderni. Sono molto simili a quelli usati oggi , ha dichiarato Lu Enguo, ricercatore presso l istituto di Archeologia del Xinjiang. In passato pantaloni simili erano stati trovati nella regione, ma si trattava di un modello più semplice senza il cavallo che univa le due gambe. Prima di questo ritrovamento, i pantaloni più vecchi risalivano a 2800 anni fa. Secondo gli archeologi, i pantaloni sarebbero stati inventati proprio dai nomadi che vivevano nella zona per poterli utilizzare per andare a cavallo. .
SCOPERTI IN CINA I PANTALONI PIU ANTICHI AL MONDO
Pechino, 6 giu. Hanno 3.300 anni e sono i pantaloni più antichi al mondo. Il ritrovamento è avvenuto qualche settimana fa nelle regione autonoma cinese dello Xinjiang dove gli archeologi hanno rinvenuto due mummie identificate come due sciamani maschi sulla quarantina con indosso i pantaloni fatti di pelliccia animale. Un team internazionale sta ora lavorando per restaurare e conservare i due ritrovamenti, i più vecchi mai scoperti con una evidente somiglianza a quelli moderni. Sono molto simili a quelli usati oggi , ha dichiarato Lu Enguo, ricercatore presso l istituto di Archeologia del Xinjiang. In passato pantaloni simili erano stati trovati nella regione, ma si trattava di un modello più semplice senza il cavallo che univa le due gambe. Prima di questo ritrovamento, i pantaloni più vecchi risalivano a 2800 anni fa. Secondo gli archeologi, i pantaloni sarebbero stati inventati proprio dai nomadi che vivevano nella zona per poterli utilizzare per andare a cavallo. .
lunedì 9 giugno 2014
Eurasia: al via workshop, Italia guarda a Oriente per il business
(AGI) - Roma, 9 giu. - L'Italia, prossima guida dell'Ue e ospite del vertice Asem che si terra' a Milano a ottobre, guarda con sempre maggiore interesse ai Paesi asiatici. Con l'obiettivo di rafforzare la cooperazione e creare reti internazionali per moltiplicare opportunita' di business e progetti culturali, ha preso il via stamane da Roma il Workshop Eurasia. Un 'palcoscenico' d'eccezione per fornire una panoramica della situazione attuale e sulle sue prospettive, per presentare i trend di crescita dei Paesi asiatici, per approfondire gli spazi di collaborazione con l'Italia, definendo con le istituzioni e le aziende strategie condivise di sviluppo. Un'iniziativa pluriennale di promozione internazionale, quella del workshop, nata sotto gli auspici del ministero degli Esteri e avviata congiuntamente da AGI, Universita' La Sapienza di Roma e Fondazione Roma-Mediterraneo, con il patrocinio dell'Ice. Come ha ricordato il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, il Workshop ha luogo alla "vigilia dell'avvio del semestre italiano di presidenza europea" e del "vertice Asem dei capi di Stato e di governo di 52 Paesi dell'Europa e dell'Asia, che si incontreranno il prossimo ottobre a Milano con l'obiettivo di promuovere la crescita e lo sviluppo delle due regioni e di consolidare il dialogo sulla cooperazione politico-economica e gli scambi socio-culturali". In quest'ottica, si inserisce anche l'appuntamento dell'Expo2015 a Milano, che rappresentera' una straordinaria opportunita' per trattare di temi centrali per lo sviluppo dei Paesi dell'Eurasia e per la crescita dell'interscambio tra le due aree. Confermando la "crescente attenzione dell'Italia per il consolidamento delle architetture regionali in Asia", Della Vedova ha sottolineato "l'intenzione di iniettare nuovo dinamismo nell'immagine e nel ruolo italiano in Asia". Di fronte a "un'interdipendenza economica crescente", ha aggiunto, "Europa e Asia devono lavorare insieme per migliorare le possibilita' di crescita", forti anche del comune interesse nel "garantire la sicurezza globale ed evitare la nascita di nuovi conflitti". Concorde il presidente della Fondazione Roma-Mediterraneo, Emmanuele F. M. Emanuele, che si e' detto convinto della necessita' di confrontarsi con lo "scenario internazionale", recuperando il rapporto con i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo e "attraverso di essi con l'Oriente tutto, area in macroscopica espansione, vera fucina di innovazione e sviluppo tecnologico, industriale e finanziario". E che gli spazi su cui lavorare siano ampi, lo hanno confermato i relatori che si sono avvicendati sul palco.
A illustrare le prospettive economiche del gigante cinese, con i suoi punti di forza e le sue debolezze, ma anche le implicazioni per l'Europa sono stati chiamati, rispettivamente, Yuanan Zhang, giornalista del gruppo Caixin Media, e Laixiang Sun, professore all'Universita' Soas di Londra, seguiti da Giuseppe Izzo presidente della Camera di Commercio Europea di Taiwan, che si e' soffermato su risultati e sfide che attendono la moderna e dinamica isola. Non e' mancato un richiamo, da parte del presidente della Camera di Commercio di Roma Giancarlo Cremonesi, all'importanza dell'interscambio turistico che, complice anche una crescita esponenziale del ceto medio nelle grandi realta' emergenti dell'Asia, portera' a una forte espansione del settore. Occhi puntati sul Giappone e sulla politica economica del suo premier, denominata 'Abenomics', grazie alla presentazione di Naoyuki Yoshino, professore di Economia all'Universita' di Keio e consigliere dello stesso Shinzo Abe, prima di passare all'illustrazione di una realta' in espansione come la Mongolia, che, forte delle sue risorse minerarie, negli ultimi anni si e' aperta con sempre maggiore decisione all'esterno, come ha sottolineato Irmuun Demberel, della Invest Mongolia Agency. Spazio anche alla Corea del Sud e ai brillanti risultati conquistati negli ultimi decenni, in particolare nel settore high tech, evidenziati da Han Ki-Won, commissario della Invest Korea, a cui ha fatto eco Ajith N.
Cabraal, governatore della Banca Centrale dello Sri Lanka, che nel suo intervento ha messo l'accento sulla forte crescita dell'area, sottolineando la necessita' di un flusso continuo di investimenti. Non sono mancati infine gli interventi sulle prospettive e le sfide future di David O'Rear, economista della Camera di Commercio Generale di Hong Kong, e di Giuseppe Scognamiglio, vice presidente esecutivo del Gruppo Unicredit.
Nel pomeriggio e' attesa una seconda sessione di lavoro, incentrata su "Investire nei mercati emergenti dell'Eurasia, attrarre capitali in Europa", mentre domani si continuera' con un focus sul mondo dei media e della comunicazione, presieduto da Giovanni Di Giovanni, amministratore delegato dell'AGI, e una sessione sul ruolo della diplomazia.
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(AGI) - Roma, 9 giu. - L'Italia, prossima guida dell'Ue e ospite del vertice Asem che si terra' a Milano a ottobre, guarda con sempre maggiore interesse ai Paesi asiatici. Con l'obiettivo di rafforzare la cooperazione e creare reti internazionali per moltiplicare opportunita' di business e progetti culturali, ha preso il via stamane da Roma il Workshop Eurasia. Un 'palcoscenico' d'eccezione per fornire una panoramica della situazione attuale e sulle sue prospettive, per presentare i trend di crescita dei Paesi asiatici, per approfondire gli spazi di collaborazione con l'Italia, definendo con le istituzioni e le aziende strategie condivise di sviluppo. Un'iniziativa pluriennale di promozione internazionale, quella del workshop, nata sotto gli auspici del ministero degli Esteri e avviata congiuntamente da AGI, Universita' La Sapienza di Roma e Fondazione Roma-Mediterraneo, con il patrocinio dell'Ice. Come ha ricordato il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, il Workshop ha luogo alla "vigilia dell'avvio del semestre italiano di presidenza europea" e del "vertice Asem dei capi di Stato e di governo di 52 Paesi dell'Europa e dell'Asia, che si incontreranno il prossimo ottobre a Milano con l'obiettivo di promuovere la crescita e lo sviluppo delle due regioni e di consolidare il dialogo sulla cooperazione politico-economica e gli scambi socio-culturali". In quest'ottica, si inserisce anche l'appuntamento dell'Expo2015 a Milano, che rappresentera' una straordinaria opportunita' per trattare di temi centrali per lo sviluppo dei Paesi dell'Eurasia e per la crescita dell'interscambio tra le due aree. Confermando la "crescente attenzione dell'Italia per il consolidamento delle architetture regionali in Asia", Della Vedova ha sottolineato "l'intenzione di iniettare nuovo dinamismo nell'immagine e nel ruolo italiano in Asia". Di fronte a "un'interdipendenza economica crescente", ha aggiunto, "Europa e Asia devono lavorare insieme per migliorare le possibilita' di crescita", forti anche del comune interesse nel "garantire la sicurezza globale ed evitare la nascita di nuovi conflitti". Concorde il presidente della Fondazione Roma-Mediterraneo, Emmanuele F. M. Emanuele, che si e' detto convinto della necessita' di confrontarsi con lo "scenario internazionale", recuperando il rapporto con i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo e "attraverso di essi con l'Oriente tutto, area in macroscopica espansione, vera fucina di innovazione e sviluppo tecnologico, industriale e finanziario". E che gli spazi su cui lavorare siano ampi, lo hanno confermato i relatori che si sono avvicendati sul palco.
A illustrare le prospettive economiche del gigante cinese, con i suoi punti di forza e le sue debolezze, ma anche le implicazioni per l'Europa sono stati chiamati, rispettivamente, Yuanan Zhang, giornalista del gruppo Caixin Media, e Laixiang Sun, professore all'Universita' Soas di Londra, seguiti da Giuseppe Izzo presidente della Camera di Commercio Europea di Taiwan, che si e' soffermato su risultati e sfide che attendono la moderna e dinamica isola. Non e' mancato un richiamo, da parte del presidente della Camera di Commercio di Roma Giancarlo Cremonesi, all'importanza dell'interscambio turistico che, complice anche una crescita esponenziale del ceto medio nelle grandi realta' emergenti dell'Asia, portera' a una forte espansione del settore. Occhi puntati sul Giappone e sulla politica economica del suo premier, denominata 'Abenomics', grazie alla presentazione di Naoyuki Yoshino, professore di Economia all'Universita' di Keio e consigliere dello stesso Shinzo Abe, prima di passare all'illustrazione di una realta' in espansione come la Mongolia, che, forte delle sue risorse minerarie, negli ultimi anni si e' aperta con sempre maggiore decisione all'esterno, come ha sottolineato Irmuun Demberel, della Invest Mongolia Agency. Spazio anche alla Corea del Sud e ai brillanti risultati conquistati negli ultimi decenni, in particolare nel settore high tech, evidenziati da Han Ki-Won, commissario della Invest Korea, a cui ha fatto eco Ajith N.
Cabraal, governatore della Banca Centrale dello Sri Lanka, che nel suo intervento ha messo l'accento sulla forte crescita dell'area, sottolineando la necessita' di un flusso continuo di investimenti. Non sono mancati infine gli interventi sulle prospettive e le sfide future di David O'Rear, economista della Camera di Commercio Generale di Hong Kong, e di Giuseppe Scognamiglio, vice presidente esecutivo del Gruppo Unicredit.
Nel pomeriggio e' attesa una seconda sessione di lavoro, incentrata su "Investire nei mercati emergenti dell'Eurasia, attrarre capitali in Europa", mentre domani si continuera' con un focus sul mondo dei media e della comunicazione, presieduto da Giovanni Di Giovanni, amministratore delegato dell'AGI, e una sessione sul ruolo della diplomazia.
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POLITICA INTERNA
CINA E VATICANO PENSANO A NUOVI COLLOQUI
di Eugenio Buzzetti
Twitter@Eastofnowest
Pechino, 9 giu. - Cina e Vaticano sono in trattative per avviare nuovi colloqui, i primi dal 2010. Non sarà facile, però, riesumare il dialogo interrottosi anni fa, spiegano membri della Chiesa di Hong Kong e fonti vicine alla Santa Sede che hanno parlato al South China Morning Post di Hong Kong, soprattutto dopo alcuni episodi avvenuti di recente, come la demolizione di alcune chiese nell'area di Wenzhou, nella Cina costiera, e l'elezione, nel maggio scorso, di Joseph Tang Yuenge come vescovo della Chiesa Cattolica nella diocesi di Chengdu, nel sud della Cina, su cui la Chiesa di Roma non si è ancora espressa. Secondo fonti vicine agli ambienti vaticani, in questo momento "l'atmosfera è abbastanza positiva da entrambe le parti per la ripresa del dialogo". La Santa Sede sarebbe in attesa di conoscere da Pechino la data e il luogo dei colloqui, ma secondo i più fiduciosi, vicini alla chiesa di Hong Kong, la ripresa del dialogo potrebbe avvenire già entro la fine dell'anno.
Nessuna conferma, per ora, delle ultime indiscrezioni, sembra provenire dalla Santa Sede. Dal 2010 ad oggi, il dialogo tra i due mondi, che diplomaticamente non si riconoscono, ha subito alcune battute d'arresto, anche se i rapporti potrebbero cambiare dopo il cambio al vertice della politica di Pechino e dopo l'elezione al soglio pontificio di Papa Francesco, avvenuta lo scorso anno a poche ore di distanza. A dividere Chiesa Cattolica e Repubblica Popolare c'è la vicenda di Thaddeus Ma Daqin, ex vescovo della Chiesa patriottica (approvata dal governo cinese, a cui fa capo) che dal luglio 2012 si trova agli arresti per avere apertamente professato la propria fedeltà alla Chiesa di Roma pochi giorni dopo la nomina a vescovo di Shanghai. A fare storcere il naso alla Chiesa di Roma c'è stato poi, l'abbattimento di sessanta chiese in alcune località della Cina orientale: tra queste, l'episodio che ha avuto maggiore risonanza mediatica è quello della Chiesa protestante di Sanjiang, nei pressi di Wenzhou, nella Cina costiera, demolita su ordine dell'amministrazione locale, nonostante avesse ricevuto il benestare della Chiesa patriottica, perché la sua costruzione non sarebbe stata in linea con i regolamenti per l'edilizia.
Nonostante gli intoppi e le differenze, Cina e Vaticano sarebbero però pronte a riaprire i colloqui interrotti nel 2010. "In base a quanto si apprende - ha spiegato al quotidiano di Hong Kong il vescovo John Fang Xingyao, presidente dell'Associazione della Chiesa Cattolica Patriottica - la Cina spera di stabilire legami diplomatici con il Vaticano, e la maggiore parte delle persone in Vaticano condivide questa speranza. Questo è il momento migliore per farcela, non dovremmo perderlo". Il test più importante per Cina e Santa Sede si gioca in queste settimane e riguarda proprio l'elezione nelle scorse settimane a vescovo di Chengdu, nel sud della Cina, di Joseph Tang Yuange, e in attesa di eventuale approvazione da parte del Vaticano, secondo quanto scriveva a maggio, il sito web UCA News specializzato sui temi della cristianità in Asia. All'elezione del vescovo hanno presenziato anche gli unici due vescovi del Sichuan - la regione dove si trova Chengdu - che la Chiesa Cattolica riconosce, Luo Xuegang di Yibin e Jospeh Chen Gong'ao di Nanchong. Sarebbe la prima volta dal 2012 che Cina e Santa Sede potrebbero trovare l'accordo su un rappresentante della Chiesa Cattolica su soglio cinese, dopo tre scomuniche ad altrettanti vescovi nominati unilateralmente da Pechino tra il 2011 e il 2012.
09 settembre 2014
RENZI: AL VIA MISSIONE IN ASIA, DOMANI IN CINA
Pechino, 9 giu. - Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi è arrivato a Hanoi, in Vietnam, prima tappa del suo viaggio in Asia che lo porterà in Cina e in Kazakistan. Si tratta della prima volta di un premier italiano nella capitale vietnamita dal 1973, quando sono state avviate le relazioni diplomatiche. Renzi verrà accolto con una cerimonia ufficiale al Mausoleo di Hanoi e poi incontrerà il primo ministro Nguyen Tan Dung, il presidente Truong Tan Sang e il segretario generale del Partito comunista vietnamita Nguyen Phu Trong. Renzi è atterrato alle 15.20 ora locale, le 10.20 in Italia, e la sua prima destinazione sarà il Mausoleo di Ho Chi Mnh. Renzi depositerà una corona di fiori. Il premier farà delle dichiarazioni alla stampa nel pomeriggio. La visita di Renzi, accompagnato da numerosi imprenditori, proseguirà domani con la visita agli stabilimenti della Ariston, nella provincia di Bach Ninh, e della Piaggio nella provincia di Vinh Phue.
Il premier ripartirà quindi da Hanoi per la Cina, dove farà tappa a Shanghai e Pechino. Nell'hub finanziario cinese Renzi parlerà ai membri della business community della metropoli riuniti allo Shanghai Italian Center, il padiglione italiano dell'Expo di Shanghai del 2010, alla presenza delle autorità italiane in Cina, tra cui l'ambasciatore, Alberto Bradanini. Per la parte cinese saranno presenti rappresentanti del China Corporate United Pavillion, il terzo padiglione cinese che sarà presente a Expo Milano 2015, oltre a quello governativo e a quello gestito dal gruppo immobiliare Vanke, espressione dei grandi gruppi industriali cinesi.
Al termine dell'incontro con gli imprenditori, Renzi ripartirà per Pechino, dove l'11 giugno prossimo si incontrerà nella Grande Sala del Popolo - il palazzo del Parlamento cinese, che sorge sul lato ovest di piazza Tienanmen - con le tre massime cariche della Repubblica Popolare Cinese: oltre all'incontro con il suo omologo cinese, il primo ministro Li Keqiang, è previsto anche un incontro il presidente e segretario generale del PCC, Xi Jinping, e con il presidente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento cinese, Zhang Dejiang. A Pechino, Renzi incontrerà anche i partecipanti al Business forum, che riunirà circa cento imprese egualmente ripartite tra italiane e cinesi. Tra i nomi di spicco dell'industria italiana, quelli di Finmeccanica, Unicredit, H3G ed Enel, che ad aprile scorso ha firmato a Pechino un memorandum d'intesa con la State Grid of China, il maggiore distributore di energia elettrica del Paese, per la cooperazione nel campo delle tecnologie Smart Grid per lo sviluppo urbano sostenibile e lo scambio di esperienze nella generazione di energia da fonti rinnovabili.
La visita del presidente del Consiglio italiano in Cina si inserisce nella cooperazione tra Italia e Cina nei "quattro pacchetti" oggetto di un memorandum d'intesa firmato a gennaio scorso dell'allora ministro per lo Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, e che si concentrano sulla cooperazione bilaterale sui temi dell'urbanizzazione, dell'ambiente, della sanità e della sicurezza agro-alimentare. Quest'ultimo settore era stato oggetto di un memorandum d'intesa firmato a Roma nel dicembre scorso dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, assieme al direttore della China Food & Drug Administration, Yong Zhang, per la cooperazione nei settori della sicurezza alimentare, dei prodotti farmaceutici, dei cosmetici e dei dispositivi medici. Il presidente del Consiglio ripartirà giovedì mattina per il Kazakistan, terza e ultima tappa del suo viaggio asiatico prima del rientro in Italia. Nel Paese eurasiatico, anch'esso strategico per gli investimenti italiani, Renzi incontrerà il presidente Nursultan Nazarbayev nel bellissimo resort di Burabay, a 250 chilometri da Astana, dove il leader kazako e' impegnato in quei giorni nel Foreign Investor Council, prestigioso consiglio presieduto dal presidente, del cui board fanno parte i principali investitori stranieri in Kazakistan.
9 giugno 2014
Renzi vola in oriente
Più Italia in Cina e Vietnam
Obbiettivo rafforzare i rapporti politici economici e finanziari con il Dragone
seconda potenza economica mondiale con una crescita del pil a due cifre
Matteo Renzi è da oggi in missione Vietnam e Cina, alla conquista dei mercati d’Oriente.
La visita ad Hanoi ha una valore storico (è la prima volta di un premier italiano in Vietnam), ma il clou del viaggio è rappresentato dalle tappe di Shanghai e Pechino, dove il premier punta a rafforzare i rapporti politici economici e finanziari con il Dragone.
In giornate in cui l’immagine di Expo 2015 è appannata da inchieste ed arresti, Renzi rilancerà a Shangai l’esposizione italiana: il premier incontrerà , nell’ex padiglione italiano dell’Expo 2010, la comunità d’affari cinese e italiana e partecipando alla presentazione della partecipazione cinese, con ben 3 padiglioni, all’Expo di Milano.
Ma è a Pechino che il premier italiano punterà, con una serie di incontri politici ed economici ai massimi livelli, a promuovere gli scambi commerciali ed economici tra l’Italia e la Cina, seconda potenza economica mondiale con una crescita del pil a due cifre. Nella capitale cinese Renzi, che è accompagnato dai rappresentanti di 50 aziende italiane, incontrerà il presidente Xi Jimping, il primo ministro Li Kequiang, ed il governatore della Banca Centrale Cinese.
Per promuovere l’interazione economica tra i due paesi, il presidente del consiglio parteciperà mercoledì 11 alla prima riunione del Business forum Italia-Cina, nella sede dell’assemblea nazionale del popolo, alla quale parteciperà il gotha dell’economia cinese e italiana. Con Renzi ci saranno l’ad di Finmeccanica Mauro Moretti, l’ad di Enel Francesco Starace, l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni e una delegazione di imprenditori, tra i quali lo stilista Toni Scervino e l’ad italiano di H3G Italia Vincenzo Novari. A margine del business forum, saranno firmati una ventina di accordi sia tra i governi sia tra le imprese, come quello tra il ministero dello Sviluppo ed il gruppo Alibaba e tra Augusta Westland e Bgac per la fornitura di elicotteri.
Non meno strategico del «sogno cinese», sarà la tappa, lunedì 9 e martedì 10, ad Hanoi. Renzi sarà il primo presidente del consiglio ad andare in Vietnam, dove da anni lavorano e fanno affari varie imprese italiane. Nel Palazzo Presidenziale, il premier incontrerà le più alte cariche del paese per poi dedicarsi ad incontri e visite con la comunità d’affari italiana.
Insieme a Francesco Merloni visiterà lo stabilimento Ariston e poi andrà allo stabilimento Piaggio. Alla missione in Vietnam partecipa anche Sace che ha garantito un finanziamento da 200 milioni di dollari in favore della joint venture Nghi Son Refinery and Petrochemical Limited Liability Company (NSRP), per la realizzazione di una raffineria e un complesso petrolchimico greenfield nella provincia vietnamita di Thanh Hoa, a 200 kilometri a sud di Hanoi. Il finanziamento garantito da Sace sarà investito nelle forniture assegnate a oltre venti piccole e medie imprese italiane attive nella produzione di attrezzature per l’industria oil & gas.
Più Italia in Cina e Vietnam
Obbiettivo rafforzare i rapporti politici economici e finanziari con il Dragone
seconda potenza economica mondiale con una crescita del pil a due cifre
Matteo Renzi è da oggi in missione Vietnam e Cina, alla conquista dei mercati d’Oriente.
La visita ad Hanoi ha una valore storico (è la prima volta di un premier italiano in Vietnam), ma il clou del viaggio è rappresentato dalle tappe di Shanghai e Pechino, dove il premier punta a rafforzare i rapporti politici economici e finanziari con il Dragone.
In giornate in cui l’immagine di Expo 2015 è appannata da inchieste ed arresti, Renzi rilancerà a Shangai l’esposizione italiana: il premier incontrerà , nell’ex padiglione italiano dell’Expo 2010, la comunità d’affari cinese e italiana e partecipando alla presentazione della partecipazione cinese, con ben 3 padiglioni, all’Expo di Milano.
Ma è a Pechino che il premier italiano punterà, con una serie di incontri politici ed economici ai massimi livelli, a promuovere gli scambi commerciali ed economici tra l’Italia e la Cina, seconda potenza economica mondiale con una crescita del pil a due cifre. Nella capitale cinese Renzi, che è accompagnato dai rappresentanti di 50 aziende italiane, incontrerà il presidente Xi Jimping, il primo ministro Li Kequiang, ed il governatore della Banca Centrale Cinese.
Per promuovere l’interazione economica tra i due paesi, il presidente del consiglio parteciperà mercoledì 11 alla prima riunione del Business forum Italia-Cina, nella sede dell’assemblea nazionale del popolo, alla quale parteciperà il gotha dell’economia cinese e italiana. Con Renzi ci saranno l’ad di Finmeccanica Mauro Moretti, l’ad di Enel Francesco Starace, l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni e una delegazione di imprenditori, tra i quali lo stilista Toni Scervino e l’ad italiano di H3G Italia Vincenzo Novari. A margine del business forum, saranno firmati una ventina di accordi sia tra i governi sia tra le imprese, come quello tra il ministero dello Sviluppo ed il gruppo Alibaba e tra Augusta Westland e Bgac per la fornitura di elicotteri.
Non meno strategico del «sogno cinese», sarà la tappa, lunedì 9 e martedì 10, ad Hanoi. Renzi sarà il primo presidente del consiglio ad andare in Vietnam, dove da anni lavorano e fanno affari varie imprese italiane. Nel Palazzo Presidenziale, il premier incontrerà le più alte cariche del paese per poi dedicarsi ad incontri e visite con la comunità d’affari italiana.
Insieme a Francesco Merloni visiterà lo stabilimento Ariston e poi andrà allo stabilimento Piaggio. Alla missione in Vietnam partecipa anche Sace che ha garantito un finanziamento da 200 milioni di dollari in favore della joint venture Nghi Son Refinery and Petrochemical Limited Liability Company (NSRP), per la realizzazione di una raffineria e un complesso petrolchimico greenfield nella provincia vietnamita di Thanh Hoa, a 200 kilometri a sud di Hanoi. Il finanziamento garantito da Sace sarà investito nelle forniture assegnate a oltre venti piccole e medie imprese italiane attive nella produzione di attrezzature per l’industria oil & gas.
domenica 8 giugno 2014
Sanna: «Fondi Ue per rilanciare il Nord»
Il sindaco ieri a Cagliari per un vertice in Regione sulla programmazione unitaria 2014-2020
SASSARI. La programmazione unitaria 2014-2020, l'utilizzo dei fondi europei per la realizzazione di azioni programmatiche più adeguate per affrontare le sfide che la Regione vuole affrontare per i prossimi sei anni, sono stati al centro della riunione che si è svolta ieri mattina a Cagliari, nell'auditorium dell'assessorato regionale alla Programmazione. Un incontro quello di ieri che, attraverso la partecipazione del Partenariato allargato, economico sociale e istituzionale, mirava alla condivisione degli indirizzi strategici. Alla riunione, alla quale ha partecipato il sindaco di Sassari, Nicola Sanna, assieme ad altri amministratori locali isolani e rappresentanti del mondo imprenditoriale, del lavoro e dell'associazionismo, erano presenti gli assessori regionali alla Programmazione Raffaele Paci, all'Agricoltura Elisabetta Falchi e al Lavoro Virginia Mura.
Il primo cittadino turritano ha ribadito la necessità di un approccio integrato degli interventi che comprendano le opera strategiche di collegamento tra i due aeroporti di Alghero e Olbia attraverso una adeguata linea ferroviaria. A questi si aggiungono una serie di interventi strutturali relativi alla mobilità su gomma. «Si tratta di opere che - ha detto Nicola Sanna - possono essere tali da rendere il Nord Sardegna un'area competitiva sulla scena europea e mediterranea, a servizio dell'intera isola».
Il sindaco di Sassari ha quindi fatto presente la necessità di avviare investimenti nel campo della ricerca, della sperimentazione e dell'innovazione nel settore delle produzioni agroindustriali, oltre che interventi mirati al raggiungimento della "sovranità" alimentare.
Nicola Sanna, inoltre, ha valutato positivamente la proposta relativa alle aree urbane di Sassari, Cagliari e Olbia e alla possibilità che sarà data a questi comuni di svolgere la funzione di autorità urbana per la gestione diretta dei fondi comunitari. Un accento particolare è stato posto sull'uso del fondo sociale europeo che consentirà, con l'apertura pomeridiana degli istituti scolastici, l'organizzazione di corsi di formazione per adulti.
Dopo la riunione dedicata alla programmazione unitaria, il sindaco di Sassari ha partecipato all'inaugurazione della mostra dedicata al trentennale della scomparsa di Enrico Berlinguer. La mostra sarà ospitata a Sassari dopo l'estate.
Il sindaco ieri a Cagliari per un vertice in Regione sulla programmazione unitaria 2014-2020
SASSARI. La programmazione unitaria 2014-2020, l'utilizzo dei fondi europei per la realizzazione di azioni programmatiche più adeguate per affrontare le sfide che la Regione vuole affrontare per i prossimi sei anni, sono stati al centro della riunione che si è svolta ieri mattina a Cagliari, nell'auditorium dell'assessorato regionale alla Programmazione. Un incontro quello di ieri che, attraverso la partecipazione del Partenariato allargato, economico sociale e istituzionale, mirava alla condivisione degli indirizzi strategici. Alla riunione, alla quale ha partecipato il sindaco di Sassari, Nicola Sanna, assieme ad altri amministratori locali isolani e rappresentanti del mondo imprenditoriale, del lavoro e dell'associazionismo, erano presenti gli assessori regionali alla Programmazione Raffaele Paci, all'Agricoltura Elisabetta Falchi e al Lavoro Virginia Mura.
Il primo cittadino turritano ha ribadito la necessità di un approccio integrato degli interventi che comprendano le opera strategiche di collegamento tra i due aeroporti di Alghero e Olbia attraverso una adeguata linea ferroviaria. A questi si aggiungono una serie di interventi strutturali relativi alla mobilità su gomma. «Si tratta di opere che - ha detto Nicola Sanna - possono essere tali da rendere il Nord Sardegna un'area competitiva sulla scena europea e mediterranea, a servizio dell'intera isola».
Il sindaco di Sassari ha quindi fatto presente la necessità di avviare investimenti nel campo della ricerca, della sperimentazione e dell'innovazione nel settore delle produzioni agroindustriali, oltre che interventi mirati al raggiungimento della "sovranità" alimentare.
Nicola Sanna, inoltre, ha valutato positivamente la proposta relativa alle aree urbane di Sassari, Cagliari e Olbia e alla possibilità che sarà data a questi comuni di svolgere la funzione di autorità urbana per la gestione diretta dei fondi comunitari. Un accento particolare è stato posto sull'uso del fondo sociale europeo che consentirà, con l'apertura pomeridiana degli istituti scolastici, l'organizzazione di corsi di formazione per adulti.
Dopo la riunione dedicata alla programmazione unitaria, il sindaco di Sassari ha partecipato all'inaugurazione della mostra dedicata al trentennale della scomparsa di Enrico Berlinguer. La mostra sarà ospitata a Sassari dopo l'estate.
Paci: «Fondi a pioggia inutili, si cambia»
Il piano sarà portato a Bruxelles il 22 luglio, domani la presentazione al partenariato. Floris (Uds): «Operazione di facciata»
Il piano sarà portato a Bruxelles il 22 luglio, domani la presentazione al partenariato. Floris (Uds): «Operazione di facciata»
CAGLIARI. A che cosa servono i Fondi europei? La domanda potrebbe sembrare retorica e la risposta predeterminata se la politica europea non fosse avvolta dal mistero. Per questo la Regione ha organizzato nei giorni scorsi la «Festa dell’Europa» che ha toccato diversi paesi della Sardegna e che avrà l’epilogo mercoledì prossimo a Cagliari.
Esempi. Senza i fondi europei non avremmo buona parte delle infrastrutture esistenti. Un esempio? Con 2,5 milioni è stata finanziata a Nuoro la rete internet e con 900 mila euro all’Asl di Sanluri è arrivato un apparecchio per la risonanza magnetica. Gianluca Cadeddu, direttore del Centro regionale di programmazione, la chiama «operazione San Tommaso perché con la festa dell’Europa abbiamo spiegato a cosa servono i fondi europei».
Il tour. Nelle piazze toccate, (Mandas, Carbonia, Guspini, Orani, Tortolì, Laconi, Castalsardo e Aggius), sono stati raccontati 110 progetti finanziati attraverso il Por Fesr del 2007-2013 di cui sono beneficiari 80 Comuni per un investimento di 210.998.397 euro.
L’assessore. «La festa dell’Europa cade in un momento importante», spiega l’assessore alla Programmazione Raffaele Paci, «stiamo chiudendo il quadro di sostegno 2007-2013 e lo faremo senza perdere un euro e allo stesso tempo siamo nella fase organizzativa del quadro 2014-2020».
Nuova filosofia. L’Europa invita le regioni a spendere i fondi e a impiegarli bene. «Uno degli errori da evitare è quello di disperdere le risorse in mille rivoli», afferma Raffaele Paci. Un errore, peraltro comune a molte altre regioni, è stato quello di ipotizzare un progetto all’ultimo minuto per recuperare soldi che altrimenti sarebbero stati persi.
Progetti. La Regione dovrà presentare la nuova programmazione il 22 luglio a Bruxelles. Proprio, per la nuova filosofia si cercherà il più possibile di concentrare le risorse su azioni strategiche. I numeri dicono che sul quadro 2007-2013 erano state attivate 140 azioni che sono state poi ridotte a 90 e che si ridurranno a 40. «Se si fanno finanziamenti in mille rivoli», dice Paci, «diventa tutto più difficile anche perché i costi fissi sono gli stessi e allora è meglio concentrare le azioni».
Sorveglianza. Per monitorare l’andamento dei Fondi, martedì e mercoledì ci sarà la riunione del Comitato di sorveglianza. La lente punterà soprattutto il Por Fesr da un miliardo e 3621 milioni con cui la Regione ha finanziato 190 progetti.
«La Regione ha rispettato le procedure di rendicontazione previste per il 2014», afferma l’assessore al Bilancio, e conta di chiudere regolarmente anche il 2015 sia per i fondi Fse che per quelli Fesr. Qualche criticità è presente per i fondi destinati all’agricoltura». (Per questo l’assessore Elisabetta Falchi si è recata ieri a Bruxelles per trattate con la commissione le opportune correzioni).
Partenariato. La nuova programmazione sarà presentata domani ai portatori di interesse, (tutto il mondo produttivo sardo), in un incontro che si terrà nella sala Anfiteatro dell’assessorato all’Istruzione.
L’opposizione. L’illustrazione del Por non convince l’opposizione in Consiglio regionale: «È una vera e propria ammucchiata», accusa Mario Floris (Uds), «se non una beffa, per i rappresentanti delle parti istituzionali, economiche e sociali: in appena tre ore è prevista la consultazione di ben 80 rappresentanze». L'ex presidente della Regione rileva che nell'indirizzario dei convocati ci sono anche «soggetti che non hanno più l'incarico indicato, altri senza alcun titolo specifico, persone decedute e soggetti relegati in un ruolo del tutto improprio, come le associazioni degli enti locali.
Mediterraneo. Intanto la Regione è stata confermata per il prossimo settennio autorità di gestione del programma comunitario Enpi, «Bacino del Mediterraneo» che si propone di rafforzare i rapporti fra l’Ue e Paesi vicini, con particolare attenzione all’area Mediterranea. Nel periodo 2007-2013 l’Enpi ha potuto contare su 11 miliardi di euro, il 5% dei quali destinati a progetti di cooperazione transfrontaliera.
Il piano sarà portato a Bruxelles il 22 luglio, domani la presentazione al partenariato. Floris (Uds): «Operazione di facciata»
Il piano sarà portato a Bruxelles il 22 luglio, domani la presentazione al partenariato. Floris (Uds): «Operazione di facciata»
CAGLIARI. A che cosa servono i Fondi europei? La domanda potrebbe sembrare retorica e la risposta predeterminata se la politica europea non fosse avvolta dal mistero. Per questo la Regione ha organizzato nei giorni scorsi la «Festa dell’Europa» che ha toccato diversi paesi della Sardegna e che avrà l’epilogo mercoledì prossimo a Cagliari.
Esempi. Senza i fondi europei non avremmo buona parte delle infrastrutture esistenti. Un esempio? Con 2,5 milioni è stata finanziata a Nuoro la rete internet e con 900 mila euro all’Asl di Sanluri è arrivato un apparecchio per la risonanza magnetica. Gianluca Cadeddu, direttore del Centro regionale di programmazione, la chiama «operazione San Tommaso perché con la festa dell’Europa abbiamo spiegato a cosa servono i fondi europei».
Il tour. Nelle piazze toccate, (Mandas, Carbonia, Guspini, Orani, Tortolì, Laconi, Castalsardo e Aggius), sono stati raccontati 110 progetti finanziati attraverso il Por Fesr del 2007-2013 di cui sono beneficiari 80 Comuni per un investimento di 210.998.397 euro.
L’assessore. «La festa dell’Europa cade in un momento importante», spiega l’assessore alla Programmazione Raffaele Paci, «stiamo chiudendo il quadro di sostegno 2007-2013 e lo faremo senza perdere un euro e allo stesso tempo siamo nella fase organizzativa del quadro 2014-2020».
Nuova filosofia. L’Europa invita le regioni a spendere i fondi e a impiegarli bene. «Uno degli errori da evitare è quello di disperdere le risorse in mille rivoli», afferma Raffaele Paci. Un errore, peraltro comune a molte altre regioni, è stato quello di ipotizzare un progetto all’ultimo minuto per recuperare soldi che altrimenti sarebbero stati persi.
Progetti. La Regione dovrà presentare la nuova programmazione il 22 luglio a Bruxelles. Proprio, per la nuova filosofia si cercherà il più possibile di concentrare le risorse su azioni strategiche. I numeri dicono che sul quadro 2007-2013 erano state attivate 140 azioni che sono state poi ridotte a 90 e che si ridurranno a 40. «Se si fanno finanziamenti in mille rivoli», dice Paci, «diventa tutto più difficile anche perché i costi fissi sono gli stessi e allora è meglio concentrare le azioni».
Sorveglianza. Per monitorare l’andamento dei Fondi, martedì e mercoledì ci sarà la riunione del Comitato di sorveglianza. La lente punterà soprattutto il Por Fesr da un miliardo e 3621 milioni con cui la Regione ha finanziato 190 progetti.
«La Regione ha rispettato le procedure di rendicontazione previste per il 2014», afferma l’assessore al Bilancio, e conta di chiudere regolarmente anche il 2015 sia per i fondi Fse che per quelli Fesr. Qualche criticità è presente per i fondi destinati all’agricoltura». (Per questo l’assessore Elisabetta Falchi si è recata ieri a Bruxelles per trattate con la commissione le opportune correzioni).
Partenariato. La nuova programmazione sarà presentata domani ai portatori di interesse, (tutto il mondo produttivo sardo), in un incontro che si terrà nella sala Anfiteatro dell’assessorato all’Istruzione.
L’opposizione. L’illustrazione del Por non convince l’opposizione in Consiglio regionale: «È una vera e propria ammucchiata», accusa Mario Floris (Uds), «se non una beffa, per i rappresentanti delle parti istituzionali, economiche e sociali: in appena tre ore è prevista la consultazione di ben 80 rappresentanze». L'ex presidente della Regione rileva che nell'indirizzario dei convocati ci sono anche «soggetti che non hanno più l'incarico indicato, altri senza alcun titolo specifico, persone decedute e soggetti relegati in un ruolo del tutto improprio, come le associazioni degli enti locali.
Mediterraneo. Intanto la Regione è stata confermata per il prossimo settennio autorità di gestione del programma comunitario Enpi, «Bacino del Mediterraneo» che si propone di rafforzare i rapporti fra l’Ue e Paesi vicini, con particolare attenzione all’area Mediterranea. Nel periodo 2007-2013 l’Enpi ha potuto contare su 11 miliardi di euro, il 5% dei quali destinati a progetti di cooperazione transfrontaliera.
domenica 1 giugno 2014
Per fortuna Renzi ha vinto ma ci sono altri esami da superare
di EUGENIO SCALFARI 01 giugno 2014
SPERAVO che Renzi vincesse le elezioni europee ed anche le amministrative abbinate ad esse in due Regioni e in migliaia di Comuni sparsi in tutta Italia. Lo speravo e l’ho scritto nelle ultime due domeniche suscitando una certa sorpresa in molti miei amici e lettori che conoscevano la mia diffidenza nei suoi confronti. Ho spiegato le ragioni di quella scelta: il pericolo per la democrazia italiana e per l’Europa era Grillo e Renzi era il solo che potesse batterlo; i sondaggi li davano testa a testa e i più ottimisti tra noi avrebbero sottoscritto a due mani una sua vittoria anche con quattro o cinque punti di vantaggio, ma nessuno, neanche lui, credeva che lo scarto sarebbe stato di venti punti, esattamente il doppio. Impensabile: il Pd al 41 per cento dei votanti, il più forte partito europeo eletto col sistema proporzionale senza un premio di maggioranza che rafforzasse il vincitore.
Sono stato e sono contento. A parte la Democrazia cristiana di De Gasperi e di Fanfani, nessuno era arrivato a quel livello. Se guardiamo alle cifre assolute anziché alle percentuali, il Pd alla sua prima uscita elettorale guidato da Veltroni aveva avuto anche più voti di domenica scorsa: con il 34 per cento aveva incassato 12 milioni di voti, Renzi ne ha avuti 11 milioni. Ma Berlusconi ne prese allora molti di più. Queste comunque sono le cifre e bisogna rifletterci sopra studiando i flussi che hanno prodotto questo risultato.
Dunque: tutti i partiti hanno perso voti sia in rapporto agli elettori con diritto di voto sia agli elettori andati alle urne, facendo il paragone con le politiche dello scorso febbraio.
Tutti hanno perso voti tranne il Pd. Ma da che parte sono venuti i consensi che hanno determinato il successo? Da Forza Italia non più di 300mila; da 5 Stelle 400mila. Poca roba. Dai residui del centrismo montiano circa un milione. Ma due milioni sono arrivati da ex democratici che alle elezioni di febbraio si erano rifugiati nell’astensione perché non credevano più nel loro partito allora guidato da Bersani. Domenica scorsa hanno capito la gravità della situazione e sono tornati a casa. Succede di rado e il merito di Renzi è stato questo, ha recuperato i democratici scoraggiati e arrabbiati. È difficile capire se fossero democratici moderati o di sinistra. Probabilmente dell’uno e dell’altro colore, è un partito plurale e questa è la sua forza.
Luciana Castellina sul Manifesto di qualche giorno fa ha scritto che il Pd somiglia molto al partito democratico americano dove la sinistra “liberal” convive con molti gruppi decisamente conservatori specie negli Stati del sud. Ha ragione, anche se il Pd americano ha un’impronta decisamente innovatrice e progressista. Del resto un’analoga convivenza di segno opposto avviene nel partito repubblicano.
Un’altra caratteristica di quei partiti è che si identificano in un leader carismatico che, in caso di vittoria, diventa presidente e leader di tutto il paese.
Sullo stesso Manifesto un personaggio di sinistra come Alberto Asor Rosa aveva dichiarato il suo favore a votare Renzi. Un altro esponente della sinistra storica del Pci, Alfredo Reichlin, ha scritto ad elezioni avvenute che la vittoria di Renzi è un fatto positivo e l’ha incitato a fare del Pd il partito della Nazione e dell’Europa; Renzi lo ha citato nelle prime righe della relazione letta alla direzione del partito dopo la vittoria.
Cito alcuni di questi interventi perché rappresentano la complessità della situazione. Siamo uno dei paesi europei che la crisi in corso ormai da sei anni ha devastato economicamente e socialmente suscitando negli italiani e specialmente nei giovani frustrazione e rabbia. Potevano incanalarsi verso una disperazione distruttiva oppure verso una speranza costruttiva. Hanno scelto la seconda. Per questo oggi siamo contenti. Una notevole massa di italiani si è dimostrata all’altezza della situazione. Ma il bello, anzi il difficile, viene adesso. Per Renzi, per l’Italia, per l’Europa. Ed anche per noi che di mestiere siamo testimoni del tempo che passa.
* * *
Un difetto di quelli che aspirano alla leadership (di un partito, di un’azienda, di un paese) spesso è l’arroganza. Un altro possibile difetto è la demagogia. Sono difetti abbastanza diffusi in chi ricava soddisfazione dal guidare gli altri e Narciso è il personaggio mitologico che meglio li rappresenta.
I leader di questa fatta sarebbe meglio evitarli, ma è frequente il caso, specie nella storia d’Italia, che siano proprio loro i preferiti. Sanno sedurre e noi siamo un popolo che ama esser sedotto. Talvolta ne ricava anche qualche vantaggio personale perché ci sono molti furbi tra noi. Molti furbi e poco intelligenti nel senso dell’ intelligere.
Renzi una dose di narcisismo ce l’ha. Anche Grillo. Berlusconi non ne parliamo. Renzi però ha anche un innato senso della politica, cioè una visione del bene comune. Se quella prevale, Narciso viene richiuso da qualche parte e fa meno danni. Ogni tanto emerge, ma questo è normale ed è anche utile entro certi limiti. Se tutti riuscissimo ad anteporre il bene comune all’amore verso noi stessi che peraltro è legittimo, il mondo andrebbe di colpo assai meglio. Purtroppo non è così e siamo quasi tutti i giorni alla prova in questo difficilissimo confronto.
Anche Renzi e il suo partito sono alla prova. Direi su due punti. Il primo è l’essenza stessa del partito, nato come riformista ed erede della sinistra democratica. Renzi oltre che presidente del Consiglio è anche segretario del partito, ma ha bisogno per ovvie ragioni di delegare a qualcuno il compito di accudire il partito. Con quale obiettivo? Che non sia – come invece si sta profilando – un partito personale di Matteo Renzi. Forza Italia è un partito personale, i 5 Stelle sono un partito personale anche se qualche fremito per liberarsi dalla servitù al binomio Grillo-Casaleggio si avverte, ma è provocato da una sconfitta. Molto più difficile che ciò avvenga dopo una vittoria di inconsuete proporzioni. Eppure è necessario, altrimenti ci sarà un mutamento antropologico e non più una sinistra democratica.
Ho letto ieri sulla Stampa un’intervista che Renzi ha dato ad un gruppo di giornalisti. Ha detto varie cose di comune buonsenso già note al pubblico italiano, ma ne ha detta una che mi ha colpito: «Vorrei lasciare a mia figlia che sarà maggiorenne tra dieci anni un paese tranquillo e felice». Tra dieci anni? Due legislature? Ha ragione di augurarselo, Renzi, se avrà a sostenerlo un partito che lo giudichi per quel che fa o non fa, se lo fa bene o lo fa male; lo premi se il giudizio è positivo e lo sostituisca se è negativo.
Quindi deve delegare a qualcuno il compito di restituire il partito a se stesso. Di questo qualcuno si deve poter fidare, ma non può essere qualcuno dei suoi pulcini di antica o di recente covata. Deve fidarsi della sua onestà politica e intellettuale purché non sia della covata, altrimenti sarebbe del tutto inutile.
* * *
L’altra questione, di cui ho già più volte parlato, è la riforma del Senato. Ne riparlo dopo aver letto i contributi al seminario cui furono invitati dallo stesso Renzi: Elena Cattaneo, senatrice a vita, Gustavo Zagrebelsky e Alessandro Pace. Ho letto anche nel frattempo la legge che istituì il Bundesrat che è il Senato dei Lander della Germania e quella che rimodernò da cima a fondo la Camera dei Lords, varata nel 1999 da Tony Blair allora premier del Regno Unito.
Ne ho tratto le seguenti conclusioni. Il Senato delle autonomie voluto da Renzi con apposita legge costituzionale che dovrebbe andare tra pochi giorni in discussione all’attuale Senato è a mio avviso una riforma profondamente sbagliata. In Germania i Lander hanno una radice storica, sono di fatto gli antichi regni della Germania confederata: la Renania, la Westfalia, le città Anseatiche, la Sassonia, il Brandeburgo, la Baviera. I Lander hanno una storia secolare e spetta al Bundesrat controllarli e al tempo stesso rappresentarli.
In Italia questo problema è di tutt’altra forma. Le nostre Regioni sono istituzioni amministrative e la loro autonomia è amministrativa. I Comuni, quelli sì, hanno una storia e rivalità tuttora molto accese tra loro e più vicini sono più le rivalità aumentano.
Un Senato che si occupi di questi Enti locali, ne controlli l’efficienza e le modalità con cui operano e ne arbitri i conflitti tra loro e con lo Stato e adempia soltanto a questa funzione e a pochissime altre (la nomina di due giudici costituzionali e l’intervento al plenum che elegge il Capo dello Stato) equivale all’instaurazione di un potere legislativo monocamerale. Ciò comporterebbe una serie di riforme costituzionali, per ripristinare un equilibrio democratico, che non possono essere effettuate con l’articolo 138 della Costituzione. Richiederebbe, secondo me, una Assemblea costituente. Vi sembra possibile nei tempi attuali un fatto del genere? La Camera dei Lords è tutt’altra cosa. I Lords sono nominati a vita dalla Corona su proposta del premier. Non ha molti poteri. Anzi, quasi nessuno. La Camera dei Comuni le trasmette le leggi affinché le valuti, le approvi, le modifichi o le respinga. Di solito le approva. Se le modifica, di solito i Comuni accettano. Se le respinge, i Comuni le mantengono in vita e l’approvano con votazione definitiva. Ma la Camera dei Lords emette pareri su qualunque argomento che ritenga importante ed affronti problemi delicati e attuali sui quali governo e Comuni dovrebbero intervenire. I Lords sono nominati perché rappresentano delle vere e proprie “eccellenze” nei campi della cultura, medicina, scienza, tecnologia, musica, arte, urbanistica. Insomma. la società civile al suo massimo livello. I suoi pareri sono molto ascoltati e assai spesso Governi, Comuni e organizzazioni private intervengono come i Lords hanno auspicato. Questo tipo di Camera alta va considerata con molta attenzione.
Sarebbe nominata nel caso nostro dal Capo dello Stato e basata su rose di nomi proposte da Accademie, Università, parti sociali variamente scelte e indicate da una legge di riforma dell’attuale Senato della Repubblica che comunque dovrebbe continuare a chiamarsi così. Insomma, e per concludere, o si abolisce il Senato e si crea un organo che si occupi degli Enti locali, o si riforma la Camera alta lasciando che alta rimanga, partecipe delle funzioni del potere legislativo salvo quello di dare la fiducia al governo e di votare la legge di bilancio.
Vedremo Renzi alla prova, ma fretta non c’è perché per parecchi mesi avrà molto da fare in Italia e in Europa e lui lo sa. Deve puntare sul lavoro e la creazione di nuova occupazione, e deve puntare su un’Europa che consenta maggiore flessibilità finanziaria ai paesi che ne hanno bisogno e in prospettiva divenga uno Stato federale.
Per ora il Senato se lo tenga com’è e si limiti a togliergli il potere di fiducia al governo e basta così.
di EUGENIO SCALFARI 01 giugno 2014
SPERAVO che Renzi vincesse le elezioni europee ed anche le amministrative abbinate ad esse in due Regioni e in migliaia di Comuni sparsi in tutta Italia. Lo speravo e l’ho scritto nelle ultime due domeniche suscitando una certa sorpresa in molti miei amici e lettori che conoscevano la mia diffidenza nei suoi confronti. Ho spiegato le ragioni di quella scelta: il pericolo per la democrazia italiana e per l’Europa era Grillo e Renzi era il solo che potesse batterlo; i sondaggi li davano testa a testa e i più ottimisti tra noi avrebbero sottoscritto a due mani una sua vittoria anche con quattro o cinque punti di vantaggio, ma nessuno, neanche lui, credeva che lo scarto sarebbe stato di venti punti, esattamente il doppio. Impensabile: il Pd al 41 per cento dei votanti, il più forte partito europeo eletto col sistema proporzionale senza un premio di maggioranza che rafforzasse il vincitore.
Sono stato e sono contento. A parte la Democrazia cristiana di De Gasperi e di Fanfani, nessuno era arrivato a quel livello. Se guardiamo alle cifre assolute anziché alle percentuali, il Pd alla sua prima uscita elettorale guidato da Veltroni aveva avuto anche più voti di domenica scorsa: con il 34 per cento aveva incassato 12 milioni di voti, Renzi ne ha avuti 11 milioni. Ma Berlusconi ne prese allora molti di più. Queste comunque sono le cifre e bisogna rifletterci sopra studiando i flussi che hanno prodotto questo risultato.
Dunque: tutti i partiti hanno perso voti sia in rapporto agli elettori con diritto di voto sia agli elettori andati alle urne, facendo il paragone con le politiche dello scorso febbraio.
Tutti hanno perso voti tranne il Pd. Ma da che parte sono venuti i consensi che hanno determinato il successo? Da Forza Italia non più di 300mila; da 5 Stelle 400mila. Poca roba. Dai residui del centrismo montiano circa un milione. Ma due milioni sono arrivati da ex democratici che alle elezioni di febbraio si erano rifugiati nell’astensione perché non credevano più nel loro partito allora guidato da Bersani. Domenica scorsa hanno capito la gravità della situazione e sono tornati a casa. Succede di rado e il merito di Renzi è stato questo, ha recuperato i democratici scoraggiati e arrabbiati. È difficile capire se fossero democratici moderati o di sinistra. Probabilmente dell’uno e dell’altro colore, è un partito plurale e questa è la sua forza.
Luciana Castellina sul Manifesto di qualche giorno fa ha scritto che il Pd somiglia molto al partito democratico americano dove la sinistra “liberal” convive con molti gruppi decisamente conservatori specie negli Stati del sud. Ha ragione, anche se il Pd americano ha un’impronta decisamente innovatrice e progressista. Del resto un’analoga convivenza di segno opposto avviene nel partito repubblicano.
Un’altra caratteristica di quei partiti è che si identificano in un leader carismatico che, in caso di vittoria, diventa presidente e leader di tutto il paese.
Sullo stesso Manifesto un personaggio di sinistra come Alberto Asor Rosa aveva dichiarato il suo favore a votare Renzi. Un altro esponente della sinistra storica del Pci, Alfredo Reichlin, ha scritto ad elezioni avvenute che la vittoria di Renzi è un fatto positivo e l’ha incitato a fare del Pd il partito della Nazione e dell’Europa; Renzi lo ha citato nelle prime righe della relazione letta alla direzione del partito dopo la vittoria.
Cito alcuni di questi interventi perché rappresentano la complessità della situazione. Siamo uno dei paesi europei che la crisi in corso ormai da sei anni ha devastato economicamente e socialmente suscitando negli italiani e specialmente nei giovani frustrazione e rabbia. Potevano incanalarsi verso una disperazione distruttiva oppure verso una speranza costruttiva. Hanno scelto la seconda. Per questo oggi siamo contenti. Una notevole massa di italiani si è dimostrata all’altezza della situazione. Ma il bello, anzi il difficile, viene adesso. Per Renzi, per l’Italia, per l’Europa. Ed anche per noi che di mestiere siamo testimoni del tempo che passa.
* * *
Un difetto di quelli che aspirano alla leadership (di un partito, di un’azienda, di un paese) spesso è l’arroganza. Un altro possibile difetto è la demagogia. Sono difetti abbastanza diffusi in chi ricava soddisfazione dal guidare gli altri e Narciso è il personaggio mitologico che meglio li rappresenta.
I leader di questa fatta sarebbe meglio evitarli, ma è frequente il caso, specie nella storia d’Italia, che siano proprio loro i preferiti. Sanno sedurre e noi siamo un popolo che ama esser sedotto. Talvolta ne ricava anche qualche vantaggio personale perché ci sono molti furbi tra noi. Molti furbi e poco intelligenti nel senso dell’ intelligere.
Renzi una dose di narcisismo ce l’ha. Anche Grillo. Berlusconi non ne parliamo. Renzi però ha anche un innato senso della politica, cioè una visione del bene comune. Se quella prevale, Narciso viene richiuso da qualche parte e fa meno danni. Ogni tanto emerge, ma questo è normale ed è anche utile entro certi limiti. Se tutti riuscissimo ad anteporre il bene comune all’amore verso noi stessi che peraltro è legittimo, il mondo andrebbe di colpo assai meglio. Purtroppo non è così e siamo quasi tutti i giorni alla prova in questo difficilissimo confronto.
Anche Renzi e il suo partito sono alla prova. Direi su due punti. Il primo è l’essenza stessa del partito, nato come riformista ed erede della sinistra democratica. Renzi oltre che presidente del Consiglio è anche segretario del partito, ma ha bisogno per ovvie ragioni di delegare a qualcuno il compito di accudire il partito. Con quale obiettivo? Che non sia – come invece si sta profilando – un partito personale di Matteo Renzi. Forza Italia è un partito personale, i 5 Stelle sono un partito personale anche se qualche fremito per liberarsi dalla servitù al binomio Grillo-Casaleggio si avverte, ma è provocato da una sconfitta. Molto più difficile che ciò avvenga dopo una vittoria di inconsuete proporzioni. Eppure è necessario, altrimenti ci sarà un mutamento antropologico e non più una sinistra democratica.
Ho letto ieri sulla Stampa un’intervista che Renzi ha dato ad un gruppo di giornalisti. Ha detto varie cose di comune buonsenso già note al pubblico italiano, ma ne ha detta una che mi ha colpito: «Vorrei lasciare a mia figlia che sarà maggiorenne tra dieci anni un paese tranquillo e felice». Tra dieci anni? Due legislature? Ha ragione di augurarselo, Renzi, se avrà a sostenerlo un partito che lo giudichi per quel che fa o non fa, se lo fa bene o lo fa male; lo premi se il giudizio è positivo e lo sostituisca se è negativo.
Quindi deve delegare a qualcuno il compito di restituire il partito a se stesso. Di questo qualcuno si deve poter fidare, ma non può essere qualcuno dei suoi pulcini di antica o di recente covata. Deve fidarsi della sua onestà politica e intellettuale purché non sia della covata, altrimenti sarebbe del tutto inutile.
* * *
L’altra questione, di cui ho già più volte parlato, è la riforma del Senato. Ne riparlo dopo aver letto i contributi al seminario cui furono invitati dallo stesso Renzi: Elena Cattaneo, senatrice a vita, Gustavo Zagrebelsky e Alessandro Pace. Ho letto anche nel frattempo la legge che istituì il Bundesrat che è il Senato dei Lander della Germania e quella che rimodernò da cima a fondo la Camera dei Lords, varata nel 1999 da Tony Blair allora premier del Regno Unito.
Ne ho tratto le seguenti conclusioni. Il Senato delle autonomie voluto da Renzi con apposita legge costituzionale che dovrebbe andare tra pochi giorni in discussione all’attuale Senato è a mio avviso una riforma profondamente sbagliata. In Germania i Lander hanno una radice storica, sono di fatto gli antichi regni della Germania confederata: la Renania, la Westfalia, le città Anseatiche, la Sassonia, il Brandeburgo, la Baviera. I Lander hanno una storia secolare e spetta al Bundesrat controllarli e al tempo stesso rappresentarli.
In Italia questo problema è di tutt’altra forma. Le nostre Regioni sono istituzioni amministrative e la loro autonomia è amministrativa. I Comuni, quelli sì, hanno una storia e rivalità tuttora molto accese tra loro e più vicini sono più le rivalità aumentano.
Un Senato che si occupi di questi Enti locali, ne controlli l’efficienza e le modalità con cui operano e ne arbitri i conflitti tra loro e con lo Stato e adempia soltanto a questa funzione e a pochissime altre (la nomina di due giudici costituzionali e l’intervento al plenum che elegge il Capo dello Stato) equivale all’instaurazione di un potere legislativo monocamerale. Ciò comporterebbe una serie di riforme costituzionali, per ripristinare un equilibrio democratico, che non possono essere effettuate con l’articolo 138 della Costituzione. Richiederebbe, secondo me, una Assemblea costituente. Vi sembra possibile nei tempi attuali un fatto del genere? La Camera dei Lords è tutt’altra cosa. I Lords sono nominati a vita dalla Corona su proposta del premier. Non ha molti poteri. Anzi, quasi nessuno. La Camera dei Comuni le trasmette le leggi affinché le valuti, le approvi, le modifichi o le respinga. Di solito le approva. Se le modifica, di solito i Comuni accettano. Se le respinge, i Comuni le mantengono in vita e l’approvano con votazione definitiva. Ma la Camera dei Lords emette pareri su qualunque argomento che ritenga importante ed affronti problemi delicati e attuali sui quali governo e Comuni dovrebbero intervenire. I Lords sono nominati perché rappresentano delle vere e proprie “eccellenze” nei campi della cultura, medicina, scienza, tecnologia, musica, arte, urbanistica. Insomma. la società civile al suo massimo livello. I suoi pareri sono molto ascoltati e assai spesso Governi, Comuni e organizzazioni private intervengono come i Lords hanno auspicato. Questo tipo di Camera alta va considerata con molta attenzione.
Sarebbe nominata nel caso nostro dal Capo dello Stato e basata su rose di nomi proposte da Accademie, Università, parti sociali variamente scelte e indicate da una legge di riforma dell’attuale Senato della Repubblica che comunque dovrebbe continuare a chiamarsi così. Insomma, e per concludere, o si abolisce il Senato e si crea un organo che si occupi degli Enti locali, o si riforma la Camera alta lasciando che alta rimanga, partecipe delle funzioni del potere legislativo salvo quello di dare la fiducia al governo e di votare la legge di bilancio.
Vedremo Renzi alla prova, ma fretta non c’è perché per parecchi mesi avrà molto da fare in Italia e in Europa e lui lo sa. Deve puntare sul lavoro e la creazione di nuova occupazione, e deve puntare su un’Europa che consenta maggiore flessibilità finanziaria ai paesi che ne hanno bisogno e in prospettiva divenga uno Stato federale.
Per ora il Senato se lo tenga com’è e si limiti a togliergli il potere di fiducia al governo e basta così.
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