venerdì 30 agosto 2013

EDITORIALE DAL CORRIERE DELLA SERA
Il peso dell’incertezza
Dialogo e priorità del governo Letta
on è un esecutivo di legislatura e di conseguenza il governoLetta nel fissare le priorità risente del posizionamento elettorale che vanno assumendo le principali forze che lo sostengono e che tengono d'occhio l'evoluzione dei sondaggi. Si spiega così la prevalenza nell'agenda del superamento dell'Imu su altri capitoli d'intervento - cuneo fiscale - che possono essere considerati altrettanto urgenti e forse di più. Ma questa è la realtà del quadro politico italiano uscito dalle urne e nessuno purtroppo può prescinderne. Il danno ulteriore lo si causa quando al mix di instabilità sopra delineato, e alla difficile ricerca di soluzioni condivise, si aggiunge il mal di pancia di quanti all'interno del Pd non hanno digerito le larghe intese.
Allora, come è accaduto ieri con le dichiarazioni del vice-ministro Stefano Fassina, tutto diventa più difficile. È arduo rintracciare un filo coerente nelle scelte del governo e il dialogo con gli italiani si prospetta avventuroso. Se, come ha fatto Fassina, si sostiene che ora - per colpa del superamento dell'Imu - sarà inevitabile alzare l'Iva si crea solo confusione. Magari si tiene in caldo il rapporto personale con la Cgil ma non si aiuta il Paese. Trovarsi come è accaduto con le dichiarazioni del premier Enrico Letta e di altri ministri (Maurizio Lupi) che contraddicono Fassina e con le rettifiche del segretario e del responsabile economico del Pd che vanno nella stessa direzione di Lupi e contro il collega di partito, serve solo a compromettere ancora di più il rapporto con l'Italia profonda. Quella che dopo una modica quantità di ferie ha ripreso a lavorare e a produrre.
Eppure Letta non avrebbe bisogno che i suoi collaboratorigli creassero nuovi problemi, ce ne sono già abbastanza sul tappeto. Le incertezze tributarie, infatti, non si sono del tutto diradate. Non dimentichiamo che l'Imu sin dalla nascita si è rivelata una tassa di cui non era facile comprendere importi e scadenze e oggi, anche quando ne è stato annunciato il pensionamento in favore della service tax, rimangono aperti diversi quesiti. Non sappiamo ancora bene quali saranno le coperture, che regime fiscale verrà applicato alle seconde case e se la nuova imposta prevederà un tetto o meno. Tutte incertezze che vanno chiarite affinché le famiglie possano rivedere i loro bilanci e decidere cosa destinare, per esempio, ai consumi. Se prevale la nebbia fiscale si rafforza la tendenza a risparmiare e a non sostenere la domanda interna. E addio ripresina!
L'arrivo del mese di settembre chiede, dunque, al governo un esercizio di chiarezza. Sul versante delle imposte (non aumentando l'Iva), su quello dei provvedimenti per la crescita ma anche sul controverso tema dei tagli alla spesa. Dal ministro Fabrizio Saccomanni ci aspettiamo un passo in avanti nella politica degli annunci. Non è più sufficiente rassicurare genericamente l'opinione pubblica e i mercati, è arrivato il tempo in cui gli interlocutori si aspettano che il governo indichi quali sono nel dettaglio i risparmi previsti. L'incertezza si batte anche così.
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mercoledì 28 agosto 2013

Breaking News 24 27/08/2013 - 13:32
NOTIZIARIO ASIA
Cina: tre alti Dirigenti di Petrochina Sotto Inchiesta per Corruzione
Radiocor - Roma, 27 ago - Tre Alti Dirigenti di PetroChina, la societa 'quotata Della Compagnia petrolifera statale cinese Cnpc, Sono Sotto Inchiesta per' graui violazioni disciplinari ', l'Una dicitura il Che di Solito descriva ONU Fatto di Corruzione. Lo ha Annunciato un'organizzazione Governativa Responsabile della supervisione delle Aziende CINESI di proprieta 'statale, DOPO il Che i Titoli erano staticamente sospesi Dalle contrattazioni a Hong Kong e Shanghai, senza pero' FORNIRE dettagli Sulle accuso Contro di Loro. Sono Interessati dall'inchiesta, Ran Xinquan e Li Waring, a causa vicepresidenti della PetroChina e Wang Daofu, Geologo Capo del Gruppo. Questi, tre Dirigenti 'Sono coinvolti nell'ambito di Una Indagine da altera parte delle autorita' CINESI, 'ha comunicato PetroChina in Una nota INVIATA alla Borsa di Hong Kong, ed' Hanno presentato le dimissioni Dalle Loro rispettive funzioni con Effetto immediato '. Lunedi sera, l'agenzia di stampa cinese Ufficiale AVEVA riferito di un'indagine dell'autorita 'anti-Corruzione del Partito Comunista cinese Contro Wang Yongchun, Uno Dei Cinque vicepresidenti della Cnpc. Red-Ale
Breaking News 24 26.08.2013 - 13:23
NOTIZIARIO ASIA
# # # Cina: la metamorfosi del Made in China, Pechino delocalizza il tessile - Taccuino DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli * Radiocor - Milano, 26 ago - ammalata di sovraproduzione, la Cina cerca la Terapia per il Settore tessile Nella delocalizzazione. Trova dunque ONU Elemento di razionalità ': trasferire la Produzione in Luoghi complessivamente piu' convenienti. DOPO Avere attratto Investimenti per tre decenni, ora SI Trova Nella situazione opposta. Le basta Avere conquistato la palma del piu 'grande Produttore ed esportatore Mondiale di Tessile e abbigliamento. E 'Un primato il Che non da' piu 'lustro e del Quale la Cina potrebbe tariffa volentieri un Menone. L'industria infatti e 'tipica dei paesi in via di Sviluppo, Il Primo gradino - Secondo la Letteratura Economica - della conversione dall'agricoltura. La Cina, nonostante la SUA peculiarita ', non ha Fatto ECCEZIONE; l'Industria Tessile e' Stata infatti Uno dei cardini del circolo virtuoso: Investimenti, Produzione di manufatti a basso Costo, esportazione, Accumulazione, e Di Nuovo Investimenti. Il paese e 'Ancora competitivo, ma non ha piu' Bisogno del tessile provengono Nel Passato. Deve anzi lottare con la permanenza di vecchi Interessi Che insistono sul prezzo venire Perno delle Esportazioni. Tuttavia la normalita 'sembra prevalere e Gli Investimenti nda PAESI LIMITROFI abbondano. Il Bangladesh, la Cambogia, il Vietnam, la Thailandia, 'la strategia globale go' le Filippine e l'Indonesia Sono Le Nuove Frontiere della Che il Governo Promuove. Le Riduzioni di Costi Sono Il Primo Motore del Cambiamento. La Cina e 'Ormai Nettamente piu' cara di paesi natura rimasti ai Margini della Globalizzazione. Il Suo Salario Medio nell'industria e 'di 170 Dollari al Mese, un Fronte di 130 in Indonesia, 50 in Vietnam e addirittura 37 in Bangladesh. I RECENTI aumenti salariali, accettati ed addirittura promossi dal Governo, Si spiegano Proprio con la necessita 'di scoraggiare Gli Investimenti - Sia Nazionali Che Stranieri - in Settori Maturi. Inoltre la delocalizzazione consente di aggirare possibi Misure di ritorsione Dai paesi industrializzati, tuffò le Esportazioni per la maggior Parte Sono Dirette. Se il 'Made in China' e 'sottoposto al vaglio tecnico-politico degli standard di Lavoro e Ambientali, Un Esame Menone Rigoroso SI applicazione Spesso ai paesi Ancora Emergenti. Le Aziende CINESI, prive Ormai del Loro Marchio d'origine, possono continuare a esportare e registrare profitti. Il Fenomeno non SI limitazione Agli Investimenti di Pechino. Molte multinazionali, SIA I Grandi Marchi Che le Aziende di Dimensioni ridotte, privilegiano il Sud-est asiatico. Prevale in Loro la convinzione Che la STABILITA 'socio-Politica SIA Ormai Garantita, il Che le Infrastrutture Siano elementari ma sufficienti, il Che la Benevolenza dei Governi permanganato generalmente assicurata. Avviare un'industria tessile e 'relativamente Semplice: sono sufficienti Macchinari, ONU Veloce addestramento degli addetti, il RISPETTO di alcune Regole Sindacali, la disponibilita' di Materie Prime. ANCHE i paesi Menone SVILUPPATI dell'Asia SI pongono dunque Come una validazione Soluzione industriale. Le Loro Tabelle dell'export registrano per Tutti Una forte ASCESA, cosi 'venire il Calcolo degli Investimenti. Sul piano contabile La Nuova Divisione del Lavoro Appare Una complessiva situazione win win, per Quei paesi, la Cina e le Aziende Che delocalizzano. Sullo sfondo permangono tuttavia Gli interrogativi Legati all'eccesso di offerta Mondiale e dell'abbattimento dei Costi, Una news ricerca Che Conduce Spesso a trascurare le piu 'elementari Misure di Sicurezza. * presidente Osservatorio Asia Red-
SINOGRAPH  US ostacoli strew cinese percorso di riforma   (Aug 27, '13)
Il dibattito in Cina sulla questione se il cambiamento di stile occidentale o di un abbraccio di un nuovo maoismo è la strada giusta sottolinea che il paese ha raggiunto un punto storico così significativo come quello attraversato da Deng Xiaoping nel 1978. Deng poteva contare sul sostegno di Washington per le sue riforme. Oggi, la rotazione degli Stati Uniti non sta rendendo più facile con una presa di posizione che le riforme liberali sul tavolo del Politburo sono troppo poco, troppo tardi. - Francesco Sisci

PECHINO - Dentro e fuori la Cina, c'è poco dibattito al momento circa un punto importante: la Cina ha bisogno di riforme profonde. Quelli sui due estremi dello spettro politico, i liberali e il neo-maoisti, possono essere in disaccordo su ciò che la Cina ha bisogno di fare - se aprire fino a un sistema di tipo occidentale o per ritornare ai vecchi modi del Grande Timoniere - ma sono d'accordo sulla diagnosi che il sistema attuale non funziona. Terzo Plenum di questo autunno può prendere pienamente in questo ordine del giorno o in parte la accantona, ma è sicuramente sul tavolo per i sette uomini più potenti in Cina, il Comitato permanente del Politburo del Partito comunista cinese, superiore del paese decisionale corpo. Qualunque sia la decisione di questo tempo, la Cina è a un bivio verysimilar a quello Deng Xiaoping di fronte alla fine del 1978, quando ha lanciato la politica di "riforma e apertura". Tuttavia, a differenza poi, questa volta Pechino è molto più isolato. Poi, Deng ei suoi alleati nel partito poteva contare sul sostegno e l'appoggio internazionale degli americani, che erano desiderosi sui legami che promuovono con la Cina come un elemento di una strategia anti-sovietica complesso. Infatti, pochi mesi dopo la fine del Terzo Plenum del nono Congresso alla fine del 1978, Pechino ha attaccato il Vietnam a punirli per invasione di Hanoi della Cambogia, una decisione effettuata con la benedizione di Washington. Ora, al contrario, non è chiaro quale Washington farà se Pechino si muove per fare le riforme più drastiche o invece un passo indietro nel passato. Una mossa radicale nel futuro - riforme liberali, per esempio - non può essere accolto da Washington, che potrebbe sempre sostengono che è troppo poco, troppo tardi, e troppo lento. Poi un movimento all'indietro - per il percorso tracciato da ex capo del partito di Chongqing Bo Xilai, ora in attesa del verdetto, dopo un processo per corruzione drammatico - potrebbe essere più facile e di ottenere maggiore sostegno sul mercato interno come procedimento contro Bo non ha vinto il sostegno enorme in Occidente. Nemici politici di Bo, come l'ex premier Wen Jiabao, ha preso una bacchettata per corruzione lo scorso dicembre, quando Wen stava per caricare Bo, mentre la famiglia del presidente Xi Jinping, che ha spinto contro Bo in un momento critico, ha ottenuto un simile trattamento di pochi mesi prima. considerazioni interne sono sempre la più importante, soprattutto per le grandi paesi come la Cina o gli Stati Uniti, ma solo gli stupidi avrebbero ignorare il contesto internazionale. Un abbraccio totale di neo-maoismo è impossibile per molte ragioni pratiche, a parte la preoccupazione per la sorte dei sostenitori di Bo che sono ancora attivi nella politica cinese. Ma immergersi in riforme economiche e politiche in linea con le pratiche internazionali adottati dalla maggior parte dei paesi è anche difficile come questo potrebbe scuotere profondamente il Paese in un momento in cui gli Stati Uniti hanno lanciato la sua politica di "un perno per l'Asia". Sia il "pivot" è una politica di contenimento è un punto controverso, in quanto i due paesi hanno troppo interdipendenza economica per un contenimento in stile sovietico, ma certamente ci sono elementi di che, come gli Stati Uniti è in fila basi più fisiche e rafforzare la cooperazione politica e militare in giro per la Cina . Tale sistema può essere caratterizzato come una rete di torri di guardia o tripwires. C'è una differenza tra il militare che stabilisce un insieme di torri di guardia e di accerchiamento reale, ma politicamente le due cose sono estremamente simili. In questo caso, l'obiettivo potrebbe essere un avvertimento (torri di guardia) per evitare la necessità di un accerchiamento reale, che sarebbe più vicino a un atto di guerra. Tuttavia, sembra che gli Stati Uniti è l'invio di un messaggio di avviso, e lo sta facendo più che scommettendo su un impegno pacifico con la Cina. Se questo è il caso, perché non dirlo chiaramente? Un chiaro avvertimento sarebbe utile per migliorare le relazioni o impostare un percorso preciso per il futuro: "non fare questo, o altro." Gli Stati Uniti dovrebbero raccontare la Cina che cosa fare per evitare di essere avvertito di nuovo, e poi la Cina può decidere se cambiare il suo corso o andare avanti. Se si dispone di una situazione che merita un avvertimento, ma non emette un chiaro avvertimento, poi la guardia partito, la Cina in questo caso, può essere confusa - di proposito o no - su cosa fare e cosa non fare. Poi confusione può allevare più confusione, portando a più e più grandi equivoci in rapida successione. In questa situazione, è difficile per la Cina a fare il grande passo in una determinata direzione di riforme, e spinge i leader cinesi prudenti a considerazioni profonde e di riflessione. Nel frattempo poi la mancanza di un'azione decisiva su entrambi i lati può creare ulteriore confusione e incidenti di razza. Gli Stati Uniti, come il più potente paese, dovrebbe scegliere una direzione, ma non lo farà perché il suo sistema rende difficile. E 'difficile per la Casa Bianca di imporre un approccio decisivo sulla Cina contro le opinioni dei media, il Congresso degli Stati Uniti e le decine di Washington del think-tank. Allo stesso tempo, la grande varietà di opinioni e di interessi sulla Cina rende difficile raggiungere un ampio consenso sulle politiche decisive e innovative non ampiamente condivise da tutte le parti interessate. Cina ha al contrario un sistema decisionale più strutturato, o almeno in questa direzione presidente Xi Jinping dovrebbe muoversi per riformare il suo apparato. Cina dovrebbe quindi essere il più coraggioso e manovrare da una costrizione molto difficile, soprattutto perché ha più da perdere in una situazione di stallo. La mancanza di riforme in Cina potrebbe far deragliare le sue economie, la sua società e il suo sistema politico, che è solo marginalmente importante per gli Stati Uniti. Tuttavia, prendendo passi decisivi sulla strada delle riforme può essere altrettanto difficile a causa di tutti gli interessi costituiti che sono contro i cambiamenti radicali e che tanto hanno da guadagnare in uno status quo prolungato. Ciò rende la posizione di Xi estremamente duro. Con nessun alleati e sostenitori all'estero, pochi amici e molti nemici in casa, con una società esuberante ed economia per guidare e cambiare, Xi può avere la sfida più dura di un leader cinese in molti decenni, e il suo primo test sarà in appena un poche settimane, al Plenum. Francesco Sisci è un editorialista del quotidiano Il Sole 24 Ore italiano La sua e-mail è fsisci@gmail.com

sabato 24 agosto 2013

Breaking News 24
NOTIZIARIO ASIA

Cina: +7,09% investimenti diretti stranieri da inizio 2013
Radiocor - Milano, 23 ago - Gli investimenti diretti stranieri in Cina sono cresciuti del 7,09% dall'inizio dell'anno fino alla fine di luglio a quota 71,4 miliardi di dollari. Lo ha reso noto oggi il ministero cinese del Commercio. Per il solo mese di luglio, gli investimenti sono cresciuti del 24,13% su base annua a 9,4 miliardi di dollari dopo essere gia' aumentato dei 20,12% in giugno. Sempre secondo i dati del governo, gli investimenti europei nei primi sette mesi dell'anno sono aumentati del 16,72% a 4,6 miliardi mentre il flusso di denaro in arrivo dagli Stati Uniti e' cresciuto dell'11,44% a 2,2 miliardi.
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Cina: spesa petrolifera annuale schizzera' a 500 miliardi $ nel 2020
Superera' spesa Usa in 2017, secondo stime Wood Mackenzie

Radiocor - Milano, 20 ago - La spesa petrolifera annuale della Cina raggiungera' i 500 miliardi di dollari nel 2020 (375 miliardi di euro), mentre quella degli Stati Uniti calera' a fronte dello sviluppo della produzione americana. E' quanto stima l'ufficio studi della britannica Wood Mackenzie, specializzata in energia e materie prime, che ha calcolato che le importazioni cinesi aumenteranno dai 2,5 milioni di barili al giorno (mbj) nel 2005 ai 9,2 mbj nel 2020, quasi quadruplicando in ragione dell'incremento del consumo di oro nero legato allo sviluppo del paese e in particolare all'esplosione del trasporto su ruota. Parallelamente, spiega Wood Mackenzie, le importazioni americane dovrebbero scendere di 10,1 mbj a 6,8 mbj, pari ad un decremento del 32%, a fronte soprattutto della crescita della produzione interna di petrolio non convenzionale, fra cui il petrolio da scisti e il petrolio definito 'compatto'' (la cui estrazione necessita comunque del fracking). secondo l'ufficio studi inglese, nel 2017 ci sara' un'importante tappa: sara' infatti l'anno in cui - secondo le stime - le importazioni cinesi di petrolio sorpasseranno quelle degli Stati Uniti. La conseguenza e' che la spesa cinese dovrebbe arrivare alla cifra astronomica di 500 miliardi di dollari nel 2020, superando il picco storico della spesa Usa (335 miliardi di dollari).

giovedì 22 agosto 2013

Siracusa, Allarme Tubercolosi, 40mila positivi: l’hanno portata i ‘profughi ?
SIRACUSA – La città di Siracusa starebbe incubando da mesi un’epidemia di tubercolosi pronta ad esplodere: circa 40 mila soggetti sono risultati positivi ai test Tbc, e dunque sarebbero potenzialmente malati, basta un piccolo stress e il bacillo diventa attivo. Almeno secondo quanto racconta il Fatto Quotidiano del 16 luglio che riporta le cifre ufficiali fornite dal gruppo nazionale di studio dell’Aipo (Associazione italiana di penumologia) e convalidate dall’Oms. Scrive il Fatto:

SI PRESUME che la malattia sia arrivata in special modo con gli immigrati del Corno d’Africa, gli immigrati del Corno d’Africa sono spesso gli stagionali di Cassibile. Dunque tra gli anelli deboli della catena compare la voce: controlli sanitari. Nell’atto aziendale dell’Asp, in data 2010, pensate, manca proprio la voce dispensario tubercolare. Nel frattempo Rossitto denuncia la mancanza di strumenti, di materiali, di competenze, chiede alla dirigenza mezzi adeguati, richieste sovente con esito scarso. Rossitto poi verrà trasferito in pneumologia.

All’Asp di Siracusa continuano a dormire sonni tranquilli, ma nel frattempo la situazione è del tutto fuori controllo. Scrive il Fatto che il dispensario tubercolare di via Bufardeci è in corso di smantellamento ma ancora attivo

Il responsabile transita un’ora al giorno, confidano alcuni pazienti in attesa. I pazienti in attesa possono essere malati, sono nello stesso piano degli uffici della Medicina del Lavoro e dello Sport, dove non di rado accedono anche i bambini. Il meetup del M5s ne fa ampiamente riferimento all’interno dell’interpellanza presentata a Zito. Chi si ammala non ha molte chance: di saperlo, innanzitutto. L’Asp di Siracusa non prevede l’antibiogramma e l’esame colturale, fondamentali nel riconoscimento dell’infezione e soprattutto fondamentali nella prevenzione e contrasto della malattia nella forma farmaco resistente, quella che produce infezioni farmaco resistenti (e che contagia infezioni farmaco resistenti): ovvero quando la malattia diventa inesorabile, incurabile, si è spacciati insomma.

Fonti mediche accreditate, contattate da Blitz Quotidiano, ci assicurano che si tratta comunque di malattia tubercolare latente. Quali rischi corrono quanti sono stati esposti al contagio? “Per chi dovesse risultare positivo ai test c’è la possibilità, stimata intorno al 5 per cento, che si sviluppi la malattia nei successivi due anni. In ogni caso per queste persone è possibile eseguire un trattamento preventivo efficace che riduce quella probabilità del 60 per cento”. Un altro 5% è a rischio per tutta la vita: ergo, di quei 40 mila, al massimo 4 mila potrebbero ammalarsi.

Consultando i dati del Ministero della Salute si rileva che in tutta Italia ogni anno vengono notificati circa 4500 casi di tubercolosi attiva, e dunque le cifre riportate dal Fatto Quotidiano, se riferite alla sola realtà di Siracusa, ipotizzano un numero troppo elevato di casi. La situazione andrebbe valutata attentamente.

CAGLIARI - E' iniziata stamane la missione di tre giorni del presidente Cappellacci ad Abu Dhabi.
Il programma prevede una serie di incontri istituzionali e con gli operatori economici e commerciali.

L'obiettivo è promuovere nuovi investimenti in Sardegna. Il programma odierno prevede un confronto
con l'Abu Dhabi Investiment House, il vertice con Sua Altezza, membro della famiglia reale,
Sheikh Nahyan bin Mubarak Al Nahyan (ministro della Cultura, della Gioventù e dello Sviluppo).

Il governatore ha fissato una riunione con l'Abu Dhabi Fund of Development.
Nel pomeriggio il presidente incontrerà l'ambasciatore d'Italia ad Abu Dhabi, Giorgio Starace.

Il programma prevede una serie di incontri istituzionali e con gli operatori economici e commerciali.
L´obiettivo è promuovere nuovi investimenti in Sardegna
Cappellacci in missione ad Abu Dhabi

mercoledì 21 agosto 2013

Esplora il significato del termine: Tribunali dedicati e Fisco agevolato: 
ecco il Piano per gli investitori esteri
A Milano, Roma e Napoli i fori specializzati. Concessioni e crediti più facili. Le gestioni di spiagge e beni culturaliTribunali dedicati e Fisco agevolato: 
ecco il Piano per gli investitori esteri
A Milano, Roma e Napoli i fori specializzati. Concessioni e crediti più facili. Le gestioni di spiagge e beni culturali
Esplora il significato del termine: ROMA - Burocrazia opprimente, costo del lavoro gravato da troppe tasse, giustizia farraginosa: ecco perché gli imprenditori stranieri amano sempre meno l’Italia.
Mentre le imprese nostrane all’estero continuano a crescere - si stimano dai 20 ai 30 miliardi i flussi di investimenti italiani all’estero nel 2013, con l’Italia che è addirittura il terzo investitore nel Regno Unito, dietro Usa e Giappone - decine di aziende straniere hanno deciso di chiudere gli stabilimenti italiani o abbandonato i progetti: l’anno scorso su 617 richieste di assistenza a Invitalia, l’Agenzia nazionale che aiuta gli imprenditori stranieri nell’insediamento nel nostro Paese, solo 35 si sono concretizzate in un investimento. E siamo al 78° posto nella classifica Ocse per capacità di attrazione degli investimenti dall’estero. Una débâcle, contro la quale il governo sta correndo ai ripari: Destinazione Italia, la micro task force di tre consulenti istituita presso il ministero dello Sviluppo economico, sta mettendo a punto un piano per rendere attraente il nostro territorio agli occhi degli stranieri. Le proposte vanno in quattro direzioni: giustizia, fisco, credito e semplificazioni. Allo studio una giustizia semplificata, con tre fori dedicati agli imprenditori stranieri (Milano, Napoli e Roma), agevolazioni per i crediti, apertura del patrimonio immobiliare e artistico agli stranieri, snellimento delle concessioni. Ma anche zone franche, come quelle già immaginate in passato ma mai messe in atto. Obiettivo: non far ripetere più casi come quello dell’imprenditore tedesco che voleva mettere su uno stabilimento in Puglia. Dopo estenuanti trattative per lo spostamento di una tubatura, ha fatto le valigie. L’Italia? Troppo faticosa.

Fuga dall’Italia 
Venti grandi colossi internazionali hanno battuto la ritirata dai nostri confini negli ultimi due anni: il caso più eclatante è la Britishgas, che ha rinunciato l’anno scorso al rigassificatore da 800 milioni a Brindisi. Altri sono in procinto di farlo. Bridgestone ha annunciato che vuole chiudere lo stabilimento di Bari. Il colosso farmaceutico americano Merck Sharp & Dome ha comunicato la serrata a Pavia. Starebbero per chiudere i battenti anche Ceam (ascensori), presente da oltre 60 anni in Italia, la Tnt (ad Avellino) e la multinazionale svedese Dometic (condizionatori per camper). E c’è chi rinuncia in partenza: la Cecep, colosso cinese che produce impianti di energia fotovoltaica, voleva investire 15 milioni nel nostro Paese. Si è fermata a 10, gli altri cinque li ha dirottati in Germania, scoraggiato dalla giungla normativa italiana. E rischiamo di perdere l’investimento di 130 milioni della Nec (telefonini): c’è una competizione in atto in Puglia per uno stabilimento per la produzione di batterie, ma di riunione in riunione, i giapponesi sembrano sempre più scoraggiati e propensi a scappare. Anche in Germania: dove il costo del lavoro è più alto del nostro, ma in un mese si ottengono tutti i via libera.


I richiami delle sirene 
Come si convincono gli stranieri a investire in Italia? Desk Italia, la struttura creata dall’ex ministro Passera allo scopo, non è mai diventata operativa. Stavolta l’approccio del governo è cambiato: non si parte più dalla governance, ma dal cosa fare. E qui interviene il documento che la task force presenterà a Letta a settembre. Il primo passo sarà dare certezza fiscale a chi vuole investire in Italia. Immaginando delle aree dove le tasse saranno alleggerite e unificate e proponendo sgravi a chi guadagna sul nostro territorio. Il governo pensa poi ad un meccanismo per gli investimenti strategici: se le procedure non vengono liquidate dagli enti locali in tempi brevi, il presidente del Consiglio potrà autorizzarle.
Un capitolo delicato è quello della giustizia, che invano il ministro allo Sviluppo economico Flavio Zanonato ha provato a inserire nel Dl fare: tre tribunali si occuperanno delle questioni legate agli investimenti esteri, con facilitazioni per il filtro in appello e la mediazione. Per attrarre capitali stranieri in Italia, si porterà avanti la liberalizzazione dei corporate bonds. E si aprirà il mercato immobiliare, soprattutto quello commerciale: i grandi alberghi così potrebbero essere gestiti da stranieri, che oggi sono dissuasi da contratti lunghi e altri vincoli. In questa direzione va pure la semplificazione del cambio di destinazione d’uso. E l’apertura agli stranieri della gestione pubblico-privata dei Beni culturali nostrani: il Demanio ha già pronta una lista dei beni da dismettere. Potrebbero essere coinvolte anche le concessioni balneari, che fruttano solo 120 milioni l’anno.


Il braccio e la mente 
Tutte queste idee si concretizzeranno in progetti operativi gestiti da Invitalia, anche attraverso i nuovi contratti di sviluppo: tra i primi sei siglati in un anno figurano gli stabilimenti Roll Royce e quello Unilever in Campania, sostenuti con 100 milioni, il 40% dell’investimento complessivo. L’altro braccio sarà l’Ice, che in quanto Agenzia per la promozione all’estero delle imprese italiane ha una vasta rete nei Paesi stranieri: «E la sfrutteremo al massimo per ricordare i punti di forza poco conosciuti dell’Italia - spiega il presidente Riccardo Monti -. Ovvero: il dna nel manifatturiero, la ricchezza media delle famiglie italiane, la buona qualità di vita, l’attenzione al lusso e al bello, ma anche il patrimonio storico-artistico e le infrastrutture in cui poter investire». Tutta affascinante teoria? Niente affatto: «C’è già un forte interesse internazionale per F2 I, il fondo di Cassa depositi e prestiti, e di Hutchinson sul porto di Taranto - spiega Monti -. E stiamo sbloccando i progetti dei tour operator stranieri Four Season e Turi, che altrimenti lasceranno il nostro Paese: una perdita inaccettabile». ROMA - Burocrazia opprimente, costo del lavoro gravato da troppe tasse, giustizia farraginosa: ecco perché gli imprenditori stranieri amano sempre meno l'Italia.
Mentre le imprese nostrane all'estero continuano a crescere - si stimano dai 20 ai 30 miliardi i flussi di investimenti italiani all'estero nel 2013, con l'Italia che è addirittura il terzo investitore nel Regno Unito, dietro Usa e Giappone - decine di aziende straniere hanno deciso di chiudere gli stabilimenti italiani o abbandonato i progetti: l'anno scorso su 617 richieste di assistenza a Invitalia, l'Agenzia nazionale che aiuta gli imprenditori stranieri nell'insediamento nel nostro Paese, solo 35 si sono concretizzate in un investimento. E siamo al 78° posto nella classifica Ocse per capacità di attrazione degli investimenti dall'estero. Una débâcle, contro la quale il governo sta correndo ai ripari: Destinazione Italia, la micro task force di tre consulenti istituita presso il ministero dello Sviluppo economico, sta mettendo a punto un piano per rendere attraente il nostro territorio agli occhi degli stranieri. Le proposte vanno in quattro direzioni: giustizia, fisco, credito e semplificazioni. Allo studio una giustizia semplificata, con tre fori dedicati agli imprenditori stranieri (Milano, Napoli e Roma), agevolazioni per i crediti, apertura del patrimonio immobiliare e artistico agli stranieri, snellimento delle concessioni. Ma anche zone franche, come quelle già immaginate in passato ma mai messe in atto. Obiettivo: non far ripetere più casi come quello dell'imprenditore tedesco che voleva mettere su uno stabilimento in Puglia. Dopo estenuanti trattative per lo spostamento di una tubatura, ha fatto le valigie. L'Italia? Troppo faticosa.

Fuga dall'Italia 
Venti grandi colossi internazionali hanno battuto la ritirata dai nostri confini negli ultimi due anni: il caso più eclatante è la Britishgas, che ha rinunciato l'anno scorso al rigassificatore da 800 milioni a Brindisi. Altri sono in procinto di farlo. Bridgestone ha annunciato che vuole chiudere lo stabilimento di Bari. Il colosso farmaceutico americano Merck Sharp & Dome ha comunicato la serrata a Pavia. Starebbero per chiudere i battenti anche Ceam (ascensori), presente da oltre 60 anni in Italia, la Tnt (ad Avellino) e la multinazionale svedese Dometic (condizionatori per camper). E c'è chi rinuncia in partenza: la Cecep, colosso cinese che produce impianti di energia fotovoltaica, voleva investire 15 milioni nel nostro Paese. Si è fermata a 10, gli altri cinque li ha dirottati in Germania, scoraggiato dalla giungla normativa italiana. E rischiamo di perdere l'investimento di 130 milioni della Nec (telefonini): c'è una competizione in atto in Puglia per uno stabilimento per la produzione di batterie, ma di riunione in riunione, i giapponesi sembrano sempre più scoraggiati e propensi a scappare. Anche in Germania: dove il costo del lavoro è più alto del nostro, ma in un mese si ottengono tutti i via libera.


I richiami delle sirene 
Come si convincono gli stranieri a investire in Italia? Desk Italia, la struttura creata dall'ex ministro Passera allo scopo, non è mai diventata operativa. Stavolta l'approccio del governo è cambiato: non si parte più dalla governance, ma dal cosa fare. E qui interviene il documento che la task force presenterà a Letta a settembre. Il primo passo sarà dare certezza fiscale a chi vuole investire in Italia. Immaginando delle aree dove le tasse saranno alleggerite e unificate e proponendo sgravi a chi guadagna sul nostro territorio. Il governo pensa poi ad un meccanismo per gli investimenti strategici: se le procedure non vengono liquidate dagli enti locali in tempi brevi, il presidente del Consiglio potrà autorizzarle.
Un capitolo delicato è quello della giustizia, che invano il ministro allo Sviluppo economico Flavio Zanonato ha provato a inserire nel Dl fare: tre tribunali si occuperanno delle questioni legate agli investimenti esteri, con facilitazioni per il filtro in appello e la mediazione. Per attrarre capitali stranieri in Italia, si porterà avanti la liberalizzazione dei corporate bonds. E si aprirà il mercato immobiliare, soprattutto quello commerciale: i grandi alberghi così potrebbero essere gestiti da stranieri, che oggi sono dissuasi da contratti lunghi e altri vincoli. In questa direzione va pure la semplificazione del cambio di destinazione d'uso. E l'apertura agli stranieri della gestione pubblico-privata dei Beni culturali nostrani: il Demanio ha già pronta una lista dei beni da dismettere. Potrebbero essere coinvolte anche le concessioni balneari, che fruttano solo 120 milioni l'anno.


Il braccio e la mente 
Tutte queste idee si concretizzeranno in progetti operativi gestiti da Invitalia, anche attraverso i nuovi contratti di sviluppo: tra i primi sei siglati in un anno figurano gli stabilimenti Roll Royce e quello Unilever in Campania, sostenuti con 100 milioni, il 40% dell'investimento complessivo. L'altro braccio sarà l'Ice, che in quanto Agenzia per la promozione all'estero delle imprese italiane ha una vasta rete nei Paesi stranieri: «E la sfrutteremo al massimo per ricordare i punti di forza poco conosciuti dell'Italia - spiega il presidente Riccardo Monti -. Ovvero: il dna nel manifatturiero, la ricchezza media delle famiglie italiane, la buona qualità di vita, l'attenzione al lusso e al bello, ma anche il patrimonio storico-artistico e le infrastrutture in cui poter investire». Tutta affascinante teoria? Niente affatto: «C'è già un forte interesse internazionale per F2 I, il fondo di Cassa depositi e prestiti, e di Hutchinson sul porto di Taranto - spiega Monti -. E stiamo sbloccando i progetti dei tour operator stranieri Four Season e Turi, che altrimenti lasceranno il nostro Paese: una perdita inaccettabile».
Corriere della Sera
21 agosto 2013 | 7:29
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venerdì 16 agosto 2013

Yan in visita ufficiale a Qingyang si reca all'importante Museo della Città
Qingyang Museo della Città, che si trova in Qingyang Xifeng dentro un complesso culturale, nell'enorme area espositiva ci sono quasi 6.000 reliquie culturali ed altri reperti datati 10 milioni di anni.
Qingyang City Museum intero museo è diviso in tre gallerie, la prima rappresenta  la cultura preistorica", i principali contenuti di fossili, gli esseri umani paleolitici utilizzati strumenti in pietra scheggiata e una varietà di ossa di animali, rinvenuti Neolitico tutti i tipi di oggetti  artefatti culturali tipici, ecc, rivela la più completa città Qingyang  creature mesozoici con lo status di attività umana e le condizioni sociali del clan. Nella seconda galleria   "mostra cimeli storici", soprattutto nella società schiavista, la società feudale di esposizione umana-tipi utilizzati principalmente e rivela in Qingyang la città dalla dinastia Shang al dinastie Ming e Qing 3000 anni di storia e di condizioni sociali .Nella terza galleria  "reliquie rivoluzionarie e le monete", che riflette il 1927-1949 gli anni della  liberazione nazionale e il periodo di costruzione socialista di Qingyang da cui gli anziani furono padri della rivoluzione sotto la guida del partito per dare un contributo significativo per la gloriosa storia della lotta rivoluzionaria. Un'altra parte è dedicata alle dinastie cinesi che hanno portato alla luce tutti i tipi di valute, rivelando lo sviluppo della storia monetaria della Cina.
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意大利对华友好协会秘书长路安娜王参观庆阳市博物馆_政务热点_...

 





Eataly Bari: Oscar Farinetti risponde ai sindacati: "A licenza definitiva assumerò gli interinali, polemiche vuote"

"Non capisco perché stiano creando enormi problemi. Ovunque in Italia c’è disoccupazione, in particolare quella giovanile soprattutto nel Mezzogiorno, poi arriva in Puglia un imprenditore che investe 15 milioni di tasca propria, senza contributo pubblico, e che per mettere in piedi l’impresa utilizza solo aziende del territorio - dall’elettricista al muratore. Sperava di poter avere una licenza permanente e invece gli si fa la guerra, con carta bollata, con ben tre lettere di denuncia inviate ai giornali". A parlare - in un'intervista al Corriere - è Oscar Farinetti, il patron della catena alimentare Eataly, che un paio di settimane fa ha aperto il suo unico (finora) punto vendita nel Sud Italia - a Bari, nella Fiera del Levante - registrando subito il tutto esaurito.

Farinetti, però, è stato duramente criticato dai sindacati, che lo accusano di aver esagerato con i contratti interinali (160 su 173) e quindi di sfruttare i giovani lavoratori del Mezzogiorno. Accuse che hanno fatto imbestialire l'imprenditore. "Perché vogliono creare problemi a tutti i costi? Non sanno che la licenza di Eataly è valida solo per sei mesi? In queste condizioni mi era impossibile assumere a tempo indeterminato, con il pericolo di essere poi costretto a licenziare", si difende Farinetti.

"I ragazzi arrivati a Eataly hanno avuto buoni contratti, buoni stipendi, nessuno lavora in nero. Appena si regolarizzerà la situazione della licenza - avrei anche potuto adire le vie legali in proposito - saranno tutti assunti direttamente, a tempo indeterminato e a tempo determinato; questi ultimi, se dimostreranno di saper lavorare bene, passeranno poi a tempo indeterminato", promette l'imprenditore.

Farinetti non usa mezze misure: è infastidito e deluso da polemiche che reputa fuorvianti. "È pazzesco - si sfoga - che si pensi questo, come si fa a lavorare in Italia in queste condizioni? Siamo a livello di terzo mondo, ma io non mollo. Sono più di sinistra di loro (i sindacati, nrd) perché ho davvero a cuore la sorte di questi ragazzi, di questi lavoratori che voglio assumere direttamente, ma potrò farlo solo se mi confermeranno la licenza".

Il patron di Eataly è pronto a un faccia a faccia con i sindacati. "Li incontrerò a Torino il 25 o il 26 agosto, oppure il primo o il 2 settembre. Non posso accettare da loro l’accusa di aver messo in piedi un santuario dell’illegalità". Malgrado l'amarezza, Farinetti si dice fiducioso: "Continuo a coltivare la speranza che lì, alla Fiera, si possa creare un bellissimo centro commerciale, dove si possano organizzare eventi, iniziative. Già oggi, a pochi giorni dall’innaugurazione di Eataly, va tutto bene: ogni sera facciamo 2000 coperti, i ristoranti della zona sono sempre pieni, persino gli ambulanti di fronte all’ingresso hanno incrementato le vendite...".

mercoledì 14 agosto 2013


Perché si parla di nuovo di Gibilterra 
Spagna e Regno Unito stanno litigando, come è successo spesso negli ultimi 300 anni
Negli ultimi giorni la Spagna ha minacciato una serie di ritorsioni economiche e finanziarie nei confronti di Gibilterra, la piccola città che si trova nel sud della Spagna e che fa parte del Regno Unito. Ufficialmente le minacce spagnole sono una risposta alla decisione del governo di Gibilterra di costruire una barriera di cemento per impedire ai pescatori spagnoli di sconfinare nelle sue acque. Quella di questi giorni è l’ennesima disputa su Gibilterra che negli ultimi 300 anni ha diviso il governo spagnolo da quello ingles
Gibilterra appartiene al Regno Unito dal 1714, che con il trattato di Utrecht ufficializzò la conquista di dieci anni prima nella Guerra di successione spagnola. È una piccola città con un’area di circa 5 chilometri quadrati e 30 mila abitanti arroccati intorno a una montagna, la Rocca di Gibilterra, e si trova in un punto strategico: aldilà dello stretto di Gibilterra, largo appena 14 chilometri, si trova il Marocco. Per secoli, insomma, controllare Gibilterra ha significato controllare l’accesso al mar Mediterraneo: il confine con la Spagna è lungo circa un chilometro ed è l’unico accesso al continente. A Gibilterra si parla inglese e le cabine telefoniche sono rosse come gli autobus a due piani. I bar e caffé si chiamano pub e in giro per la città è facile trovare chioschi dove mangiare fish & chips, tipico cibo inglese. Nel corso dei secoli lo status di Gibilterra ha causato molte controversie, che non sempre sono rimaste sul piano diplomatico.
L’ultima è iniziata soltanto poche settimane fa, quando il governo di Gibilterra ha deciso la costruzione di una barriera in mare che impedisse ai pescatori spagnoli di entrare nelle acque inglesi. Alla fine di luglio i primi blocchi di cemento sono stati affondati in mare e il governo spagnolo ha iniziato a protestare. Domenica 27 luglio le guardie di frontiera spagnole hanno intensificato i controlli sulle auto in ingresso a Gibilterra. C’è un solo posto di confine ed è molto frequentato, sopratutto dai turisti, dai lavoratori spagnoli (circa 12 mila spagnoli lavorano a Gibilterra) e dagli inglesi (circa 6 mila abitanti di Gibilterra hanno proprietà in Spagna). In pochi minuti al posto di confine si è formata una lunga coda. Per entrare a Gibilterra nel corso dell’ultima settimana è stato necessario affrontare fino a sei ore di coda.
Rallentare le operazioni al confine è soltanto una delle molte cose che il governo spagnolo può fare per fare pressioni sul governo di Gibilterra. Lunedì 5 luglio il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel García-Margallo, ha detto che il governo spagnolo potrebbe imporre un tassa di 50 euro per entrare e uscire da Gibilterra. I giornali spagnoli hanno scritto di altre misure che potrebbero essere approvate, e anche queste voci servono a mettere pressione sul Regno Unito: si è parlato per esempio di obbligare le numerose società di gioco d’azzardo online che hanno sede a Gibilterra a trasferire i propri server in Spagna, assoggettandole così al suo regime fiscale, di bloccare al confine l’arrivo di tutti i materiali da costruzione, per evitare che la barriera venga terminata, di vietare l’utilizzo dello spazio aereo spagnolo per gli aerei diretti al piccolo aeroporto di Gibilterra e di iniziare una serie di controlli fiscali sui seimila abitanti di Gibilterra con proprietà in Spagna.
Il governo di Gibilterra ha risposto minacciando di rivolgersi alla Corte europea per i diritti umani: i diritti umani dei suoi abitanti costretti ad attendere ore sotto il sole prima di poter oltrepassare il confine. I controlli sono comunque terminati lunedì 5 luglio, quando il governo inglese ha accettato di discutere il caso con dei rappresentanti del governo spagnolo.
In molti, ha scritto il Guardian, sia a Gibilterra che nelle città spagnole poco distanti, credono questa ennesima disputa internazionale sia soltanto una scusa utilizzata dal governo spagnolo per nascondere i recenti scandali di corruzione che hanno colpito alcuni esponenti del partito di maggioranza (compreso il primo ministro Mariano Rajoy) e la grave situazione economica del sud della Spagna. Nella regione vicino a Gibilterra la disoccupazione è quasi al 40 per cento.
A La Linea, il piccolo paese spagnolo davanti a Gibilterra, i cittadini rischiano di subire perdite economiche a causa delle azioni di entrambe le parti. Molti abitanti lavorano a Gibilterra, spesso come addetti alle pulizie o badanti, e sono stati danneggiati dai lunghi controlli alla frontiera. Per loro non sarebbe più conveniente lavorare a Gibilterra se il governo decidesse di imporre un tassa di ingresso. Dall’altra parte il caso diplomatico è iniziato proprio per tutelare i circa 160 pescatori che da secoli pescano nelle acque che gli inglesi vogliono chiudere con la nuova barriera di cemento.
In realtà ai pescatori spagnoli è vietato pescare nelle acque intorno a Gibilterra dall’agosto del 2012 ma la decisione non è mai stata accettata dalla Spagna, che riconosce al Regno Unito una sovranità soltanto su Gibilterra e sulla baia del porto, come sancito dal trattato del 1714, e non sull’intera estensione che avrebbero le acque territoriali – il governo di Gibilterra rivendica 3 miglia nautice (5,5 chilometri) di acque territoriali.
Negli ultimi decenni il governo spagnolo ha compiuto diversi tentativi di ottenere nuovamente e in varie forme la sovranità su Gibilterra. L’ultimo tentativo è avvenuto nel corso degli anni Novanta, quando la Spagna propose un accordo per condividere la sovranità con il Regno Unito. Questo sistema di cogestione avrebbe dovuto portare gradualmente a un ritorno di Gibilterra alla Spagna, consentendo però ai suoi abitanti di mantenere la cittadinanza inglese e una forma di autogoverno. Questo accordo è stato respinto nel 2002 da un referendum tra gli abitanti: il 99 per cento votò no.
Anche nel 1967 ci fu un referendum che ebbe lo stesso risultato. All’epoca due risoluzioni non vincolanti votate dall’assemblea dell’ONU avevano chiesto al Regno Unito di abbandonare Gibilterra. Il governo indisse un referendum e il 99,6 per cento degli abitanti scelse di restare nel Regno Unito. All’epoca la Spagna era sotto la dittatura di Francisco Franco, uno dei periodo più difficili che gli abitanti della Rocca ricordino. Franco ostacolò in vari modi il governo di Gibilterra, arrivando tra il 1972 e il 1985 a bloccare completamente il confine per 13 anni. Molti tra gli inglesi che abitano a Gibilterra hanno dichiarato che non c’è molta differenza tra il comportamento dell’attuale primo ministro spagnolo Mariano Rajoy e quello di Franco. Il governatore di Gibilterra ha paragonato il comportamento del governo spagnolo a quello della Corea del Nord.
Breve storia di Gibilterra
Dopo averla conquistata nel 1704, il Regno Unito fortificò Gibilterra e la trasformò in una grande base navale. Negli anni successivi resistette ad alcuni tentativi di assedio, ma all’epoca la Spagna era messa male e quando nel 1714 le grandi potenze si riunirono per discutere la pace, il Regno Unito ottenne di mantenere la città. Gibilterra fu assediata altre volte nel corso del Settecento ma la fortezza, che gli inglesi chiamavano semplicemente “la Rocca”, non fu messa davvero alla prova fino al 1779, l’anno in cui cominciò quello che viene ricordato come il “Grande assedio”.
All’epoca la Francia e la Spagna erano alleate con gli Stati Uniti, che avevano appena dichiarato la secessione dal Regno Unito. In quegli anni Gibilterra era stata trasformata in una fortezza con tunnel, caserme e batterie di cannoni scavati nella roccia (che sono tuttora una delle attrazioni più visitate dell’isola). Un grande esercito spagnolo e francese e una flotta assediarono la città per quasi quattro anni, ma Gibilterra non venne conquistata. Quando nel 1783 si discusse la pace – il Regno Unito aveva vinto la battaglia di Gibilterra, ma perso la guerra – la Spagna preferì chiedere la restituzione di altri territori occupati, come per esempio Minorca, lasciando Gibilterra agli inglesi.
Durante le guerre napoleoniche Gibilterra fu una delle più importanti basi navali del Regno Unito. Nel 1806 Napoleone invase la Spagna ma non riuscì mai ad arrivare abbastanza vicino a Gibilterra per poterla assediare. Per tutto il resto dell’Ottocento la Spagna fu sempre in crisi e non rappresentò più una minaccia per Gibilterra e per il Regno Unito. Le cose cambiarono nel 1939, con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Gibilterra tornò a essere una della più importanti basi militari del Regno Unito, in particolare per la guerra contro la flotta dell’Italia fascista.
La Spagna rimase neutrale e Gibilterra non venne mai minacciata da terra, ma fu spesso bombardata e attaccata dalle forze speciali italiane che avevano le loro basi segrete in Spagna e cercavano di minare le navi all’ancora nel porto. Con la fine della Seconda guerra mondiale l’importanza militare di Gibilterra è quasi completamente scomparsa – una grande base NATO è stata costruita poco lontano in territorio spagnolo. Oggi Gibilterra è importante da un punto di vista economico. Il suo porto è uno dei più attivi d’Europa nell’importazione ed esportazione di petrolio greggio. Il resto della sua economia si basa sul turismo e sul settore finanziario. Gibilterra è considerata un paradiso fiscale, anche se dagli organismi internazionali viene considerata un paese “collaborativo” e con una efficace legislazione anti riciclaggio.
Intervista al ricercatore Florent Marcellesi “Dire che si tornerà alla crescita significa mentire e produrre frustrazione”
 Natalia González de Uriarte

 L'autore del libro “Addio alla crescita. Viver bene in un mondo solidale e sostenibile”, Florent Marcellesi ritiene che la decrescita non sia un'utopía, lo è invece pensare che si possa andare avanti al ritmo di consumo e produzione imposto dal capitalismo. Questo attivista e ricercatore, che è stato membro della commissione promotrice di Equo, ha presentato a Vitoria, nell'ambito di giornate organizzate da Equo Araba, la sua ultima pubblicazione. Nella quale descrive la crescita come un fattore di crisi, una minaccia per il pianeta e un ostacolo per il benessere. Il ricercatore, partendo dal rifiuto dell'austerità punitiva, disegna, insieme ai coautori dell'opera -Jean Gadrey, economista e membro del consiglio scientifico di ATTA Francia e Borja Barragué, ricercatore dell'Università autonoma di Madrid- una società di piena occupazione con un alto livello di protezione sociale per tutte le persone e nell'ambito dei limiti ecologici del planeta. Assicura che "non si tornerà sulla strada della crescita" e che trasmettere questo messaggio ai cittadini significa "mentire e generare frustrazione".

Domanda: Lei propone di consumare meno per vivere meglio in un momento in cui questo suggerimento è difficile da dare ai cittadini che quasi non dispongono delle risorse per vivere alla giornata. È consapevole che questo consiglio può infastidire qualcuno?

Risposta. Sí. Pienamente. Ma è proprio per questo motivo che lo sosteniamo, per farla finita con queste ingiustizie. Nel libro poniamo come priorità per la grande transizione ecologica e sociale l'occupazione e la redistribuzione della ricchezza e del lavoro. Proprio tenendo conto che c'è molta gente che se la passa malissimo, dobbiamo creare vie d'uscita tramite l'ecologia mediante la promozione e la valorizzazione di posti di lavoro verdi. Oltre ad avere la capacità di generare lavoro tra moltissima gente servono per riorientare il modello produttivo verso un altro nel quale siamo capaci di generare attività sostenibili. Rispetto alla distribuzione della ricchezza, le assicuro che se seguissimo le proposte che noi indichiamo molta gente vivrebbe meglio. I miglioramenti arriverebbero al 90% della gente. Solo 1% della popolazione vedrebbe ridursi il salario, e sono quelli che guadagnano di più.

D. Molti credono che i suoi postulati siano una mera utopia perché non hanno alcun avallo scientífico. Hanno ragione?

R. No. Si sbagliano in pieno. La decrescita non è un'utopia, lo è invece pensare che possiamo continuare su questo ritmo di consumo che impone il capitalismo. E tornare sulla strada della crescita come pretendono significa pane oggi e fame domani, perché la crescita ci porta al collasso ecologico, alla crisi energetica, alimentare e climatica, a tutte e tre contemporaneamente. E questo lo stiamo vivendo. Dobbiamo cercare vie d'uscita che evitino il collasso sociale e quello ecologico e che permettano una prosperità senza crescita dove la ricchezza, il benessere e la piena occupazione non dipendano dalla crescita. Inoltre è un errore politico comunicare alle persone che torneremo alla crescita perché è impossibile. Significa mentire ai cittadini e generare frustrazione.

D. Allora non superaremo questa crisi com'è successo con le precedenti?

R. No. I livelli registrati negli ultimi 50 anni mostrano una progressiva decadenza strutturale dei tassi di crescita. Tra gli anni '60 e '80 avevamo tassi di crescita dell'8% e ora di meno dello 0,1. Stiamo uscendo da una breve epoca della storia umana, molto breve, di circa 50 anni dove tutta l'economia si basava sulla crescita, sullo sfruttamento brutale delle risorse naturali e della manodopera. Tutto questo è finito perché abbiamo già esaurito le risorse. Non abbiamo energia sufficiente per tornare ai valori anteriori alla crisi. Quei tempi non torneranno mai. Non può accadere né a livello fisico, né ecologico né energetico. È impossibile. Si passerà a uno stadio diverso.

D. Quali sono i rischi che implica continuare con le politiche di tagli indicate dall'Europa?

R. Le grandi disuguaglianze protratte nel tempo portano senza rimedio a gravi conflitti sociali. Abbiamo esempi attuali dai quali possiamo imparare come quelli aperti in Egitto, Tunisia, Siria e Libia. Le rivolte arabe sono provocate da crisi alimentari, perché la gente non ha accesso al minimo per poter mangiare. Perché? Perché c'è una crisi energetica e sale il prezzo del petrolio. E c'è una crisi alimentare perché ci sono cattivi raccolti. Invece di terre per alimentare le persone sfruttano le terre per alimentare le auto. La gente non ha accesso nemmeno ai campi, tutti orientati al mercato estero. È una polveriera alla quale stiamo contribuendo.

D. E per rovesciare il capitalismo imperante da così tanto tempo da dove si comincia?

R. Si comincia cambiando le priorità. Bisogna cominciare abbandonando il patto per i tagli e il patto per la crescita per concordare la transizione sociale ecologica. Si deve lavorare su tre versanti. Il primo è puntare a un lavoro verde e dignitoso. La OIT, Organizazione Internazionale del Lavoro, ci dice che in vista del 2020, se scommettiamo veramente sul lavoro verde si possono creare fino a un milione di posti di lavoro in Spagna e fino a centomila nei Paesi Baschi. In secondo luogo è imprescindibile modificare la distribuzione della ricchezza e del lavoro. Con il reddito che abbiamo raggunto è inconcepibile a livello morale, politico ed economico che ci sia una sola persona che non veda soddisfatti i suoi bisogni fondamentali. Per farla finita con questo dobbiamo dotarci di un reddito minimo di cittadinanza e allo stesso tempo mettere dei limiti con un reddito massimo. Se vogliamo ridurre l'impatto economico dobbiamo ridurre anche l'impatto che hanno le persone più ricche. Ed è necessario anche redistribuire il lavoro perché queste formule permettono di creare lavoro senza crescita, cioè di produrre la stessa quantità di cose ma con più persone lavorando meno tempo. A questo beneficio se ne aggiunge un altro: proteggere il pianeta. Riducendo la giornata lavorativa si concede tempo ai cittadini per realizzare più attività sostenibili, curare un orto, andare in campagna, cucinare… Non vivere per lavorare e consumare ma lavorare per vivere e soddisfare i propri bisogni fondamentali. E infine, bisogna lavorare sul pilastro democratico. Siamo noi cittadini che dobbiamo definire quali sono i bisogni fondamentali e quali quelli superflui. Dobbiamo scegliere, se non vogliamo che scelga un potere lontano. Dobbiamo gestire una democrazia dell'autolimitazione, essere capaci di decidere come e perché vogliamo lavorare, produrre e consumare. E una volta deciso questo dobbiamo impostare il tipo di relazioni sociali e politiche che creeremo.

D. Questa trasfomazione implica l'abbandono di certi settori produttivi a favore del lavoro verde. Le grandi multinazionali lo permetteranno?

R. Sì, possiamo imporci. Bisogna lottare dal basso. Abbiamo molto più potere di quanto pensiamo nelle nostre mani, dobbiamo usarlo. È possibile cambiare il sistema. E in realtà questa acquisizione di potere si sta già verificando. Proliferano le cooperative energetiche, di finanza etica, abitative, di produzione e consumo… sono esempi di un potere economico reale di participazione che staiamo esercitando in parallelo ad altri imperanti. Queste iniziative stanno crescendo e rappresentano un altro modo di vedere l'economia con valori di uguaglianza, partecipazione, ecologia e autonomia. Ma questo, di per sé, non è sufficiente perché queste azioni sono isole. Dobbiamo avere la capacità di tessere reti tra loro perché formino paesi e continenti. Fare un salto di qualità. Non aver paura e imporre un sistema politico e sociale che introduca il cambiamento all'interno delle istituzioni e allo stesso tempo modifichi le istituzioni in se stesse. E l'unico anello che manca in questa catena ed è capace di rovesciare completamente tutto questo e mettere un freno ai mercati, alla speculazione finanziaria e a tutti i problemi ambientali che non hanno frontiere è l'Europa. Ha la capacità di lottare contro i paradisi fiscali, che sono, precisamente, basi per le multinazionali.

D. E la società è preparata?

R. C'è sempre più gente che la pensa diversamente. Gli stessi lavoratori del settore auto o del turismo di massa, per esempio, vedono che non hanno futuro. Si stanno mettendo in contatto con noi sindacati come ELA perché i loro lavoratori sono coscienti della prospettiva nulla di alcune professioni e chiedono formazione sull'ecologia del sociale. Inoltre le maggioranze non sono imprescindibili. I cambiamenti si possono avere a partire da molte minoranze. Non bisogna credere che la gente che governa sono maggioranze. Non lo sono. Siamo governatio da minoranze, il famoso 1%. Ci sono molti più interessi in comune tra il rimanente 99%. Questo non vuol dire che non dobbiamo superare mentalmente molti ostacoli che abbiamo posto noi stessi ma siamo in un momento di opportunità che non avevamo da molto tempo. La crisi, nonostante tutto il male, è un momento di grande opportunità per tutti. È un'occasione straordinaria a livello di alternative reali. Dobbiamo approfittarne per un rovesciamento. Dobbiamo giocare questa partita.

D. Che ruolo gioca l'educazione in questo processo che lei propone?

R. Un ruolo vitale. Bisogna abbracciare tre ambiti, quello dell'educazione, quello della comunicazione e sensibilizzazione e per ultimo, l'emancipazione. L'ambito educativo deve incidere su due versanti. Uno verso i bambini e l'altro verso gli adulti. Il lavoro nella formazione continua è importantissimo. Allo stesso tempo si devono sviluppare programmi di sensibilizzazione, perché c'è una parte importante della popolazione che non crede che ci sia una crisi ecologica e ancora meno a livello sociale. Qui abbiamo un lavoro in sospeso. E sul terreno dell'emancipazione dobbiamo assumere che abbiamo il potere di agire sul sistema, potere per fare cose che finora ci venivano date o imposte. Il semplice fatto di coltivare il tuo orto, imparare a trattare i vegetali e ricavare alimenti senza passare per il supermercato ti rafforza, ti motiva e ti convince che puoi eludere il sistema.

D. Abbiamo tempo per combattere il collasso ecologico?

R. Sì, se siamo capaci di provocare cambiamenti sia strutturali che di mentalità in 15 o 20 anni, perché la crisi ecologica gioca contro di noi.

D. È necessario il supporto dei partiti politici per realizzare questi cambiamenti?

R. Sí. Dobbiamo pensare alternative politiche a questo livello. Vedere su quali movimenti possiamo contare per fare questo salto di qualità e cercare accordi di massima tra loro perché la soluzione della crisi che abbiamo verrà solo a partire dall'ecologia. Un partito politico che non includa nel suo DNA questa visione della fine della crescita non può essere un soggetto di trasformazione. Né il PP né il PSOE lo hanno all'interno del loro discorso, né nel loro pensiero né nei loro geni. Non possiamo aspettarci nulla da loro.

 Fonte: www.eldiario.es/norte/euskadi/alava/utopia-podemos-continuar-impuesto-capitalismo_0_150135641.html

Traduzione per Senzasoste Andrea Grillo, 25 luglio 2013
Dossier Cina: Una nuova lotta di classe
Tra l'epoca maoista e oggi, la struttura del proletariato cinese si è profondamente modificata. Siamo di fronte a una classe operaia totalmente differente e a una fase della Cina in forte evoluzione. Intervista a Au Loong-Yu e Bai Ruixue del comitato di redazione del sito web di China Labour



Dopo il 1911, la Cina ha vissuto un secolo di rivoluzioni e contro-rivoluzioni, di modernizzazioni successive. La struttura di classe del paese è stata sconvolta almeno due volte: dopo la conquista del potere da parte del Partito comunista nel 1949, e poi con le riforme pro-capitaliste introdotte tra gli anni 80 e 90. Ogni strato sociale è stato rimodellato. Alcuni si sono disintegrati, sono emigrati, come la “gentry” - il notabilato che imponeva la propria legge nel mondo contadino – oppure, nel mondo urbano, la borghesia commerciante e industriale. Altri si sono formati, come la burocrazia, una “casta” che ha tratto profitto dal controllo esclusivo dello Stato oppure si sono ricostituiti ma sotto nuove forme.

Così, l'attuale borghesia cinese presenta un volto molto diverso da quello che aveva precedentemente. Non è più legata subordinatamente all'imperialismo ma è diabolicamente concorrente. Ha le caratteristiche originali di una “borghesia burocratica”, per riprendere la formula di Au Loong-Yu.
Né i contadini né la classe operaia sono stati esenti da tale rivolgimento. Rivoluzioni e contro-rivoluzioni hanno provocato modifiche radicali nello statuto, composizione e coscienza di sé del proletariato. Questi sconvolgimenti presentano del tratti molto particolari che inviano alle specificità del regime maoista.

Dopo la rivoluzione del 1949: uno status invidiato
Un secolo fa la Cina ha conosciuto le sue prime ondate di industrializzazione. La classe operaia industriale rimaneva molto minoritaria, stimata intorno a 1,5 milioni all'inizio degli anni 20 a fronte di almeno 250 milioni di contadini. Era concentrata in alcune grandi fabbriche di alcune regioni soltanto: città costiere nel sud, il bacino fluviale del Yangzi centrale, la Manciuria del nord. Una grande parte della produzione tessile proveniva ancora dal settore artigianale e la maggior parte del semi-proletariato urbano era composta da precari, il “piccolo popolo” dei coolies (braccianti, operai, facchini).

Il giovane movimento operaio ha giocato un ruolo importante nella rivoluzione del 1925 ma è stato distrutto dalla contro-rivoluzione del 1927 e poi sottomesso all'occupazione giaponese. Decimato nelle città, il Partito comunista ha perso l'essenziale del suo radicamento iniziale. Dopo la sconfitta giapponese del 1945, la classe operaia ha condotto qualche grande sciopero difensivo contro l'iper-inflazione ma non possedeva più proprie organizzazioni e tradizioni politiche.
Quella che si è formata nella Repubblica popolare cinese è essenzialmente una nuova classe operaia. Dai 3 milioni di prima del 1949 è passata a 15 milioni nel 1952 e a circa 70 nel 1978. Reclutati nel quadro di una massiccia politica di salarizzazione (“bassi salari, molti posti di lavoro”), i lavoratori urbani del nuovo settore di Stato beneficiano di uno status forte di "operai e impiegati", con i suoi vantaggi sociali: l'alloggio, ticket che danno diritto a cereali, finanziamenti per l'educazione dei bambini, servizi sanitari, accesso a magazzini commerciali, garanzia di impiego a vita, pensione… Ogni lavoratore viene assegnato ad un’impresa e ad un’unità di lavoro come, in Francia, un funzionario è assegnato ad una posizione. Un lavoratore che arriva all’età pensionabile può spesso trasmettere il suo status ad un membro della sua famiglia.

Godendo di privilegi importanti rispetto al resto della popolazione (esclusi i quadri del partito-stato), la classe operaia ha per lungo tempo costituito una solida base sociale del regime maoista, fino ad essere talvolta mobilitata contro gli intellettuali e gli studenti contestatori. Aveva una forte coscienza sociale di sé ma nessuna autonomia politica: rimaneva subordinata al Pcc, in assenza di sindacati indipendenti o del pluralismo politico.

Una sconfitta storica
La classe operaia del settore statale è stata l'ultima a subire i colpi della crisi del regime maoista, ma non è stata estranea ai tumulti della "rivoluzione culturale" (1966-1968), nei quali i lavoratori precari (ci sono sempre) sono a loro volta presto intervenuti. In occasione di tale grande crisi, sono state espresse profonde rivendicazioni sociali e democratiche, ma pochi movimenti radicali sono stati in grado di uscire dalle lotte di potere all'interno del partito-stato. In mancanza di prospettive, la rivolta sociale è sfociata in un’iper-violenza settaria. Con l'appoggio dell'esercito, il caos ha lasciato il posto ad una dittatura burocratica particolarmente intollerante.

Il ritorno al potere di Deng Xiaoping, cominciato nel 1976, è stato visto come un ritorno alla razionalità politica: disgelo culturale, ostentato pragmatismo, parziale de-collettivizzazione delle campagne, cooperative operaie ...
In un primo momento le riforme socio-economiche non appaiono dirette ad un'economia capitalista, anche se poi in circa 20 anni hanno di fatto aperto la via ad un nuovo modello capitalista cinese. Tuttavia, l'ammorbidimento del regime ha liberato il conflitto sociale: scioperi operai (1976-1977), manifestazioni contadine, movimenti democratici (1978-1979) ... Le contestazioni sono culminate nelle proteste del 1989, mettendo la leadership del Pcc (estremamente divisa al suo interno) di fronte ad una scelta decisiva: democratizzare ulteriormente o reprimere brutalmente. L'esercito ha schiacciato i manifestanti della piazza Tien Anmen di Pechino, la repressione si è abbattuta è caduta sulle province. La sconfitta delle resistenze sociali è stata profonda.

La rinascita di un capitalismo cinese ha condannato alla scomparsa la classe operaia formatasi sotto il regime maoista. Dal punto di vista ideologico, il punto di onore non era più il lavoro, quanto l'arricchimento (di alcuni). Numerose imprese di proprietà statale sarebbero state preparate per la loro privatizzazione, il livello di produttività accelerato, le protezioni sociali smantellate.
La classe operaia del settore statale ha opposto a questo programma di riforme una resistenza silenziosa e di massa (punteggiata da esplosioni violente). Molti manager di tali imprese hanno preferito negoziare un compromesso, piuttosto che affrontare i propri salariati. Il proletariato cinese era incapace di costruire un'alternativa politica al regime, ma il regime era incapace di imporre la propria politica salariale. Per questo ha deciso di rimuovere dalla produzione questo settore irrequieto della classe operaia: circa 40 milioni di lavoratori sono stati messi in pensione in maniera forzata per poter fare piazza pulita.

Un nuovo proletariato: cinesi senza documenti
Anche in Francia funzionari pubblici sono stati sostituiti da salariati con contratti di tipo «privato», ma in quel caso il settore privato esisteva già. In Cina, uno strato di operai specializzati, tecnici e ingegneri provenienti dal settore statale è stato mantenuto in attività dalla maggioranza dei salariati, però, ha dovuto creare una nuova classe operaia - della quale ancora una volta i contadini hanno fornito il grosso della truppa.
Il regime ha sfruttato una manodopera ricattabile: i cinesi senza documenti. I contadini infatti non potevano muoversi a piacimento nel loro paese, ma necessitavano di un permesso per stabilirsi in paese differente da quello di origine. Si trattava di una misura amministrativa che risale a tempi lontani, ma che è stata usata dal Pcc per limitare l'esodo rurale verso le aree urbane e costiere, oltre che per rafforzare il suo controllo politico.
L'esodo rurale è comunque continuato, creando una massa di «clandestini» molto più facili da super-sfruttare, formata da contadini sradicati, senza tradizione di lotta collettiva, senza la conoscenza dei loro diritti sociali, in attesa di tornare nei loro villaggi. Una situazione che rappresentava il paradiso per il capitalismo selvaggio e le sue zone franche di rifornimento!

La Federazione cinese dei sindacati - unico sindacato legale - non ha fatto nulla per aiutare i "migranti interni". Tuttavia si sono sviluppate numerose iniziative civiche che hanno operato ai confini della legalità per portare loro aiuto: sono state costruite scuole per accogliere i loro bambini che altrimenti sarebbero stati privati dell'istruzione; alcuni "avvocati a piedi nudi" (un riferimento ai "medici scalzi" del tempo della rivoluzione) hanno fornito loro assistenza legale gratuita; sono state condotte inchieste e campagne per denunciare la grave situazione sanitaria di questi lavoratori per i rischi per la salute a cui sono stati sottoposti (avvelenamento da sostanze chimiche tossiche ...). Una rete di solidarietà si è così costituita in quella occasione.
La seconda generazione di migranti interni entra ora nel mercato del lavoro. A differenza dei loro genitori, questi lavoratori non hanno intenzione di tornare ai loro villaggi e conoscono l'ambiente sociale in cui sono nati.

Come in Francia, il suicidio può essere la risposta a condizioni di lavoro intollerabili, ma questa generazione è meglio attrezzata alla lotta - tanto più che la mancanza di lavoro comincia a farsi sentire. Il potere è quindi costretto ad ammorbidire le regole sulla circolazione di (ex) contadini. Ci sono state lotte hanno ottenuto risultati. (Questa è la generazione di cui tratta l'intervista a Au Loong Yu e Bai Ruixue pubblicata su questo sito).
L'organizzazione resta il tallone d'Achille della seconda generazione di migranti interni. I sindacati ufficiali sono da lungo tempo cinghie di trasmissione del potere (o dei datori di lavoro), e non è pensabile che diventino strumenti della protesta sociale o politica. Il partito-Stato ancora non accetta la creazione di organizzazioni indipendenti - e sta bene attento a come mantenere il divieto.
Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una doppia impossibilità/incapacità. E' ancora troppo pesto per sapere come sarà superata.
Ma lo sarà.

Cina: lo stato del movimento sindacale e delle lotte operaie

Intervista di Pierre Rousset  a Bai Ruixue e Au Loong-Yu

Membri del comitato di redazione del sito web di China Labour Net , Au Loong-Yu e Bai Ruixue da molto tempo sono impegnati nella solidarietà con le lotte dei lavoratori nella Cina continentale come a Hong Kong. Membro fondatore di Globalization Monitor, Loong-Yu è stato anche un portavoce dell'Alleanza popolare durante le manifestazioni contro la riunione del Fondo monetario internazionale nella ex colonia britannica nel 2006.

L'azienda taiwanese Foxconn impiega 1,5 milioni di lavoratori in Cina e produce componenti elettronici per marchi come Apple. Recentemente ha annunciato che, nel luglio del 2013, avrebbe permesso l'elezione di rappresentanti sindacali. Pensate che la democratizzazione della sezioni sindacali nelle imprese sia possibile nel contesto di uno Stato poliziesco?
Secondo i media occidentali sarebbe il primo tentativo di sindacalizzazione della Foxconn. Questo non è esatto. Nel 2007, la Federazione cinese dei sindacati (conosciuta con l'acronimo di Acftu) aveva pubblicamente annunciato di aver costituito una sezione sindacale in una fabbrica Foxconn dove si era verificata una lotta. Il quotidiano Southern Metropolitan Daily ha intervistato dei lavoratori di quella fabbrica. Hanno detto che non sapevano dell'esistenza di un sindacato o che avrebbero preso contatto con il sindacato solo come ultima risorsa. Così, almeno a Shenzhen, c'è già un sindacato nella Foxconn ma nessuno sa cosa abbia fatto per i lavoratori e le lavoratrici.
Due lavoratori della di Foxconn di Zhengzhou si sono suicidati gettandosi nel vuoto in meno di quindici giorni, dopo che la direzione ha imposto senza preavviso la "modalità silenziosa" per i suoi salariati. I dipendenti si sono lamentati perché gli è stato proibito di parlare durante il lavoro, cioè più di 10 ore al giorno. Questo ha portato più d'uno alla disperazione. Foxconn è nota per imporre alla sua forza-lavoro una disciplina militare. Nel solo 2010 quattordici lavoratori si sono suicidati. Ci si chiede cosa sia una Federazione dei sindacati che non ha mai fatto nulla per evitare che Foxconn trattasse i suoi i dipendenti come schiavi. Se una sezione sindacale fosse stata effettivamente presente, come avrebbe potuto la direzione imporre la "modalità silenziosa" senza consultarla?

Non ci sono sindacati liberi senza libertà politica
Non condividiamo l'idea che una democratizzazione generale dei sindacati nelle aziende sia possibile in assenza di libertà civili nel paese. L'esperienza della rielezione della sezione sindacale dell'Honda di Foshan lo mostra. I lavoratori della Honda di Foshan hanno condotto una lotta eroica e vittoriosa nel 2010, costringendo la direzione e la Federazione locale dei sindacati non solo a concedere un aumento salariale, ma anche a consentire una rielezione della rappresentanza sindacale in fabbrica.
Nel 2012 una ONG ha svolto una ricerca su questa rielezione. Nonostante la retorica dei leader del Partito Comunista e dell'ACFTU del Guangdong, sul rispetto dei diritti democratici dei lavoratori, si è scoperto che si trattava di un'elezione parziale. Una parte solamente della direzione sindacale è stata sostituita. Il precedente presidente della sezione sindacale - contro il quale gli scioperanti erano molto arrabbiati - ha mantenuto il suo seggio.
Un'elezione generale ha finalmente avuto luogo nel 2011 sotto gli auspici del sindacato locale.
Tuttavia, in conformità con le procedure stabilite dall'ACFTU, la direzione uscente ha monopolizzato il processo di nomina dei candidati. Infatti agli impiegati di livello dirigenziale è stato permesso di presentarsi come candidati ed hanno potuto beneficiare di una forma di delega più favorevole e con più potere rispetto agli altri lavoratori.
Di conseguenza i quadri dirigenziali sono stati eletti nella direzione del sindacato mentre gli attivisti che avevano guidato la lotta del 2010 sono stati esclusi. Le elezioni nei settori e nei comitati di base si sono svolte dopo la completa ricostituzione della direzione centrale del sindacato di fabbrica. Questa procedura è stata volutamente adottata per rendere tutto molto complicato, molto lento, in modo da essere più facilmente manipolabile dall'alto.
Il 18 marzo scorso, gli operai della Honda di Foshan sono di nuovo scesi in sciopero non essendo soddisfatti del programma di aggiustamento salariale proposto dalla direzione e dal sindacato dell'azienda. Ai loro occhi, questo programma era vantaggioso solo per i livelli di salario più alti a scapito di quelli più bassi. A seguito dello sciopero, gli aumenti salariali più alti sono stati dati ai due livelli più bassi.

I sindacati ufficiali contestati
Questo sciopero sembra indicare che la capacità del sindacato di difendere gli interessi dei lavoratori non sia molto incisiva. Esso mostra la mancanza di comunicazione tra la sezione sindacale e i lavoratori, i quali hanno dovuto scioperare e impegnarsi autonomamente per difendere i loro diritti. In effetti i lavoratori hanno spiegato che la posizione del sindacato era la stessa della direzione dell'azienda.
Due settimane più tardi è stata la volta dei lavoratori di un'altra azienda, l'Ohms elettronica di Shenzhen, che chiedevano la rimozione del presidente del sindacato Zhao Shaobo. Zhao era stato eletto l'anno scorso dopo uno sciopero in cui si rivendicava il diritto di eleggere i rappresentanti dei lavoratori. Ora alcuni dipendenti accusano Zhao e il sindacato di non aver protetto i loro interessi, in particolare per quanto riguarda la difesa del contratto di lavoro di 22 dipendenti che la Ohms ha deciso di non rinnovare all'inizio di questo anno. Secondo i lavoratori, Zhao ha anche cercato di convincerli ad accettare le proposte della direzione della società. "Noi non vogliamo che il presidente del nostro sindacato passi dalla parte della direzione. Vogliamo eleggere qualcuno che parli per noi ", ha detto uno dei lavoratori.

Come sono i sindacati nel settore statale?
Ci sono molte meno informazioni sul sindacati nelle imprese statali, aziende di Stato o di imprese di proprietà dello Stato. I mass media coprono più facilmente scioperi e rielezioni sindacali nel settore privato - e in particolare nelle imprese straniere, perché possono sempre puntare il dito contro gli investitori esteri accusandoli di non rispettare le leggi. Quando la stessa cosa accade nel settore pubblico, statale, i funzionari dello Stato sono necessariamente e direttamente coinvolti. Quindi il rischio che la stampa sia censurata è grande, a meno che le proteste diventino più grandi e durino più a lungo.
In generale, nel settore privato, la regola è probabilmente che i sindacati siano ridotti a gusci vuoti sotto il controllo dei datori di lavoro, essendoci poco spazio per il partito-Stato per intervenire. Al contrario, nel settore statale - anche se le imprese statali oggi hanno una direzione più indipendente che in passato - l'eredità del ruolo del partito e il suo intervento sul posto di lavoro non sono stati completamente sostituiti dal potere della direzione di fabbrica.
Naturalmente i rapporti di forza possono variare considerevolmente da una regione all'altra o nelle singole industrie. Questo implica che se nel settore statale i lavoratori vogliono un sindacato sul posto di lavoro, sotto il loro controllo, devono affrontare non solo la direzione dell'azienda, ma anche l'apparato di un partito ostile presente dall'interno della fabbrica.
Un altro fatto mostra come i sindacati ufficiali facciano poco per proteggere i lavoratori nel settore statale. Secondo il Codice del lavoro le imprese statali non possono usare lavoratori temporanei per completare l'opera di lavoratori a tempo indeterminato, lo possono fare solo nei casi in cui non si riesca a soddisfare delle commesse specifiche. Eppure oggi le aziende statali ricorrono massicciamente al lavoro temporaneo e l'ACFTU non ha mai respinto questa pratica ormai diventata comune.
In una parola, non c'è ragione di credere che la Federazione dei sindacati della Cina cesserà di agire come uno strumento del partito al potere e del suo orientamento capitalista. Anche se, a volte, la ACFTU fa qualcosa di utile per i lavoratori, è solo un effetto secondario della sua strategia. Nel 2010, sotto la pressione della lobby padronale della provincia del Guangdong e degli investitori di Hong Kong, è stata rimossa la clausola che permetteva l'elezione dei rappresentanti dei lavoratori mediante una "consultazione collettiva" ed è stato ritirato il progetto di regolamento sulla gestione democratica delle imprese in quella provincia. La clausola originale non aveva niente di rivoluzionario. L'ACFTU avrebbe controllato la nomina dei candidati e la parola "trattativa" non appariva perché era considerata troppo "antagonista" ; non di meno le revisioni successive hanno svuotato la versione finale di questo progetto di legge di tutto il senso che poteva avere per i lavoratori.
Huang Qiaoyan, professore di diritto presso l'Università di Sun Yat-Sen di Guangzhou, ha descritto in questi termini la versione della clausola rivista nel 2011: "essa riflette il desiderio di chi ha redatto il progetto di continuare a controllare, attraverso i vari livelli del sindacato, le rivendicazioni crescenti dei lavoratori per delle consultazioni collettive sui salari. Non vogliono vedere una situazione in cui si sviluppino delle azioni spontanee dei lavoratori, dove i sindacati non potrebbero intervenire, che non potrebbero organizzare e controllare. "
Nonostante tutto questo, il movimento operaio internazionale tende sempre più a lavorare a stretto contatto con la Federazione dei sindacati della Cina, rafforzando la sua legittimità. Una credibilità che è stata di nuovo accordata all'ACFTU nel giugno 2011, quando è stata eletta nell'organo dirigente dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nel settore dei "salariati".

Come valutate l'attuale livello di mobilitazione operaia in Cina?
Per oltre dieci anni le lotte operaie in Cina sono per lo più rimaste essenzialmente economiche. Le resistenze alle privatizzazioni nel settore statale avrebbero potenzialmente potuto aprire la strada a delle lotte più politiche, ma questo non si è concretizzato a causa dei rapporti di forza: da un lato i lavoratori in questo settore si sono demoralizzati a causa delle sconfitte subite, dall'altro hanno dovuto affrontare una dura repressione.

Una nuova generazione senza il peso delle sconfitte
Tuttavia, le lotte economiche nei due settori (statale e privato) possono portare a un cambiamento positivo, anche se limitato. Questo è doppiamente importante per la conquista di obiettivi immediati, ottenuti attraverso delle vittorie come contro le privatizzazioni, l'ottenimento di migliori condizioni di lavoro e la riduzione dei danni ambientali. Perché - cosa ancora più importante - queste vittorie possono ispirare altri interventi in futuro che possano rafforzare il loro potenziale di successo, come abbiamo visto con la lotta dei lavoratori siderurgici di Tonghua e dei metalmeccanici dell' Honda.
La forma assunta da queste resistenze riflette anche il carattere sempre più audace della nuova generazione di lavoratori. A questo proposito, anche se ancora su piccola scala, merita di essere citato il tentativo dei lavoratori della Pepsi di coordinare le loro azioni - in diverse province- tramite Internet. In passato tale coordinamento era stato preso in considerazione ma la paura delle conseguenze è stata un deterrente.
Il fatto che i giovani lavoratori dell'Honda abbiano dichiarato che agivano nell'interesse della classe operaia cinese nel suo complesso mostra che vi sono dei segni che indicano che questa nuova generazione, liberata dalla terribile sconfitta del 1989, ha la capacità potenziale di guardare oltre i problemi immediati e di identificarsi in preoccupazioni più ampie di quelle limitate alla propria azienda.

da Revue Tout est à nous ! 45 (luglio 2013)
Traduzione Piero Maestri e Felice Mometti
NAVE DA GUERRA INGLESE CONTRO LA SPAGNA. NON E' NOTIZIA IN ITALIA
Postato il Martedì, 13 agosto @ 15:27:09 CEST di davide
FONTE: SENZASOSTE.IT

Da anni sosteniamo che il mainstream italiano viva in un cono di realtà autoreferenziale incapace rappresentare i fatti del mondo e, di conseguenza, anche di affrontare la complessità del mondo globale. Altrimenti non sarebbe stato possibile che il modello, informativo e antropologico, Berlusconi abbia occupato il paese per oltre un ventennio.

Da molti anni fatti clamorosi, oppure importanti ma "silenziosi", sono regolarmente mancati dal nostro paese.

Nella foto: la partenza della nave da guerra HMS dal porto di Portsmouth destinazione Gibilterra

E anche i blog, o le pagine facebook, si tende più a commentare prodotti informativi provenienti dalla bolla speculativa nazionale delle notizie che i fatti reali. Così siamo arrivati a produrre un'improbabile "ripresa economica" alle porte con l'autunno e leggi di assoluta inefficacia statistica (come quella sul femminicidio) come fatti di civilià.

L'ultima clamorosa mancanza del sistema di comunicaziona nazionale, dove le notizie sono sempre le stesse, è quella sul conflitto apertosi tra Spagna e Inghilterra sul controllo delle frontiere di Gibilterra. Conflitto che da giuridico si fa materiale visto che l'Inghilterra ha inviato la nave da guerra HMS Westminster verso Gibilterra per far capire alla Spagna che, per risolvere il contenzioso, è disposta anche a seguire l'esempio Malvinas. Il governo inglese ha informato che è disposto, a partire da lunedì, a mandare altre due fregate da guerra nella zona.

La notizia campeggia, con una foto grande di nave da guerra, sul Guardian e, per fare un esempio, è in prima del sito, e in grosso rilievo, di Die Welt, Der Spiege e su quello della Frankfurter Allgemeine. Perchè è evidente che un conflitto Spagna- Inghilterra, anche senza sfociare in eventi clamorosi e pure su questioni di confine, può avere conseguenze serie su tutta l'architettura Ue, innescare una eventuale crisi di fiducia sull'euro etc.

Non si tratta quindi di vendere le cannonate che non ci sono ma di informare su cosa sta accadendo. Ma l'opinione pubblica italiana è plasmata solo secondoesigenze di propaganda domestica: allora vai con l'Imu, gli stalker, la diminuizione dei costi della politica, le possibili leggi antiomofobia (che non sposteranno di un millimetro il fenomeno). La comunicazione politica in Italia non è fatta per capire il mondo, anche da un punto di vista ideologico, ma per trasmettere compulsivamente esigenze di propaganda della campagna elettorale prossima ventura (più prossima che ventura, visto il caso). Il tutto ricavato secondo il linguaggio e la simbolica del berlusconismo.

Il rapporto tra piccolo mondo dell'informazione italiana e declino del paese è stretto. Per chi vuol vederlo. Magari come come la crisi Spagna-Inghilterra. Con un minimo di sforzo, tra una polemica sul calendario dei lavori parlamentari e un servizio su Renzi, la pericolosità della chiusura culturale dell'informazione italiana la si potrebbe anche scorgere.

Fonte: www.senzasoste.it
Link: http://www.senzasoste.it/internazionale/nave-da-guerra-inglese-contro-la-spagna-non-e-notizia-in-italia
12.08.2013

martedì 13 agosto 2013

Sardegna:intesa regione-istituzioni-china holding per centrale elettrica
12 Agosto 2013 - 14:55
(ASCA) - Cagliari, 12 ago - Potrebbe essere realizzato dalla China Environmental Holding Co. Ltd e dalla collegata Nord Sardegna Energia s.r.l. il nuovo impianto per la produzione di energia elettrica nel nord della Sardegna. E' quanto prevede l'intesa siglata oggi a Villa Devoto tra la regione, la provincia di Sassari, le amministrazioni comunali di Sassari e Porto Torres e la societa' cinese, particolarmente attiva nel campo delle energie rinnovabili. Entro il 30 settembre, si legge nella nota diffusa dalla regione, la multinazionale presentera' uno studio di fattibilita' per la costruzione di una centrale a carbone al gruppo di lavoro, costituito ad hoc dai firmatari del protocollo e attivato nell'assessorato dell'Industria per esprimere una valutazione sulla proposta industriale, individuando sinergie, ricadute per le imprese e per il lavoro locale.

''L'accordo con la holding cinese e' un passo avanti significativo per il territorio e per l'intera Sardegna - ha detto il presidente della regione Ugo Cappellacci - poiche' consente un adeguato e rapido ricambio del parco di generazione, favorendo l'impiego delle tecnologie di ultima generazione che abbattono drasticamente l'impatto ambientale.

Non consentiremo piu', infatti, il prolungato esercizio di impianti con gruppi a olio combustibile che, oggi, sono destinati a produrre solo inquinamento''.

Al gruppo di lavoro spettera' approfondire i meccanismi di gestione delle procedure amministrative per l'ottenimento delle necessarie autorizzazioni, oltre a individuare gli strumenti di programmazione e di incentivazione utilizzabili, coerentemente con i programmi di sviluppo regionali.

Soddisfazione per l'intesa e' stata manifestata anche dai rappresentanti degli enti locali chiamati a fornire indicazioni per il miglior inserimento dell'iniziativa industriale nel territorio.

''Con l'accordo - ha aggiunto l'assessore dell'Industria, Antonello Liori - non solo si concretizzano opportunita' occupazionali per il Nord Sardegna, ma si assicurano le condizioni ottimali per il mantenimento del sistema di produzione dell'energia, fattore trainante di tutta la nostra ripresa economica''.

red/mpd

lunedì 12 agosto 2013

Breaking News 24 12/08/2013 - 11:00
NOTIZIARIO ASIA
Cina: in crisi il matrimonio con le multinazionali estere - TACCUINO DA SHANGHAI
di Alberto Forchielli*

Radiocor - Milano, 12 ago - Come tutti i matrimoni d'interesse, anche quello tra Cina e le multinazionali non poteva durare in eterno. Le convenienze reciproche permangono, ma l'equilibrio si sposta. La bilancia non e' piu' in equilibrio. Su un piatto la Cina offriva basso costo dei fattori di produzione, stabilita', infrastrutture, promessa di un mercato sterminato. Sull'altro le multinazionali compensavano con iniezioni di tecnologia, capitali, risorse umane. I vantaggi reciproci sono stati eccellenti e redditizi. Ora le contraddizioni tra le due forze emergono con episodi che non possono essere frutto di coincidenze. In una corrispondenza da Pechino il Financial Times racconta fatti che stanno inquinando l'intero clima degli affari in Cina. Molte multinazionali di settori strategici come l'informatica, l'automotive, l'alimentare, il farmaceutico sono nel mirino delle autorita' cinesi con procedure amministrative, divieti, campagne stampa, proteste dei consumatori. Alla Bmw non e' stata concessa l'autorizzazione per costruire un nuovo impianto e 140.000 sue vetture sono state richiamate per difetti meccanici e la stessa sorte riservata a 380.000 Volkswagen lo scorso marzo. La Apple e' stata sottoposta a gogna mediatica per aver praticato alti prezzi e offerto un servizio scadente ai clienti cinesi. La GlaxoSmithKline e' stata denunciata per aver corrotto medici e funzionari pubblici. La neozelandese Fonterra e' stata costretta ritirare dal mercato alcuni suoi prodotti sospettati di causare il botulismo. Analogo provvedimento era stato preso contro la Danone. L'elenco potrebbe continuare, ma gia' i grandi nomi coinvolti segnalano che e' in atto un'offensiva che non e' casuale. Gli attacchi sono sistematici, sulla stampa di regime, sul web, nelle aule dei tribunali. Non si hanno prove che il disegno prenda forma da un ordine superiore o addirittura da un complotto, ma quanto in atto sembra voler riprendere alcune peculiarita' tipiche della Cina, che emergono in coincidenza di convenienze politiche. Sembra che tutto converga, piu' o meno involontariamente, verso la linea del partito che pone l'accento sul 'China dream', utile strumento per scaricare all'esterno le contraddizioni che lo sviluppo cinese ha generato. Al di la' delle interpretazioni unilaterali, almeno tre motivi possono essere esposti per spiegare l'atteggiamento cinese. Il primo e' la tradizione di regolare i rapporti con la forza. Le multinazionali sono utili quando bisogna industrializzare il paese. In quel frangente si puo' chiudere un occhio sulle violazioni di legge, sugli standard da lavoro, su quelli ambientali, sul trattamento fiscale. Quando il loro compito sembra esaurito, oppure la loro tecnologia non e' assorbibile, o quando la loro sofisticazione e' un pericolo per l'industria locale, allora scattano i meccanismi di autodifesa. Al momento il paese si sente sufficientemente forte da poter alzare la posta. Non vuole piu' essere 'la fabbrica del mondo', il paradiso delle multinazionali, ma utilizzarle per costruire un polo mondiale di eccellenza nella creazione del valore. Per questo le aziende straniere sono utili ma devono perdere la superiorita' tecnologica e finanziaria. Il retroterra ideologico delle scelte e' sempre il nazionalismo cinese. La politica estera cinese da sempre e' indirizzata all'interesse della Cina. L'ambizione e' riscattarsi dal sottosviluppo, causato da fattori esterni. Tutte le multinazionali hanno accettato le decisioni cinesi, prendendo atto, promettendo rispetto, chiedendo scusa al paese e ai suoi cittadini. Questo lascerebbe pensare ad una vittoriosa strategia di Pechino, anche se, ed e' la terza spiegazione, le decisioni potrebbero nascondere una debolezza di fondo. La Cina non e' ancora riuscita a vincere la battaglia della qualita'. Voleva smettere di primeggiare soltanto nei numeri, ma non e' riuscita a creare prestigio. Ambiva a creare campioni nazionali, ma - salvo alcune eccezioni come Huawei, Haier e Lenovo - stenta a conquistare i consumatori occidentali. Soprattutto, sono i suoi cittadini a riconoscere la superiorita' straniera, un evento inedito. Il latte condensato e' solo d'importazione, le scuole all'estero sono frequentate da Cinesi, i viaggi per lo shopping sono affollati, chi vuole impressionare gli amici guida un'auto straniera, chi puo' compra immobili a New York o sulla Costa Azzurra. Il nazionalismo, almeno sul versante del lusso e della qualita', sta perdendo la presa sulla societa' cinese. E' probabilmente questo il vero pericolo avvertito dalla dirigenza, nella cornice piu' ampia di un modello che non riesce a progredire ed imporsi all'ammirazione internazionale.

* Presidente di Osservatorio Asia

sabato 10 agosto 2013

Breaking News 24 09/08/2013 - 19:57
NOTIZIARIO ASIA

Petrolio: Cina sorpassa Usa, da ottobre il piu' grande importatore al mondo
Stime Eia. Effetto della politica americana sul shale-oil

Radiocor - New York, 09 ago - La Cina si prepara a superare gli Stati Uniti diventando il piu' grande importatore al mondo di petrolio. Sono le stime della Energy Information Administration (Eia), secondo cui lo strappo di Pechino su Washington avverra' ad ottobre e proseguira' per tutto il 2014. Il sorpasso e' la conseguenza della politica energetica americana, sempre piu' focalizzata sulla produzione di greggio attraverso estrazioni di shale-oil. Gli Stati Uniti, il piu' grande consumatore di petrolio al mondo, stanno cosi' riducendo il bisogno di ricorrere all'importazione della materia prima. La Cina, il secondo consumatore di greggio, sta invece dimostrando una necessita' crescente dell'oro nero come dimostrato dai dati di ieri che hanno messo in evidenza importazioni record di greggio a luglio, il 20% in piu' rispetto a 12 mesi prima. Secondo le stime dell'Eia, il petrolio estratto negli Stati Uniti ad ottobre raggiungera' il livello di quello importato per la prima volta dal febbraio 1995.



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