Porta sul volto l'emozione del grande evento e per 6 ore non lascia mai la sala proprio come un segretario che si rispetti. Ma Matteo Renzi, nel giorno dell'incoronazione da leader, chiarisce, già dalla colonna sonora dei Negrita, che la nuova generazione, ora alla tolda di comando, resterà "ribelle" per cambiare l'Italia. Un esordio tutto all'attacco: chiede un "patto di 15 mesi" al governo, indicando scadenze per un piano del lavoro e per la legge elettorale.
E rilancia la sfida a Grillo: "Se ti impegni sulle riforme, io rinuncio a 40 milioni di rimborsi. Firma qui. Se non ci stai sei un buffone". Dopo il trionfo alle primarie, con numeri schiaccianti sia tra i mille delegati dell'Assemblea sia in direzione, il rottamatore si prende tutta la scena del Parlamentino Pd, riunita alla Fiera di Milano. La vecchia guardia, da D'Alema a Bersani, è ridotta al ruolo di comparsa, e gli ex sfidanti Gianni Cuperlo e Pippo Civati aspettano alla prova il segretario, consapevoli che gli spazi di manovra della minoranza sulla carta sono stretti. D'altra parte il rottamatore chiarisce subito su quale linea di confine metterà la storia del Pd e non c'è posto per la nostalgia: "O si volta pagina o il passato è confinato in un museo. Casa nostra è sulla frontiera non al museo delle cere''. L'unico che, anche plasticamente, ha un posto d'onore accanto al neosegretario del Pd è il premier Enrico Letta. Siede al suo fianco in prima fila e ora dovrà costruire al governo la difficile convivenza tra Renzi, che vuole dettare l'agenda, e Angelino Alfano. Perchè, mette subito in chiaro il rottamatore, le primarie "sono state da parte dei nostri elettori l'ultimo appello per cambiare l'Italia senza se e senza ma". E l'unico obiettivo di questo governo, di larghe o piccole intese che siano, non è "la pacificazione fra noi e Berlusconi ma fare la pace con gli italiani, fare la pace fra i politici e gli italiani''. Come dice un vecchio motto, anche per Renzi se vuoi la pace prepara la guerra. Non sarà una guerra ma certo una scossa quella che subito il sindaco vuole imprimere al governo "perchè se balbetta alle europee la responsabilità sarà tutta del Pd".
Da gennaio il neoleader chiede "un patto alla tedesca" per i prossimi 15 mesi. Che abbia al primo punto il lavoro: "entro un mese presenteremo un grande progetto di legge" per semplificare le regole sul lavoro, il cosiddetto job act, perchè il governo deve mettere in campo un "gigantesco piano per il lavoro". Nel patto di coalizione il leader del Pd chiede l'eliminazione della Bossi-Fini e anche, "che piaccia a Giovanardi o no" le unioni civili. Tempi stringenti anche per il capitolo delle riforme: entro gennaio il primo via libera della Camera alla riforma elettorale "altrimenti perdiamo la faccia" e entro la legislatura il superamento del Senato "come carica elettiva" con la riduzione dei parlamentari. L'ultimo capitolo del patto di governo è una nuova rotta per l'Europa: "tutto il Pd aiuterà Enrico nel semestre Ue", promette, a condizione che a Bruxelles si capisca che "l'Europa non è il nostro salvatore e senza l'Italia non si va da nessuna parte". Letta dalla platea annuisce: prendendo la parola subito prima di Renzi si era detto certo che "ora il Pd è il baricentro della democrazia Italia" dopo che neanche sei mesi fa aveva rischiato "la fine" nella mancata elezione del presidente della Repubblica. Il premier lascerà l'assemblea soddisfatto subito dopo l'intervento del neoleader: "Bene la sfida a Grillo, molto bene la spinta per le riforme, benissimo sull'Europa. Uniti siamo imbattibili". Il rottamatore non propone, invece, nessun patto a Grillo.
Ma una sfida in piena regola che poche ore dopo il comico genovese respingerà al mittente: "In modo provocatorio - spiega Renzi - mi chiedi di rinunciare ai rimborsi elettorali. Ma lo dico io: 'Beppe, firma qui'. Se ti impegni nel prossimo anno a superare il Senato, a cancellare le province e sulla legge elettorale io rinuncio ai 40 milioni di rimborsi elettorali". Parlamentari e dipendenti Pd tirano un sospiro di sollievo, certi che il leader M5S non accetterà mai un confronto e Renzi non restituirà le quote del finanziamento pubblico. Ma in molti, al di là dell'atmosfera informale e degli apprezzamenti di rito del neosegretario, sanno che una nuova era è cominciata al Pd. Lo si capisce da un segnale piccolo ma inequivocabile: Renzi replica, dopo il consueto dibattito, solo due minuti, archiviando l'era di repliche prolisse: nomina tesoriere il fedelissimo Francesco Bonifazi e mette in direzione, come sua quota, 20 sindaci e non vip lontani dalla politica. Due minuti in cui, però, invita tutti a stare sulla palla perché "c'è un sacco di lavoro da fare, avremo un anno divertente e leggermente scoppiettante''.
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